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Biologia del linguaggio




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Biologia del linguaggio


METODI D'INDAGINE

Per svilupparsi, ogni disciplina scientifica deve trovare il contesto temporale e culturale adeguato e lo studio delle basi anatomiche e funzionali: il linguaggio non fa eccezione. Tale periodo si colloca verso la prima metà dell'Ottocento quando, soprattutto in Francia e in Germania, trovarono ampia diffusione le teorie frenologiche[1] di Gall,che propose una base neurologica per le facoltà morali e cognitive. Per quanto riguarda il linguaggio, egli postulò che la memoria per le parole o lessico (Wortsinn) fosse localizzata in corrispondenza della zona cerebrale situata sotto l'orbita sinistra e, in una zona immediatamente superiore, la componente motoria del linguaggio. Nonostante la mancanza di prove che dessero uno status di scientificità alla frenologia, la diffusione delle idee di Gall fu fondamentale per promuovere una ricerca sulle basi neurologiche del linguaggio. L'approccio anatomo-clinico fu il primo ad essere utilizzato; più recentemente sono state introdotte sofisticate tecniche di neuroimmagine.


Metodo anatomo-clinico i disturbi cognitivi presenti in un paziente al momento dell'osservazione clinica sono correlati alla sede della lesione cerebrale riscontrata nell'autopsia e da ciò si deduce che, in condizioni normali, quella zona rappresenti la base neurologica della componente o delle componenti colpite dal danno cerebrale. Un contributo fondamentale, grazie all'utilizzo della suddetta tecnica, fu portato dal neurologo francese P.P.Broca.


Metodi di bioimmagine

metodi di indagine morfologica: l'applicazione di metodi computerizzati nel trattamento dell' informazione ottenuta da apparecchi radiologici sempre più sofisticati ha portato alla realizzazione di due strumenti di indagine neuroradiologica che permettono di diagnosticare, con sorprendente accuratezza in vivo, la sede di una lesione cerebrale e di indagare, nei soggetti normali, la eventuale presenza di differenze anatomiche fra i due emisferi cerebrali che possano spiegare in termini anatomici le differenze funzionali: la TAC (tomografia assiale computerizzata), che sfrutta fasci di radiazioni X, e la RM (risonanza magnetica), che utilizza un potente campo magnetico. Rispetto alla TAC, la RM permette di ottenere una migliore risoluzione e la possibilità di rilevare immagini secondo qualsiasi piano desiderato, ortogonale ed obliquo.

metodi di indagine funzionale: sono tecniche che consentono di definire in tempo reale, sia nei pazienti sia nei soggetti sani, le zone cerebrali che si attivano durante l'esecuzione di un compito cognitivo, la tomografia a emissione di positroni (PET), e la risonanza magnetica funzionale (RMf).

registrazione e stimolazione intracranica: la stimolazione elettrica di zone della corteccia cerebrale durante il corso di interventi chirurgici a pazienti svegli è stata usata, a scopo clinico, per localizzare le aree cerebrali deputate al linguaggio così da evitarne l'ablazione in corso di interventi per la rimozione di focolai epilettici.

stimolazione magnetica transcranica (TMS): è una tecnica non invasiva di stimolazione cerebrale; consiste nell'applicazione in soggetti sani di un campo magnetico di forte intensità creando una "lesione virtuale" così da inattivare per una frazione di secondo le zone cerebrali sottostanti specifici processi cognitivi.

potenziali evento-correlati: è una tecnica non invasiva ed economica applicata allo studio delle modificazioni dell'attività elettrica cerebrale, rispetto allo stato di riposo, durante l'esecuzione di compiti cognitivi e in particolare durante l'elaborazione del linguaggio.

1.2 IL CERVELLO CHE PARLA

Uno sguardo sul sistema nervoso.

