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L'aforisma - tesina




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L'aforisma


"L'aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezzo"




Breve introduzione



Friedrich Nietzsche, l'uso dell'aforisma e

l' opera Umano troppo umano, brano introduttivo Il viandante e la sua ombra



Vincent van Gogh, la vita e l'interpretazione tramite aforismi di opere quali:

La notte stellata, Campo di grano con corvi e La Chiesa Notre-Dame ad Auvers



Giacomo Leopardi, il pensiero filosofico e il linguaggio aforistico nell' operetta:

Detti memorabili di Filippo Ottonieri



Oscar Wilde, life, works and aphorisms.

The comedy The importance of being Earnest



Bibliografia


L'aforisma


Il nome aforisma deriva dal greco aphorismòs e propriamente significa "definizione".

Di fatto, della definizione l'aforisma ha sia l'essenzialità, sia la funzione di delineare in modo chiaro un concetto.

Ma l'aforisma ha anche qualcosa di più della definizione, è un meccanismo espressivo che, in equilibrio tra eleganza e sostanza di pensiero, a metà strada tra il gioco di parole e la massima filosofica, aspira a far divertire e a far riflettere.

Esattamente cos'è quindi l'aforisma?

L'aforisma è una frase che compendia in un breve giro di parole il risultato di precedenti riflessioni, osservazioni ed esperienze.

Nella famiglia dei generi letterari, l'aforisma è un parente molto stretto della massima, della sentenza, dell'adagio, del motto e, per certi rami, anche del più popolare proverbio, ma non coincide con nessuno di questi pur classici modelli. Possiamo senz'altro affermare che a eleggere una frase ad aforisma è la sua qualità.





















"Quando non si capisce, si prende un'aria solenne"




"Il pensiero è, allo stesso modo della parola, semplicemente un segno: non è possibile parlare di una qualsiasi congruenza del pensiero e della realtà."


Friedrich Wilhelm Nietzsche

Nietzsche (1844-1900), filosofo e scrittore, trovò nell'aforisma uno strumento letterario affascinante e utilissimo, difatti diversi testi si risolvono in una sequenza di aforismi, più o meno concettosi, tra questi possiamo citare Menschliches, Allzumenschliches (Umano troppo umano), Morgenröte (Aurora), Die fröhliche Wissenschaft (La gaia scienza) e, infine, non possiamo non menzionare la raccolta dei suoi pensieri e aforismi dal titolo Der Wille zur Macht (La volontà di potenza) pubblicata nel 1901, dopo la sua morte, in una prima edizione comprendente 483 aforismi e in una seconda edizione del 1911 composta da ben 1067 aforismi.

Nietzsche afferma che l'aforisma è un'illuminazione istantanea, paragonabile ad un'immagine veloce ed incompleta, è compito dello spettatore integrare con il proprio pensiero quanto visto, allo stesso modo davanti all'aforisma il lettore non comprende l'essenza di questo prima di averci riflettuto ed averlo interpretato, non a caso Nietzsche parla di "arte dell'interpretazione". Questo non significa che egli accosti gli aforismi alla rinfusa, anzi, essi sono inseriti in sapienti costruzioni architettoniche, non di rado aperte e concluse da poesie, al fine di allentare tensioni e pesantezze, introducendo brio e leggerezza.





"L'autore deve chiuder bocca, quando apre bocca la sua opera"


Umano, troppo umano

Nietzsche scrive Opinioni e sentenze diverse (1877) e Il viandante e la sua ombra (1880), riuniti nel 1886 in un'edizione dal titolo Umano, troppo umano, opera in cui analizza l'individuo. Questa analisi tuttavia non appare in primo piano, e il lettore si trova di fronte a concreti argomenti di storia, di arte e morale, tale oggettività è però raggiunta, paradossalmente, attraverso la concentrazione e la speculazione interiore. Egli infatti scrive:

Il mio modo di riportare le cose della storia consiste propriamente nel raccontare 'esperienze' personali, prendendo a spunto epoche e uomini del passato. Non é qualcosa di organico, solo cose singole mi si sono chiarite, altre no. I nostri storici della letteratura sono noiosi, perchè si impongono di parlare e di giudicare di tutto, anche dove non hanno 'vissuto'.

L'analisi, a volte critica, a volte ironica, dell'uomo ha sullo sfondo l'idea tipicamente nietzscheana della volontà di potenza, secondo la quale ogni nostra azione ha come fine ultimo l'aumento del nostro potere.


"si loda o si biasima, a seconda che l'una o l'altra cosa offra più occasione di far brillare il nostro giudizio"



Nella brillante introduzione de Il viandante e la sua ombra è lo stesso Nietzsche a discutere con la sua ombra di sé stesso e della società. Questo testo è il preludio ad una serie di 350 aforismi al termine dei quali troviamo la conclusione dell'operetta iniziale.



Der Wanderer und sein Schatten

Il viandante e la sua ombra

Vorwort


Der Schatten: Da ich dich so lange nicht reden hörte, so möchte ich dir eine Gelegenheit geben.

