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L'ingresso in carcere




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L'ingresso in carcere


Questa tesi sul carcere vuole focalizzare  l'attenzione, sul concetto d'identità e sulle lesioni che essa subisce durante la fase detentiva, e sottolineare gli aspetti legati alla sfera emotiva e sociale delle persone detenute. Ciò verrà attuato non solo portando l'attenzione sulla persona fisica che è coartata nel carcere, ma tenendo altresì in considerazione gli aspetti inerenti la rieducazione e l'umanità del trattamento della pena e al ruolo ri-socializzante e ri-educativo che svolge il lavoro.

Al suo ingresso nell'istituzione, l'internato porta con sé la cultura del suo ambiente familiare e un insieme di abitudini e comportamenti considerati da lui come "normali" o comunque garantiti fino a quel momento.

Bassetti (2003), usando il concetto di associazione differenziale mutuato da Sutherland , spiega come le persone appartenenti a certi contesti, imparino a violare le norme, perchè in quel particolare ambiente è "coerente" e "normale" agire così. Inoltre riferendosi a Choen Bassetti, spiega che la devianza sia da intendersi come una produzione di valori opposti a quelli dominanti senza per questo perdere di valore.

La persona quindi, entra nel carcere con un concetto di sé più o meno chiaro, che gli permette, ad esempio, di saper coscientemente gestire certe situazioni usando manovre difensive che gli risultano abitualmente utili fino a quel momento, e dei riferimenti personali alla sua condizione di individuo, per cui, secondo Goffman (1961), le Istituzioni, che lui chiama totali, come per esempio gli istituti psichiatrici o anche il carcere, creano una tensione tra il mondo esterno conosciuto fino a quel momento dall'internato e quello interno dell'istituzione che viene usata per manipolare gli uomini.

«Una delle componenti che secondo me, fin dall'inizio porta a capire che il carcere infantilizza sono i mestieri a cui tu puoi accedere . Tu richiedi di lavorare no? e cosa puoi andare a fare? la spesina, non si chiama addetta al sopravitto ma spesina, scopina quella che fa le pulizie.I lavori sono pochi comunque.

Un'altra cosa che non riguarda il lavoro però è inerente a questo per ogni cosa tu devi fare una richiesta su carta scritta e si chiama domandina, non può essere chiamata richiesta oppure modello tal dei tali, no domandina»

Una volta entrato nel carcere, estendendo le considerazioni di Goffman, l'individuo viene privato del sostegno culturale e familiare a cui prima si appoggiava o che comunque gli era abituale e ha inizio un cambiamento forte, che può mortificare il sé della persona, incominciando, per esempio, dalle barriere che si erigono, all'interno delle istituzioni totali, e che si frappongono tra l'internato e il mondo esterno.

Quando si parla di carcere, non si può inoltre tralasciare di considerare la sofferenza come uno dei sentimenti base del detenuto, Gonin sostiene che: «la sofferenza che si vede in prigione è una sofferenza fine a se stessa, non ha rapporto col tempo di detenzione, non è finalizzata. [.] La sofferenza, anche all'interno di un eventuale discorso di pena, di castigo, dovrebbe poter elaborare un significato, evolvere verso un fine, servire alla trasformazione del soggetto».

Durante lo svolgimento dello scritto, si evidenzierà anche questo aspetto, mostrando quei disturbi fisici dovuti anche allo stress, alla depressione, e a circostanze in cui il detenuto psico-somatizza la sofferenza in problematiche che in alcuni casi sono più mentali che prettamente fisiche, e che coinvolgono anche la sfera personale ed emotiva.

Nel carcere vi è una spersonalizzazione, infantilizzazione ed espropriazione del tempo e della comunicatività a svantaggio dei detenuti, ed è ben noto come la detenzione segni le persone che la subiscono e le loro esistenze. Vi è quindi una "legalizzazione" della sofferenza, in quanto il carcere produce e amplifica handicap psico-fisici e mina il sistema immunologico enfatizzando anche problematiche sociali presenti all'esterno.

