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La chiesa di Santa Maria in Betlem




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La chiesa di Santa Maria in Betlem


Santa Maria in Betlem è la chiesa parrocchiale di Borgo Ticino. Per la sua particolare posizione, nel Medioevo era una chiesa extramuraria, vale a dire all'esterno delle mura della città, che terminavano sull'altra sponda del Ticino stesso. Sia per questo motivo, sia perché era potenzialmente sottoposta alle stagionali piene del fiume, la chiesa non veniva ritenuta di grande importanza, né in essa erano custoditi maestosi tesori: ecco perché, a differenza di molte altre chiese del periodo romanico, non possiede una cripta.

Il nome della chiesa prende origine dal fatto che si trovava sulla Via Francigena, strada frequentata dai pellegrini che erano soliti recarsi in visita a luoghi santi quali Betlemme, Roma o Santiago di Compostella: le località che si trovavano lungo il percorso prendevano spesso il nome di questi posti. Il fatto che si trovasse lungo questa strada, inoltre, portò alla formazione di un Ospedale per ospitare i pellegrini; fondato e mantenuto dagli Antoniniani, era situato nel fabbricato a mano destra della facciata, verso l'esterno della città, e fu probabilmente costruito attorno al 1100 (una delle date sicure è il 1130, in cui il sacerdote Raneiro lasciò ogni suo possedimento all'Ospedale di Santa Maria in Betlem, "ad usum pauperum et servitorum ipsius hospitalis"). L'Ospedale poteva, inoltre, contare sull'appoggio di numerosi protettori altolocati: basti pensare che, nel 1210, alla presenza dei vescovi di Mantova e di Pavia, Ottone IV sottoscrisse un atto per il quale prendeva sotto la sua imperiale protezione l'Ospedale, concedendogli diversi privilegi (per esempio, esonerandolo dal pagamento di vari tributi). Inoltre, l'Ospedale stesso dipese per lungo tempo dai Visconti di Pavia ed ottenne numerosi lasciti, incorporando più tardi i benefici del ricco Ospedale di Garlasco, di un altro situato in Val Tidone ed il patrimonio di un certo Canonico Bernardo. Nel 1575 esso era posto sotto la direzione di una "Compagnia di Disciplinati", detta di Santa Maria della Stella, alla quale si deve l'erezione del primo altare a sinistra nella basilica.

Oltre a questa aggiunta, la chiesa, nel corso dei secoli, subì numerosi interventi architettonici che la portarono, soprattutto in periodo barocco, ad assumere le caratteristiche tipiche di altri stili; queste modifiche furono in gran parte rimosse nel corso del '900, periodo in cui si tentò di riportare la chiesa alle sue qualità specifiche, del periodo romanico. La chiesa si presenta, quindi, oggi, molto simile a quella che doveva essere quando fu edificata.

La pianta, piuttosto semplice, presenta tre navate terminanti ciascuna in un abside (il maggiore è quello al centro, che si trova dietro l'altare principale); l'abside dominante fu decorato con lesene ed archetti, che, insieme alla profonda strombatura delle finestre presenti, tende ad alleggerire la struttura. La navata centrale è suddivisa in tre campate con volte a crociera, sorrette da archi a tutto sesto. Una cupola a base ottagonale si alza sopra l'altare; è rilevante, qui, la simbologia delle forme: dal quadrato della pianta, che rappresenta l'uomo, si alza un ottagono, rappresentante lo Spirito Santo, che lo lega alla semisfera della cupola, metafora del cielo e della perfezione divina. L'estradosso della cupola è ricoperto in cotto ed attorno ad essa si può notare che gli archi si fanno più bassi rispetto alla restante parte della chiesa: questo fatto, probabilmente, tendeva a creare una sorta di «stacco» (detto "iconostasi") dal resto dell'edificio, per porre l'accento sull'importanza di quella particolare zona. Un elemento di questo genere è tipico sia della tradizione cristiana, sia di altre tradizioni: lo ritroviamo, infatti, anche nel Tempio di Salomone. La chiesa, inoltre, ha un'altra particolarità: la pianta non possiede un transetto, ma, in alzato, si può notare che questo transetto è in realtà presente, poiché, in corrispondenza dell'altare, c'è una parte muraria più alta delle navate che lo determina.