Der Wanderer: Es redet:-wo? und wer? Fast ist es mir, als hörte ich mich selber reden, nur mit noch schwächerer Stimme als die meine ist.

Der Schatten (nach einer Weile): Freut es dich nicht, Gelegenheit zum Reden zu haben?

Der Wanderer: Bei Gott und allen Dingen, an die ich nicht glaube, mein Schatten redet; ich höre es, aber glaube es nicht.

Der Schatten: Nehmen wir es hin und denken wir nicht weiter darüber nach, in einer Stunde ist alles vorbei.

Der Wanderer: Ganz so dachte ich, als ich in einem Walde bei Pisa erst zwei und dann fünf Kamele sah.

Der Schatten: Es ist gut, dass wir beide auf gleiche Weise nachsichtig gegen uns sind, wenn einmal unsere Vernunft stille steht: so werden wir uns auch im Gespräche nicht ärgerlich werden und nicht gleich dem andern Daumenschrauben anlegen, falls sein Wort uns einmal unverständlich klingt. Weiss man gerade nicht zu antworten, so genügt es schon, etwas zu sagen: das ist die billige Bedingung, unter der ich mich mit jemandem unterrede. Bei einem längeren Gespräche wird auch der Weiseste einmal zum Narren Und dreimal zum Tropf.

Der Wanderer: Deine Genügsamkeit ist nicht schmeichelhaft für den, welchem du sie eingestehst.

Der Schatten: Soll ich denn schmeicheln?

Der Wanderer: Ich dachte, der menschliche Schatten sei seine Eitelkeit; diese aber würde nie fragen: 'soll ich denn schmeicheln?'

Der Schatten: Die menschliche Eitelkeit, soweit ich sie kenne, fragt auch nicht an, wie ich schon zweimal tat, ob sie reden dürfe: sie redet immer.

Der Wanderer: Ich merke erst, wie unartig ich gegen dich bin, mein geliebter Schatten: ich habe noch mit keinem Worte gesagt, wie sehr ich mich freue, dich zu hören und nicht bloss zu sehen. Du wirst es wissen, ich liebe den Schatten, wie ich das Licht liebe. Damit es Schönheit des Gesichts, Deutlichkeit der Rede, Güte und Festigkeit des Charakters gebe, ist der Schatten so nötig wie das Licht. Es sind nicht Gegner: sie halten sich vielmehr liebevoll an den Händen, und wenn das Licht verschwindet, schlüpft ihm der Schatten nach.

Der Schatten: Und ich hasse dasselbe, was du hassest, die Nacht; ich liebe die Menschen, weil sie Lichtjünger sind und freue mich des Leuchtens, das in ihrem Auge ist, wenn sie erkennen und entdecken, die unermüdlichen Erkenner und Entdecker. Jener Schatten, welchen alle Dinge zeigen, wenn der Sonnenschein der Erkenntnis auf sie fällt,-jener Schatten bin ich auch.

Der Wanderer: Ich glaube dich zu verstehen, ob du dich gleich etwas schattenhaft ausgedrückt hast. Aber du hattest recht: gute Freunde geben einander hier und da ein dunkles Wort als Zeichen des Einverständnisses, welches für jeden dritten ein Rätsel sein soll. Und wir sind gute Freunde. Deshalb genug des Vorredens! Ein paar hundert Fragen drücken auf meine Seele, und die Zeit, da du auf sie antworten kannst, ist vielleicht nur kurz. Sehen wir zu, worüber wir in aller Eile und Friedfertigkeit miteinander zusammenkommen.

Der Schatten: Aber die Schatten sind schüchterner als die Menschen: du wirst niemandem mitteilen, wie wir zusammen gesprochen haben!

Der Wanderer: Wie wir zusammen gesprochen haben? Der Himmel behüte mich vor langgesponnenen, schriftlichen Gesprächen! Wenn Plato weniger Lust am Spinnen gehabt hätte, würden seine Leser mehr Lust an Plato haben. Ein Gespräch, das in der Wirklichkeit ergötzt, ist, in Schrift verwandelt und gelesen, ein Gemälde mit lauter falschen Perspektiven: Alles ist zu lang oder zu kurz.- Doch werde ich vielleicht mitteilen dürfen, worüber wir übereingekommen sind?

Der Schatten: Damit bin ich zufrieden; denn alle werden darin nur deine Ansichten wiedererkennen: des Schattens wird niemand gedenken.

Der Wanderer: Vielleicht irrst du, Freund! Bis jetzt hat man in meinen Ansichten mehr den Schatten wahrgenommen als mich.

Der Schatten: Mehr den Schatten als das Licht? Ist es möglich?

Der Wanderer: Sei ernsthaft, lieber Narr! Gleich meine erste Frage verlangt Ernst.

Introduzione


L'ombra: Giacché è tanto tempo che non ti sento parlare, vorrei dartene un'occasione.

Il viandante: Parla - dove? e chi? è quasi come se sentissi parlare me stesso, solo con voce più debole della mia.

L'ombra (dopo una pausa): Non sei contento di avere un'occasione di parlare?

Il viandante: Per dio e per tutte le cose a cui non credo, è la mia ombra che parla: la sento, ma non ci credo.