Per farci un'idea più precisa del modo in cui l'attività linguistica umana è innestata nel nostro cervello è necessario introdurre alcuni concetti fondamentali sulla struttura e sul funzionamento del sistema nervoso. Cominciamo col dire che le varie funzioni del corpo vengono regolate da una fitta rete di rapporti intercorrenti tra il sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema nervoso periferico (SNP). Il SNC comprende due parti principali: l'encefalo e il midollo spinale, collegati al SNP da fasci di nervi che si diramano in tutto il corpo.                                                                                             Le cellule costitutive del sistema nervoso sono i neuroni. Si pensa che il cervello ne contenga circa 100 miliardi e che quasi 10 miliardi si trovino nella corteccia cerebrale, sottile strato superficiale di sostanza grigia ripiegato su se stesso. Queste unità strutturali hanno la funzione di raccogliere le informazioni (impulsi nervosi) e di trasmetterle ad altre cellule dell'organismo e comunicano tra loro grazie a processi elettrochimici, tramite contatti specializzati chiamati sinapsi, i quali liberano speciali molecole chimiche note come neurotrasmettitori. Il cervello, la parte più cospicua del sistema nervoso, è suddiviso in 3 regioni: il romboencefalo (che comprende midollo allungato, ponte e cervelletto), il mesencefalo e il prosencefalo,costituito da diencefalo e telencefalo. Quest'ultimo forma i due emisferi, quello destro e quello sinistro, ciascuno dei quali è suddiviso in 4 lobi destinati a svolgere funzioni specifiche: il lobo frontale (area motoria), il lobo parietale (area sensoriale), il lobo temporale (area uditiva)e il lobo occipitale(area visiva).

L'emisfero sinistro è da tempo riconosciuto come quello della parola.

Andiamo a vedere più precisamente quali sono le strutture cerebrali responsabili della nostra capacità di usare il linguaggio verbale.



Breve introduzione all'anatomia del linguaggio

La scoperta delle aree specializzate per il linguaggio si deve in particolare a due neurologi dell'Ottocento: il francese Paul Broca e il tedesco Karl Wernicke.                                                                   Nel 1861 Broca riportò, in una seduta della Società di Antropologia di Parigi, l'osservazione anatomo-clinica di un paziente deceduto all'età di 51 anni e che circa 30 anni prima aveva perso la parola, con una riduzione della capacità espressiva praticamente totale ; il paziente rispondeva ad ogni domanda con lo stereotipo tan tan e non era in grado di ripetere alcuna parola ma comunicava in maniera sostanzialmente efficace attraverso i gesti e/o variando l'intonazione del monosillabo. Quando, tuttavia, i suoi interlocutori non comprendevano la sua mimica, andava facilmente in collera e aggiungeva al suo vocabolario una colorita imprecazione, sempre la stessa (Sacrè Nom de Dieu!) Di contro, la sua comprensione uditiva era normale, non dimostrava un deficit motorio nei movimenti dei muscoli fono-articolatori in compiti non verbali quali la masticazione e la deglutizione e la sua capacità intellettiva era considerata normale. Mounsieur Leborgne era deceduto per cause extracraniche e, all'esame autoptico, Broca riscontrò gli esiti di una vasta lesione emisferica cerebrale centrata sul lobo frontale e,in particolare, del piede della terza circonvoluzione frontale (fig. 2), la stessa che trovò all'autopsia di un secondo paziente che, in seguito ad un ictus insorto un anno prima, poteva pronunciare solo cinque parole: oui, non, toujuors, tois (una storpiatura di trois,tre, che usava per esprimere qualunque numero) e Lelo, cattiva pronuncia del suo nome, Le Long. Il neurologo presentò le due osservazioni così commentando: "[.]l'integrità della terza circonvoluzione frontale (e forse della seconda) sembra indispensabile per esercitare la facoltà del linguaggio articolato". Da allora questa regione del lobo frontale, fondamentale per l'articolazione del linguaggio, ha preso il nome di area di Broca. Negli anni successivi, sulla base di osservazioni analoghe,egli aggiunse un'osservazione altrettanto importante: l'afemia (oggi conosciuta come afasia) si verificava solo in seguito ad una lesione dell'emisfero sinistro. Di conseguenza, dalla constatazione che nella specie umana esiste una preferenza manuale, la destra, che è controllata dall'emisfero sinistro, quest'ultimo venne considerato come dominante rispetto al controlaterale, che solo in seguito si sarebbe trovato essere specializzato in compiti non verbali. Ma il contributo più importante allo sviluppo di un modello neurologico del linguaggio fu portato dal sopracitato Karl Wernicke dopo circa un decennio. Nel 1874, infatti, egli pubblicò una monografia dal titolo estremamente significativo: Il complesso sintomatologico delle afasie. Uno studio psicologico su base anatomica, nella quale proponeva un modello di architettura cognitiva e neurologica del linguaggio, basato sui principi di organizzazione funzionale e anatomica della corteccia cerebrale proposta dal suo maestro Theodor H. Meynert. Un' importante suddivisione proposta dal modello è quella fra aree primarie e aree secondarie o di associazione. Nelle primarie sono percepite le informazioni provenienti dagli organi di senso e il prodotto di questa prima analisi è trasmesso alle aree di associazione specifiche, dove è immagazzinato; si viene così a creare un deposito di informazioni necessario per il processo di riconoscimento, che avviene mediante il confronto fra l'informazione elaborata nelle aree primarie e le immagini depositate nelle aree di associazioni specifiche; le aree secondarie, inoltre, sono connesse tra loro per cui uno stimolo, elaborato in una modalità sensoriale(per esempio visiva), può attivare la corrispondente immagine depositata in un'altra modalità sensoriale (per esempio acustica). Partendo da tale base, Wernicke concepì il seguente modello di organizzazione neurologica del linguaggio: nell'area di Broca, posta anteriormente all'area motoria primaria corrispondente alla rappresentazione dei muscoli fono-articolatori e localizzata nella parte posteriore della circonvoluzione frontale inferiore sinistra sono depositati i programmi motori necessari per le articolazioni delle parole; nell'area di associazione acustica, situata nella parte posteriore della circonvoluzione superiore temporale sinistra, in stretta connessione con l'area acustica primaria, avviene il processo di decodificazione del linguaggio, per cui gli stimoli uditivi sono trasformati in unità linguistiche( area di Wernicke). Egli ipotizzò anche l'esistenza di una connessione tra le due aree per effetto di un arco riflesso attivo nel processo di acquisizione del linguaggio: la percezione di una parola o di una sillaba provoca, per imitazione riflessa, l'articolazione corrispondente di quello che si è appena sentito, così che nella corteccia si ha una contemporanea attivazione delle immagini motorie e sensoriali delle parole. Questa connessione avviene mediante un fascio di fibre nervose, denominato fascicolo arcuato.


