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L'unica faccia della moneta tra destino e determinismo




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L'unica faccia della moneta tra destino e determinismo



































Introduzione


Una moneta viene lanciata in aria e ricade su una delle due facce. Al contrario di quanto accade a Rosencrantz e Guildenstern nell'opera di Stoppard, la matematica ci dice che Testa e Croce hanno la stessa identica probabilità di uscire, eppure, nel momento in cui andiamo a scoprire su quale lato è realmente caduta la nostra moneta, vedendo per esempio che è Testa, tale probabilità non ha più alcun valore, è diventata un evento certo e non esiste più la possibilità che sia uscita Croce; dunque la probabilità ha senso solo nell'incertezza. Ma la domanda veramente interessante è: in che momento termina l'incertezza? Per noi è lapalissiano; la certezza arriva con l'esperienza: guardando il risultato del lancio apprendiamo l'esito. Ma volendo portare un semplice esempio potremmo ipotizzare che un altro osservatore controlli la moneta prima di noi trovandosi in uno stato di assoluta certezza mentre noi siamo ancora nel dubbio; e prima di lui un altro ipotetico osservatore potrebbe conoscere la verità ancora prima, e così via. Procedendo in questo modo possiamo immaginare che l'unico momento in cui la probabilità ha veramente senso è proprio quell'attimo che precede la quiete della moneta; durante tutto il lancio nessun osservatore umano, per quanto attento, sarà in grado di ottenere la certezza dell'esito dell'evento. Questo non implica che le leggi della meccanica classica siano necessariamente violate. Anche supponendo che il tipo di processo sia tale che, istante per istante, gli oggetti obbediscano alle leggi di Newton in ogni interazione con l'ambiente, il numero di parametri che determinano il moto rende proibitivo sia calcolare esattamente il risultato a partire dalle condizioni iniziali che cercare di riprodurre le stesse condizioni ad ogni lancio; ovviamente si intende "proibitivo" relativamente alle comuni capacità umane.

Vorrei però aggiungere, a questo punto, un'interessante ipotesi formulata da Pierre Simon de Laplace[1]:

"Un'intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell'universo e quelli dell'atomo più leggero; per essa non ci sarebbe nulla d'incerto, e il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi."


Laplace suggerisce uno spunto fondamentale, soprattutto considerando che questi non poteva conoscere le sorprendenti potenzialità dei moderni calcolatori di cui invece disponiamo adesso, in grado forse, un giorno, di svolgere quell' "analisi" che a noi sembra adesso tanto incredibile. Ma senza rivolgere infruttuose speranze verso il futuro, riconsideriamo quanto detto alla luce dell'ispirazione di Laplace: è la nostra limitatezza ad impedirci di vedere un fatto magari ovvio per un'intelligenza superiore? In fondo se vediamo una mela cadere sappiamo con certezza che non prenderà a volteggiare, ma verrà attratta al suolo dalla forza di gravità; e questo lo sappiamo ben prima che tocchi il suolo. Allora perché non potremmo con la stessa certezza affermare su quale faccia ricadrà la moneta? E' evidentemente più facile ipotizzare l'azione di un fattore casuale piuttosto che ammettere l'insufficienza delle nostre capacità di comprendere un mondo di stampo deterministico; ma possiamo ridurre il tutto alla favoletta della volpe e l'uva? Evidentemente il problema è ben più complesso ed è strettamente collegato a qualcosa che fin dalle origini del pensiero ossessiona l'uomo: il futuro.

Essenzialmente sono due i possibili approcci alla questione: il determinismo e la casualità.

Il determinismo, che approfondiremo più avanti, implica che tutto ciò che esiste o accade è determinato in modo causale e necessario da una catena di eventi precedenti; per cui emerge facilmente l'illusorietà del concetto di libero arbitrio. Al contrario il caso spinge a credere che ci sia un certo grado di libertà, lasciando ampie speranze alla libertà di azione dell'uomo.





















































Prima di affrontare la questione principale della visione deterministica e del problema del libero arbitrio è bene approfondire il concetto di probabilità, di cui abbiamo già accennato.


In probabilità si considera un fenomeno osservabile esclusivamente dal punto di vista della possibilità o meno del suo verificarsi, prescindendo dalla sua natura. Tra due estremi, detti evento certo (ad esempio: lanciando un dado si ottiene un numero compreso tra 1 e 6) ed evento impossibile (ottenere 1 dal lancio di due dadi), si collocano eventi più o meno probabili.


Probabilità classica Rapporto tra tutti i casi favorevoli al verificarsi dell'evento e il numero

di tutti i casi possibili.


Probabilità Frequentistica Si basa su una definizione a posteriori.

La frequenza con cui un evento si verifica su un numero di prove.


Probabilità Soggettivista E' il prezzo che un individuo coerente ritiene equo pagare per ricevere

una somma definita in caso di vittoria.


Inoltre due eventi si dicono INCOMPATIBILI se non possono prodursi contemporaneamente, mentre sono INDIPENDENTI se non hanno alcun rapporto tra loro, ossia se il fatto che uno dei due si verifichi non ha alcuna influenza sul realizzarsi dell'altro. Nel caso di due eventi indipendenti la probabilità condizionata coincide con la probabilità dell'evento stesso.


Un aspetto interessante del determinismo è proprio il rapporto con il concetto di probabilità, che diventa quasi un'alternativa obbligata nei casi in cui le leggi meccanicistiche non hanno più utilità, si badi bene, non perché perdono di significato o tali eventi non vi si attengano più, ma solo perché il calcolo comprende troppe variabili. In questi casi, dunque, si parla di eventi aleatori. Ma se le leggi deterministiche non perdono la loro validità, rimane da chiedersi che senso abbia parlare di eventi dipendenti e indipendenti.

Un esempio molto chiaro di ciò che intendo può essere dato dagli oroscopi. La scienza obietta con convinzione che, ad esempio, "X è del segno del Sagittario" e "questa settimana avrà fortuna in amore" sono eventi indipendenti. In effetti è difficile immaginare due esempi migliori di cose che non abbiano alcun rapporto tra loro e che siano quindi indipendenti nel senso della teoria delle probabilità. Possiamo dunque dedurre che la probabilità per X di avere fortuna in amore è la stessa indipendentemente dal fatto che egli sia o meno del segno del Sagittario. Dal punto di vista probabilistico gli oroscopi sono pertanto del tutto inutili.