L'art. 27 della Costituzione sottolinea come la responsabilità del reato sia connaturata alla sola persona che l'ha commesso e non quindi estesa per tutta la sua famiglia e i suoi cari.

Si vuole evidenziare anche questo punto in quanto, nello studio del carcere e nel dialogo con alcuni detenuti, il problema dell'affettività in prigione e quindi della gestione dei colloqui con i propri parenti, è emerso più volte in quanto, se i detenuti trovano normale e abituale essere perquisiti, lo stesso non si può dire dei bambini o dei genitori anziani che vanno in visita al ristretto e che dopo ore di attesa a volte possono venire trattati con poche attenzioni riguardo alla loro età o al loro stato fisico.

Nell'elaborato si cercherà di verificare attraverso le interviste somministrate alle detenute e al personale, se questo problema si verifichi anche nel carcere che si è voluto prendere in esame.

Non si parlerà quindi di solo corpo incarcerato, ma anche di ergastolo emotivo e di come la stigmatizzazione all'esterno possa sfavorire un reinserimento del reo all'interno della società, non creando quel network di sostegno che spesso potrebbe essere utile e positivo per chi esce dal carcere e si ritrova in un mondo per lui cambiato (si pensi a chi deve scontare molti anni in carcere) oppure privo di aiuto perché gli amici fanno parte di quel background delinquenziale dal quale ci si vorrebbe tenere a distanza.

Ecco come la problematica del reinserimento sia delicata da gestire in quanto riappropriarsi di una vita e dei legami interrotti al momento dell'arresto non è facile né immediato o sempre possibile, quindi particolare attenzione sarà posta anche sul concetto di tempo e su quello di spazio in quanto questi concetti sono il leit-motiv per i detenuti. Laura Astarita, ad esempio, nel suo saggio sulla detenzione femminile dice: «Tempo che diventa spazio e spazio che manca. Tempo che amplifica la prigionia del corpo; corpo da sempre centro della punizione, del dolore, dell'espiazione che, spogliato, in ogni senso, denudato dalla propria capacità di espressione e frustrato nei propri bisogni, diventa allo stesso tempo, indifeso e sensibile, attento ai cambiamenti, testimone degli eventi»

Spazio e tempo ineriscono quindi direttamente alla vita del detenuto, soprattutto quando questo è donna, si pensi ad esempio alle donne che uscite dal carcere dopo una lunga pena decidono di rinunciare alla maternità perché troppo anziane, oppure al blocco del ciclo mestruale risentito da molte detenute dopo il loro ingresso in carcere e a come possa essere negata la femminilità all'interno degli Istituti Penitenziari.







Sutherland E.H., Il crimine dei colletti bianchi, 1987, Giuffrè, Mi

Choen A.K., Ragazzi delinquenti,1974,  Feltrinelli, Mi

I lavori all'interno del carcere vengono svolti per rotazioni.

Soggetto A intervistato, detenuta semi-libera del carcere della Giudecca.

Cfr. l'intervista a D.Gonin da parte E.Gallo presente nella postfazione del libro di Gonin D., 1989, Il corpo incarcerato, Edizioni gruppo Abele, pg. 230 e sgg.

Cfr. Gallo E. e Ruggiero V.,1989, Il carcere immateriale, Mi,.

Nel capitolo Malattia  e sofferenza legale gli autori sottolineano come il carcere faccia male generando mutilazioni, handicap e disturbi oltre che malattie psico-somatiche.

Cfr. Bassetti R., Derelitti e delle pene, op. cit. Nella parte finale del libro Bassetti da spazio alle testimonianze dei detenuti attraverso storie di vita raccolte tramite interviste. In una di queste compariva la parola ergastolo emotivo che ben chiarisce l'idea dell'interruzione degli affetti e della difficoltà dei legami emotivi quando si è ristretti.

Cfr. Astarita Laura, 2002, Inchiesta sulle carceri italiane, Carrocci Editore, pg 75, a cura di Anastasia S. e Gonnella P.

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