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Le capacità di flessibilità e di mobilità articolare




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Le capacità di flessibilità e di mobilità articolare



La struttura biomeccanica dell'essere umano è costituita da segmenti ossei posti in rapporto fra loro attraverso le articolazioni, la cui tipologia determina il grado di movimento dei capi articolari. Le articolazioni sono mantenute in sede fisiologica da un sistema di legamenti che le incapsula, e sono rese funzionali al movimento dai muscoli attraverso i tendini.

In particolari situazioni critiche (l'invecchiamento dei tessuti, varie patologie, un trauma o l'immobilità) i legamenti, il tessuto connettivo, le fibre muscolari ed i tendini possono creare delle resistenza che limitano il movimento.

Per mantenere in perfetto stato la funzionalità di dette strutture, sono usati comunemente diversi metodi.


Il metodo di stretching passivo di Bob Anderson

È un metodo in auge sin dalla fine degli anni '70, che può avere tutt'oggi un certo credito, se utilizzato nell'ambito della ricerca dell'allungamento muscolare di tipo cronico (vedere in seguito).

Le sue regole, che sembrano di facile applicazione, ne hanno determinato una notevole divulgazione anche nel mondo del calcio, ma ho osservato che spesso se ne fa un uso improprio per quanto riguarda sia il modo, intendendo la superficialità nell'esecuzione dei movimenti, che il momento della seduta in cui viene eseguito.

L'applicazione pratica prevede che in ogni esercizio, il muscolo venga stirato lentamente per circa 5' fino a raggiungere il massimo della lunghezza, compatibilmente con l'assenza di dolore.

L'allungamento viene mantenuto per 15' - 20' quindi, si riporta lentamente il muscolo alla sua lunghezza iniziale, in circa 5'.


Il metodo PNF (Facilitazione Propriocettiva Neuromuscolare[RC1])

Questa metodica si è sviluppata alla fine degli anni '40 grazie alle intuizioni scientifiche del neurofisiologo dottor H. Kabat ed alle terapiste M. Knott e D. Voss. I principi che sono alla base del PNF prevedono dei movimenti che interessano i tre piani dello spazio. La terapia fu applicata a pazienti paralizzati affetti da poliomielite, con più successo del metodo precedentemente utilizzato che, invece, enfatizzava il movimento in un'unica articolazione.

Nel tempo, il metodo sperimentato anche in campo non prettamente medico è stato applicato, con qualche modifica, anche nell'ambito dello sport.

In pratica, per le esigenze sportive l'esercizio prevede, dapprima, una contrazione isometrica contro una resistenza determinata dall'intervento di un partner. A ciò segue il rilassamento del muscolo precedentemente impegnato ed il suo contemporaneo stiramento, determinato alla contrazione dell'antagonista. La seconda sequenza dell'esercizio deve avvenire autonomamente e, quindi, senza alcun aiuto da parte del partner, per ampliare il movimento.


Il metodo di Jim Wharton

È una metodologia 'naturale' attraverso la quale il muscolo viene stirato, mentre è decontratto dall'intervento riflesso del Sistema Nervoso. Tutto ciò utilizzando dei movimenti in completa sintonia con le esigenze coordinative di ogni singola disciplina.



I criteri su cui è basato sono semplici, ma sostanziali nel perseguire un'ottimale flessibilità.

Il metodo implica l'attuazione dei seguenti principi.

- Si isola il muscolo che si vuole stirare usando movimenti precisi e localizzati.

- Si intensifica, in ogni successiva ripetizione, la contrazione volontaria dei muscoli agonisti, in modo tale che gli antagonisti siano inibiti (in via riflessa attraverso il meccanismo neurale dell'innervazione reciproca) e simultaneamente allungati da un partner o dall'atleta stesso, che può farlo utilizzando un'attrezzatura ausiliaria, tipo una funicella.

- Si mantiene lo stiramento per uno o due secondi andando appena oltre al punto in cui si attiva il riflesso miotattico, perché ciò previene una tensione innaturale del muscolo stirato. Non tenere conto di questa evenienza e mantenere lo stiramento per numerosi secondi, afferma Wharton, può determinare infiammazioni e lacerazioni al tessuto muscolare.


Il metodo della flessibilità dinamica

La flessibilità dinamica, cioè la possibilità di raggiungere elevati gradi di escursione articolare in movimento, dipende dalla capacità del sistema neuromuscolare di sincronizzazione la contrazione di un muscolo agonista con il contemporaneo rilassamento dell'antagonista.

È un'attività di raffinata coordinazione che necessita un continuo esercizio per essere mantenuta a livello ottimale.

Praticamente si realizza attraverso esercizi di adduzione ed abduzione, di flessione ed estensione, con le circonduzioni e con gli slanci.

