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I profili comparatistici della giustizia riparativa




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I profili comparatistici della giustizia riparativa



Il significato del termine "giustizia riparativa", è un'espressione dai confini labili e sfumati. Si è parlato di new justice, di separative justice, di positive justice,.termini diversi ed alternativi per indicare lo stesso paradigma.

L'adozione di etichette semantiche differenti, ma riconducibili al medesimo contenuto, hanno fornito il punto di partenza di un'analisi trasversale in grado di definire il punto focale delle componenti essenziali e comuni ai modelli di giustizia riparativa esistenti. 

I primi passi sono stati mossi nei primi anni Settanta, periodo in cui si fa risalire la nascita del paradigma riparativo. Uno schema classificatorio impernia i suoi studi sulla distinzione teorica tra definizioni orientate sulle vittime del reato, definizioni orientate sulla comunità, definizioni orientate sui contenuti o sulle modalità della restoration.[1]


1 La nozione orientata sulla vittima del reato


Le definizioni di giustizia riparativa che negli ultimi venti anni hanno scandito la letteratura anglosassone hanno come comune denominatore l'orientamento alla vittima del reato.

L'assoluta innovazione risiede nel superamento della funzione prettamente punitiva della sanzione penale e nell'accoglimento di una prospettiva che si allarga alle possibili oggettivazioni dell'offesa arrecata con il reato. La giustizia riparativa non circoscrive rigidamente l'azione delittuosa ad una condotta illecita, causa di una scissione della convivenza civile e punibile in modo equo, ma abbraccia una realtà più complessa, ponendo nella concezione vittimologica il fondamento di una nuova visione dell'offesa arrecata dalla commissione di un illecito.

La partecipazione della vittima al conflitto ed al processo offre l'opportunità di riguadagnare un elemento di controllo sulla propria vita, sul proprio senso di sicurezza e sulle proprie emozioni.[2]

Un ruolo di particolare efficacia riveste la concezione di giustizia riparativa elaborata da M. Wright[3] a fronte della portata globalizzante del danno, in quanto attesta la necessità di tutelare la vittima durante la gestione del conflitto attraverso la riparazione.

Secondo l'autore la giustizia riparativa supera la logica del malum passionis ob malum actionis dato che la risposta al reato trova la sua legittimazione morale nel danno cagionato, ma non si esaurisce nella inflizione di un male ulteriore (pena), non altrimenti legittimabile se non nei noti termini della necessità etica o della prevenzione recidivante. In altri termini, la risposta al delitto dovrebbe essere impostata su contenuti riparativi piuttosto che retributivi, la cui valenza deve, tuttavia, esplicitarsi per evitare di incorrere in vane mistificazioni che legano inscindibilmente il reato alle sanzioni vessatorie ed afflittive.


2 La nozione orientata sulla comunità


L'evoluzione del paradigma riparativo è stato nutrito dai movimenti di pensiero relativi il ritorno a modelli di "community justice"; si rende, dunque, necessario evocare il concetto di comunità, considerandola secondo diverse angolature prospettiche:

- come vittima o danneggiato, per cui l'attenzione si focalizza sulla titolarità del bene giuridico protetto dalla norma penale e sulla quantificazione del danno;

- come destinatario degli interventi di riparazione e di rafforzamento del senso di sicurezza collettivo; 

- come attore sociale del percorso di riparazione dell'offesa arrecata con la commissione di un illecito. 

Giustizia riparativa e comunità appaiono quindi inscindibilmente connessi, un legame che spinge ad affrontare, almeno in termini generali, il problema definitorio del concetto di "comunità".

Si tende a fare della società un'astrazione, un'entità teorica su cui è possibile qualsiasi affermazione. Ciò dipende dal fatto che è radicata in noi la dimensione del privato, di ciò che ci appartiene. Il pubblico assume, così, il ruolo di antagonista che tende a deprivarci dell'individualità.

"E' difficile amare una tale società e farne un parametro della propria dimensione, una sorta di corazza del singolo attraverso la forza di gruppo. Diventa un dio perverso che ognuno odia facendo finta di ignorare e, al momento opportuno, di rispettare, con quell'inchino che Goldoni aveva suggerito ai suoi personaggi e che si accompagnava sempre ad una maledizione: segno di impotenza e di violenza".[4]

Alla giustizia riparativa si assegna il compito di rinsaldare i legami sociali e di richiamare ciascuno ad un maggior senso sociale.


3 La nozione orientata sui contenuti e sulle modalità della riparazione


L'analisi sui contenuti della riparazione si innesta in uno scenario che pone sullo sfondo i problemi fondamentali ed ineludibili del diritto di punire e del sistema sanzionatorio di cui si avvale il sistema penale classico.