Dimenticare Wernicke? I nuovi modelli neurologici

Anche se la nostra attività linguistica dipende soprattutto da alcune strutture primarie specializzate, numerosi studi ormai concordano nel rilevare che il linguaggio è il risultato di un' estesa rete neurale in cui sono coinvolte diverse regioni corticali e subcorticali; tra le aree subcorticali del linguaggio risultano convolti soprattutto i gangli di base- un complesso gruppo di strutture nervose situato dentro i lobi frontali, importante per la coordinazione dei movimenti- e il talamo -struttura nervosa che riceve informazioni sensitive e le ritrasmette a tutte le parti della corteccia cerebrale. L'applicazione delle tecniche di bioimmagine alla neurolinguistica ha consentito non solo di disegnare e in parte di verificare l'organizzazione interna delle aree del linguaggio e la loro integrazione con altre aree corticali e sottocorticali che contribuiscono a formare una rete neurale di larga scala, ma di fornire un apporto sperimentale a nuovi modelli neurologici sottostanti le abilità linguistiche. In un recente studio RMf Gitelmann e coll. (2005) sottoposero un gruppo di soggetti normali a un compito di elaborazione di parole che prevedeva due tipi di presentazione (uditiva e scritta) e tre tipi di analisi (semantica, fonologica, e ortografica). Il primo compito consisteva nel decidere se due parole fossero sinonimi (lapis- matita), il secondo se rimassero (attore- colore) e il terzo se fossero composte dalle stesse lettere (pera- rape). Fu rilevato un pattern di attivazione neuronale, comune per tutte le prove, nella porzione ventro- laterale frontale, supplementare motoria, temporo occipito parietale dell'emisfero sinistro, nell'insula e nel lobo destro del cervelletto. Il compito semantico attivava invece le parti più anteriori del lobo frontale di sinistra e la parte laterale della corteccia temporale, mentre un'attivazione frontale posteriore si verificava nei compiti di analisi fonologica; un'attivazione parietale sinistra era infine evidente nei compiti di analisi ortografica. Gli autori poterono così proporre l'esistenza di una rete neurale comune alla base delle diverse prove lessicali, mentre singole aree elaborano aspetti specifici dell'informazione, favorendo quindi un modello neurologico che preveda sia l'integrazione che la segregazione di aggregati neuronali specifici. Nuovi modelli sono stati proposti da Ullman e Liberman.