La questione è dunque risolta? Non ancora, poiché i fautori dell'astrologia negheranno che gli eventi sopraccitati siano indipendenti. Il modo migliore per risolvere il problema è dunque quello sperimentale: si trovano correlazioni significative fra gli oroscopi e la realtà? La risposta è negativa e scredita totalmente l'astrologia. La situazione non è tuttavia semplicissima, e merita una discussione seria. A causa delle forze esistenti tra tutti i corpi, in particolare la forza di gravitazione universale, Venere, Marte, Giove e Saturno esercitano degli effetti sulla nostra Terra. Sono evidentemente effetti molto deboli e si potrebbe supporre che la loro influenza sul corso degli affari umani sia del tutto trascurabile. Non è così. In realtà, certi fenomeni fisici, come quelli della meteorologia, presentano una grande sensibilità alle perturbazioni cosicché una causa per quanto piccola finisce con l'avere in capo a qualche tempo conseguenze considerevoli. Si può quindi concepire che la presenza di Venere, o di qualsiasi altro pianeta, possa modificare l'evoluzione meteorologica, e non solo, con conseguenze non trascurabili. Il problema della dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali è estremamente complesso, ma nel nostro studio basti sapere che esistono casi in cui un piccolo mutamento nello stato del sistema al tempo zero produce un mutamento ulteriore che cresce in modo esponenziale col tempo. Dunque, tornando alle impercettibili influenze del sistema solare sul nostro pianeta, possiamo stimare che il fatto che oggi pomeriggio piova dipende, tra le altre cose, dall'influenza gravitazionale esercitata qualche settimana fa da Venere sulla Terra. Proseguiamo la nostra analisi. A parte la meteorologia, gli astri non possono avere sulla nostra vita effetti di tipo più direttivo? Ovviamente gli oroscopi si basano su interpretazioni arbitrarie e per molti motivi l'astrologia non può essere considerata scienza. Tuttavia per il nostro studio basta prendere atto che, al di là di QUALE effetto possa avere una determinata disposizione dei pianeti sulla nostra vita, è innegabile che, per quanto possa essere piccolo, un effetto c'è. E così come i pianeti anche molti altri fattori, sicuramente a noi sconosciuti, possono avere, su altrettanti eventi, un effetto invisibile ai nostri occhi ma determinante alla luce della dipendenza dalle condizioni iniziali di cui abbiamo accennato.

Tornando alla definizione di probabilità, e in particolare di evento indipendente, possiamo già scorgere un problema importante nello stabilire i nessi di causa-effetto esistenti nella realtà, che è poi il problema di fondo del determinismo.


























































































Tuttavia la probabilità, nonostante le difficoltà che abbiamo riscontrato, rappresenta sul piano pratico uno strumento indispensabile per le nostre limitate capacità che non riescono a cogliere, e di conseguenza calcolare con precisione scientifica, le leggi di determinati eventi. Una delle applicazioni più concrete della probabilità, in grado di mostrarne con maggiore chiarezza l'efficacia, è data dallo studio preventivo dei fenomeni sismici.


Previsioni a lungo termine

I sismologi sviluppano le previsioni a lungo termine, basate essenzialmente sul calcolo probabilistico, attraverso l'identificazione delle zone sismiche e l'intervallo di ricorrenza. Anzitutto, per la rilevazione di una zona sismica viene costruita una carta che mostra gli epicentri dei terremoti avvenuti in un dato periodo di tempo. I gruppi o le fasce di epicentri definiscono la zona sismica. La premessa fondamentale di una previsione a lungo termine può essere formulata come segue: una regione in cui vi sono stati molti terremoti nel passato vedrà probabilmente altri terremoti nel prossimo futuro.

Poiché un terremoto di grande entità è decisamente più pericoloso di numerose scosse minori è utile scoprire l'intervallo di ricorrenza dei grandi terremoti in una zona sismica, trovato calcolando la media degli intervalli tra simili fenomeni avvenuti in passato. L'intervallo può essere determinato inoltre stimando quanto tempo occorrerebbe al movimento relativo medio tra due placche per produrre uno sforzo abbastanza grande da generare uno scorrimento misurabile.

Degne di nota sono le lacune sismiche, luoghi in cui una faglia attiva non si muove da un certo numero di anni alimentando il pericolo che lo sforzo accumulato venga rilasciato improvvisamente in un terremoto di grandi dimensioni.


Previsioni a breve termine

Le previsioni a breve termine si avvalgono di vari criteri:

-Scosse precursorie: Uno sciame di queste scosse può indicare la formazione delle fessure che producono la rottura principale lungo la zona di faglia.

-Rilievi geodetici: Prima di un terremoto può accadere che una porzione di crosta subisca una distorsione deformando così la superficie del terreno.

-Cambiamento del livello dell'acqua nei pozzi: Variazioni nel volume dello spazio dei pori nella roccia può causare l'innalzamento o l'abbassamento del livello dell'acqua sotterranea.

-Monitoraggio di gas nei pozzi: Gas come il radon e l'elio possono essere rilasciati dai pori quando la roccia comincia a fessurarsi prima del terremoto.

-Misura della conducibilità elettrica nella roccia: La fessurazione può variare la capacità della roccia di far passare corrente.

-Comportamenti anomali degli animali: E' stato riferito di agitazioni nel normale comportamento degli animali prima di un terremoto imminente.


Dunque i fenomeni sismici risultano molto più complessi del previsto, tanto da rappresentare una tale incognita persino alla luce delle nostre avanzate conoscenze. Alcuni sismologi credono, anzi, che non ci sia alcun grado di prevedibilità e che i pochi successi siano solo coincidenze prive di fondamenti scientifici. Dobbiamo quindi rassegnarci all'idea di un grande caos alla base della realtà? Oppure il problema è ancora una volta da ricercarsi nella nostra limitata capacità di comprensione? Certo è che una prospettiva deterministica sembrerebbe veramente una gran comodità dopo aver trattato di tali incertezze riguardo i terremoti. Tuttavia se vogliamo trastullarci all'idea di calcolare con esattezza l'arrivo della prossima scossa solo grazie al nesso di causa-effetto, dobbiamo rinunciare a qualsiasi pretesa di libertà, ossia al nostro libero arbitrio.























































Una visione di questo tipo è strettamente legata all'emblematica immagine del Velo di Maya, che Schopenhauer utilizza per sintetizzare la propria concezione della realtà. Infatti, partendo dal presupposto kantiano in base al quale il mondo si dà al soggetto soltanto come rappresentazione, Schopenhauer assume, accanto alle forme a priori dello spazio e del tempo di Kant, il principio di ragion sufficiente come base su cui l'intelletto stabilisce un nesso tra i fenomeni.

Il principio di ragion sufficiente opera su più livelli:



ragione sufficiente del divenire: il rapporto di causa effetto che si instaura tra i fenomeni naturali


ragione sufficiente del conoscere: la necessità logica che lega in un rapporto le premesse e le conseguenze


ragion sufficiente dell'essere: i rapporti nel tempo e nello spazio che sono a fondamento della geometria e dell'aritmetica


ragione sufficiente dell'agire: la necessità applicata all'ambito della moralità



Il mondo come rappresentazione, definito dal carattere della necessità, è perciò basato sul meccanicismo, poiché ogni evento ha una causa che lo determina necessariamente. Ciò che è particolarmente interessante è l'applicazione di questo principio anche alla sfera della moralità, perciò in netto contrasto con Kant, per cui ogni uomo, e animale, deve, non appena se ne sia presentato il motivo, compiere quella azione, che unicamente è adeguata al suo carattere naturale e immutabile e che pertanto avviene in maniera cosí inevitabile come ogni effetto segue ogni causa; tuttavia essa non si lascia prevedere cosí facilmente, come tutti gli altri effetti, in quanto è difficile approfondire e conoscere perfettamente il carattere individuale ed empirico e la sfera conoscitiva che lo accompagna.

Dunque da questa prospettiva il mondo come rappresentazione è basato su un modello strettamente deterministico, dove l'uomo non può avere pretese di libertà. Tale libertà è invece caratteristica peculiare della Volontà, la cosa-in-sé che al di là del velo di Maya anima non solo l'uomo ma tutta la natura. Tuttavia, proprio perché non sottoposta a principi a priori, e in particolare al principio di ragion sufficiente, la Volontà si presenta come una forza totalmente irrazionale, dando spunto così alla visione pessimistica e ai successivi sviluppi della filosofia di Schopenhauer.