I principali contenuti operativi della giustizia riparativa ruotano attorno all'aspetto riparativo in senso stretto ed all'aspetto comunicativo-relazionale del conflitto.[5]


Gli anni Settanta vedono fiorire, negli Stati Uniti, il c.d. "restitution movement", in reazione all'insoddisfazione per il deficit di tutela delle vittime che caratterizzava il sistema punitivo nordamericano orientato alla logica del trattamento e della pena indeterminata. La restitution, che si pone a favore delle vittime per offrire una riparazione concreta del danno derivante da un reato, ricerca modelli sanzionatori alternativi a quelli propriamente afflittivi, tenta di promuovere la rieducazione del reo ed allo stesso tempo funge da contenitore di sentimenti di vendetta personali.

Tale modello ha avuto una vasta risonanza anche in Europa, considerato addirittura superiore alla sanzione penale di matrice retributiva.

Nell'ottica strettamente "restitutiva" persino la pena detentiva, irrinunciabile solo per i soggetti socialmente pericolosi, si arricchisce di componenti riparatorie.

I positivisti, verso la fine del 1800[6] sostenevano l'inscindibilità dell'esecuzione penale con l'obbligo, per il detenuto, di prestare attività lavorativa, i cui proventi da destinare in parte alla riparazione delle vittime ed in parte allo Stato, quale contributo per il mantenimento in carcere.

La riparazione offre al reo una reale possibilità di reintegrarsi nella comunità.

Barnett[7] ha così compendiato i vantaggi che si associano all'adozione di un modello restituivo:

- capacità, da parte del sistema, di offrire assistenza concreta alle vittime;

- maggiore visibilità del crimine (riconoscimento del danno);

- valenza rieducativa e responsabilizzante dell'attività di riparazione in quanto "la condotta riparativa può alleviare il senso di colpa o di ansia che altrimenti potrebbero condurre alla commissione di un nuovo reato" [8];

- l'opportunità per il reo di autodeterminare i contenuti della condanna (quando la misura della pena dipende dalla capacità del condannato di riparare interamente il danno attraverso forme di lavoro "risarcitorio", questi può essere motivato ad impegnarsi al massimo per scontare una pena il più breve possibile);

- contenimento della spesa pubblica

- maggiore tenuta general-preventiva del sistema (l'obbligo di riparare il danno alla vittima dovrebbe contribuire ad alimentare, nei consociati, la sensazione che il crimine "non paga").

Analogamente l'autore ha definito le obiezioni che possono essere mosse al paradigma riparativo:

- non è semplice valutare il danno globale sofferto dalla vittima ed eventualmente dalle vittime secondarie;

- il reato non coinvolge solamente l'autore e la sua vittima, ma anche la comunità in cui il comportamento antigiuridico si è verificato;

- la pena economica non sembra esercitare una efficace deterrenza;

- la riparazione attraverso l'attività lavorativa del reo non è scevra da problematiche di implementazione relative i soggetti sprovvisti di professionalità specifiche ma anche relativi la capacità del sistema di garantire l'accesso alle opportunità di lavoro.

- molte critiche si accompagnano a fronte di quei reati che non comportano la lesione o la reale messa in pericolo di un bene giuridico e dei reati senza vittima;

- il ricorso ad un modello puramente restitutivo attenuerebbe considerevolmente le differenze intercorrenti tra responsabilità penale e responsabilità civile.


"La parola danno non include solamente le alterazioni del sistema visibile delle cose, ma anco le alterazioni del sistema invisibile dei sentimenti".[9]

La dimensione psicologica del danno e i suoi riflessi nella comunicazione sociale tra autore e vittima, costituiscono le fondamenta su cui si ergono alcune delle nozioni di giustizia riparativa incentrate proprio sulla fondamentale necessità di ripristinare la relazione sociale fra i soggetti coinvolti nel reato.

Numerosi assunti si fondano sull'aspetto comunicativo (per esempio quelli proposti da Burnside e Baker [10] e quelli di Richardson e Preston ) che la commissione dell'illecito può aver corroso in modo più o meno profondo, estendendo, in tal modo, alle rispettive comunità di appartenenza, la dimensione del conflitto.




MANNOZZI, La giustizia senza., pag.46 ss.

Per maggiori informazioni sulla vittima del reato si rimanda al cap.4.

WRIGHT M., Justice for Victims and Offender, Winchester, 1996, pag. 112.

ANDREOLI V., La violenza, Bur, 2003, cit. pag. 317.

CRAGG, The Practice of Punishement, London-New York, 1992, pag. 203 ss.

GAROFALO, Riparazione alle vittime del delitto, Torino, 1887, pag. 15 ss.

BARNETT, Restitution: A New Paradigm of Criminal Justice, in BARNETT-HAGEL III, Assessing the Criminal. Restitution, Retribution and the Legal Process, Cambridge, 1977, pag. 363 ss.

EGLASH, Creative Restitution: Some Suggestion for Prison Rehabilitation Programs, in AJC, 1958, cit. pag. 20.

GIOJA, Dell'ingiuria, dei danni, Torino, 1959, cit. pag. 201.

BURNSIDE-BAKER, Relational Justice: Repairing the Breach, Winchester, 1994, pag. 53 ss.

RICHARDSON-PRESTON, Full Circle: The Newsletter of the Restorative Justice Institute, 1997, pag. 1 ss.

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