Quando si eseguono gli esercizi dinamici per migliorare la flessibilità non si deve, però, incorrere nell'errore di effettuare dei 'rimbalzi', cioè dei movimenti di 'vai e vieni', sfruttando la gravità piuttosto che una contrazione muscolare. L'esempio classico è, da corpo eretto, la flessione del busto in avanti a gambe tese, con l'intenzione di andare a toccare con la punta delle dita della mano le dita dei piedi. In questo esercizio, lo stiramento rapido dei muscoli posteriori della coscia, in assenza della contemporanea contrazione dei muscoli anteriori, sollecita la reazione riflessa in accorciamento dei muscoli stirati, che eleva il rischio per la loro incolumità.

Ma non è questo tipo di esercizi che fanno parte del metodo che propongo per sviluppare la flessibilità dinamica.

Esso comprende, invece, un'attività realizzata attraverso la contrazione dei muscoli agonisti che determina, in via riflessa, il rilassamento dei muscoli antagonisti su cui si desidera eseguire lo stiramento.

In questo caso, per rifarmi all'esempio precedente, in cui ci si prefigge di agire sui muscoli posteriori della coscia, l'azione di stiramento la si può realizzare sia dalla stazione eretta, eseguendo uno slancio dell'arto inferiore per avanti alto, che dalla stazione supina, effettuando una contrazione dei muscoli che portano l'arto esteso verso il busto. In questo caso, un partner ,o l'atleta stesso con un espediente (funicella, asciugamano), aiuta e facilita il movimento di flessione dell'arto sul bacino.

Vi sono, poi, altri metodi da utilizzare in caso di tensioni muscolari che, prolungandosi nel tempo, minano la funzionalità atletica del giocatore. Fra i più noti ricordo quello di Mézières e quello di E. Souchard che, dati gli obiettivi che si prefiggono, sono più riconducibili alla ginnastica medica e rieducativa piuttosto che all'attività di allenamento quotidiano.

Per favorire l'applicazione dei metodi elencati, reputo necessario riordinare le idee ed approfondire l'argomento, individuando i momenti ed i modi più appropriati per migliorare il rendimento atletico dei giocatori.

A questo proposito, il tecnico deve poter distinguere se gli atleti hanno necessità di uno 'stiramento' muscolare acuto o di un 'allungamento' cronico:

* Lo stiramento acuto

Lo stiramento acuto è una condizione muscolare, determinata attraverso esercizi specifici, con cui l'atleta realizza la condizione meccanica ottimale per poter affrontare al meglio delle proprie possibilità la seduta di allenamento o la gara.

Al termine della seduta o della gara, quando vengono a mancare le condizioni che hanno determinato la migliorata flessibilità (aumentata temperatura corporea, diminuita viscosità, ecc.) la lunghezza muscolare regredisce alle condizioni che precedevano l'attività fisica.

Lo stiramento acuto risulta essere, in fin dei conti, l'obiettivo giornaliero sia in fase di riscaldamento che durante il defaticamento, soprattutto se esercitazioni intense hanno determinato delle tensioni muscolari particolarmente elevate.

Dopo una serie di sforzi, riportare alle migliori possibilità di movimento le articolazioni, significa ricreare indirettamente nel muscolo le condizioni per un migliore afflusso sanguigno e perciò, avviare più precocemente il processo di ripristino delle energie spese durante la prestazione.

Fra i metodi indicati in precedenza, personalmente penso che gli esercizi di flessibilità dinamica siano il mezzo ottimale da utilizzare per lo scopo suddetto. Fra l'altro determinano un risparmio di tempo in quanto bastano 3 o 4 movimenti, ripetuti per 2 o 3 volte, per raggiungere gradi di mobilità articolare e stiramento muscolare notevoli.

Inoltre, sulla base degli studi di Michael Zito, risulta che la pratica di esercizi dinamici, in cui con la contrazione dei muscoli agonisti e con il rilassamento riflesso degli antagonisti, si ricerca la massima ampiezza articolare, può provocare negli atleti variazioni croniche della lunghezza del muscolo molto maggiori rispetto alla sola pratica degli esercizi passivi.

È ovvio che per raggiungere questo ulteriore risultato la stimolazione muscolare deve essere quantitativamente maggiore rispetto a quella che risolve le esigenze di ottenere uno stiramento acuto.

Un'altra considerazione riguarda la prevenzione dagli infortuni.

È possibile affermare a questo proposito che, durante il riscaldamento, l'attività di flessibilità dinamica può risultare protettiva per quanto riguarda i pericoli di traumi a carico del tessuto connettivo (M. Zito, 1999), tanto più gli esercizi, scelti nelle ultime fasi, sono orientati nella forma verso la gestualità specifica che sarà realizzata nel proseguo della seduta o della gara.

Ancora per ciò che riguarda lo stiramento acuto, gli stessi intendimenti possono essere perseguiti con la già citata proposta studiata da Jim Wharton.

Questo metodo, con il quale si otterrebbero dei risultati eccellenti, penso non sia di facile applicabilità nel mondo del calcio in quanto, ogni esercizio va affrontato con un'attenzione e costanza, ed una sensibilità percettiva nei confronti delle sensazione del proprio corpo, che i giocatori non sono abituati ad affrontare.

