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Verismo e Positivismo artistico




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Verismo e Positivismo artistico


La letteratura verista nasce in Italia come un rifiuto di tutta la letteratura dell'Ottocento italiano: gli autori non vogliono più un'arte piena di politica e sentimenti patriottici, ma un'arte che viva unicamente di se stessa e per se stessa. Rivendicando l'autonomia dell'arte però i veristi si differenziano dall'estetismo decadente perché non la ricercano sul piano formale ma su quello realistico: l'arte è autonoma se riproduce fedelmente la realtà, senza idealizzazioni, retorica e topoi letterari, in particolare deve mostrare la verità effettuale del comportamento umano in determinare circostanze ambientali. Si può parlare dunque, per questo atteggiamento antintellettualista del verismo, di una tendenza antiumanista: tra forma e contenuto vi è una corrispondenza univoca, l'oggetto artistico sono le passioni e lo sforzo espressivo è teso a percepirne e renderne l'autenticità. In questo il verismo è lontano dal più scientifico e distaccato naturalismo francese: si vuole raggiungere un obbiettivo che neanche la scienza può ottenere, cioè l'intimità dell'animo individuale, che comunque i veristi vogliono solo rappresentare, non essendo in grado di darne una spiegazione. Ciò che è drammaticamente reale è solo il comportamento sociale dell'individuo e la coscienza individuale è determinabile solo in relazione alla coscienza collettiva che circonda il soggetto: è questo che spinge i veristi a contrastare vivamente contro lo scetticismo e il relativismo che si diffondeva al tempo.

In primo luogo i veristi rifiutarono il romanzo storico in quanto compenetrazione di storia e invenzione: criticavano in particolare i seguaci del Manzoni per le loro finalità educative, gli abbandoni patetici e gli interventi personali dell'autore, ma anche il Manzoni stesso per la sua religiosità.

La Scapigliatura offre un buon punto di partenza ai veristi: dopo l'unificazione d'Italia non sono più necessarie opere patriottiche e celebrative, gli scrittori non cercano più di allargare e democratizzare il pubblico, ma si rivolgono ad una nuova categoria di lettori, la borghesia, raccontandone le storie. Dunque lo scrittore non può educare, né redimere; lo sguardo non è più rivolto alla storia, ma si ripiega sull'interiorità dell'individuo; non vige più l'antico rapporto tra autore e pubblico basato sulla condivisione di valori estetici e civili.

I veristi si ritrovarono dunque a dover affrontare il problema del pubblico, loro che provenivano dal Meridione in cui il risorgimento era stato attuato diversamente dal Nord: non c'era stata un'adeguata acculturazione della popolazione e non si formò uno stato sociale medio spregiudicato e aperto allo spirito d'iniziativa, quindi la nuova letteratura nel Sud non trovava interlocutori. I veristi provano a trovare risposta nel pubblico di Firenze prima e Milano poi, ma anche qui non vi erano altro che uomini perduti nel sentimentalismo tardo romantico estranei alle grandi battaglie ideali: è necessario un rinnovamento, un ripensamento generale del fatto artistico. La scelta di rappresentare i costumi e la mentalità dei contadini del sud è quindi dettata dall'esigenza di uno "scandalo", lasciando in più l'artista libero di agire in un campo che non era mai stato trattato prima. I destinatari delle opere rimangono i ceti dirigenti, quindi le opere non necessitano di un codice di comunicazione univocamente definito come per il pubblico nuovo e allargato del Manzoni, ma devono ristabilire il contatto con il lettore colto.

I veristi erano animati da un forte sentimento patriottico e quindi rifiutavano ogni reticenza e vagheggiamento retorico nella sicurezza che il bilancio della coscienza nazionale fosse positivo: per questo non serviva rivolgersi ad un altro periodo storico come faceva il romanzo storico, e si poteva trattare la problematica realtà meridionale. La borghesia doveva approfondire la propria conoscenza della realtà popolare e per questo bisognava evitare gli atteggiamenti di ironica superiorità e gli intenerimenti pietistici.