L'ombra: Accettiamolo e non pensiamoci oltre, tra un'ora sarà tutto finito.

Il viandante: Pensai proprio così, quando in un bosco vicino a Pisa vidi prima due e poi cinque cammelli.

L'ombra: E' bene che ambedue siamo ugualmente indulgenti verso di noi, se per una volta la nostra ragione tace: così anche nel nostro colloquio non ci adireremo e non metteremo subito le manette all'altro se la sua parola ci suonerà incomprensibile Se proprio non si sa rispondere, basta già dire qualcosa: questa è l'equa condizione alla quale io mi intrattengo con qualcuno. In un dialogo un po' lungo, anche il più savio diventa una volta pazzo e tre volte babbeo.

Il viandante: Le tue modeste pretese non sono lusinghiere per colui al quale le confessi.

L'ombra: Debbo dunque lusingare?

Il viandante: Pensavo che l'ombra dell'uomo fosse la sua vanità: ma questa non chiederebbe mai: 'debbo dunque lusingare?'.

L'ombra: La vanità umana, se ben la conosco, non domanda neppure, come io ho già fatto due volte, se può parlare: parla sempre.

Il viandante: Solo adesso mi accorgo quanto sono scortese nei tuoi confronti, mia cara ombra: non ho ancor neppure fatto parola su quanto mi rallegra di ascoltarti, e non solo di vederti. Lo sai, io amo l'ombra come amo la luce. Perché esistano la bellezza del volto, la chiarezza del discorso, la bontà e fermezza del carattere, l'ombra è necessaria quanto la luce. Esse non sono avversarie: anzi si tengono amorevolmente per mano, e quando la luce scompare, l'ombra le scivola dietro.

L'ombra: E io odio quel che odi tu, la notte; amo gli uomini perché sono seguaci della luce, e mi allieta lo splendore che è nel loro occhio quando conoscono e scoprono, loro, gli infaticabili conoscitori e scopritori. Quell'ombra che tutte le cose mostrano quando su di esse cade il sole della conoscenza - io sono anche quell'ombra.

Il viandante: Credo di capirti, anche se ti sei espressa in modo un po' umbratile. Ma avevi ragione: i buoni amici si dicono talvolta una parola oscura, come segno d'intesa, che dev'essere un enigma per ogni altra persona. E noi siamo buoni amici. Perciò basta con i preamboli! Centinaia di domande premono il mio animo, e il tempo in cui tu potrai rispondervi è forse troppo breve. Vediamo su che cosa incontrarci in fretta e pacificamente.

L'ombra: Ma le ombre sono più timide degli uomini: non dirai a nessuno come abbiamo parlato insieme!

Il viandante: Come abbiamo parlato insieme? Il cielo mi guardi da lunghi ed elaborati dialoghi scritti! Se Platone avesse avuto meno gusto a elaborare, i suoi lettori avrebbero più gusto a lui. Un dialogo che nella realtà delizia è, se trasformato in scrittura e letto, un quadro con prospettive del tutto false: tutto è troppo lungo o troppo corto. - Tuttavia potrò forse comunicarti su che cosa ci siamo accordati?

L'ombra: Questo mi basta; perché tutti vi riconosceranno solo le tue opinioni; nessuno si ricorderà dell'ombra.

Il viandante: Forse ti sbagli, amica! Sinora nelle mie opinioni si è vista più l'ombra che me.

L'ombra: Più ombra che luce? E' possibile?

Il viandante: Sii seria, cara matta! La mia prima domanda esige subito serietà!


Der Schatten: Von allem, was du vorgebracht hast, hat mir nichts mehr gefallen als eine Verheissung: ihr wollt wieder gute Nachbarn der nächsten Dinge werden. Dies wird auch uns armen Schatten zugute kommen. Denn, gesteht es nur ein, ihr habt bisher uns allzugern verleumdet.

Der Wanderer: Verleumdet? Aber warum habt ihr euch nie verteidigt? Ihr hattet ja unsere Ohren in der Nähe.

Der Schatten: Es schien uns, als ob wir euch eben zu nahe wären, um von uns selber reden zu dürfen.

Der Wanderer: Delikat! Sehr delikat! Ach, ihr Schatten seid 'bessere Menschen' als wir, das merke ich.

Der Schatten: Und doch nanntet ihr uns 'zudringlich'-uns, die wir mindestens eines gut verstehen: zu schweigen und zu warten-kein Engländer versteht es besser. Es ist wahr, man findet uns sehr, sehr oft in dem Gefolge des Menschen, aber doch nicht in seiner Knechtschaft. Wenn der Mensch das Licht scheut, scheuen wir den Menschen: soweit geht doch unsere Freiheit.

Der Wanderer: Ach, das Licht scheut noch viel öfter den Menschen, und dann verlasst ihr ihn auch.

Der Schatten: Ich habe dich oft mit Schmerz verlassen: es ist mir, der ich wissbegierig bin, an dem Menschen vieles dunkel geblieben, weil ich nicht immer um ihn sein kann. Um den Preis der vollen Menschen-Erkenntnis möchte ich auch wohl dein Sklave sein.

