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Gli obiettivi della giustizia riparativa




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Gli obiettivi della giustizia riparativa



La funzione punitiva può essere considerata una costante nella storia della civiltà giuridica occidentale. Ciò che mutano sono essenzialmente i metodi utilizzati per sorvegliare e punire.

In estrema sintesi, la storia del diritto penale è contrassegnata da un lento processo di umanizzazione delle pene, avvenuto attraverso il progressivo abbandono delle forme più crudeli di repressione; sebbene la pena di morte continui ad essere applicata in alcuni ordinamenti giuridici, almeno in Europa sono state da tempo abbandonate le pene corporali ed infamanti.

Questo tortuoso e mai coerente percorso di umanizzazione del diritto penale, pieno di luci ed ombre, si svolge secondo cicli storici che vedono il coesistere di logiche sanzionatorie diverse: dapprima quella retributiva (volta alla compensazione del male, il delitto, con un altro male, la pena) poi quella generalpreventiva (improntata alla produzione di deterrenza o, nella sua versione positiva, al rafforzamento degli standards morali dei consociati), infine l'idea rieducativa (che mira al reinserimento sociale del reo e, seppur in piena crisi, mantiene, nel nostro ordinamento, fondamento costituzionale).

L'ultima fase di questo tortuoso cammino verso risposte meno afflittive e più efficaci nel controllo del crimine può essere considerata quella che vede la nascita della cosiddetta giustizia riparativa.

L'affacciarsi di questo nuovo paradigma ha prodotto e produce grandi resistenze, in un periodo storico nel quale le logiche retributive e generalpreventive sembrano guadagnare nuovamente credito e consenso politico generalizzato.

Si tratta di un modello di intervento sui conflitti (originati da un reato o che si sono espressi attraverso esso) che si avvale non della pena o di alcune delle sottoarticolazioni sanzionatorie tradizionali, bensì di strumenti che tendono a promuovere la riparazione del danno cagionato dal fatto delittuoso e, soprattutto, la riconciliazione tra autore e vittima.

Nel sistema storico dei delitti e delle pene la vittima del reato, che è co-protagonista del fatto delittuoso nonché il soggetto che risente maggiormente del crimine, non ha ricevuto quasi mai la debita considerazione dalle agenzie istituzionali deputate al controllo ed alla repressione del crimine. Marginale è tuttora il ruolo che la vittima riveste nel processo, spesso insoddisfatto è il suo diritto al risarcimento del danno, completamente trascurata la dimensione emozionale arrecata dall'offesa.

Il rinnovato interesse per le vittime ha dunque contribuito a promuovere l'emersione del modello riparativo che sta riscuotendo un interesse crescente sia in Europa che nell'area giuridica della common law.

La giustizia riparativa può essere definita come un paradigma di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti ed il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. La sfida che essa lancia, alle soglie del XXI secolo, è quella di cercare di superare la logica del castigo muovendo da una lettura razionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe essere più considerato solo un illecito commesso contro la società, o come un comportamento che incrina l'ordine costituito, e che richiede una pena da espiare, bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte, e che richiede, da parte del reo, principalmente l'attivazione di forme di riparazione del danno provocato.

Sebbene i profili di dannosità dell'illecito siano stati già riconosciuti a partire dal dibattito giuridico ottocentesco, è solo con la giustizia riparativa che il danno provocato diviene il punto di partenza per la costruzione di risposte in cui il rapporto di rango tra afflizione e riparazione può essere rovesciato.

Da un punto di vista sociologico-giuridico, la giustizia riparativa si caratterizza, anzitutto, per essere una teoria sociale della giustizia, le cui radici affondano nella ricerca di un modello di giustizia che sia in grado di far convergere su di sé il consenso dei vari gruppi sociali stanziati su un determinato territorio. Per questo, la giustizia riparativa non offre soluzioni a senso unico, né produce effetti stigmatizzanti.

In quanto giustizia che cura, anziché punire, essa è prevalentemente orientata verso il soddisfacimento dei bisogni delle vittime e della comunità specifica in cui viene vissuta l'esperienza di vittimizzazione.

Le questioni fondamentali non sono più "chi merita di essere punito?" e "con quali sanzioni?", bensì "cosa può essere fatto per riparare il danno?", laddove riparare non significa, riduttivamente, controbilanciare in termini economici il danno cagionato.

