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Carnevale di ivrea




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CARNEVALE DI IVREA


E' il più conosciuto carnevale storico, con la famosa e discussa Battaglia delle Arance, la più tranquilla fagiolata, etc.
I festeggiamenti iniziano il giorno dell'Epifania, annunciati dal suono della banda con il passaggio delle disposizioni al nuovo Generale, che arbitrerà il Carnevale. Numerose sfilate in maschera durante le domeniche e sfuochi d'artificio. Il momento cruciale è dato dalla Battaglia delle Arance lungo le vie cittadine, insolita ma suggestiva, non solo per la violenze e il realismo con cui il combattimento avviene, ma anche perché si utilizza un frutto che, da queste parti, nulla ha di tradizionale.
Si svolge dal giovedì al mercoledì delle Ceneri.

IL CARNEVALE DI SANTHIA'

Il secondo carnevale per importanza del Piemonte.
Quindici giorni prima del Carnevale si svolgeva la sfilata dei maiali (la 'Salamada')che, infiocchettati, venivano condotti al macello. la tradizione ora non viene più ripetuta. Ora il martedì Grasso si svolgono i 24 giochi di Gianduja (gare per i bambini) ed il Rogo del Babaciu (si brucia un fantoccio che rappresenta il Carnevale terminato), con uno spettacolo di fuochi artificiali.
Il Carnevale di Santhià è rappresentato da due maschere storiche, gli sposi Stevulin 'dla Plisera e Majutin dal Pampardu, che prendono il nome da due cascine realmente esistenti.

ROCCA GRIMALDA

Il Carnevale di Rocca Grimalda viene chiamato la Lachera, ed è uno dei Carnevali più emozionanti del Piemonte; risale all'antica usanza dello jus primæ noctis e si impone come una ribellione del popolo alle vessazioni dei signori.

PRESEPI VIVENTI

Nei piccoli centri rurali piemontesi si svolgono numerosi presepi viventi, ambientati nelle parti storiche dei paesi, dove sono rappresentati gli antichi mestieri e viene proposta la vita del primo novecento tra Alpi e pianura.

Classico è l'appuntamento del 24 dicembre, che termina con la S.S. Messa di Mezzanotte e l'arrivo di Giuseppe e Maria. Le diverse località ripetono a turno la rappresentazione che si svolge quasi sempre in tarda serata. Ad Adonno (CN), Belveglio (AT), Bolzano Novarese (NO), Buriasco (AL), Castellazzo Bormida (AL), Cessole (AT), Si svolge la sera del 24 dicembre a Cessole (Asti), località della langa astigiana situata nel cuore delle terre che producono il vino moscato d.o.c.g. e Asti spumante Giunto alla 20^ edizione, il Presepio vivente di Cessole racconta la natività del Bambin Gesù attraverso un percorso che si snoda nel paese vecchio, arroccato sulla collina. Tra anfratti e vecchi androni, la comunità cessolese ricostruisce scene e mestieri del vecchio mondo contadino, utilizzando attrezzi, tecniche e costumi originali di inizio secolo. La rappresentazione ha inizio alle ore 22.00 circa e si conclude con la tradizionale messa di mezzanotte. 

E ancora a Dogliani (CN), La Pro Loco di Dogliani Castello, propone nelle sere del 23 e 24 dicembre, a partire dalle ore 20.30, la rappresentazione del'Presepe vivente', una delle più grandi d'Italia con più di 350 figuranti. Nato nel 1975, quasi per scherzo, su iniziativa degli giovani componenti la Pro Loco Castello, é diventato, con il passare degli anni, una tradizione ed un appuntamento per migliaia di visitatori che giungono da ogni luogo, a Grognardo (AL), Moncucco Torinese (AT), Montegrosso (AT),  Peveragno (CN), Prea (CN), San Bartolomeo (CN), Sciolze (TO), Tassarolo (AL), Valgrana (CN), Villa Dora (TO).