Sono esercitazioni, infatti, da vivere in termini di esperienza soggettiva e non come una esercitazione di gruppo in cui, troppo spesso, il tipo di esercizio, il suo inizio o la fine sono ordinati dal tecnico o, peggio, da un compagno che detta agli altri i tempi dei movimenti seguendo le sue personali sensazioni.

Se le esercitazioni suggerite da J. Wharton sono ripetute più volte nella giornata, si raggiungono degli strabilianti risultati che, fra l'altro, possono essere mantenuti costanti nel tempo (vedi in seguito il paragrafo sull'allungamento cronico).

A questo scopo, gli atleti che Wharton segue personalmente, tutti sportivi di altissima caratura mondiale, seguono le sue procedure due o tre volte al giorno a seconda delle necessità personali.

Coloro che abbisognano solo di stiramenti acuti, praticano esercizi individuali la mattina, durante il riscaldamento per prima la seduta quotidiana e la sera, durante il defaticamento, al termine della seconda seduta.

Nel primo pomeriggio, nel mezzo fra le due sedute di allenamento, gli atleti che hanno invece la necessità di forzare lo stimolo per ottenere allungamenti cronici, si recano nell'Istituto in cui Wharton ed i sui collaboratori lavorano per effettuare, con la loro assistenza un'ulteriore, più approfondita e proficua, terapia specifica.

* L'allungamento cronico

Nel perseguire questo obiettivo, i problemi per il tecnico si complicano notevolmente in quanto, un programma che preveda specifici interventi, deve necessariamente tenere conto delle trasformazioni strutturali a cui il sistema muscolo-connettivale va incontro.

Ecco perché una prospettiva così complessa ed importante non si può pensare possa far parte dell'allenamento quotidiano, ma deve rientrare in un progetto di rieducazione solo per quegli atleti che presentano delle anomalie nella morfologia dei muscoli tali che determinino una limitazione dell'ampiezza articolare.

Gli esercizi che sollecitano un allungamento cronico sono applicati con dei metodi diversi rispetto a quelli che determinano uno stiramento acuto in quanto, per far 'capire' ai muscoli la necessità di allungarsi (processi di sintesi di proteine contrattili in serie) la stimolazione deve essere prolungata e ripetuta nel tempo.

Questa modalità, prevista dagli esercizi specifici, determina nelle terminazioni sensoriali dei muscoli (fusi neuro-muscolari e corpuscoli muscolo-tendinei del Golgi) delle informazioni centripete anomale che, ricevute inconsciamente dal Sistema Nervoso possono causare, se eseguite subito prima di esercitazioni tecniche od atletiche, una risposta motoria involontaria non consona alle esigenze di un'ottimale sincronizzazione fra contrazione e rilassamento. A questo proposito, il prof. M. Zito afferma che, al contrario di quello che si può pensare, gli esercizi orientati verso l'allungamento cronico, se non sono inseriti in un sistema di allenamento adeguato, possono favorire gli infortuni muscolari anziché prevenirli.

Per perseguire l'allungamento cronico sono normalmente utilizzati lo stretching classico proposto Bob Anderson, le facilitazioni neuromuscolari propriocettive (PNF), nonché i metodi di Mézières e di Souchard.

L'esperienza personale da terapista della rieducazione mi permette di affermare, a questo proposito che, affinché qualunque metodo applicato sia veramente efficace a produrre gli adattamenti muscolari previsti, è necessario che l'intervento su ogni singolo muscolo duri per oltre 30', e sia ripetuto almeno 5 o 6 volte per seduta, continuativamente per almeno tre sedute a settimana, per un totale di 5 - 6 settimane.

Proprio perché, quelli indicati, sono interventi molto mirati ad un obiettivo specifico, per evitare disturbi alla motricità, se non vi è la possibilità di intervenire sugli atleti in un altro momento della giornata, questi metodi devono essere applicati alla fine della seduta di allenamento.


Conclusioni

Lascio, a questo punto, che il lettore faccia le proprie considerazioni relative ai metodi da utilizzare ed in quale occasione (per maggiori approfondimenti, R.Capanna 'Riflessioni e proposte per i gioco del calcio' - ed. Nuova Prhomos - Citta' di Castello, 2000.N.d.R.)

Personalmente, riferendomi ad atleti sani muscolarmente, per non perdere tempo e raggiungere i migliori risultati, non ho dubbi nel suggerire, sia durante il riscaldamento che nel defaticamento, l'applicazione del metodo della flessibilità dinamica.

Credo sia meglio evitare, quindi, esercizi che se eseguiti nel riscaldamento disturbano dal punto di vista neuromotorio, e se effettuati durante il defaticamento non favoriscono il recupero, in quanto un muscolo stirato per molti secondi è meno irrorato dal sangue, che non quando è sollecitato da contrazioni e da rilassamenti continui.

Reputo indispensabile, perciò, ridimensionare la pratica di determinate esercitazioni di stretching, ed invito i tecnici a considerare seriamente se sia giusto proporle indiscriminatamente sia ai ragazzi delle scuole calcio che ai giocatori professionisti, se non sussiste una reale necessità.




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