Der Wanderer: Weisst du denn, weiss ich denn, ob du damit nicht unversehens aus dem Sklaven zum Herrn würdest? Oder zwar Sklave bliebest, aber als Verächter deines Herrn ein Leben der Erniedrigung, des Ekels führtest: Seien wir beide mit der Freiheit zufrieden, so wie sie dir geblieben ist-dir und mir! Denn der Anblick eines Unfreien würde mir meine grössten Freuden vergällen; das Beste wäre mir zuwider, wenn es jemand mit mir teilen müsste,-ich will keine Sklaven um mich wissen. Deshalb mag ich auch den Hund nicht, den faulen, schweifwedelnden Schmarotzer, der erst als Knecht des Menschen 'hündisch' geworden ist und von dem sie gar noch zu rühmen pflegen, dass er dem Herrn treu sei und ihm folge wie sein -

Der Schatten: Wie sein Schatten, so sagen sie. Viel leicht folgte ich dir heute auch schon zu lange? Es war der längste Tag, aber wir sind an seinem Ende, habe eine kleine Weile noch Geduld! Der Rasen ist feucht, mich fröstelt.

Der Wanderer: Oh, ist es schon Zeit zu scheiden? Und ich musste dir zuletzt noch wehe tun; ich sah es, du wurdest dunkler dabei.

Der Schatten: Ich errötete, in der Farbe, in welcher ich es vermag. Mir fiel ein, dass ich dir oft zu Füssen gelegen habe wie ein Hund, und dass du dann -

Der Wanderer: Und könnte ich dir nicht in aller Geschwindigkeit noch Etwas zu Liebe tun? Hast du keinen Wunsch?

Der Schatten: Keinen, ausser etwa den Wunsch, welchen der philosophische 'Hund' vor dem grossen Alexander hatte: gehe mir ein wenig aus der Sonne, es wird mir zu kalt.

Der Wanderer: Was soll ich tun?

Der Schatten: Tritt unter diese Fichten und schaue dich nach den Bergen um; die Sonne sinkt.

Der Wanderer: - Wo bist du? Wo bist du?



L'ombra: Di quel che hai detto, più di tutto mi è piaciuta una promessa: che volete ridiventare buoni vicini delle cose prossime. Questo tornerà a vantaggio anche di noi, povere ombre. Perché, ammettetelo, sinora ci avete calunniato anche troppo volentieri.

Il viandante: Calunniato? Ma perché non vi siete difese? Avevate pur vicine le nostre orecchie.

L'ombra: Ci sembrava appunto di esservi troppo vicine per poter parlare di noi stesse.

Il viandante: Delicato! Assai delicato! Ah, voi ombre siete 'uomini migliori' di noi, me ne accorgo.

L'ombra: Eppure ci avete chiamato 'importune' - noi, che almeno una cosa sappiamo fare - tacere e attendere - nessun inglese lo sa far meglio. è vero, ci si trova molto, molto spesso al seguito dell'uomo, ma mai come sue schiave. Quando l'uomo fugge la luce, noi fuggiamo l'uomo: a tanto arriva la nostra libertà.

Il viandante: Ahimè, tanto più spesso è la luce a fuggir l'uomo e allora anche voi lo abbandonate.

L'ombra: Ti ho abbandonato spesso con dolore: a me, avida di sapere, tante cose dell'uomo sono rimaste oscure, perché non posso esser sempre intorno a lui. Pur di possedere una totale conoscenza dell'uomo, sarei volentieri la tua schiava.

Il viandante: Lo sai tu, lo so io, se tu da schiava non diventeresti improvvisamente padrona? Oppure se tu rimarresti schiava ma, disprezzando il tuo padrone, condurresti una vita di umiliazione, di disgusto? Accontentiamoci ambedue della libertà, così come è rimasta a te - a te e a me! Giacché la vista di un essere non libero amareggerebbe le mie gioie più grandi; le migliori cose mi ripugnerebbero, se qualcuno dovesse dividerle con me, - non voglio sapere di schiavi intorno a me. Per questo non amo il cane, il pigro e scodinzolante parassita, che è diventato 'cane' solo come servo degli uomini, e di cui essi sogliono addirittura decantare la fedeltà al padrone e il fatto di seguirlo come la sua. -

L'ombra: Come la sua ombra, essi dicono. Forse anch'io oggi ti ho seguito per troppo tempo? E' stato il giorno più lungo, ma ne siamo alla fine, abbi ancora un attimo di pazienza! Il prato è umido, ho i brividi.

Il viandante: Oh, è già tempo di separarsi? E ho dovuto alla fine farti ancora male, l'ho visto: sei diventata più scura.

L'ombra: Arrossivo, nel colore in cui posso farlo. Mi è venuto in mente che spesso sono stata ai tuoi piedi come un cane, e che tu allora -

Il viandante: E, in tutta fretta non potrei farti ancora

L'ombra: Nessuno, tranne quello che ebbe il 'cane' filosofico davanti al grande Alessandro: togliti un poco dal sole, ho troppo freddo.