CURIOSITA' !!!

Il gene della parola
Le differenze tra il Dna dell'uomo e dello scimpanzè sono minime. Ma, hanno scoperto ricercatori tedeschi, due soli 'punti' diversi sono sufficienti per permettere alla nostra specie di parlare, e agli altri animali di emettere gridi e suoni. La differenza tra il Dna degli uomini e quello degli scimpanzé è molto piccola, solo del 5 per cento. Ma in questi pochi geni sta la differenza tra una specie dominante e una in via d'estinzione. Un gruppo di scienziati tedeschi, guidati da Svante Pääbo, ha scoperto in un gene presente in tutti i mammiferi, chiamato FOXP2, un piccolo particolare che potrebbe aver portato a un importante cambiamento.
Non si sa di preciso quale sia la funzione del gene, ma nelle scimmie antropomorfe esaminate (scimpanzé, gorilla e orango) e nel topo, la sequenza degli aminoacidi del gene è quasi identica, e porta a proteine dalla struttura equivalente. Nell'uomo, il cambiamento di due sole basi azotate (i mattoni di cui sono costituiti i geni, che determinano a loro volta la sequenza e la forma delle sostanze del corpo) conduce a una proteina molto diversa, che potrebbe avere anche un funzione differente da quella originaria.
Muscoli per il linguaggio.
Lo studio successivo di un gruppo di persone con il gene irregolare ha scoperto che questi difetti causano problemi nella parola. Da qui a concludere che FOXP2 sia un gene coinvolto nella produzione di parole, (in particolare nei delicati movimenti muscolari indispensabili per parlare) il passo è stato breve.
Non è certamente il gene del linguaggio, concludono i ricercatori, ma sicuramente uno dei più importanti. Metodi statistici hanno infine stabilito che il gene 'umano' è comparso nella nostra specie negli ultimi 200.000 anni. Proprio quando i paleontologi affermano che Homo sapiens abbia cominciato a diffondersi per il mondo.

(Notizia aggiornata al 3 settembre 2002)


1.3. LE AFASIE: FERITE DEL CERVELLO Negli anni immediatamente seguenti le osservazioni di Broca e Wernicke, l'interesse degli studiosi si accentrò sulla frequente associazione di deficit a disturbi di produzione e comprensione del linguaggio.                                                                                                                 In particolare, si osservò che una lesione dell'area di Broca portava frequentemente a un disturbo della costruzione della frase, con omissione o sostituzione delle parti grammaticali libere o legate (parole a classe chiusa, morfemi) e a un disturbo di comprensione del linguaggio, specie per frasi sintatticamente complesse, come per un'incapacità di uso della sintassi (agrammatismo ). Analogamente, il disturbo di comprensione conseguente a una lesione dell'area di Wernicke era spesso accompagnato a un deficit lessicale con produzione di errori (parafasie ) di tipo fonologico (pane→cane), semantico(cane→gatto), anomie e perseverazioni (per esempio, in un compito di denominazione di figure, recuperare correttamente il termine "gatto" e denominare ancora gatto la figura di un altro animale, presentata successivamente). Si vennero così a creare numerose classificazioni, la più conosciuta delle quali fa riferimento al modello associazionistico di Wernicke-Lichteim, ripreso e aggiornato un secolo dopo da Geschwind (1965). La collaborazione dei neuropsicologi allo studio dei disturbi afasici rese possibile l'adozione di metodi di valutazione statistica per la classificazione dei pazienti afasici, attraverso lo studio di popolazioni numerose di pazienti e il confronto delle loro performance sia all'interno dei gruppi sia con persone senza deficit afasici, simili per età e livello culturale. Facendo riferimento al modello di organizzazione neurale del linguaggio di Wernicke- Lichteim, Goodglass e Kaplan (1972) proposero la seguente classificazione, che prevede una prima distinzione tra afasie fluenti, da lesione nelle zone anteriori dell'emisfero sinistro (afasia di Broca, afasia globale e afasia transcorticale motoria), e afasie non fluenti, da lesione retrorolandica (afasia di Wernicke, afasia di conduzione,afasia anomica, afasia transcorticale sensoriale).