Sacro Monte Assunta di Crea (1589)

Su questo bellissimo monte, probabilmente verso il 350 dopo Cristo, S. Eusebio ha edificato un Oratorio in onore della Madonna, per santificare questo luogo. Circa dieci anni dopo S. Eusebio avrebbe portato dall'Oriente tre statue della Madonna. Una sarebbe stata portata a Crea e le altre due a Oropa ed in Sardegna.
Le cappelle in origine dovevano essere 15, attualmente 23, più 5 romitori. Si tratta di un complesso di grande valore artistico e religioso, la cui costruzione ebbe inizio nel 1590. I fedeli possono ammirare la ricostruzione di avvenimenti legati alla vita della Madonna, realizzata con statue, rilievi e pitture di voluto stile realistico. Statue e pitture sono opera di vari artisti, tra cui si distinguono lo scultore fiammingo Jean de Wespin detto il Tabachetti e il pittore Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. Particolarmente suggestive le cappelle della 'salita al Calvario', opera originale e di forte ispirazione dello scultore casalese Leonardo Bistolfi; della Crocefissione, opera del fecondo Antonio Brilla; dell'Incoronazione di Maria o del paradiso, edificata sulla vetta del monte, in splendida posizione panoramica, notevole per il grande gruppo plastico formato da 175 angeli, sospeso al soffitto, e circondato da una corona di 300 beati.

CARNEVALE DI IVREA

E' il più conosciuto carnevale storico, con la famosa e discussa Battaglia delle Arance, la più tranquilla fagiolata, etc.
I festeggiamenti iniziano il giorno dell'Epifania, annunciati dal suono della banda con il passaggio delle disposizioni al nuovo Generale, che arbitrerà il Carnevale. Numerose sfilate in maschera durante le domeniche e sfuochi d'artificio. Il momento cruciale è dato dalla Battaglia delle Arance lungo le vie cittadine, insolita ma suggestiva, non solo per la violenze e il realismo con cui il combattimento avviene, ma anche perché si utilizza un frutto che, da queste parti, nulla ha di tradizionale.
Si svolge dal giovedì al mercoledì delle Ceneri.

IL CARNEVALE DI SANTHIA'

Il secondo carnevale per importanza del Piemonte.
Quindici giorni prima del Carnevale si svolgeva la sfilata dei maiali (la 'Salamada')che, infiocchettati, venivano condotti al macello. la tradizione ora non viene più ripetuta. Ora il martedì Grasso si svolgono i 24 giochi di Gianduja (gare per i bambini) ed il Rogo del Babaciu (si brucia un fantoccio che rappresenta il Carnevale terminato), con uno spettacolo di fuochi artificiali.
Il Carnevale di Santhià è rappresentato da due maschere storiche, gli sposi Stevulin 'dla Plisera e Majutin dal Pampardu, che prendono il nome da due cascine realmente esistenti.

ROCCA GRIMALDA

Il Carnevale di Rocca Grimalda viene chiamato la Lachera, ed è uno dei Carnevali più emozionanti del Piemonte; risale all'antica usanza dello jus primæ noctis e si impone come una ribellione del popolo alle vessazioni dei signori.

PRESEPI VIVENTI

Nei piccoli centri rurali piemontesi si svolgono numerosi presepi viventi, ambientati nelle parti storiche dei paesi, dove sono rappresentati gli antichi mestieri e viene proposta la vita del primo novecento tra Alpi e pianura.

Classico è l'appuntamento del 24 dicembre, che termina con la S.S. Messa di Mezzanotte e l'arrivo di Giuseppe e Maria. Le diverse località ripetono a turno la rappresentazione che si svolge quasi sempre in tarda serata. Ad Adonno (CN), Belveglio (AT), Bolzano Novarese (NO), Buriasco (AL), Castellazzo Bormida (AL), Cessole (AT), Si svolge la sera del 24 dicembre a Cessole (Asti), località della langa astigiana situata nel cuore delle terre che producono il vino moscato d.o.c.g. e Asti spumante Giunto alla 20^ edizione, il Presepio vivente di Cessole racconta la natività del Bambin Gesù attraverso un percorso che si snoda nel paese vecchio, arroccato sulla collina. Tra anfratti e vecchi androni, la comunità cessolese ricostruisce scene e mestieri del vecchio mondo contadino, utilizzando attrezzi, tecniche e costumi originali di inizio secolo. La rappresentazione ha inizio alle ore 22.00 circa e si conclude con la tradizionale messa di mezzanotte. 