La riparazione, realizzabile attraverso azioni positive, ha una valenza molto più profonda e, soprattutto, uno spessore etico che la rende ben più complessa del mero risarcimento, e che affonda le proprie radici nel percorso di mediazione.

La necessità di promuovere l'adozione di strumenti riparativi (in primis la mediazione tra autore e vittima del reato) deriva tra l'altro dalla presa di posizione delle Nazioni Unite in relazione all'opportunità di adottare, a livello nazionale e internazionale, politiche di riparazione e di sostegno delle vittime.

Le risoluzioni 27 e 28 della "Dichiarazione di Vienna" adottate a conclusione dei lavori del Decimo Congresso Internazionale delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e sul Trattamento dei Rei, tenutosi a Vienna nell'aprile del 2000 [2], non si limitano ad incoraggiare i soli servizi di assistenza e protezione delle vittime di reato, ma contengono implicazioni per una politica di più ampio respiro, che contempli anche il consolidamento delle garanzie degli imputati ed il rafforzamento della tutela della comunità. Opzione che si fonda, probabilmente, sulla consapevolezza che la promozione di una politica riparativa sbilanciata a favore delle vittime presenta un fattore di rischio non trascurabile: nella specie quello di favorire l'attività di gruppi di pressione che mascherano, sotto la copertura di istanze per una reale tutela delle vittime, richieste di progressivi inasprimenti sanzionatori unicamente dettati da esigenze di legge e ordine, e con ciò determinando una evoluzione in senso illiberale del sistema.

A differenza della giustizia penale di tipo retributivo, in cui, pragmaticamente, le domande fondamentali sono incentrate sul soggetto da punire e sulle sanzioni da porre in essere, la giustizia riparativa si muove su di un interrogativo diverso centrato sulle modalità attuabili per riparare il danno. La riparazione non controbilancia il danno cagionato attraverso il reato con azioni positive, ma ha una valenza ben più complessa del mero risarcimento.

In concreto i principali obiettivi che intende perseguire la giustizia riparativa possono essere suddivisi in base al target di destinatari delle politiche di riparazione:

- obiettivi ENDO-SISTEMATICI, a destinatario SPECIFICO-INDIVIDUALE

Il riconoscimento della vittima: la parte lesa deve potersi sentire dalla parte della ragione e deve poter riguadagnare il controllo sulla propria vita e sulle proprie emozioni, superando gradualmente i sentimenti di vendetta, rancore ma anche di sfiducia verso l'autorità che avrebbe dovuto tutelarla.

La riparazione dell'offesa nella sua dimensione globale, oltre alla componente strettamente economica del danno dovrebbe essere valutata, ai fini della riparazione, anche la dimensione emozionale dell'offesa, che può essere causa di insicurezza collettiva e può indurre i cittadini a modificare le abitudini comportamentali. Tutto ciò senza perdere di vista il principio di proporzionalità e senza cadere in forme di retribuzione mascherata, in quanto il comportamento attivo richiesto all'autore non è imposto in funzione affittiva, bensì riconciliativa e riparativa.

L'autoresponsabilizzazione del reo: ogni tentativo di promuovere concrete attività riparative non può prescindere dal consenso dell'autore del reato, specialmente se si considera che la riparazione si snoda lungo un percorso che dovrebbe condurre il reo a rielaborare il conflitto ed i motivi che lo hanno causato, a riconoscere la propria responsabilità e ad avvertire la necessità della riparazione.

- obiettivi ESO-SISTEMATICI, a destinatario GENERICO-COLLETTIVO

Il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione: la comunità, in particolare, dovrebbe poter svolgere un duplice ruolo. Non solo, riduttivamente, quello di destinatario delle politiche di riparazione, ma anche e soprattutto quello di attore sociale nel percorso che muove dall'azione riparativa del reo.

Il rafforzamento degli standards morali: dalla gestione comunicativa e comunitaria del conflitto e dallo svolgimento di concrete attività riparative dovrebbero emergere, infatti, concrete indicazioni di comportamento per i consociati, che vanno proprio nel senso auspicato dalle teorie della prevenzione generale positiva, cioè quello di contribuire al rafforzamento degli standards morali collettivi.

IL contenimento dell'allarme sociale: il raggiungimento di tale obiettivo è possibile solo a condizione che si restituisca alla comunità la gestione di determinati accadimenti che hanno un impatto significativo sulla percezione della sicurezza da parte dei consociati.