Caratteristiche cliniche delle afasie secondo il modello Wernicke-Geschwind

TIPO DI AFASIA

PRODUZIONE

RIPETIZIONE

COMPRENSIONE UDITIVA

DENOMINAZIONE

SEDE DI LESIONE

Broca

Non fluente, agrammatica

Compromessa

Clinicamente buona

Discreta (nomi>verbi)

Base della terza circonvoluzione frontale

Globale

Non fluente

Compromessa

Compromessa

Compromessa

Fronte-temporo-parietale sinistra

Wernicke

Fluente, povera di contenuto

Compromessa

Compromessa

Compromessa con parafrasie e neologismi

Parte posteriore circonvoluzione temporale superiore

Conduzione

Fluente con conduites d'approche

Compromessa

Buona

Discreta,con parafrasie fonologiche

Lobo parietale (fascicolo arcuato)

Anomica

Fluente, con anomie

Buona

Buona

Compromessa

Giro angolare

Transcorticale motoria

Non fluente

Buona

Buona

Compromessa

Sostanza bianca, area di Broca

Transcorticale sensoriale

Fluente

Buona

Compromessa

Compromessa

Incrocio parieto-temporo-occipitale


Afasie non fluenti: caratterizzate da un disturbo di produzione orale; difficoltà a livello di concatenazione dei movimenti articolatori e delle sequenze grammaticali: il linguaggio spontaneo sarà quindi male articolato, con frequenti interruzioni, costituito spesso da parole non collegate sintatticamente.

afasia di Broca: il soggetto ha difficoltà più o meno marcate a parlare e talvolta anche a scrivere; l'eloquio è povero,ridotto, pieno di pause spesso provocate dalla ricerca della parola giusta e soprattutto agrammatico; la scrittura è lenta, povera, agrammatica; sono presenti anomie, compensate talvolta con l'uso di circonlocuzioni (al posto di penna, "quella che serve per scrivere") e parafasie. Nelle forme più gravi il linguaggio è assente o limitato a qualche stereotipia verbale o ad una "parola conduttrice". La comprensione orale, invece, pur consentendo spesso semplici conversazioni, a ben guardare risulta alterata per quanto riguarda la decodificazione di enunciati sintatticamente complessi: l'a. di Broca è un deficit dell'analisi sintattica.

Riportiamo, a titolo esemplificativo, la trascrizione di una breve conversazione con un paziente a cui era stato chiesto di descrivere il motivo del suo ricovero in ospedale:


"Sì.lunedì.ah.Papà e Peter Hogan, e papà.ah.ospedale.e.ah..mercoledì le nove e ah giovedì.dieci ah medici.due.due.e medici e.denti.sì.un medico e una ragazza..e gengive, e io" [Goodlass 1973]


afasia globale: è la forma più grave di afasia (lesione di tutte le aree del linguaggio). Il paziente ha una severa compromissione di tutte le abilità linguistiche, dalla produzione alla comprensione; il deficit espressivo è tale da ridurre la comunicazione verbale del paziente a una frase breve, a qualche stereotipia, talvolta ad esclamazioni emotive, oppure a qualche suono sillabico privo di senso, ripetuto tutte le volte che il paziente vuole dire qualcosa, e la scrittura è compromessa quanto la produzione orale. La comunicazione perciò si svolge per lo più a livello gestuale.

afasia transcorticale motoria: è dovuta non a una distruzione dei centri ma piuttosto ad una disconnessione; è una sindrome piuttosto rara caratterizzata soprattutto dalla mancanza di iniziativa e spontaneità verbale, sia nel parlato sia nella scrittura ma la ripetizione e la lettura ad alta voce sono normali.       