E ancora a Dogliani (CN), La Pro Loco di Dogliani Castello, propone nelle sere del 23 e 24 dicembre, a partire dalle ore 20.30, la rappresentazione del'Presepe vivente', una delle più grandi d'Italia con più di 350 figuranti. Nato nel 1975, quasi per scherzo, su iniziativa degli giovani componenti la Pro Loco Castello, é diventato, con il passare degli anni, una tradizione ed un appuntamento per migliaia di visitatori che giungono da ogni luogo, a Grognardo (AL), Moncucco Torinese (AT), Montegrosso (AT),  Peveragno (CN), Prea (CN), San Bartolomeo (CN), Sciolze (TO), Tassarolo (AL), Valgrana (CN), Villa Dora (TO).

Sacro Monte Assunta di Crea (1589)

Su questo bellissimo monte, probabilmente verso il 350 dopo Cristo, S. Eusebio ha edificato un Oratorio in onore della Madonna, per santificare questo luogo. Circa dieci anni dopo S. Eusebio avrebbe portato dall'Oriente tre statue della Madonna. Una sarebbe stata portata a Crea e le altre due a Oropa ed in Sardegna.
Le cappelle in origine dovevano essere 15, attualmente 23, più 5 romitori. Si tratta di un complesso di grande valore artistico e religioso, la cui costruzione ebbe inizio nel 1590. I fedeli possono ammirare la ricostruzione di avvenimenti legati alla vita della Madonna, realizzata con statue, rilievi e pitture di voluto stile realistico. Statue e pitture sono opera di vari artisti, tra cui si distinguono lo scultore fiammingo Jean de Wespin detto il Tabachetti e il pittore Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. Particolarmente suggestive le cappelle della 'salita al Calvario', opera originale e di forte ispirazione dello scultore casalese Leonardo Bistolfi; della Crocefissione, opera del fecondo Antonio Brilla; dell'Incoronazione di Maria o del paradiso, edificata sulla vetta del monte, in splendida posizione panoramica, notevole per il grande gruppo plastico formato da 175 angeli, sospeso al soffitto, e circondato da una corona di 300 beati.

Sacro Monte della Beata Vergine di Oropa (1617)

I primi documenti che parlano di Oropa sono del Duecento e presentano il Santuario già come adulto. Nella Basilica Antica si venera la Madonna Nera, per tradizione portata e nascosta da S. Eusebio ad Oropa.
Dal primitivo sacello all'imponente Chiesa Nuova, lo sviluppo edilizio ed architettonico è stato grandioso. Vi contribuirono prestigiosi architetti come Filippo Juvarra, Guarino Guarini, Pietro Beltramo ed altri. Il complesso è articolato su tre piazzali a terrazza ed è imperniato su due grandi luoghi di culto: la Basilica Antica, realizzata all'inizio del XVII secolo, e la Chiesa Nuova, inaugurata nel 1960. Completano la struttura monumentali edifici, chiostri e la solenne scalinata che conduce alla Porta Regia.
Al di fuori delle mura del luogo di culto spicca il suggestivo Sacro Monte, formato da 19 cappelle. Edificato nel 1871, svetta l'imponente cimitero, ricco di rilevanti mausolei, tra cui quello a forma di piramide dello statista Quintino Sella. I primi documenti che parlano di Oropa sono del Duecento e presentano il Santuario già come adulto. Nella Basilica Antica si venera la Madonna Nera, per tradizione portata e nascosta da S. Eusebio ad Oropa.
Dal primitivo sacello all'imponente Chiesa Nuova, lo sviluppo edilizio ed architettonico è stato grandioso. Vi contribuirono prestigiosi architetti come Filippo Juvarra, Guarino Guarini, Pietro Beltramo ed altri. Il complesso è articolato su tre piazzali a terrazza ed è imperniato su due grandi luoghi di culto: la Basilica Antica, realizzata all'inizio del XVII secolo, e la Chiesa Nuova, inaugurata nel 1960. Completano la struttura monumentali edifici, chiostri e la solenne scalinata che conduce alla Porta Regia.
Al di fuori delle mura del luogo di culto spicca il suggestivo Sacro Monte, formato da 19 cappelle. Edificato nel 1871, svetta l'imponente cimitero, ricco di rilevanti mausolei, tra cui quello a forma di piramide dello statista Quintino Sella.


