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I vantaggi del warfare state




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I VANTAGGI DEL WARFARE STATE


Le spese per il Warfare possono essere giustificate anche da chi non condivide le teorie keynesiane e sostiene invece quelle neoliberiste. I politici che rifiutano l'intervento dello Stato nel sistema economico e che quindi propongono tagli alla sanità, all'assistenza, ecc., potranno convincere i propri elettori che le spese militari vanno aumentate per la "sicurezza nazionale", per la "difesa della Nazione" o per "la protezione delle frontiere".

Le spese per gli armamenti sostengono una grande parte dell'industria americana. È per questo che nei periodi postbellici, la diminuzione della produzione di armi, provoca la recessione dell'economia. A causa delle "crisi d'astinenza" post-belliche che seguono la fine di una guerra si cerca di 'inventarne" un'altra.

La spesa bellica non alimenta solo le imprese che producono armi in senso stretto, ma anche e soprattutto le imprese ed i settori ad essa collegati: il settore aerospaziale, l'industria dell'elettronica e le industrie dei nuovi materiali. Non solo. Ingenti investimenti vengono destinati alla ricerca e allo sviluppo.

Le armi hanno un valore di scambio: vendendole come qualsiasi altra merce, si possono realizzare enormi profitti, soprattutto se vendute in tutto il mondo agli alleati a cui si chiedono "contributi per le spese di guerra".

Le armi hanno un valore d'uso. Possono essere strumentalizzate anche senza utilizzarle: molti governi le sfruttano, infatti, come mezzo di pressione politica o a scopo intimidatorio.

Le armi hanno un valore d'uso quando vengono utilizzate. Sembra un concetto scontato ma non è così. In un'economia capitalistica, secondo le teorie di Marx, lo scopo finale della produzione di una merce (comprese le armi) non consiste nel suo valore d'uso ma nei profitti che dalla sua vendita possono essere tratti. Le armi quindi devono essere usate al fine di produrne altre da vendere agli eserciti che le usano. L'eccessivo uso di armi da parte degli eserciti durante le guerre non è casuale ma è furbamente voluto. L'utilizzo sfrenato di bombe, missili e armi durante una guerra, che apparentemente sembrerebbe uno spreco in termini economici, in realtà non lo è. Al contrario queste "perdite" corrispondono ad altrettanti introiti e guadagni per le imprese belliche perché impediscono la saturazione del mercato delle armi (e quindi crisi da sovrapproduzione in questo settore).

L'uso delle armi è utile anche perché offre un terreno ideale per lo sviluppo di nuove e più sofisticate armi. Nella guerra in Afghanistan sono stati sperimentati, per esempio, il missile aria-terra Agm-142 e i proiettili all'uranio arricchito utilizzati in Bosnia e provenienti dallo smantellamento di missili nucleari.

Anche le armi, per avere un valore di scambio, devono avere un valore d'uso. Nel caso degli Americani, il valore d'uso venduto all'opinione pubblica mondiale consiste nella possibilità di sconfiggere il terrorismo. Per il Presidente Bush l'unico mezzo disponibile è la guerra e sarà solo grazie ad essa che, nel mondo, potrà essere diffusa la democrazia. Lo ha dichiarato pubblicamente all'indomani degli attentati all'America.

Il 21 ottobre 2001, il governo americano lancia un ultimatum ai Talebani, con le seguenti richieste[1]: la consegna tutti i leader di al-Qaeda in Afghanistan agli Stati Uniti; la liberazione di tutti i prigionieri di nazioni straniere, inclusi i cittadini statunitensi, proteggere i giornalisti stranieri, i diplomatici e i volontari presenti in Afghanistan; la chiusura dei campi d'addestramento terroristici in Afghanistan e la consegna di ciascun terrorista alle autorità competenti; garantire il libero accesso agli Stati Uniti ai campi d'addestramento per poter verificare la loro chiusura.

A queste richieste però nessuna risposta da parte del regime talebano il quale giustificò la propria scelta ritenendo che, iniziare un dialogo con un leader politico non musulmano, sarebbe risultato offensivo per l'Islam.