Afasie fluenti: la produzione orale è composta da lunghe sequenze di parole , normalmente articolate, unite tra loro da diverse costruzione grammaticali, ma con gravi difficoltà lessicali.


afasia di Wernicke: è fluente con lunghezza della frase, articolazione e prosodia[5] normali. A un'analisi del contenuto si notano invece numerosi errori: anomie, parafrasie, sia fonologiche che semantiche, neologismi , circonlocuzioni; il parlato è difficilmente comprensibile e privo di senso. Il linguaggio dell'afasico di Wernicke somiglia a quello di un soggetto psicotico, con la caratteristica produzione di "insalata di parole" che si susseguono senza nesso logico evidente. Vediamone un esempio:


" A casa che fa quando.? (il paziente non aspetta la fine della domanda e comincia a parlare)

"Di sette di si sitenta e come dire faccio le cose di poter fare, che posso fare a casa e quello di poter fare per poter sentire come io mi vorrei sentire chiare di qualcosa di passato in più per sia qualcosa di più utile, per dire qualcosa che invece non mi riesce di sentire a me di sentire quelsei discorso portentosi di cortese." [Pizzamiglio, 1968]


L'afasico di Wernicke, contrariamente a quello di Broca, presenta per di più un' anosognosia della sua afasia cioè non è consapevole dell'incomprensibilità del suo linguaggio per il fatto stesso che il soggetto non riesce più ad ascoltarsi e ad ascoltare in senso stretto (non a caso questa forma di afasia è stata denominata anche "sordità verbale")

afasia di conduzione: sostenuta anatomicamente da un'interruzione a livello del giro sopramarginale sinistro del fascicolo arcuato che collega l'area di Broca con quella di Wernicke. Il sintomo caratteristico è la dissociazione fra una buona comprensione uditiva e una difficoltà a ripetere quanto letto. La parola spontanea è fluente ma ricca di parafrasie fonologiche e conduites d'approche (il paziente arriva a produrre la sequenza fonologica corrispondente alla parola che vuol dire attraverso tentativi di approssimazione successivi). Scritto corretto a livello di singoli grafemi ma inficiato da parole fonologiche, talora estese fino alla produzione di neologismi.

afasia anomica: caratterizzata da un deficit lessicale, specie per i nomi. Talora vi è una dissociazione fra la produzione scritta e quella orale; assenza di disturbi di comprensione e buona ripetizione; il paziente ricorre spesso a circonlocuzioni, ma non a parafrasie.

afasia transcorticale sensoriale: poco frequente. I pazienti hanno un linguaggio fluente ma ricco di parafrasie verbali e di anomie, al punto da rendere incomprensibile, in alcuni casi, la loro produzione orale. Le comprensioni verbale e scritta sono severamente compromesse. La ripetizione è buona nonostante le difficoltà di comprensione.



Esempi di errori nella produzione di parole da parte di pazienti afasici

TIPO DI ERRORE STIMOLO RISPOSTA

Anomia

Tavolo


Anomia con circonlocuzione

Penna

Serve per scrivere

Neologismo

Lampada

Cospivo

Parafrasia verbale

Ciliegie

Bicicletta

Conduite d'aprroche

Giallo

Bianco no, nero.rosso. arancione.bianco

Errore morfologico

Fratellanza

Fratellismo

Parafrasia semantica

Tavolo

Nido

Carciofo

Sedia

Ovile

Verdura.cavolo

Perseverazione

Cane

Verde (risposta data allo stimolo precedente)



1.4. IL BILINGUISMO: alcune ipotesi.

Oltre il 50% della specie umana usa, seppur con gradi diversi di competenza e frequenza d'utilizzazione, più di una lingua, parlata e/o scritta, nella vita di ogni giorno e si può quindi definire bilingue o plurilingue: tale percentuale è destinata ad aumentare e non è quindi strano che un numero sempre crescente di studi si sia rivolto negli ultimi anni alla ricerca delle basi neurali del bilinguismo e alla rappresentazione dei processi cognitivi sottostanti l'uso e i rapporti fra le diverse lingue. In particolare, si cerca di chiarire se i processi di apprendimento e uso di una seconda lingua (L2) siano sottesi dalle stesse basi della lingua materna (L1) o coinvolgano strutture differenti, e se un eventuale coinvolgimento di determinate strutture sia dipendente da fattori diversi, quali il grado di competenza linguistica e/o l'età di esposizione alla seconda lingua.

Negli ultimi vent'anni, grazie alle tecniche di neuroimaging, molti studiosi sono riusciti a dare il loro contributo riguardo la suddetta questione. Eccone alcuni esempi.


1997, Dehaene e coll.

Nei compiti di comprensione uditiva di testi, presentati il L1 o in L2 per via uditiva ed eseguiti da soggetti con alta competenza linguistica in entrambe le lingue, è stata evidenziata un'identica attivazione bilaterale dei poli temporali, della circonvoluzione temporale media e del polo superiore temporale sinistro. Di contro, nelle persone con minor competenza linguistica in L2 rispetto a L1 si è riscontrata una maggiore variabilità delle aree attivate.