All'interno, le campate e gli archi sono sorretti da pilastri compositi, che si sono ben conservati per merito del rivestimento barocco che per alcuni secoli li ha completamente ricoperti e - quindi - custoditi. I capitelli di queste colonne sono, in prevalenza, scolpiti nell'arenaria, materiale ricco, in genere usato per le chiese palatine (cioè di palazzo, come San Michele, che presentava addirittura due entrate con due distinte facciate, una per il popolo e l'altra per i sovrani). L'altro materiale usato era il cotto, meno ricco ma facilmente reperibile. I capitelli sono di ordine romanico, e narrano scene tratte dalla Bibbia o dalla vita di santi: in questo modo, potevano offrire al popolo, in gran parte analfabeta, un vivo e colorito racconto delle storie sacre, che non potevano essere apprese in altro modo (ad esempio, proprio con la lettura). Proprio nei pilastri si nota facilmente come, in quell'epoca, la simmetria non era considerata di grande valore: ne troviamo quindi alcuni che hanno una base composta da un quadrato ed una circonferenza intersecati, mentre altri presentano una parte inferiore formata da parti tutte circolari. Allo stesso modo, si può notare che a sinistra dell'altare c'è una monofora che non trova simmetria sul lato opposto: la simmetria troverà ampio spazio soltanto negli stili successivi.

Un'altra caratteristica tipica del Romanico è l'assenza di grandi fonti di luce; infatti, nella chiesa di Santa Maria in Betlem troviamo pochissime aperture: ad ogni campata corrisponde una sola monofora. Le bifore presenti, invece, risalgono al periodo barocco, in cui la tendenza era a fornire maggior luce alla chiesa. Sempre al periodo barocco risalgono i capitelli compositi, molto più ricchi e decorativi di quelli romanici.

La costruzione presentava, un tempo, sei cappelle laterali poste una accanto all'altra; ma, per problemi di stabilità e per lasciare spazio alla cappella ora esistente, le precedenti furono abbattute. Al loro posto ci sono, adesso, alcuni affreschi, rappresentanti simboli e santi (La Santissima Trinità, San Guniforto, o altri). Alla pianta della chiesa furono apportate anche altre modifiche: il blocco centrale fu separato dal campanile a base quadrata, che, però, porta ancora su di sé il segno di un arco, dovuto proprio al fatto che prima i due elementi erano uniti. La prima modifica alla chiesa fu, tuttavia, apportata quando essa venne estesa: l'antica pieve venne abbattuta e su di essa fu innalzato l'attuale edificio sacro; ma in esso è ancora ben visibile, sul pavimento, un mosaico nero che ne ricalca il vecchio perimetro.

Oltre a questo, è possibile che, sotto l'altare o in qualche altro punto importante per le funzioni religiose, fosse presente un altro mosaico, raffigurante un labirinto: questo simbolo era molto importante per la cattolicità medievale (ne abbiamo un esempio in quello che fu trovato nella basilica di san Michele). Come è noto, per gli uomini medievali il potersi recare in pellegrinaggio in una città santa aveva una grande importanza; ma non sempre era per loro possibile, in quanto, oltre ai possibili pericoli cui i viandanti erano sottoposti, il viaggio era necessariamente di lunga durata. Per sostituire il pellegrinaggio, erano allora presenti in molte città dei labirinti (esemplare quello di Gerusalemme), percorrendo i quali si poteva ugualmente ottenere l'indulgenza: ecco che il labirinto diventa simbolo di pellegrinaggio e di purificazione. Inoltre, spesso questi labirinti erano di forma circolare, che, fatta risalire a Dedalo, conferiva perfezione al cammino: dal Gotico in poi, questi labirinti si sposteranno però dietro il deambulatorio, diventando tridimensionali, mentre nel Romanico essi erano solo raffigurati da mosaici.

All'interno della chiesa si trovano, ad ogni modo, altri tipi di decorazione, tra cui numerosi affreschi che forse, in passato, ricoprivano interamente le pareti. Talvolta essi narrano della vita di Cristo: si va dall'Arcangelo alato che annuncia a Maria l'incarnazione di Gesù, al Battesimo del Cristo (sopra la nicchia di Maria Bambina), al tema della Crocifissione; ci sono, inoltre, scene tratte dall'antico testamento, come gli episodi di Ester e di Giuditta. Talvolta, gli affreschi trovano luogo perfino sulle chiavi di volta degli archi (per esempio, vi è presente la rappresentazione dell'Assunzione di Maria in cielo). Ma le raffigurazioni sacre non si limitarono agli affreschi, bensì si allargarono fino a trovare spazio anche, ad esempio, nella scultura; per cui troviamo statue di santi come San Rocco, particolarmente indicativo in quanto protettore dei pellegrini. Altre forme di illustrazioni sono presenti nelle vetrate, che risalgono, però, a periodi successivi al Romanico: particolarmente interessante è - tra queste - una scena sacra, in cui uno degli angeli ha i tratti della figlia morta della famiglia che donò la vetrata stessa.

Tornando alla chiesetta che precedeva l'attuale costruzione, possiamo ricordare che era dedicata a Maria Bambina: ne è, infatti, rimasta una statua, ora posta e venerata nella chiesa.