Nell'ottobre 2001, a neanche un mese dagli attacchi, l'esito negativo di una possibile trattativa, fa agire l'esercito americano che invade l'Afghanistan con lo scopo ufficiale di iniziare la "lotta al terrorismo", di catturare i componenti di Al-Qaeda ed il suo leader (Bin Laden) e di rovesciare il regime talebano.

Nel 2003, invece, avviene l'attacco in Iraq il cui scenario risulta diverso da quello afgano. Il governo americano, infatti, dichiarò di voler effettuare (secondo il principio "l'attacco è la miglior difesa") una guerra preventiva per combattere il terrorismo. Quest'ultimo, secondo gli USA, troverebbe riparo e finanziatori occulti soprattutto nei Paesi dove manca una democrazia compiuta e dove avessero tollerato la presenza di Al-Qaeda. Uno fra tanti, l'Iraq. In realtà, mentre per l'Afghanistan ci sarebbero delle prove che giustificherebbero l'attacco (cioè la presenza di Bin Laden e dei centri di addestramento dei terroristi nel territorio afgano), per l'Iraq ci sono state solo delle supposizioni da parte della CIA e dell'FBI. Infatti, gli stessi USA, nel 2006, hanno dovuto riconoscere l'estraneità del Paese iracheno al terrorismo internazionale nonostante ci fosse stata la presenza del sanguinoso dittatore Saddam Hussein. Effettivamente per fare un esempio, le fatidiche armi di distruzione di massa che l'Iraq avrebbe nascosto, non sono state mai trovate.

Possiamo dedurre quindi, senza ragionamenti troppo complessi, che il valore d'uso reale delle armi si è rivelato un altro: le guerre in Afghanistan e in Iraq giustificate dalla "lotta al terrorismo", hanno permesso, in realtà, di controllare aree strategiche dal punto di vista geopolitico e geoeconomico, con particolare riferimento alle rotte del petrolio.

I territori di questi due stati si trovano tra Cina e Russia e si trovano nel punto in cui obbligatoriamente passano gli oleodotti che trasportano il greggio delle risorse petrolifere delle repubbliche ex-sovietiche. Si tratta di risorse talmente importanti che permetterebbero, a chi ne controllasse i flussi, di ridurre enormemente la dipendenza dal petrolio saudita. La stima di queste risorse è di 3.000 miliardi di dollari.Inoltre, non dimentichiamo che l'Iraq ha molti giacimenti petroliferi ed è, dopo l'Arabia Saudita, il secondo produttore di greggio al mondo.
















Conclusioni



Da questa analisi economica si è potuto notare quanti siano i retroscena che i mass media non ci "comunicano".

La guerra, oltre ad avere dei fini politici e se vogliamo "sociali" (pensiamo alla lotta al terrorismo per il bene dell'umanità), produce, in base ai motivi esposti, un tornaconto in termini economici, nonostante provochi morte e distruzione.

I fautori della guerra, la considerano come un «medicinale da somministrare all'economia quando è malata» e, da questa metafora, ci rendiamo conto di quanto sia inscindibile il legame guerra-Finanza.

La guerra di oggi, però, è differente da quella del passato: prima, la si combatteva per la conquista di territori, per l'allargamento del proprio dominio e per impossessarsi  delle risorse altrui; oggi, invece, la guerra non ambisce ad una conquista territoriale, al contrario opera, quasi paradossalmente, lasciando invariati i confini territoriali e viene utilizzata come strumento di controllo delle risorse e delle zone politicamente ed economicamente strategiche.

Siamo giunti ad una conclusione: le guerre non finiranno mai, anzi purtroppo ne scoppieranno delle altre. Lo aveva capito anche l'indimenticabile Alberto Sordi, sempre attento a denunciare in modo ironico i mali della società,  il quale, in un suo celebre film del 1974, evidenzia come i conflitti bellici non avranno mai fine e in chiave sarcastica, ci fa comprendere che il denaro è sempre la chiave di ogni questione, pertanto. «finché c'è guerra c'è speranza».




Informazioni tratte dal sito web https://www.wikipedia.it/

Esemplare è il caso della guerra in Iraq dove non si è verificata una conquista dei territori da parte degli eserciti anglo-americani., ma un controllo delle risorse energetiche e delle aree strategiche.

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