1999, Chee e coll.

Hanno condotto uno studio RMf in soggetti bilingui che parlano due lingue con caratteristiche molto diverse, mandarino[7] e inglese: in soggetti con un'ottima conoscenza delle due lingue la comprensione di racconti presentati nelle due lingue ha evidenziato una vasta area di attivazione sovrapponibile per L1 e L2, situata nelle regioni perisilviane dell'emisfero sinistro e bilateralmente nelle aree parieto-occipitali.

1999, Illes e coll.

Hanno indagato, su persone bilingui (spagnolo e inglese), le capacità di decisione semantica per parole singole: è stato riscontrato un pattern di attivazione in regione frontale inferiore sinistra comune alle due lingue, suggestivo per l'esistenza di un magazzino semantico comune accessibile alle due lingue.

2003, De Bleser e coll.

Hanno indagato eventuali differenze in compiti di denominazione di parole affini[8] rispetto a parole non affini in soggetti bilingui (fiammingo e francese). Nei soggetti bilingui le parole affini sono riconosciute più velocemente delle parole non affini e, nei pazienti afasici poliglotti, più facilmente accessibili. Una maggiore attivazione delle aree del linguaggio e di quelle circostanti è emersa nei compiti di elaborazione di parole non affini, espressione di maggiore difficoltà del compito con conseguente necessità di un maggior coinvolgimento neuronale.

2003, Perani e coll.

Con un esperimento su soggetti bilingui (spagnolo-catalano) confermano il ruolo dell'esposizione ad una determinata lingua nel modulare uno specifico coinvolgimento neuronale nelle diverse lingue parlate dal poliglotta.

2003,Wartenburger e coll.

Indagano il fattore età di apprendimento. Nell'esperimento un primo gruppo era composto da soggetti bilingui dalla nascita, il secondo da soggetti con uguale competenza linguistica ma in cui l'acquisizione di L2 era avvenuta dopo i 6 anni e un terzo gruppo con apprendimento di L2 tardivo e minore competenza linguistica. Nei compiti sintattici un'attivazione sovrapponibile delle aree cerebrali deputate all'elaborazione sintattica si è evidenziata solo nei bilingui dalla nascita( gli altri gruppi mostravano la necessità di maggiori risorse cognitivo- neurali); nessuna differenza significativa fra i tre gruppi si è invece riscontrata nei compiti lessicali-semantici, in cui l'attivazione delle aree perisilviane era simile.

2005, revisione di Perani e Abutalebi

Il grado di sovrapposizione è direttamente proporzionale al livello di competenza linguistica delle due lingue e all'età di apprendimento di L2.

CURIOSITA'!

Parlez Vous English, Baby? Uno studio recente rivela che i neonati riescono a distinguere fra due lingue diverse osservando le espressioni facciali di chi parla.                                                                                                                          Parlami, ti osservo
I ricercatori dell'University of British Columbia di Vancouver (Canada) hanno tenuto sotto osservazione neonati inglesi di età compresa fra i quattro e gli otto mesi, a cui era stato mostrato un video senza audio in cui gli stessi volti, tutti femminili, leggevano un libro di favole prima in inglese e poi in francese. Lo studio, rilanciato da Science in questi giorni, ha evidenziato un considerevole aumento di attenzione da parte di tutti i bambini al momento del passaggio dalla lingua madre a quella straniera, segno che si erano accorti del cambiamento. A sei mesi l'abilità viene conservata, ma non a otto: questo perché, spiega Whitney Weikum, autore della scoperta, è come se il nostro cervello operasse nei primi mesi di vita una specie di selezione naturale, conservando la lingua che utilizza e rifiutando quella di cui non ha bisogno. Un fatto che non si verifica nei bambini bilingue, come quelli canadesi, che mantengono la capacità di riconoscere il cambio di idioma (dall'inglese al francese e viceversa) anche dopo aver superato gli otto mesi di vita perché non possono farne a meno.
Gesti a ritmo di linguaggio
I risultati sembrano convalidare le ipotesi avanzate da Laura-Ann Petitto, neuroscienziato cognitivo del Dartmouth College di Hannover, New Hampshire, da tempo impegnata nel campo della comunicazione infantile. I suoi studi sulle modalità espressive dei bambini, non solo udenti ma anche sordo-muti, hanno dimostrato che qualsiasi neonato rielabora le informazioni visuali che riceve. Bocca o mani non fa differenza: il ritmo della comunicazione non riguarda solo il linguaggio vocale, ma può essere appreso anche attraverso il linguaggio gestuale.