Riportiamo un breve esempio che lo stesso Schopenhauer usa per esprimere perfettamente il contrasto tra la Volontà e l'individuo:



"Ogni innamoramento, infatti, per quanto voglia mostrarsi etereo, ha la sua radice solo nell'istinto sessuale, anzi è in tutto e per tutto soltanto un impulso sessuale determinato, specializzato in modo prossimo e rigorosamente individualizzato.[] L'estasi incantevole, che coglie l'uomo alla vista di una donna di bellezza a lui conveniente e che gli fa immaginare l'unione con lei come il sommo bene, è proprio il senso della specie, che, riconoscendo chiaramente impresso in essa il suo stampo, vorrebbe con essa perpetuarlo. Da questa decisa inclinazione verso la bellezza dipende la conservazione del tipo della specie: perciò esso agisce con cosí gran forza. Noi considereremo piú oltre singolarmente gli accorgimenti, che esso adopera. L'uomo è dunque in ciò guidato realmente da un istinto, che tende al miglioramento della specie anche se si illude di cercare soltanto un accrescimento del proprio godimento. In effetti noi abbiamo qui un istruttivo chiarimento sull'intima essenza di ogni istinto, il quale quasi sempre, come qui, mette in moto l'individuo per il bene della specie.[] Conformemente all'esposto carattere della cosa, ogni innamorato, dopo il godimento finalmente raggiunto, prova una strana delusione e si meraviglia, che ciò che ha cosí ardentemente desiderato non dia nulla di piú di ogni altro appagamento sessuale; tanto che egli ormai non si vede piú spinto verso di esso. Quel desiderio dunque stava a tutti i rimanenti suoi desideri nello stesso rapporto con cui la specie sta all'individuo, ossia come una cosa infinita e una finita. L'appagamento al contrario avviene propriamente solo per il bene della specie e non cade perciò nella coscienza dell'individuo, il quale qui, animato dalla volontà della specie, serviva con ogni sacrificio ad un fine, che non era il suo proprio."



Notando già da ora i forti richiami alla sessualità in Freud, la Volontà, per la propria irrazionalità, può essere collegata all'Es freudiano che, come emerge dalla seconda topica, è infatti la parte più profonda dell'inconscio, un magma di contenuti rimossi ma soprattutto di energie istintuali, desideri e fantasie repressi.

La mente nel suo complesso, e quindi anche l'inconscio, è un insieme di spinte ed energie interagenti che nella visione di Freud appaiono più come una struttura che non come soggettività esperienzale. La coscienza diventa quindi una realtà oggettiva, mentre in modo analogo l'inconscio viene descritto come governato da leggi non diverse da quelle fisiche.

Inoltre è necessario inquadrare nel contesto di inizio secolo la psicologia scientifica, che si proponeva di scomporre e analizzare, in quanto oggetti misurabili, pensieri, sensazioni e ricordi. Infatti dopo gli iniziali successi, per esempio nella misura della velocità dell'impulso nervoso e nel rapporto tra intensità di stimolo e percezione, era facilmente immaginabile una progressiva misurazione di tutti i fenomeni psichici. Questa prospettiva fu estremamente persuasiva anche per lo stesso Freud, che farà un prematuro tentativo di conciliazione tra psicologia e neurologia, secondo la convinzione che l'orizzonte della nuova fisiologia potesse spiegare i processi chimici in base a quelli fisiologici, a loro volta ricondotti a leggi fisiche e chimiche.

Ma l'aspetto forse più basilare dello studio sui contenuti dell'inconscio è dato dalla sessualità, inserita come pulsione primaria alla base non solo delle manifestazioni più evidenti e più strettamente legate alla funzione riproduttiva ma, soprattutto, di tutte quelle azioni volte ad un generico soddisfacimento. Questo aspetto rivela come la spinta sessuale allarghi le proprie radici per investire ambiti che precedono la coscienza e dunque in questo contesto si sviluppa il materialismo di Freud, che appunto trova la chiave del comportamento adulto, e delle varie funzioni intellettuali e spirituali e della stessa civiltà, nell'intima natura biologica degli individui, grazie proprio alle pulsioni primitive che premono il più delle volte in modo mascherato, quindi totalmente al di fuori della coscienza umana, la quale, a detta di Freud "non è padrona neppure a casa propria", poiché si serve spesso degli strumenti dell'inconscio per operare la propria censura verso l'inconscio stesso. E' importante sottolineare che tutto questo esula dal contesto esclusivamente patologico, poiché Freud dimostrerà che la soglia tra normalità e patologia è molto più sottile di quel che si crede, descrivendo la psiche umana sulla base di meccanismi universali, dai cui sviluppi soggettivi evolvono comportamenti e problematiche differenti, ma sempre caratterizzati da una struttura comune. I lapsus, le amnesie momentanee e altre paraplassie, ad esempio, dimostrano che l'inconscio è sempre perfettamente operativo, e dunque condizionante, anche nei soggetti ritenuti psicologicamente "sani". Una dimostrazione molto semplice di questo condizionamento è data dallo stesso Freud asserendo l'assoluta impossibilità di inventare un numero privo di senso, sfruttando la tecnica delle libere associazioni; ad esempio un suo paziente aveva pensato il numero 426'718 e dietro indicazione di Freud aveva iniziato una catena di libere associazioni. Per prima cosa ricordò un detto che recitava 'Se curi la tua malattia dal dottore durerà 42 giorni, se non la curi 6 settimane'. Le cifre presenti corrispondono alle prime 4 del numero pensato (42 giorni sono 6 settimane lunghe 7 giorni). Freud gli fece allora notare che il numero conteneva tutti i numeri da 1 a 8 eccetto il 3 e il 5, allora il paziente pensò che quei due numeri corrispondevano a due dei suoi 6 fratelli, il 3° e il 5° figlio, che egli considerava i suoi nemici e collegò la presenza del numero 8 al desiderio di avere un fratello più piccolo (egli era infatti il più giovane dei 7) sul quale poter esercitare il ruolo di fratello maggiore. Il collegamento era a questo punto chiaro: la presa in giro nei confronti dei dottori indicava il desiderio che il padre (morto in giovane età) fosse vissuto più a lungo, così da potergli dare un fratello minore, e che al suo posto fossero deceduti il fratello e la sorella che egli riteneva nemici. Freud è dunque convinto che sia impossibile comporre intenzionalmente e arbitrariamente un qualcosa che sia privo di senso, per cui l'ipotesi di una rigorosa determinazione delle azioni psichiche porta inevitabilmente a concepire l'idea del determinismo psichico, valido per tutti gli individui proprio per l'universalità delle strutture della psiche.

Perciò lo sforzo della psicoanalisi è proprio volto a ricondurre alla razionalità i contenuti della dimensione dell'inconscio; è dunque "l'ultima avventura della razionalità occidentale"[3], l'estrema ferita inferta al narcisismo umano, all'immagine di sé che l'uomo stesso si è costruito e che già Copernico e Darwin, prima ancora di Freud, avevano intaccato.