1 Il riconoscimento della vittima


I diritti della persona occupano un posto di fondamentale importanza nella gerarchia dei valori espressamente richiamati dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria.

Si tratta di una collocazione che appare, innanzi tutto, intuitiva ove si rifletta che alle origini, anche senza coinvolgere implicazioni giusnaturalistiche o contrattualistiche, gli uomini si associano in gruppi ed in comunità proprio per assicurare in primis a se stessi la sopravvivenza e l'incolumità personale: vale a dire i bisogni elementari dell'essere.

Quando il reato lede i diritti del singolo (che si riflettono in quelli comunitari), si richiede un intervento in grado di eliminare, se possibile, le conseguenze cagionate dall'azione delittuosa attraverso un'attività riparatrice intrapresa dal reo.

La giustizia riparativa si pone come obiettivo primario la presa in carico delle vittime del reato, le quali, di norma, assumono un ruolo marginale all'interno del procedimento penale.

Le persone vittime di reato, presentano dei bisogni specifici che, solo recentemente, il sistema giuridico ha iniziato a considerare: informazioni sul processo, riconoscimento del torto subito, interventi volti alla riparazione del danno e messa a punto di un processo che non comporti un danno maggiore.[3]

Rispetto alla commissione di un reato, la condanna del colpevole e la commisurazione della pena, dosata in base alla gravità del fatto commesso ed al bisogno di risocializzazione del suo destinatario, lasciano il posto all'esigenza di riconoscere primariamente la sofferenza insita in ogni esperienza di vittimizzazione. Il presupposto logico dell'acquisizione, da parte del reo, della consapevolezza dei contenuti lesivi della propria condotta è costituito dal riconoscimento della vittima che cessa di apparire come un oggetto impersonale per concretizzarsi a pieno titolo come persona, con il suo vissuto di sofferenza, di insicurezza, di umiliazione.

La caratteristica principale legata alla giustizia riparativa e fondante la sua essenza, è la possibile apertura all'incontro e al dialogo tra la vittima e l'autore di reato. Tale forma di comunicazione può esprimersi non solo chiamando in causa i due soggetti coinvolti ma può organizzarsi in forma gruppale.

L'idea basilare che va sottolineata è la sottrazione di una parte di autodeterminazione che il reato ha agito nei confronti della vittima. L'attuale sistema processuale penale non aiuta perché ignora le vittime o le usa come strumento per garantire una condanna.

La giustizia riparativa dovrebbe aiutare a riacquistare l'autonomia perduta, ma questo dipende, comunque, dalla sua applicazione.

In Inghilterra, ai sensi del Crime and Disorder Act 1998 (Legge su Crimine e Disordine del 1998), il tribunale può emettere un ordine di riparazione, che può includere il risarcimento e anche la mediazione vittima-autore di reato; ma la mediazione non è separata dal processo di accordo sulla riparazione.[4] La soddisfazione della vittima, in concomitanza al senso di giustizia percepito dal reo, rappresenta il metro per valutare la qualità di un programma riparativo.

McCold e Wachtel [5] individuano nel metodo delle conferenze (conferencing) le migliori risposte.

L'analisi delle esperienze generalmente attuate attraverso programmi in molti casi di natura sperimentale[7] conduce a risultati controversi ed è soprattutto orientata alla verifica delle modalità attuative e del livello di soddisfazione della vittima, piuttosto che alla verifica dei tassi di recidivismo rispetto ad altre alternative penali.

Weitekamp sostiene che i programmi di riconciliazione tra vittima ed autore di reato si concludono con un buon livello di soddisfazione da parte della vittima, obiettando, però, che tale soddisfazione è subordinata alla non gravità dei reati.


2 La riparazione del danno nella sua misura globale


Il fattore comune alle politiche di riparazione è incarnato dal danno complessivo subito dalla vittima. Riparare il danno nella sua globalità significa capire ed entrare in interazione con la sofferenza psicofisica della vittima, instaurando una strategia di riparazione del danno subito. La dimensione emozionale dell'offesa e l'insicurezza collettiva devono essere opportunamente valutati in quanto fattori predisponenti modifiche sostanziali alle abitudini di vita ante delictum.