L'arte vive della verità come di una seconda natura e l'unico colloquio che l'autore deve sostenere è quello con il vero naturale; il soggetto prescelto è di solito la vita delle classi umili in quanto, meno contaminate e livellate dalla civiltà, offrono più circostanze significative all'osservazione. L'espressione "documenti umani" sintetizza dunque la tensione verso una concretezza realistica che trattiene l'ispirazione tematica all'ordine dei fatti, e la protesta contro le adulterazioni del comportamento, della moralità e dell'indole nazionale avvenute con il divenire dell'Italia una potenza europea. La civiltà contadina diventa quindi la sede elettiva dei valori umani, ma senza mitizzazioni, grazie ai principi dell'ereditarietà e dell'adattamento all'ambiente dedotti dal naturalismo francese. Il naturalismo aveva in più un'istanza politica indirizzata in senso progressista: il liberoscambismo nascondeva sotto il proposito di valorizzare la persona umana gli istinti ferini della nostra natura, il metodo dell'oggettivismo voleva chiarire le responsabilità che hanno condotto alla catastrofe il paese. In Italia invece il canone dell'impersonalità servì a mettere a fuoco la dinamica del trapasso del Sud d'Italia dall'era feudale agricola a quella cittadina borghese, ma così l'unità tanto augurata dal punto di vista patriottico veniva vista come un decadimento sul piano sociale. Qui affondano le radici della problematica distinzione dei valori etico-civili e dei disvalori utilitaristici: è posta in crisi l'idea di progresso.

Come il naturalismo, il verismo si rifà alle concezioni del positivismo condividendone la volontà di definire una fisiologia del comportamento umano, ma i francesi riuscirono a dargli una spinta dinamica: attraverso la letteratura si voleva intervenire sulla realtà presente della condizione umana. Per i veristi si trattava di sfatare solo le illusioni che l'uomo nutre su se stesso in nome di un fatalismo senza scampo: il progresso è un movimento incessante, ma che è solo apparentemente ascensionale perché mutano solo le apparenze esteriori dell'esistenza, mentre rimane la sua tensione faticosa. L'emancipazione dai bisogni primordiali è generata da un'avidità egoistica e la società è lo scenario degli scontri dei diversi interessi personali. Ma l'intraprendenza individuale ed egoistica è sottoposta al condizionamento della moralità: l'uomo deve soddisfare anche i bisogni affettivi e ciò avviene con la costituzione della famiglia che è il regno del sentimento disinteressato e dell'altruismo, è l'unico fondamento di vita consociata. Ma l'affetto per i famigliari porta a cercare di soddisfare in modo più pieno i loro bisogni: l'edificio sociale si espande a spese della famiglia e tutti gli uomini si dividono in due categorie, i vincenti e i vinti.

L'unico mezzo possibile per conseguire sia migliori condizioni familiari che il successo personale è il lavoro: lavorare significa opporsi all'onda cieca del caso, è sempre un valore degno di riconoscimento in quanto misura l'energia vitale di un individuo. È la base su cui la società può svilupparsi coordinando gli sforzi e creando un sistema gerarchico: lo Stato ha una sanzione di naturalità tanto quanto la famiglia in quanto il vincolo tra i cittadini costituisce un termine di riferimento per ciascuno come quello tra i membri familiari. Ma i veristi colgono nell'accumulazione primitiva che sta alla base dell'economia di mercato un elemento degenerativo della società e vogliono porre un principio d'integrità umana nell'economia patriarcale dove la dimensione della produzione coincide con quella del consumo.

Anche il conseguimento del proprio tornaconto personale ha però carattere di passione irriducibile, che rende schiavo l'uomo come il desiderio amoroso: ma quest'ultimo umanizza l'uomo mentre il desiderio di ricchezza lo aliena a se stesso. Il rapporto tra i sessi si svolge su un piano di disuguaglianza: il posto della donna è accanto al focolare, sottomessa al marito, ma essa è anche soggetto attivo d'amore. Nella gara per il cuore femminile si inserisce il fattore economico, ma l'amore non ha tabelle di prezzo: l'eros è una resistenza invincibile nei confronti della mentalità utilitaristica che governa anche le spinte affettive.