Il fatto stesso che "ogni rappresentazione umana può essere letta come discorso manifesto che rimanda ad un discorso latente che ne detiene il senso"1 dimostra l'esistenza necessaria di un fondo deterministico che, "negando allo psichico ogni casualità, collega tutte le nostre azioni in una catena associativa ferrea"1.


















































































L'idea del contrasto tra le pulsioni dell'inconscio e la censura operata dall'Io possono essere messe in relazione, ovviamente con le dovute cautele contestuali e cronologiche, con alcuni aspetti del pensiero di Seneca. Centrale nella sua "terapia", in accordo con la sua corrente filosofica, era la necessità di evitare il più possibile le passioni deleterie, quali l'ira, l'invidia e la gelosia, la brama di gloria, di potere e di denaro. Tali passioni erano infatti come veleno per l'anima, la quale doveva seguire il più possibile la ragione per agire secondo virtù e sapienza. Tra i mali dell'anima che già allora affliggevano i romani si poteva annoverare la frustrazione, dalla quale scaturiva l'ansia. La frustrazione nasce dall'inevitabile conflitto che viene a crearsi tra desiderio e realtà. Molto spesso, infatti, i desideri naturali dell'uomo entrano in conflitto con le possibilità reali di un loro soddisfacimento. Ecco dunque la somiglianza con le dinamiche psichiche freudiane.

Il saggio stoico sapeva bene che gli eventi sono inevitabili, e come questi eventi ostacolino di fatto molti dei nostri desideri. Seneca sosteneva dunque che le delusioni che meglio sopportiamo sono quelle alle quali siamo già preparati. Nell'uomo vi sono certamente dei desideri troppo intensi rispetto alle loro reali possibilità di realizzazione. E' in questo modo che si esprime la saggezza dello stoico. L'ansia è infatti generata dalla paura e dal timore di una disfatta che si teme di subire. Ma la vera virtù, secondo Seneca, è racchiusa proprio nella capacità di uniformarsi alla ragione che esprime l'ineluttabilità del fato. Quando si ha la sensazione che accadrà qualcosa di spiacevole dobbiamo renderci conto che in tutta probabilità accadrà comunque e il più delle volte inevitabilmente, stare in pensiero e affliggersi non ha alcun senso; gli eventi si succedono ineluttabili. Il destino non si fa portatore di alcun giudizio morale, gli eventi accadono indipendentemente dalle nostre valutazioni di merito e dalla nostra volontà. 

Che senso ha dunque agire se è il destino a decidere per noi? In realtà l'uomo ha un certo margine di azione. Già i padri dello stoicismo, Zenone di Cizio e Crisippo, ripresi poi da Seneca, avevano usato una metafora per spiegare la condizione in cui si viene a trovare l'uomo: l'uomo è come un cane legato al guinzaglio ad un carretto, il cane ha dunque un certo margine di movimento, ma i suoi spostamenti sono comunque decisi dalla direzione del carro. E' per questo che se non vuole rischiare di finire strozzato, al cane converrà non allontanarsi troppo dal giogo.

L'uomo è dunque il cane e i carretto è il destino. Se non assecondiamo il destino e ci opponiamo ad esso opponendoci frontalmente, nulla ci eviterà la catastrofe, poiché la realtà e il susseguirsi degli eventi stanno al di sopra delle aspirazioni alla libertà. All'uomo è data comunque la libertà di poter scegliere se assecondare o meno la direzione del proprio destino, più ci si allontanerà e più si rischierà di provare dolore. E' dunque più naturale e conveniente per gli uomini accettare gli eventi secondo ragione e non tentare di opporvisi irrazionalmente. Dalla passione deleteria scaturisce dunque il dolore, dalla comprensione secondo ragione la serenità, e, in ultima analisi, il bene e la virtù.

Di diverso avviso è la posizione assunta dagli Epicurei, in particolare Lucrezio, che abbandona totalmente l'ipotesi deterministica introducendo la teoria del clinamen. Infatti, sposando il materialismo, Lucrezio crede che ogni cosa, dal mondo fino all'anima stessa, sia in realtà solo un'aggregazione di atomi per lo più arbitraria; tale arbitrarietà scaturisce proprio dal clinamen, ossia una deviazione assolutamente dominata dal caso, per cui gli atomi, che altrimenti continuerebbero il proprio modo senza mai incontrarsi, deviano durante il loro movimento venendo così ad aggregarsi.

La teoria degli atomi e del loro incessante movimento, che alla luce delle moderne conoscenze assume una valenza estremamente attuale, è importante per spiegare come il caso sia all'origine della maggior parte delle avversioni al determinismo.

Partendo dalla teoria dei simulacra, ossia le emanazioni materiali che distaccandosi dagli oggetti permettono la percezione, quindi con grande affinità rispetto al Velo di Maya di cui parla Schopenhauer, Lucrezio spiega che la libera scelta, originata dal cuore, è ciò che dà vita al movimento degli atomi che determinano una specifica azione.

Per esempio riguardo ai movimenti scrive:

 

ut videas initum motus a corde creari

ex animique voluntate id procedure primum,

inde dari porro per totum corpus ed artus."

Sicchè vedi che l'inizio del movimento è originato dal cuore e che anzitutto procede dalla volontà dell'animo, poi di là si propaga per tutto il corpo e le membra.





In questa prospettiva l'uomo ritrova la propria libertà e dunque la sfera morale, dominata dalla necessità nel determinismo, riacquista valore. Pertanto l'epicureismo, come filosofia individuale, riveste particolare importanza nell'insegnamento dei corretti valori da seguire. Lucrezio si fa portatore del pensiero di Epicureo introducendo anche a Roma la differenziazione tra i diversi piacere umani: quelli naturali e necessari, gli unici veramente degni di essere perseguiti, come il nutrimento e l'amicizia, in misura strettamente sufficiente alla sopravvivenza; quelli naturali e non necessari, in cui si ha un'eccedenza nella misura; infine quelli non naturali e non necessari, frutto di una brama inesauribile. L'importanza di seguire le giuste pulsioni è determinante al fine dell'autarchia, ossia dell'autosufficienza, propria del saggio, che può dunque ergersi ad una dimensione nuova, osservando dall'alto le vicende umane con una prospettiva privilegiata che deriva dalla propria completezza spirituale. Questo aspetto sembra meno centrale, ma avrà una certa importanza confrontato con alcune considerazioni su Pirandello.






















































































Prima di addentrarci a parlare di destino e fatalità, è bene puntualizzare che esiste una certa differenza tra il fatalismo e il determinismo finora affrontato: il primo presuppone l'esistenza di un'entità, generalmente divina, che prestabilisce gli eventi ponendo un fine preciso; il secondo, come già detto, si riduce alla semplice descrizione di nessi causa-effetto in cui domina la necessità; pertanto potremmo dire che il determinismo si sofferma sui meccanismi del destino, mentre il fatalismo è più propriamente l'applicazione del determinismo ad un concetto di destino che abbia un senso, inteso sia come verso che come significato. Comunque proseguendo la nostra analisi potremo intendere il destino come il prodotto del determinismo, un suo sinonimo dotato di particolari caratteristiche su cui ci soffermeremo di volta in volta.


Segue a questo punto una novella di Pirandello particolarmente interessante per iniziare una rappresentazione del destino nell'ambito della letteratura.



"La casa dell'agonia" [4]


Il visitatore, entrando, aveva detto certamente il suo nome; ma la vecchia negra sbilenca venuta ad aprire la porta come una scimmia col grembiule, o non aveva inteso o l'aveva dimenticato; sicché da tre quarti d'ora per tutta quella casa silenziosa lui era, senza più nome, 'un signore che aspetta di là'.


Di là, voleva dire nel salotto.