La dimensione economica, parimenti importante, va equamente ponderata. In proposito Van Ness[8] propone l'adozione di linee guida per quantificare razionalmente il danno:

- Una prima valutazione si innesta sui destinatari della riparazione; si tratta di individuare le vittime, primarie e secondarie, e di stabilire una gerarchia tra le vittime cui spetta la riparazione (le vittime secondarie o la comunità, ad esempio, potranno beneficiare di forme di riparazione solo quando sia stato riparato il danno della vittima primaria);

- Mentre il danno economico è più facilmente quantificabile, notevoli problemi crea la commisurazione del danno morale, inteso come pretium doloris. La riparazione della sofferenza, quando possibile, passa attraverso altri canali. L'umiliazione, l'angoscia, l'insicurezza derivanti dalla commissione di un illecito possono essere utilmente attenuati solo se si riesce ad arricchire la risposta istituzionale di strumenti basati sull'incontro, sul dialogo, sul riconoscimento reciproco tra autore e vittima che è, prima di tutto, comprensione biunivoca di un vissuto carico di sofferenza o di disagio, aiutando a pervenire a soluzioni che contengono riparazioni simboliche prima ancora che materiali.[9]

- Alla base della giustizia riparativa è sorta la questione di separare la valutazione del danno derivante dal reato e la valutazione della colpevolezza del reo. A parità di colpevolezza si possono, infatti, avere danni che variano sensibilmente di entità, così come a danni di entità simile possono essere sottesi livelli di colpevolezza differenti, che dovrebbero essere considerati anche nella definizione della condotta riparativa. Questa istanza sembra contaminata dalla logica sanzionatoria penalistica. Se l'obiettivo primario della giustizia riparativa è la riparazione dal danno, allora ogni indagine sulla colpevolezza, che rispecchia una logica di tipo retributivo, dovrebbe essere irrilevante ed esaurirsi nella riparazione della vittima.

Notevole rilevanza assumono le condizioni economico-sociali del reo; la sanzione economica rischia di creare disparità di trattamento per la diversa efficacia affittiva che può comportare nei destinatari della sanzione stessa.

La componente fondamentale della riparazione è il soddisfacimento degli interessi violati della vittima e non l'afflizione del reo.


3 L'autoresponsabilizzazione del reo


Sebbene la giustizia riparativa si basi su una nuova visione che non si circoscrive più solamente all'autore di reato, tuttavia il reo non viene escluso dal circuito giuridico, sacrificandone le esigenze o comprimendo le garanzie che lo tutelano dal diritto penale, al fine di ottimizzare l'effettività della tutela delle vittime o della comunità. Al contrario, l'autore di reato continua ad essere un co-protagonista nella gestione del conflitto, dato che la riparazione passa necessariamente attraverso un'attività positiva del reo stesso.

Ogni tentativo di avviare una mediazione o di promuovere concrete attività riparative si fonda, in primo luogo, sul consenso dell'autore di reato e, solo secondariamente, si snoda lungo un percorso che dovrebbe condurre il reo ad elaborare il conflitto e le cause che lo hanno originato, a riconoscere la propria responsabilità e ad avvertire la necessità di lenire l'altrui sofferenza.

L'intervento riparativo è, dunque, orientato sia al soddisfacimento dei bisogni ed alla promozione del senso di sicurezza delle vittime, sia all'autoresponsabilizzazione ed alla presa in carico delle conseguenze globali del reato (danno alla vittima ed alla comunità) da parte del reo. 


4 Il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione


In questa prospettiva la comunità riveste il duplice ruolo di destinataria delle politiche di riparazione e di promotrice del percorso dell'azione riparativa. L'esperienza di vittimizzazione può, infatti, fungere da catalizzatore di dinamiche sociali e comunitarie che altrimenti resterebbero bloccate dalla istituzionalizzazione del conflitto.

"Nella prospettiva regolativa/comunitaria la vicenda della singola vittima non trova risposte unicamente in termini di servizio, ma diventa l'occasione per attivare una responsabilizzazione della collettività nei confronti degli aspetti della questione criminale, quali l'efficacia del controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine, l'incidenza delle politiche preventive dell'ente locale, gli effetti dell'attività trattamentale penitenziaria, ecc, che l'evento della vittimizzazione mette in luce".[10]

Nel momento in cui gli interessi di cui sono portatori vittima e comunità divergono, la gestione del conflitto passa nelle mani dello Stato, sicché il giudice è l'unico legittimato a jus dicere.[11]




5 L'orientamento delle condotte attraverso il rafforzamento degli standards morali collettivi


Nella gestione del conflitto anche la giustizia può agire come fattore di stabilizzazione sociale, almeno se si accede ad un modello di giustizia di tipo evolutivo, secondo il quale l'opzione criminale nasce come "conflitto" e si trasforma in "consenso" [12] i cui strumenti sono costituiti non dalle sanzioni ma dalla gestione comunicativa e comunitaria del conflitto con la promozione di concrete attività riparative.