Il viandante: Che debbo fare?

L'ombra: Cammina sotto quei pini e guarda i monti: il sole tramonta.

Il viandante: Dove sei? Dove sei?





Attraverso la forma del dialogo Nietzsche ci espone alcuni pensieri che poi ritroveremo sotto forma di aforismi, facciamo qualche esempio:

L'ombra afferma la necessità di trovarsi d'accordo con il viandante di cui è la proiezione o ad ogni modo di essere onesti tra loro. Nietzsche conferma ed enfatizza questo concetto in uno degli aforismi che seguono l'introduzione scrivendo:

Contro i visionari. - Il visionario nega la verità di fronte a se stesso, il bugiardo solo di fronte agli altri

In un passaggio successivo l'ombra ricorda l'infinità della possibile conoscenza e i compromessi ai quali bisogna giungere per poterla raggiungere, Nietzsche è convinto che l'uomo non sia più in grado di cercare la conoscenza, avendo perduto la sua capacità di analizzare e comprendere la realtà che ogni giorno lo sommerge, accecato dall'idea di una comprensione immediata che non comporti alcuna fatica.

Troppo e troppo poco. - Oggi gli uomini vivono troppe cose e riflettono troppo poco: hanno insieme fame e colica, e perciò diventano sempre più magri, per quanto mangino. Chi oggi dice: 'Non mi è mai successo niente', è uno sciocco.













'Costui o diventerà pazzo, o ci farà mangiare la polvere a tutti quanti. Se poi farà l'uno e l'altro non sono in grado di prevederlo'.

Camille Pissarro su Vincent van Gogh




Vincent van Gogh

Van Gogh (1853-1890), pittore olandese la cui vastissima produzione di opere è diventata il simbolo del disagio interiore del XX secolo.

La vita di van Gogh, tormentata dalla malattia mentale, è irrequieta e alla continua ricerca della tranquillità.

Nato nel villaggio di Groot Zundert a soli 17 anni scappò all'Aja impiegandosi presso un mercante d'arte, trasferitosi successivamente a Londra iniziò una ricca corrispondenza con il fratello Theo che continuerà per tutta la vita. Nel 1876 si licenziò per seguire le orme di suo padre e diventare un predicatore, tornato in Olanda però il suo desiderio non andò a buon fine, venne sollevato dall'incarico di predicatore per il suo eccesso di zelo che rasentava il fanatismo. Subito dopo questa esperienza Vincent iniziò a dipingere mantenuto dal fratello.

Passando da Anversa a Parigi, fece la conoscenza di alcuni pittori affermati tra cui Toulouse-Lautrec, Monet, Renoir, Degas, Pissarro. La vita a Parigi non si rivelò affatto semplice, le città non erano mai state il suo ambiente ideale e van Gogh decise di lasciare la capitale, alla ricerca di un ambiente solitario e rilassante e così, nel febbraio del 1888, partì alla volta di Arles, in Provenza. I colori accesi del sud erano esattamente ciò di cui aveva bisogno per sviluppare la sua pittura verso uno stile proprio, slegato dall'influenza dell'impressionismo. Lì nella "casa gialla" intrattenne una sognatissima convivenza con Gauguin che si concluse in tragedia, difatti i loro caratteri e le propensioni artistiche tendevano a scontrarsi: tanto Gauguin voleva allontanarsi dalla realtà, quanto Vincent voleva coglierne l'emozione. Vincent finì per minacciare con un coltello l'amico, costringendolo così a fuggire, e con la stessa arma si tagliò un orecchio.

In seguito Vincent decise di farsi ricoverare nel manicomio di Saint-Rémy, non lontano da Arles, dove poteva dipingere anche all'aperto. In seguito ad una crisi depressiva nella quale tentò di togliersi la vita ingerendo il colore, lasciò definitivamente la Provenza per recarsi dal fratello ad Auvers. Nemmeno lì trovò la tanto sospirata tranquillità, agitato e intimorito dalla possibilità di nuove crisi si sparò un colpo di pistola e morì pochi giorni dopo, il 29 luglio.

Poco dopo la morte le opere di van Gogh trovarono finalmente successo e riconoscimento, la natura stessa della sua pittura, così personale ed emotiva, ha portato a considerarlo un artista unico.









'Non arrivo a inventare completamente il mio quadro,al contrario lo trovo già nella natura, si tratta solo di riuscire a coglierlo in essa'





Il dipinto dal titolo La notte stellata è realizzato da Vincent van Gogh nel 1889 con il proposito di riprodurre la natura esclusivamente dal vivo, senza creare astrazioni.

Il risultato tuttavia non lo possiamo certo considerare realistico, il cielo appare rischiarato da una moltitudine di comete e il villaggio di Arles appare immerso in un atmosfera soprannaturale.

Le pennellate che formano gli astri sono tonde o a spirale, riprese nelle case e nell'imponente cipresso in primo piano.

La pittura è quindi usata da van Gogh come uno strumento di interpretazione della realtà, non può interessare l'artista rappresentare frutti della propria immaginazione nel chiuso del proprio studio bensì rappresentare la realtà che ha davanti agli occhi in modo soggettivo.