In casa, oltre quella negra che doveva essersi rintanata in cucina, non c'era nessuno; e il silenzio era tanto, che un tic-tac lento di antica pendola, forse nella sala da pranzo, s'udiva spiccato in tutte le altre stanze, come il battito del cuore della casa; e pareva che i mobili di ciascuna stanza, anche delle più remote, consunti ma ben curati, tutti un po' ridicoli perché d'una foggia ormai passata di moda, stessero ad ascoltarlo, rassicurati che nulla in quella casa sarebbe mai avvenuto e che essi perciò sarebbero rimasti sempre così, inutili, ad ammirarsi o a commiserarsi tra loro, o meglio anche a sonnecchiare.


Hanno una loro anima anche i mobili, specialmente i vecchi, che vien loro dai ricordi della casa dove sono stati per tanto tempo. Basta, per accorgersene, che un mobile nuovo sia introdotto tra essi.


Un mobile nuovo è ancora senz'anima, ma già, per il solo fatto ch'è stato scelto e comperato, con un desiderio ansioso d'averla.


Ebbene, osservare come subito i mobili vecchi lo guardano male: lo considerano quale un intruso pretenzioso che ancora non sa nulla e non può dir nulla; e chi sa che illusioni intanto si fa. Loro, i mobili vecchi, non se ne fanno più nessuna e sono perciò così tristi: sanno che col tempo i ricordi cominciano a svanire e che con essi anche la loro anima a poco a poco si affievolirà; per cui restano lì, scoloriti se di stoffa e, se di legno, incupiti, senza dir più nulla nemmeno loro.


Se mai per disgrazia qualche ricordo persiste e non è piacevole, corrono il rischio d'esser buttati via.


Quella vecchia poltrona, per esempio, prova un vero struggimento a vedere la polvere che le tarme fanno venir fuori in tanti mucchietti sul piano del tavolinetto che le sta davanti e a cui è molto affezionata. Lei sa d'esser troppo pesante; conosce la debolezza delle sue corte cianche, specialmente delle due di dietro; teme d'esser presa, non sia mai, per la spalliera e trascinata fuor di posto; con quel tavolinetto davanti si sente più sicura, riparata; e non vorrebbe che le tarme, facendogli fare una così cattiva figura con tutti quei buffi mucchietti di polvere sul piano, lo facessero anche prendere e buttare in soffitta.


Tutte queste osservazioni e considerazioni erano fatte dall'anonimo visitatore dimenticato nel salotto.


Quasi assorbito dal silenzio della casa, costui, come vi aveva già perduto il nome, così pareva vi avesse anche perduto la persona e fosse diventato anche lui uno di quei mobili in cui s'era tanto immedesimato, intento ad ascoltare il tic-tac lento della pendola che arrivava spiccato fin lì nel salotto attraverso l'uscio rimasto semichiuso.


Esiguo di corpo, spariva nella grande poltrona cupa di velluto viola sulla quale s'era messo a sedere. Spariva anche nell'abito che indossava. I braccini, le gambine si doveva quasi cercarglieli nelle maniche e nei calzoni. Era soltanto una testa calva, con due occhi aguzzi e due baffetti da topo.


Certo il padrone di casa non aveva più pensato all'invito che gli aveva fatto di venirlo a trovare; e già più volte l'ometto si era domandato se aveva ancora il diritto di star lì ad aspettarlo, trascorsa oltre ogni termine di comporto l'ora fissata nell'invito.


Ma lui non aspettava più adesso il padrone di casa. Se anzi questo fosse finalmente sopravvenuto, lui ne avrebbe provato dispiacere.


Lì confuso con la poltrona su cui sedeva, con una fissità spasimosa negli occhietti aguzzi e un'angoscia di punto in punto crescente che gli toglieva il respiro, lui aspettava un'altra cosa, terribile: un grido dalla strada: un grido che gli annunziasse la morte di qualcuno; la morte d'un viandante qualunque che al momento giusto, tra i tanti che andavano giù per la strada, uomini, donne, giovani, vecchi, ragazzi, di cui gli arrivava fin lassù confuso il brusìo, si trovasse a passare sotto la finestra di quel salotto al quinto piano.


E tutto questo, perché un grosso gatto bigio era entrato, senza nemmeno accorgersi di lui, nel salotto per l'uscio semichiuso, e d'un balzo era montato sul davanzale della finestra aperta.


Tra tutti gli animali il gatto è quello che fa meno rumore. Non poteva mancare in una casa piena di tanto silenzio.


Sul rettangolo d'azzurro della finestra spiccava un vaso di gerani rossi. L'azzurro, dapprima vivo e ardente, s'era a poco a poco soffuso di viola, come d'un fiato d'ombra appena che vi avesse soffiato da lontano la sera che ancora tardava a venire.


Le rondini, che vi volteggiavano a stormi, come impazzite da quell'ultima luce del giorno, lanciavano di tratto in tratto acutissimi gridi e s'assaettavano contro la finestra come volessero irrompere nel salotto, ma subito, arrivate al davanzale, sguizzavano via. Non tutte. Ora una, poi un'altra, ogni volta, si cacciavano sotto il davanzale, non si sapeva come, né perché.


Incuriosito, prima che quel gatto fosse entrato, lui s'era appressato alla finestra, aveva scostato un po' il vaso di gerani e s'era sporto a guardare per darsi una spiegazione: aveva scoperto così che una coppia di rondini aveva fatto il nido proprio sotto il davanzale di quella finestra.


Ora la cosa terribile era questa: che nessuno dei tanti che continuamente passavano per via, assorti nelle loro cure e nelle loro faccende, poteva andare a pensare a un nido appeso sotto il davanzale d'una finestra al quinto piano d'una delle tante case della via, e a un vaso di gerani esposto su quel davanzale, e a un gatto che dava la caccia alle due rondini di quel nido. E tanto meno poteva pensare alla gente che passava per via sotto la finestra il gatto che ora, tutto aggruppato dietro quel vaso di cui s'era fatto riparo, moveva appena la testa per seguire con gli occhi vani nel cielo il volo di quegli stormi di rondini che strillavano ebbre d'aria e di luce passando davanti la finestra, e ogni volta, al passaggio d'ogni stormo, agitava appena la punta della coda penzoloni, pronto a ghermire con le zampe unghiute la prima delle due rondini che avrebbe fatto per cacciarsi nel nido.


Lo sapeva lui, lui solo, che quel vaso di gerani, a un urto del gatto, sarebbe precipitato giù dalla finestra sulla testa di qualcuno; già il vaso s'era spostato due volte per le mosse impazienti del gatto; era ormai quasi all'orlo del davanzale; e lui non fiatava già più dall'angoscia e aveva tutto il cranio imperlato di grosse gocce di sudore. Gli era talmente insopportabile lo spasimo di quell'attesa, che gli era perfino passato per la mente il pensiero diabolico d'andar cheto e chinato, con un dito teso, alla finestra, a dar lui l'ultima spinta a quel vaso, senza più stare ad aspettare che lo facesse il gatto. Tanto, a un altro minimo urto, la cosa sarebbe certamente accaduta.


Non ci poteva far nulla.


Com'era stato ridotto da quel silenzio in quella casa, lui non era più nessuno. Lui era quel silenzio stesso, misurato dal tic-tac lento della pendola. Lui era quei mobili, testimoni muti e impassibili quassù della sciagura che sarebbe accaduta giù nella strada e che loro non avrebbero saputa. La sapeva lui, soltanto per combinazione. Non avrebbe più dovuto esser lì già da un pezzo. Poteva far conto che nel salotto non ci fosse più nessuno, e che fosse già vuota la poltrona su cui era come legato dal fascino di quella fatalità che pendeva sul capo d'un ignoto, lì sospesa sul davanzale di quella finestra.