(Notizia aggiornata al 4 giugno 2007)



Lingue straniere per proteggere il cervello
Le persone che parlano quotidianamente due lingue hanno una maggiore probabilità di ritardare - se predisposti - l'insorgenza di forme di demenza. Saper parlare correntemente due lingue straniere è certamente utile. Da oggi però sembra che il bilinguismo abbia anche un effetto benefico sul nostro cervello. Una ricerca della York University di Toronto (Canada) ha infatti dimostrato che le persone che nel corso della loro vita parlano fluentemente e quotidianamente due lingue straniere hanno una maggiore probabilità di ritardare di alcuni anni l'insorgenza di alcune forme di demenza come il morbo di Alzheimer.
Bilingui e circolazione sanguigna
Da tempo è noto che una buona circolazione sanguigna nei vasi del cervello è un fattore chiave nella prevenzione delle malattie degenerative del sistema nervoso. Secondo i ricercatori un'attività cerebrale intensa come quella necessaria a comprendere e a parlare due lingue straniere assicurerebbe un miglior afflusso di sangue al cervello ma anche un corretto funzionamento delle connessioni nervose che, grazie all'esercizio, si manterrebbero così "ben oliate" per diversi anni.
Una lingua = quattro anni
La ricerca condotta da Ellen Bialystok ha preso a campione, tra il 2002 e il 2005, 184 pazienti anziani che mostravano i primi segni di demenza. Di questi 91 parlavano solo la loro lingua madre, 93 ne parlavano correntemente anche un'altra. Confrontando i due gruppi, i ricercatori hanno potuto rilevare che l'età media di insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer è di 75,5 anni nei bilingui contro i 71,4 nei soggetti che parlavano una sola lingua. «La differenza» affermano i ricercatori a prova del ruolo benefico della seconda lingua «rimane pressoché identica anche al modificarsi di alcune variabili come il livello di istruzione, la cultura di provenienza, la professione e il sesso».
Il cervello in esercizio
Ma gli scienziati, che stanno già pensando ad altre ricerche per approfondire le cause alla base del fenomeno, mettono in guardia: lo studio non dimostra che parlare correntemente più lingue previene l'Alzheimer, ma piuttosto che l'esercizio costante del cervello è in grado di ritardare l'insorgere di alcune patologie degenerative.

(Notizia aggiornata al 15 gennaio 2007)





Frenologia: teoria secondo la quale le varie facoltà psicologiche sono localizzate in determinate aree dell'encefalo, il cui sviluppo si può dedurre dalla forma esterna del cranio.

Agrammatismo, fenomeno tipico dell'afasia di Broca, è caratterizzato da impoverimento delle strutture sintattiche e da riduzione della frase ad uno "stile telegrafico", con conservazione di nomi, verbi, aggettivi (content words) e perdita delle parole grammaticali (function words)

Parafrasia, sostituzione di una parola con una che può essere fono logicamente o semanticamente vicina alla parola che si intende pronunciare o scrivere .

Anomia, incapacità di nominare gli oggetti pur essendo in grado di riconoscerli.

Prosodia, musicalità del parlato: forza vocale, velocità di eloquio, intonazione, ritmo, enfasi.

Neologismo, uso patologico di parole inventate o di parole comuni cui viene dato un significato arbitrario e simbolico

Il cinese mandarino è una lingua tonale o a toni. In questa lingua la stessa sillaba può essere realizzata con 4 toni diversi e ad ogni realizzazione corrisponde un diverso significato. In inglese invece, come del resto in italiano e in molte altre lingue, una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse, senza che a tali differenti pronunce corrispondano significati diversi.

Parole affini, parole con lo stesso significato e simili fonologicamente e ortograficamente in lingue diverse (libertè, liberty, libertà)

Parole non affini hanno solo il significato in comune (freedom, libertà)

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