"Non c'è blu senza il giallo e senza l'arancione"





Il dipinto Campo di grano con corvi, realizzato nel 1890 poco prima di morire, trasmette disperazione e drammaticità, molti lo hanno interpretato come una sorta di "testamento spirituale", dove il grano rappresenta la fertilità, il sentiero la vita dell'artista e i corvi sono presagio di morte.

Il quadro è fondato su pochi colori fondamentali. Su una preparazione rossa, traccia dei segni gialli per indicare il grano, altri segni verdi e rossi per indicare le strade che attraversano i campi. Il cielo è di un blu cobalto cupo ed innaturale. Un cielo pesante ed oppressivo. Pochi tratteggi neri raffigurano un volo di corvi.

Realizzato velocemente, come per afferrare una realtà e uno stato d'animo sottile, van Gogh scriverà a proposito della tela 'Qui il mio pennello scorre fra le mie dita come se fosse un archetto di violino I colpi di pennello vanno come una macchina, vengono e si succedono concatenati'.











"Non bisogna giudicare il buon Dio da questo mondo perché è uno schizzo che gli è venuto male"





La tela La Chiesa di Notre-Dame ad Auvers, veduta della parte absidale è una delle settanta opere realizzate nel 1890 ad Auvers, è però l'unica che van Gogh abbia dedicato alla chiesa della cittadina. Anche se quest'ultima è riconoscibile, la tela non propone allo spettatore un'immagine fedele della realtà quanto una forma di 'espressione' di essa.

Possiamo leggere attraverso quest'opera il sentimeno religioso che ispira van Gogh, egli infatti trova in Dio l'unico punto fermo della vita dell'uomo.

La chiesa, mediazione tra uomo e Dio è rappresentata malferma e insicura, via di mezzo tra la tremante terra, tratteggiata con pennellate scisse e labirintiche, e la calma del cielo, di un profondo blu cobalto.











"Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni"



Giacomo Leopardi

Leopardi (1798-1837) poeta e prosatore, lungo tutta la sua vita aspirò ad essere anche un filosofo cioè un intellettuale che si interroga sulle ragioni delle cose e sul senso della vita. Testimonianza di questa aspirazione è lo Zibaldone, un grande volume dove Leopardi usava appuntare note, pensieri, osservazioni poetiche e, appunto, pensieri filosofici.

Molti di questi ultimi furono raccolti nell'opera Pensieri, mai ultimata e pubblicata dopo la sua morte, nel 1845.

Non solo nei Pensieri, però, Leopardi usò un linguaggio aforistico, veri e propri aforismi possiamo trovare nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri contenuti nelle Operette morali.


Le Operette morali sono 24 brevi scritti in prosa, per lo più sotto forma di dialoghi tra personaggi reali o immaginari, con la funzione di analizzare "l'arido vero".

Tra questi prendiamo in considerazione la 15esima delle operette, il brano già citato Detti memorabili di Filippo Ottonieri, scritto nel 1824.

L'opera è una sorta di cronaca della vita e delle parole di Filippo Ottonieri ed è facile ritrovare in questo personaggio Leopardi stesso non si ha memoria d'alcuno che fosse ingiuriato da lui, né con fatti né con parole. Fu odiato comunemente da' suoi cittadini; perché parve prendere poco piacere di molte cose che sogliono essere amate e cercate assai dalla maggior parte degli uomini; benché non facesse alcun segno di avere in poca stima o di riprovare quelli che più di lui se ne dilettavano e le seguivano. Si crede che egli fosse in effetto, e non solo nei pensieri, ma nella pratica, quel che gli altri uomini del suo tempo facevano professione di essere; cioè a dire filosofo."

Sono attribuiti al personaggio di Ottonieri, quindi, i pensieri filosofici, gli aforismi e le idee che hanno il ruolo di elevare Leopardi stesso all'ambito ruolo di filosofo.


"Nessuno è contento del proprio stato, perché nessuno stato è felice"


"Anche i più vecchi hanno disegni e speranze di migliorar condizione in qualche maniera"


Entrambi questi aforismi sono tratti dal secondo capitolo dei Detti memorabili, precisamente dal brano qui riportato: "A quella questione di Orazio, come avvenga che nessuno è contento del proprio stato, rispondeva: la cagione è, che nessuno stato è felice. Non meno i sudditi che i principi, non meno i poveri che i ricchi, non meno i deboli che i potenti, se fossero felici, sarebbero contentissimi della loro sorte, e non avrebbero invidia all'altrui: perocché gli uomini non sono più incontentabili, che sia qualunque altro genere: ma non si possono appagare se non della felicità. Ora, essendo sempre infelici, che

maraviglia è che non sieno mai contenti? Notava che posto caso che uno si trovasse nel più felice stato di questa terra, senza che egli si potesse promettere di avanzarlo in nessuna parte e in nessuna guisa; si può quasi dire che questi sarebbe il più misero di tutti gli uomini. Anche i più vecchi hanno disegni e speranze di migliorar condizione in qualche maniera."