Era inutile che a lui toccasse quella fatalità, la naturale combinazione di quel gatto, di quel vaso di gerani e di quel nido di rondini.


Quel vaso era lì proprio per stare esposto a quella finestra. Se lui l'avesse levato per impedir la disgrazia, l'avrebbe impedita oggi; domani la vecchia serva negra avrebbe rimesso il vaso al suo posto, sul davanzale: appunto perché il davanzale, per quel vaso, era il suo posto. E il gatto, cacciato via oggi, sarebbe ritornato domani a dar la caccia alle due rondini.


Era inevitabile.


Ecco, il vaso era stato spinto ancora più là; era già quasi un dito fuori dell'orlo del davanzale.


Lui non poté più reggere; se ne fuggì. Precipitandosi giù per le scale, ebbe in un baleno l'idea che sarebbe arrivato giusto in tempo a ricevere sul capo il vaso di gerani che proprio in quell'attimo cadeva dalla finestra.






Cosa si può dire del destino così rappresentato? Che, a ben guardare, non si tratta affatto di destino, o almeno non nella sfumatura che abbiamo precedentemente precisato. Infatti non emerge alcuna finalità nel susseguirsi degli eventi narrati. In particolare si possono trovare due caratteri fondamentali del "destino": l'inevitabilità e l'imprevedibilità.

Inevitabilmente la sciagura accadrà. Questo non ha alcun grado di incertezza; il lettore potrebbe obiettare che è comunque assai improbabile, anche considerata una strada molto affollata, che il vaso cada proprio esattamente in testa a qualcuno, eppure l'autore, dando voce al suo personaggio, esclude che ciò non si verifichi. Questo pone il protagonista del racconto in una prospettiva molto particolare, che analizzeremo più avanti. Ciò che intanto è bene fissare sono le poche ma ben evidenti coordinate date da Pirandello: le rondini, il gatto, i fiori. Si badi bene che questi sono tutti prodotti della natura, non c'è alcuna razionalità che agisca in questo meccanismo precisissimo. Infatti possiamo facilmente paragonare la catena di eventi qui descritta ad un congegno tale che, una volta messo in moto, non abbia alcuna possibilità di incepparsi o modificare nel corso dell'operazione il suo comportamento. Ossia un modello deterministico, per la definizione stessa di determinismo che abbiamo più volte ricordato. Dunque il meccanismo rondine-gatto-fiori è infallibile. L'esito sarà la morte di un passante. Questo è tanto certo quanto l'osservazione del meccanismo di un orologio: gli ingranaggi ruotano su se stessi e le lancette si muovono in senso orario; non torneranno mai indietro, perché il congegno è perfetto, e chiunque, osservandolo, può leggere che ora è. Dunque il protagonista della novella legge con facilità, tra gli ingranaggi che la natura gli ha disposto davanti, l'esito finale.

Un altro importante dettaglio che sottolinea l'ineluttabilità dell'evento è gettato da Pirandello con banalità, come fosse secondario; l'autore scrive che sarebbe inutile per l'uomo spostare il vaso, poiché la serva lo rimetterebbe comunque a posto, perché QUELLO è il solo ed unico luogo in cui il vaso deve stare. Ma perché il vaso deve stare lì? Perché, come si è detto, il congegno è perfetto, non ammette variazioni, e gli ingranaggi non hanno alcuna utilità se non combaciano perfettamente. Dunque, allegoricamente, l'uomo è totalmente impotente di fronte al destino; qualsiasi sua azione non fa che alimentare catene di eventi che si sarebbero comunque verificati o che, ancora peggio, si verificano proprio sfruttando e manipolando abilmente le azioni dell'uomo in un circolo vizioso in cui la strada per evitare un evento è proprio quella diretta alla sua realizzazione, che altrimenti non sarebbe stata possibile. Può essere solo un paradosso, è vero, ma per Pirandello diventa la legge reale che governa il succedersi degli eventi, scanditi dal tempo della pendola.

Tornando alla seconda caratteristica del destino qui rappresentato, ossia l'imprevedibilità, è bene fare una precisazione: il grado di probabilità è relativo solo al punto di vista, limitato, dei passanti sotto il balcone. Il protagonista del racconto è invece straordinariamente consapevole. Questo significa che, sempre in un'ottica allegorica, i passanti, in questo caso quindi gli esseri umani in generale, sono coloro che devono attenersi alla probabilità e che, non potendo in alcun modo prevedere la concomitanza rondine-gatto-fiori, vivono nel mondo della casualità, in cui la probabilità ha senso. Viceversa il protagonista senza nome vive ad un livello più alto e per lui non esiste incertezza; il meccanismo rondine-gatto-fiori è una legge tanto semplice e lineare quanto la forza di gravità che farà cadere il vaso. C'è dunque una presenza simultanea di determinismo e casualità che sarebbero inconciliabili al di fuori della constatazione dei diversi piani di conoscenza.

Forse, allora, era proprio questo che intendeva Laplace parlando di una intelligenza superiore in grado di conoscere in un dato istante ogni forza della natura e ogni variabile. In questo caso il personaggio in attesa al quinto piano del palazzo si trova su un piano di conoscenza tale da prevedere persino il futuro. Non per questo può comunque modificarlo, la sua è semplice onniscienza, il che non può che rimandare all'immagine usata dallo stesso Dante in rapporto proprio al problema del destino già scritto da Dio e del libero arbitrio umano














  La contingenza, che fuor del quaderno

De la vostra matera non si stende,

tutta è dipinta nel cospetto eterno:


necessità però quindi non prende

se non come dal viso in che si specchia

nave che per corrente giù discende.



Dante elabora la sofisticata immagine della nave facendola pronunciare da Cacciaguida, il quale nella finzione del racconto sta per rivelare al suo discendente, ancora una volta, il futuro. Dante, essendo profondamente credente, si trova quindi a dover spiegare una delle maggiori contraddizioni del cristianesimo: se Dio è onnipotente e onnisciente ed ha predisposto ogni cosa ai fini di un proprio piano divino, che ruolo ha l'uomo che in questo modo sembra non avere alcuna libertà d'azione? E come è possibile dunque un giudizio da parte della divinità se non siamo padroni delle nostre scelte? E al contrario, se l'uomo è dotato realmente di libero arbitrio, allora come è possibile accettare che l'onnipotenza di Dio venga così limitata?

Dante spiega quindi che in realtà le vicende umane muovono sul piano della contingenza, e dunque il libero arbitrio è salvaguardato, così come la possibilità di un conseguente giudizio. Per non limitare l'onnipotenza di Dio aggiunge quindi che in realtà le vicende umane sono sì libere, ma Dio ne è sempre completamente al corrente, come un osservatore che si trovi a guardare una barca che scorre lungo un fiume e, quindi, egli stesso non imprime alcun moto alla barca per il solo fatto di guardarla, pur conoscendone in anticipo il corso.

Ciò che non viene ben chiarito (dunque neppure Dante è riuscito esaurientemente a risolvere la contraddizione) è il modo in cui sia possibile concepire la libertà umana, se è ben noto che una barca che venga trascinata dalla corrente non è affatto libera ma, anzi, risulta più determinata di molti altri eventi.