C'è però un'altra scultura che è caratteristica di questa chiesa: si tratta di una Madonna lignea dai tratti orientaleggianti, che, seduta su un povero sgabello, porta in testa un velo blu, decorato con numerose stelle, che lascia intravedere alcuni capelli. In braccio tiene il Bambino, il quale a sua volta tiene in mano un libro. Nell'altra mano della Madonna si può notare una stella, simile alle molte altre che si trovano nella chiesa: per esempio sulle pareti, sugli archi, sul cancello che chiude la cappella laterale, sulle porte o in sacrestia. La presenza della stella in mano alla Vergine è dovuta alla leggenda che caratterizza questa chiesa. Il racconto parte da Venezia; la città, costruita sul mare, viveva di commerci ed era quindi fornita di un notevole porto, che controllava i mercati di tutto il Mediterraneo. Una sera, al porto, giunse una giovane donna che, avvicinatasi ai marinai di una nave, chiese loro un passaggio per il giorno seguente, in cui l'imbarcazione avrebbe dovuto salpare. Dopo alcune incertezze, dovute al fatto che la persona in questione era una donna (e quindi, di nessuna utilità per i compiti sulla nave), i marinai decisero ugualmente di esaudire il suo desiderio e la accettarono a bordo. La leggenda narra che durante la notte, mentre tutti sulla nave dormivano, la nave si sia liberata dagli ormeggi e abbia risalito il Po e, poi, un tratto del Ticino. Al mattino, quando si svegliarono, i marinai si accorsero di trovarsi ben lontani da Venezia; si accorsero, inoltre, del fatto che la donna era scomparsa. Scesi a terra, la trovarono nelle vicinanze: in mano aveva una stella, e con l'altro braccio reggeva un bambino. Dopo questa scena, i marinai la videro scomparire, ma fecero innalzare sul luogo una chiesetta, dedicata alla stessa Vergine Maria che avevano visto.

Ma la chiesa del Borgo presenta anche un altro elemento, disgiunto dal resto della struttura: si tratta della cappella che si trova sul Ponte Coperto. Di origine settecentesca, fu ricostruita dopo la seconda Guerra mondiale, in cui il ponte fu bombardato e andò distrutto. Di originali restano, tuttavia, la statua di San Martino, venerato alla metà di maggio, e la campana. In ricordo della guerra, fu posta nella cappella una lapide con l'elenco dei caduti.

Molti sono, invece, gli elementi originari che si trovano sulla facciata della chiesa. A capanna, la facciata stessa è tripartita attraverso contrafforti tipicamente romanici, che creano continuità con la suddivisione interna delle navate. Essendo ricoperta di cotto, essa si presenta con toni che tendono al rossastro, ma le decorazioni sono per la maggior parte costituite di arenaria, e quindi bianche; a causa di quest'ultimo materiale, tuttavia, le sculture non si sono integralmente conservate. In alcune è ancora riconoscibile la forma d'origine: per esempio, si trovano elementi vegetali o, in una di esse, si distingue un leone che azzanna un agnello, simbolo del male che tenta di prevalere sull'uomo; è chiaro come, anche qui, l'intento fosse prevalentemente educativo, per il popolo. Al centro della facciata, dove in periodo barocco era presente un grande rosone, si nota che i mattoni sono di colore leggermente più scuro: questo fatto è dovuto ai restauri che, nel '900, hanno cercato di riportare tutta la chiesa alla sua condizione originale. Risalente a quel periodo è anche, sicuramente, l'impostazione della chiesa in modo che non fosse molto luminosa, come già dimostrato prima, per cui le aperture sono costituite da oculi. Altri elementi decorativi della facciata sono, in alto, i numerosi archetti pensili; e, oltre alla presenza di motivi floreali risalenti al '500 che tentano di richiamare i cassettoni dell'epoca, sulla facciata si trovano anche tracce di antichi piatti di ceramica, dei quali - però - ne resta solamente uno, in alto a destra: gli altri furono asportati da un nubifragio che, arrivando da ovest quando la chiesa non era ancora circondata da case, colpì soprattutto la facciata stessa. Nel complesso, tuttavia, si può affermare che in tutta la parte frontale c'è un tentativo di dare simmetria, tramite gli oculi, le bifore e la croce che è posta al centro della facciata, esattamente sopra l'ingresso.

L'entrata ed il portale sono sottolineati da una strombatura in arenaria, che presenta un duplice significato. Infatti, essa sta a significare sia le braccia aperte del Signore che accoglie il credente sia, risalendo agli antichi riti sacri che venivano usualmente celebrati in caverne, l'entrata di queste grotte. Perciò, anche gli elementi vegetali diventano ricostruzioni di quella natura che ospitava i cerimoniali e gli animali hanno la funzione di difendere chi sta pregando. Sopra il portone, invece, troviamo rappresentata, in un quadrato, una stella, che richiama la Vergine venerata all'interno.

Su tutto l'esterno si possono notare dei fori: sono le cosiddette "buche pontaie", che - durante la costruzione della chiesa - vennero utilizzate per sostenere quei legni che costituivano i ponteggi per l'edificazione; in basiliche di maggiore importanza questi buchi furono colmati, mentre qui ciò non avvenne.


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