Affinché sia espletata la funzione che il modello riparativo si propone, e cioè il rafforzamento degli standards morali collettivi, è necessario elevare a livello comunitario il processo riparativo e i suoi esiti concreti. Rispetto a questo obiettivo, che per certi versi coincide con la "funzione generale del diritto di produrre sicurezza delle aspettative in caso di delusione" [13] , si rivelano utili quei modelli di riparazione strettamente indirizzati a tutte le parti interessate dal reato: reo, vittima e comunità.


6 Il contenimento del senso di allarme sociale


La commissione di un reato ha spesso come conseguenza immediata il verificarsi di un diffuso allarme sociale e l'aumento del senso di insicurezza dei cittadini. Si ritiene, a tal proposito, che la percezione collettiva debba essere controbilanciata da un intervento statuale che sancisca l'antiteticità di un comportamento violento all'ordinamento previgente, attivando risposte istituzionali relativamente la sua commissione. Ma la risposta istituzionale, con i suoi complessi meccanismi di attivazione, la sua lentezza procedurale, il suo esito incerto, spesso non riesce a soddisfare il bisogno collettivo di sicurezza incrementata dalla reiterazione dei comportamenti delittuosi.

Assicurare alla comunità il potere di gestire, almeno in parte, i conflitti che si verificano al suo interno, significa restituirle la capacità di recuperare il controllo su determinati accadimenti che hanno un impatto significativo sulla percezione di sicurezza dei consociati o sulle loro abitudini di vita: significa, in sostanza, poter contenere l'insicurezza che deriva dalla percezione dei vari livelli di rischio della vittimizzazione.[14]




CERETTI- DI CIO'-MANNOZZI, Il coraggio di mediare, a cura di F. Scaparro, Guerini Editore, 2001

"§ 27. Noi decidiamo di introdurre, laddove risulti opportuno, strategie di intervento a livello nazionale, regionale ed internazionale a supporto delle vittime, come tecniche di mediazione e di giustizia riparativa, e fissiamo nel 2002 il termine entro il quale gli Stati sono chiamati a valutare le pratiche essenziali per promuovere ulteriori servizi di supporto alle vittime e campagne di sensibilizzazione sui diritti delle stesse,e a prendere in considerazione l'adozione di fondi per le vittime, nonché a predisporre e sviluppare programmi di protezione dei testimoni".

"§ 28. Noi incoraggiamo lo sviluppo di politiche di giustizia riparativa, procedure e programmi che promuovano il rispetto dei diritti, dei bisogni e degli interessi delle vittime, degli autori di reato, della comunità e di tutte le altre parti".

WRIGHT, contributo presentato nell'ambito del Convegno sul tema "Quali prospettive per la mediazione? Riflessioni teoriche ed esperienze operative", Roma, 20-21 aprile 2001.

WRIGHT, contributo presentato nell'ambito.

MCCOLD-WATCHEL, Restorative justice theory validation. Paper to fourth International Conference on Restorative justice for Juveniles, Tubinga, 1-4 ottobre 2000. Trad. It

Attività di mediazione che oltre alla vittima e all'autore di reato può estendersi ai membri delle famiglie per individuare strategie risocializzative.

WEITEKAMP, "Recent developments on restitution and victim-offender reconciliation in the USA and Canada: an assessment", Victim and Criminal Justice, G. Kalser, H. Kury, H.J. Albrecht Eds, Criminological Research Reports, Institute for Foreigns and International penal Law, Friburgo, vol. I, 1991, pag. 423-256,

VAN NESS, Four Challneges of Restorative Justice, CLF, 1993, pag. 267 ss.

CERETTI, Mediazione penale e giustizia. In-contrare una norma, Milano, 2000, pag. 723.

PISAPIA, La vittima di ., cit. pag. 119.

MANNOZZI, La giustizia senza., pag. 110.

PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1992, pag. 849 ss.

DE GIORGI R., Intervista a N. Luhmann, in Dei delitti e delle pene, 1985, cit. pag. 120.

ROBERT J.,Public Opinion, Crime and Criminal Justice, Boulder, 2000, pag. 1-34.

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