Già prima di Dante il problema era stato largamente affrontato, ma, ai fini degli argomenti finora trattati, i dibattiti sulle contraddizioni del cristianesimo hanno un'importanza marginale. Per il nostro studio è però fondamentale riportare un breve estratto di San Tommaso.



"Come colui che va per una via, non vede quelli che vengono dopo di lui; ma colui che da qualche altezza domina tutta la via, vede contemporaneamente tutti coloro che transitano per quella, così tutte le cose, anche future, cadono sotto la vista di Dio, senza essere da Dio rese necessarie."



Dunque il cerchio si chiude. L'analogia con l'uomo senza nome della novella, al quinto piano e quindi ad un'altezza privilegiata, è evidente; potremmo inoltre azzardare, riunendo San Tommaso, Dante, Laplace e Pirandello, che quel nome dimenticato dalla serva potrebbe essere ben più semplice da ricordare di quanto si immagini poiché il protagonista incarna l'intelligenza superiore di Laplace, nonché la divinità onnipotente e onnisciente dei cristiani: l'uomo senza nome, dimenticato dal suo ospite, è Dio. Ovviamente non più un Dio provvidenziale, che permea di un senso preciso gli eventi, come pensava Dante: forse per Pirandello è l'uomo stesso che si fa Dio per sopperire alla perdita di qualsiasi valore e significato. Lui sa; lui non interviene; è l'unico che ha il potere di agire, ma decide di non farlo; è il solo ad avere libertà, potere e conoscenza assoluti. Oltre a lui chiunque altro è solo un passante inerme.






















































Un altro paragone con la divinità può essere dato dal rapporto tra l'autore e il copione dei propri protagonisti. Nella dimensione letteraria, ma in particolar modo in quella teatrale, è evidente che dal punto di vista dei personaggi c'è un totale determinismo; possiamo giustamente chiamare destino il corso degli eventi già scritto per loro dall'autore e indirizzato in modo razionale verso un ben determinato fine. Ma al di fuori dei propri ruoli, qual è la condizione dei personaggi?

Parlando di una dimensione totalmente fittizia, come quella letteraria, può sembrare fine a se stessa una domanda del genere, ma nel teatro dell'assurdo proprio questa domanda ha un ruolo importante e diventa un tema ricorrente.

Esemplare è l'opera di Stoppard, "Rosencrantz and Guildenstern are dead", in cui il tema del destino diviene centrale e assume connotazioni particolari e originali.

Anzitutto un elemento fondamentale per comprendere l'opera è la contestualizzazione dei protagonisti. Ros e Guil sono gli stessi personaggi che nell'Amleto di Shakespeare sono chiamati in scena per scoprire i motivi della follia di Amleto stesso. Per Shakespeare tuttavia non sono altro che due personaggi estremamente secondari che si muovono sullo sfondo della vicenda e la cui morte, alla fine della tragedia, è solo riportata marginalmente. Ecco quindi un primo straniamento operato da Stoppard, non presentando la vicenda dell'Amleto semplicemente dal punto di vista di osservatori situati nello sfondo, ma assumendo lo sfondo in sé come palcoscenico di primo piano in cui riempire i vuoti lasciati dall'opera shakespeariana e ribaltando la centralità della storia di Amleto, lasciata stavolta in sottofondo. Stoppard riesce abilmente a mostrare il suo intento già dalla prima scena, in cui la moneta si carica di molti simboli e significati comprensibili solo ad un'attenta analisi. Perché la moneta cade sempre su testa? Questo è il principale interrogativo che coinvolge lo spettatore ma anche e soprattutto gli stessi protagonisti. Guil e Ros sono in una landa desolata, anonima. Non sanno di preciso dove sono e, successivamente, si rendono conto di non sapere neppure perché sono là. Persino la memoria, sempre che un passato ci sia realmente stato, perde valore e consistenza. Dunque si può ipotizzare che la realtà in cui ci troviamo non è quella comune, ma si tratta di una specie di limbo in cui le leggi del tempo e dello spazio sono alterate; quindi anche le leggi della probabilità sono violate. Ma un mondo privo di probabilità è un mondo in cui regna la certezza, e la certezza segue alla necessità che, ancora una volta, ci riporta al determinismo.

E' importante che Stoppard abbia voluto iniziare negando proprio la probabilità. In seguito Ros si confronta con molti altri fenomeni fisici ma la moneta, con cui si apre l'opera, lascia da subito intuire, con il suo comportamento anomalo, che abbiamo abbandonato la dimensione reale, in cui forse è possibile un certo grado di libertà; entrando nel mondo della finzione, del teatro, abbiamo ormai accettato di recitare una parte e dunque tutto si susseguirà come è stato scritto. Per di più il destino di Ros e Guil è quello di morire, ed è stato impresso sulla carta già molti anni prima, nel 1600, nell'Amleto. Dunque nemmeno Stoppard avrebbe potuto salvarli: al momento della loro creazione, ossia nella mente di Shakespeare, Ros e Guil avevano già un ruolo ben definito, che li avrebbe condotti a morire alla fine della tragedia. Nessun'altra possibilità è concepita, poiché tutte le loro azioni sono indirizzate al fine prestabilito della tragedia.

Ma all'interno del mondo della finzione, in cui Ros e Guil sono già inseriti, si può operare una nuova distinzione tra le scene in cui sono presenti e attivi nell'Amleto e i momenti in cui invece l'Amleto dimentica questi due personaggi per seguire le vicende degli altri protagonisti; in quest'ultimo contesto si inserisce proprio l'occhio di Stoppard, introducendosi nel racconto di Shakespeare come una telecamera nascosta intenta a filmare il "dietro le quinte" delle vicende raccontate. Ciò che è quasi ironico è che proprio in questi momenti, in cui sono liberi dal copione ufficiale dell'Amleto, Ros e Guil si trovano di fronte l'inconsistenza e l'assenza di significato della propria esistenza, tornando quasi a trovare un senso alle loro azioni quando vengono coinvolti nella tragedia principale. Stoppard vuole probabilmente suggerire quanto le pretese di libertà dell'uomo siano poi in realtà soltanto illusioni pronte ad infrangersi di fronte all'insensatezza di una vita senza scopo.


Another comparison with godship can be the relationship between the author and his/her own characters' script. In the literary dimension, and in particular in the theatrical dimension, it is clear that from the point of view of the characters there is a complete determinism; we can name fate the course of the events, already written by the author and rationally directed to a precise intent.

But out of their roles, what's the real condition of the characters?

Talking about this completely unreal dimension, that is literature, it looks like a rhetoric question, but in absurdist theatre this question has a central role and becomes a returning theme.

Stoppard's "Rosencrantz and Guildenstern are dead" is a great example of this; here the theme of fate is fundamental and has original features.

First of all an important element, in order to understand the play, is the contextualization of the characters. Rosencrantz and Guildenstern are the same of Shakespeare's Hamlet, where they are called by the king in order to find out the reasons of Hamlet's madness. In Shakespeare's play they are anything but extremely secondary characters, moving in the background of the story and whose death, at the end of the tragedy, is only marginal. This is the first change in perspective in Stoppard, who doesn't describe the story simply with the point of view of background characters, but turning the background itself into the stage; here he can fill the gaps of Shakespeare's work and capsize the centrality of Hamlet .  

Stoppard shows his intention in the first scene already, where the coin is symbolic and has a lot of meanings that only a deep analysis can reveal.

Why does the coin always toss coming up head?