"Gli uomini nascono a conoscere quanto sia più spediente il non esser nato"


Il secondo capitolo si conclude con il brano dal quale abbiamo tratto questo aforisma: "E conchiudeva, che l'uomo tutto intero, e sempre, e irrepugnabilmente, è in potestà della fortuna. Dimandato a che nascano gli uomini, rispose per ischerzo: a conoscere quanto sia

più spediente il non esser nato."


Prendiamo questi tre aforismi come spunto per analizzare una parte del pensiero leopardiano.

Con le sue prime produzioni Leopardi manifesta da subito una concezione pessimistica del mondo e della vita, si pone lo scopo, quindi, di indagare i motivi della infelicità alla quale l'uomo è condannato. Egli identifica la felicità con il piacere materiale e sensibile, l'infelicità con la mancanza di questo, nasce da ciò la "Teoria del piacere".

Il piacere può appagare l'uomo solo a condizione di essere illimitato, l'essere umano è quindi costretto a non vedere mai soddisfatto il proprio bisogno.

Il pessimismo di Leopardi si sviluppa in tre differenti modi nel corso della sua vita.

Il primo, chiamato anche "pessimismo storico" è quello secondo cui l'uomo non può conoscere la verità e viene anzi allontanato da una condizione di ignoranza preferibile

leggendosi nelle dette Vite come Socrate affermava essere al mondo un solo bene, e questo essere la scienza; e un solo male, e questo essere l'ignoranza; disse:della scienza e dell'ignoranza antica non so; ma oggi io volgerei questo detto al contrario

Il secondo rivaluta la posizione della Natura che da madre benigna diviene matrigna cieca e indifferente, non è più colpa esclusiva dell'uomo la sua infelicità, ma solo della Natura.

Proprio durante la stesura delle Operette morali Leopardi sviluppa la sua ultima concezione pessimista, il cosiddetto "pessimismo cosmico" per cui l'infelicità diviene un dato eterno e immutabile. La Natura infatti mettendoci al mondo, ha fatto sì che in noi nascesse il desiderio del piacere infinito, senza però darci i mezzi per raggiungerlo.

Possiamo dunque comprendere il pensiero che mosse Leopardi nella stesura di questi brani, caratterizzati dalla visione della vita immersa nel dolore.

Nel terzo capitolo possiamo infatti leggere:

"Dolendosi uno di non so qual travaglio, e dicendo: se potessi liberarmi da questo,

tutti gli altri che ho, mi sarebbero leggerissimi a sopportare; rispose: anzi allora ti

sarebbero gravi, ora ti sono leggeri.

Dicendo un altro: se questo dolore fosse durato più, non sarebbe stato sopportabile;

rispose: anzi, per l'assuefazione, l'avresti sopportato meglio."

Significativa soprattutto è la conclusione dell'operetta con le parole incise sulla tomba di Ottonieri da lui stesso composte:



OSSA

Dl FILIPPO OTTONIERI

NATO ALLE OPERE VIRTUOSE

E ALLA GLORIA

VISSUTO OZIOSO E DISUTILE

E MORTO SENZA FAMA

NON IGNARO DELLA NATURA

NE' DELLA FORTUNA

SUA






















"I am so clever that sometimes I don't understand a single word of what I am saying."



"A man who does not think for himself does not think at all."



Oscar Fingal O'Flahertie Willis Wilde

Wilde (1854-1900) distinguished himself for his eccentricity and he was a supporter of the theory of "Art for Art's Sake".

"My life is like a work of art"

Wilde, after his studies in Oxford, settled in London, where his lifestyle and humorous wit soon made him the spokesman for Aestheticism. He was a dandy, an aristocrat, whose elegance was a symbol of the superiority of his spirit.

He worked as art reviewer (1881), lectured in the United States (1882), and lived in Paris (1883). In the 1883 he married Constance Lloyd who bore him two children, but in 1893 his marriage ended.

He became very famous for his short stories, plays and his only novel.

In the 1891 he falls in love with Lord Alfred Douglas, but Alfred's father forced a public trial for Wilde's homosexuality and he was sentenced two years hard labour for the crime of sodomy.

After his release in 1897 Wilde lived under the name Sebastian Melmoth in France in total poverty. He died of meningitis on November 1900.


The most important works of Oscar Wilde are: The Canterville Ghost (1887), The Happy Prince and Other Stories (1888), The Picture of Dorian Gray (1891), Lady Windermere's Fan (1892), A Woman of No Importance (1893), The Importance of Being Earnest (1895).


The Importance of Being Earnest is Wilde's most famous play and is about two young aristocratic men: Jack Worthing and Algernon Moncrieff.

The play is in three acts.


In the first act, settled in Algernon Moncrieff's flat in Half-Moon Street, Algernon receives the visit of his best friend who lives in the country but makes frequent visits to London.

Algernon knows him as Earnest Worthing.

In the country Earnest is called Jack (which he believes to be his real name) and pretends that he has a wastrel brother named Earnest who lives in London and requires his frequent attention. In the country Jack assumes a more serious attitude for the benefit of his young ward, the 18-year old heiress Cecily. When he goes to the city, he assumes the name and behaviour of the profligate Earnest.