Lo scrittore non deve comprendere la genesi delle passioni che governano l'uomo, ma sono rappresentarne la fenomenologia, in modo da offrire una scala di valori per commisurare la propria esperienza esistenziale: l'umanità dell'uomo non consiste in altro che nel vivere fino in fondo la passione da cui è abitato. Il canone dell'impersonalità si rifà alla convinzione che il nostro destino si decida nei processi che avvengono all'interno dell'uomo: così l'indagine si concentra su microcosmi particolari e di fronte alla realtà irriducibile della persona emerge l'inutilità degli strumenti forniti dallo scientismo. Quindi visto che individualità non può avere alcun termine di paragone esterno, l'artista entra in gara con la natura per riproporre attraverso la letteratura il miracolo di verità che c'è in ogni essere umano. L'arte è la suprema salvezza perché induce l'uomo a riconoscersi tutto e solo nel suo essere terrestre, senza alcuna speranza ultraterrena . Attraverso il canone dell'impersonalità si risolve il problema del rapporto tra realtà storica e fantasia su cui si era soffermato il Manzoni: entrambe vengono negate, mentre la realtà viene assunta nel suo aspetto più dimesso, vengono rivalutati i personaggi antieroici romantici, ma senza alcuna intenzione provvidenziale.

L'arte diventa dunque la nobilitazione suprema per l'uomo che realizza la sua dignità con il lavoro, in quanto forma di lavoro disinteressata per eccellenza. L'arte diventa per i veristi essenzialmente una metodologia: l'artista deve solo scegliere da quale punto di vista rappresentare la realtà, quale soggetto narrare. Il metodo dell'elaborazione formale varia di caso in caso riplasmandosi sulla misura di verità che il fatto specifico racchiude. Visto che il campo di indagine è la psiche umana e l'artista non possiede i mezzi per indagarla, non può far altro che abbandonarsi all'intuizione. Ma nel trattare certi argomenti è impossibile non simpatizzare con essi: gli argomenti ripugnanti non possono essere esclusi dall'arte, ma saranno descritti dall'esterno spassionatamente. Si ha quindi un secondo livello dell'impersonalità che deriva dal primo e lo approfondisce. Questa è la causa per cui i veristi non si fermarono a descrivere la realtà contadina, ma cercarono di raffigurare in seguito il mondo borghese a loro più vicino e congeniale. Ma nel passaggio a questa nuova realtà, servivano nuovi mezzi espressivi, e così i veristi arrivarono a stravolgere quelli usati in precedenza, fino a renderli inservibili. In effetti la tecnica verista trovava materiale adeguato solo nel mondo immobile della comunità contadina in cui i rapporti tra individui rispondono solo alle esigenze primarie. In più i veristi volevano oltrepassare il condizionamento di un'arte vincolata alla rappresentazione delle classi inferiori, per dimostrare l'efficacia dell'idea e del metodo verista, ma dovendosi immedesimare in un personaggio borghese, i veristi avrebbero perso di vista la realtà dei rapporti umani e relazionali: si perdeva l'interesse verista per il contrasto tra interessi privati e ragione collettiva.

Il verismo è in netta polemica con convenzioni narrative romantiche, volendo distinguere i processi narrativi da quelli prosastici, oratori e scientifici: vi era un'omogeneità di del racconto che rendeva chiaro subito personaggi e ambienti senza una parte ritrattistica e descrittiva separata. Così nasce la tendenza ad eliminare ogni prospettiva di sfondi per lasciar capeggiare la nuda essenzialità del dialogo e un'unica voce espone l'argomento, interpretando tutti i personaggi con il loro sistema di valori e possibilità coscienziali. Visto che da ciò nasceva l'esigenza di uno stile narrativo antiletterario vicino ai modi del parlato, si presentava il problema di una lingua che fosse strettamente aderente alla condizione sociopsicologica dei personaggi: il verismo voleva una lingua che riflettesse le diversificazioni della realtà del paese, ma anche le spinte all'unificazione linguistica. Il problema si ripresentava anche sul piano teorico, visto che il dialetto rappresentava la lingua delle passioni,ma la narrativa verista esigeva uno strumento che indagasse con lucidità il ritmo dei processi emotivi.



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