This is the fundamental question for both the reader and the characters.

Guil and Ros are in a desert, anonymous land. They don't know where they are and then they realize that they don't even know why they are there. Also memory has lost his value, and even the real existence of a past is questioned.

Hence we can assume that this is not the common reality, it is a sort of limbo where time and space laws are altered; and so probability laws are suspended too. But this kind of world, without probability, is a world where certainty reigns, which follows from necessity that, in its turn, take us back to the definition of determinism itself. Stoppard wanted his play to begin denying probability: this is important.

During the story, Ros is faced with many other physical phenomena but the coin, at the beginning f the play, with its freakish attitude reveals that we have just left the real dimension, where a certain freedom is maybe still possible; entering the dimension of the theatre we have accepted to act our role and consequently everything will happen as in the script.

Furthermore we know from the beginning that Ros and Guil's destiny is death; it was written a long time ago, in 1600, in Hamlet. So not even Stoppard could have saved them: when they were created, in Shakespeare's mind, Ros and Guil already had their defined role, which qould hav led them to death.

There are no other possibilities because all their actions are directed to the precise intent of the tragedy.

In this fictional world, where Ros and Guil find themselves, we can further distinguish between the scenes where they are active into the Hamlet and the moments when they are abandoned by Shakespeare in order to follow other events; it is in this latter context that Stoppard enters Shakespeare's story like a hidden camera which records backstage events. But it is ironic that in these moments, when they are free from Hamlet's script, Ros and Guil are faced with their inconsistence and feel the meaninglessness of their existence, only recovering a sense when they are involved in the main storyline.

Stoppard probably wants to suggest that our  freedom pretences are only an illusion which will inevitably shatter against the void of our aimless lives.























































Dal punto di vista della quotidianità e degli aspetti pratici della vita umana rimane sempre aperto un debole spiraglio che separa sottilmente l'ambito del destino da quello della pura e semplice coincidenza. La riduzione di tutte le implicazioni finora descritte ad una matrice puramente casuale determina quindi il ruolo centrale dell'uomo nella sua pretesa di razionalizzare ogni cosa, attribuendo ai fenomeni relazioni e significati forse arbitrari.

Possiamo dire che le coincidenze si verificano ogni giorno e noi ne abbiamo spesso un grado di coscienza troppo basso per comprenderle veramente; quando però la razionalità si inserisce tra i nessi che legano gli eventi possiamo parlare di Serendipity, che è un fenomeno tanto semplice quanto interessante da analizzare.

Anzitutto è necessario spiegare l'origine e il significato del termine.
Inizialmente la parola Serendipity fu usata in riferimento a Serendip, una località che viene citata nel titolo di una favola orientale intitolata "I viaggi e le avventure dei tre principi di Serendip". Ciò che a noi interessa sapere è che in questa favola si parla dell'incredibile acume dei tre protagonisti che nel corso delle loro avventure svelano misteri apparentemente privi di logica.

Tuttavia il termine, nel suo primo utilizzo da parte di Horace Walpole, non contiene più l'elemento di scoperta ricercata e abilmente trovata, ma viene invece usato per indicare una felice scoperta involontaria, casuale, che grazie alla sagacia particolare di determinati individui diviene comprensibile, seppur non ricercata intenzionalmente. E la sagacia accidentale è proprio un fattore centrale della Serendipity, poiché suggerisce che sia appunto la mente umana, così ordinatrice e così straordinariamente dotata (e si badi bene che non tutti gli uomini hanno le stesse capacità di sfruttare la Serendipity) a conferire quel carattere deterministico agli eventi, per cui sembra che in tutto ciò che accade ci sia un disegno prestabilito, troppo preciso e involontario per essere frutto del puro e semplice caso.

Ovviamente i problemi morali e intellettuali suscitati dalle scoperte accidentali sono collegati alla giustificazione del merito legittimo e del giudizio morale che avevamo già trovato con Dante. Il destino, al di là di chi e come lo decida, necessita di una spiegazione sia per quanto riguarda la sua origine che i suoi effetti.

Allo stesso modo Manzoni poneva l'accento sul problema della Provvidenza, così generosa con Renzo e Lucia ma allo stesso tempo così apparentemente crudele con tantissimi innocenti.
Nei Promessi Sposi la risposta viene data in termini di una giustizia più alta, che l'uomo non può comprendere, ma che Manzoni, influenzato probabilmente dal giansenismo, situa in una prospettiva diversa: il male opera in modo necessario per permettere la salvezza di quanti invece, senza subire tali sofferenze, non avrebbero potuto aspirarvi. Quindi il male esiste al fine di un bene superiore.

Ma la Serendipity allora, questa sagacia inaspettata, come può essere spiegata?

E' un segno inviato dalle divinità per aprirci un piccolo spiraglio verso il futuro e aiutarci nella scelta, oppure è anch'esso un meccanismo strettamente deterministico per cui il caso si manifesta davanti ai nostri occhi per sfruttare la nostra razionalità donandogli un senso specifico e quindi autodeterminandosi?

Ovviamente non è possibile dare una risposta, se non parziale e limitata.




Conclusioni-


All'uomo si aprono due strade per l'interpretazione della realtà: il modello deterministico e quello casuale. Privilegiare l'uno o l'altro ha senso solo sul piano teorico, poiché sul piano pratico la limitatezza della mente umana non può comunque cogliere completamente il determinismo, e quindi diventa utile e necessario l'uso di strumenti come la probabilità, affidandosi persino alla Serendipity, per operare una scelta che, anche se situata all'interno del determismo, appaia in ogni caso autonoma e quanto più libera possibile.


Bibliografia


D. Ruelle- Caso e Caos. (Bollati Boringhieri, 1992)


Robert K. Merton, Elinor G. Barber- Viaggi e avventure della Serendipity. (Il Mulino, 2002)


L. Tornatore, G. Polizzi, E. Ruffaldi- Filosofia. Testi e argomenti. Tomo 4. (Loescher, 2005)


S. Vegetti Finzi- Storia della psicoanalisi. (Mondatori, 1990)


G. Jervis- Freud. (Carocci, 2001)



Sitografia


https://www.forma-mentis.net/Filosofia/Seneca.html



































Ringraziamenti





Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza l'aiuto di molte persone, per cui ringrazio con molto affetto:


Lorenza Boninu, Patrizia Mercantelli, Alessandra Lavorato e Nadia Bennati per il materiale fornito e soprattutto per l'assoluta dedizione al proprio mestiere e ai proprio studenti, oltre i normali doveri di un insegnante.


Elena Nelli per la generosa concessione senza riserve dei propri mezzi tecnici, proprio quando ne avevo più bisogno.


Donatella Mettini e Paolo Landi, per l'estrema pazienza portata in questi lunghi giorni di studio e di stesura.


Facebook, un social network che è ormai diventato parte stessa del metodo di lavoro di noi studenti.



Pierre Simon de Laplace (1749-1827) è stato un matematico, fisico e astronomo francese.

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 44


S. Vegetti Finzi- Storia della Psicoanalisi (Mondadori)

Da "Novelle per un anno" - Una Giornata. Pubblicato la prima volta nel 1935 sul "Corriere della Sera"

Divina Commedia, Canto XVII - Dante

Scarica gratis L'unica faccia della moneta tra destino e determinismo
Appunti su: nelli stesso momento in cui lanci in aria la moneta, https:wwwappuntimaniacomscientificheeconomialunica-faccia-della-moneta-tra44php,



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