Jack wants to marry Algernon's cousin Gwendolen, but faces two obstacles. First, Gwendolen seems to love him merely for his name, Earnest, which she thinks the most beautiful name in the world. Second, Gwendolen's mother, the terrifying Lady Bracknell, does not approve Mr Worthing and is further horrified to learn that he was adopted as a baby after being discovered in a handbag at a railway station.


In the second act Algernon decides to meet the little Cecily and goes to the country, in Manor House where Cecily studies supervised by Miss Prism.

He presents himself as Jack's brother, Earnest. Cecily, who has dreamed the mysterious Earnest, falls in love with Algernon.

Cecily also says that she loves the name Earnest.

Jack returns to his country with the news that his brother Earnest died in Paris, but he meets here Algernon.

Then Gwendolen goes to the county too and meets Cecily. The two women find that they seem to be engaged to an "Earnest Worthing".


In the third acts Lady Bracknell arrives in pursuit of her daughter. She still refuses to countenance the marriage of Jack with Gwendolen, while he, in retaliation, denies his consent to the marriage of Algernon to his heiress ward Cecily.

Then Miss Prism confesses that she had lost the baby of Lady Bracknell's sister in a handbag. It becomes clear that Jack is Lady Bracknell's nephew and Algernon's older brother. Jack discovers also that his real first name is Earnest!

In this way all the lies became true.


We can find in this funny comedy some amusing quotes, puns and paradoxes that make this work bright.





"To lose one parent may be regarded as a misfortune; to lose both looks like carelessness"


Lady Bracknell Oh, they count as Tories. They dine with us. Or come in the evening, at any rate. Now to minor matters. Are your parents living?

Jack I have lost both my parents.

Lady Bracknell To lose one parent, Mr. Worthing, may be regarded as a misfortune; to lose both looks like carelessness. Who was your father? He was evidently a man of some wealth. Was he born in what the Radical papers call the purple of commerce, or did he rise from the ranks of the aristocracy?

Jack I am afraid I really don't know. The fact is, Lady Bracknell, I said I had lost my parents. It would be nearer the truth to say that my parents seem to have lost me . . . I don't actually know who I am by birth. I was . . . well, I was found.

Lady Bracknell Found!

Jack The late Mr. Thomas Cardew, an old gentleman of a very charitable and kindly disposition, found me, and gave me the name of Worthing, because he happened to have a first-class ticket for Worthing in his pocket at the time. Worthing is a place in Sussex. It is a seaside resort.




"Conversation about the weather is the last refuge of the unimaginative."


Jack Charming day it has been, Miss Fairfax.

Gwendolen Pray don't talk to me about the weather, Mr. Worthing. Whenever people talk to me about the weather, I always feel quite certain that they mean something else. And that makes me so nervous.

Jack I do mean something else.

Gwendolen I thought so. In fact, I am never wrong.




"Arguments are to be avoided: they are always vulgar and often convincing."


Chasuble What do you think this means, Lady Bracknell?

Lady Bracknell I dare not even suspect, Dr. Chasuble. I need hardly tell you that in families of high position strange coincidences are not supposed to occur. They are hardly considered the thing.

[Noises heard overhead as if some one was throwing trunks about. Every one looks up.]

Cecily Uncle Jack seems strangely agitated.

Chasuble Your guardian has a very emotional nature.

Lady Bracknell This noise is extremely unpleasant. It sounds as if he was having an argument. I dislike arguments of any kind. They are always vulgar, and often convincing.







Curiosità di traduzione.

The importance of being Earnest, è stato comunemente tradotto nell'edizione italiana come L'importanza di chiamarsi Ernesto, questo titolo solo in parte rende giustizia all'originale.

Se da una parte il nome Ernesto ha un'evidente affinità fonetica con l'inglese Earnest non possiamo dire altrettanto del significato.

"Earnest are the people very serious and sincere in that they say or do, because they think that their actions and beliefs are important"

Oscar Wilde gioca molto sul significato del nome Earnest durante tutta la commedia e specialmente alla fine.

".I've now realised for the first time in my life the vital Importance of Being Earnest." Concentrandoci sul significato, potremmo tradurre questa frase in italiano "Io ora mi rendo conto per la prima volta della vitale importanza di essere onesto" ma la parola "onesto" non è un nome proprio di persona.

In una traduzione della commedia a opera di Ugo Bottalla la questione è stata risolta con una modifica al nome dei protagonisti, Earnest viene sostituito con il nome proprio Franco, che in lingua italiana ha un significato che di molto si avvicina all'earnest inglese.

L'opera così è stata presentata con il titolo L'importanza d'esser Franco.



















Bibliografia




Leopardi Giacomo, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, Edizioni Lavoro, Milano, 1998.


Nietzsche Friedrich, Umano troppo umano, Adelphi, Milano, 1965.


Roncoroni Federico, Il libro degli aforismi, Oscar Mondadori, Milano, 1989.


Wilde Oscar, Tutte le opere, teatro e poesia, Gherardo Casini editore, Roma, 1952.




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