Sacro Monte di San Francesco di Orta San Giulio (1590)

Il Sacro Monte d'Orta è un percorso devozionale, costituito da venti cappelle affrescate, completate da gruppi statuari di grandezza naturale in terracotta che illustrano la vita di San Francesco d'Assisi. I lavori di costruzione del complesso religioso iniziarono nel 1590 grazie all'iniziativa congiunta della comunità ortese e dell'abate novarese Amico Canobio, e di altre volontà. I lavori del cantiere del Sacro Monte d'Orta, in varie fasi, si protrassero sino alla fine del Settecento.
Nella prima fase costruttiva le soluzioni architettoniche prescelte fanno riferimento a modelli tardo rinascimentali: attivi in questa fase, tra gli altri, lo scultore Cristoforo Prestinari, i pittori Giovanni Battista e Giovanni Mauro della Rovere e il Morazzone.
Dalla metà del Seicento si fa strada un profondo cambiamento nel modo di intendere il percorso sacro che viene riproposto in chiave di sfolgorante spettacolo barocco: protagonisti in questa fase sono lo scultore Dionigi Bussola ed i pittori fratelli Nuvolone.
A fine secolo il pittore lombardo Stefano Maria Legnani introduce al Sacro Monte il nuovo gusto rococò che contraddistingue anche gli interventi settecenteschi, sia per gli affreschi che per le sculture realizzate dal Beretta. A fine settecento si chiude definitivamente la storia del cantiere del Monte con la costruzione della neoclassica Cappella Nuova, rimasta incompiuta.

Sacro Monte di Belmonte, Valperga (1712)

I lavori ebbero inizio il 17 giugno 1712 e l'opera trovò il suo compimento nel 1781 e nel 1825 fu completata anche l'ultima cappella, la tredicesima. La quattordicesima, quella del Santo Sepolcro, fu inglobata nella foresteria annessa al convento e in seguito venne distrutta e già alla fine del XVIII secolo non si hanno più notizie di tale cappella. Tra il 1877 e il 1880 sul sentiero, opposto al Sacro Monte, che conduce da Valperga al santuario furono eretti quindici piloni decorati con affreschi e dedicati ai Misteri del Rosario. Due percorsi devozionali quindi per giungere alla cima, il santuario, punto di arrivo dopo il cammino fisico e spirituale.
Nei pressi della cappella dedicata alla Crocifissione, nel 1960 venne posta, sull'altura più alta del rilievo, una grande statua in bronzo di 4 metri e mezzo di altezza raffigurante san Francesco d'Assisi.
Lo spettacolo naturalistico e paesaggistico contribuisce a rendere il luogo molto suggestivo. La linea distributiva delle singole cappelle segue un'impostazione «spiraliforme». Non si hanno notizie sulle maestranze che operarono al Sacro Monte di Belmonte, né gli autori delle cappelle, né i plasticatori dei gruppi statuari. È probabile che si tratti di artisti del luogo, influenzati da altri modelli e in particolare dal Sacro Monte di Varallo.


La Passione di Cristo di Belvedere Langhe


Belvedere Langhe è un antico borgo che sorge su un alto colle dal quale si gode una splendida vista sul paesaggio circostante. Durante la Settimana Santa ha luogo la sacra rappresentazione della Passione di Gesù, un tradizione che nacque nel 1700 sottoforma orale e che venne tradotta per iscritto in un dramma di cinque atti alla fine del 1800.

Negli ultimi anni la rappresentazione ha avuto un forte impulso, sviluppandosi in una forma teatrale molto suggestiva. L'intero paese si trasforma nell'antica Gerusalemme, attrezzato con diverse postazioni presso le quali i figuranti inscenano i passaggi più importanti dell'evento della Passione, immersi in magiche atmosfere create dai bagliori delle torce e dei falò.


La Processione del Giovedi Santo a Venaus


Si tiene il tardo pomeriggio del Giovedì Santo, e vengono rappresentati la vai crucis di Cristo, con la confraternita maschile e femminile del Santo Rosario ed i 12 apostoli.

Si svolge una processione, per le vie del paese e per la campagna, che segue il Cristo con la croce in spalla; nella sacrestia della Chiesa si svolge il rito della lavanda dei piedi e si leggono brani della Passione.


I Krumiri di Casale Monferrato


Sono biscotti caratteristici di Casale Monferrato, secchi (a base di burro, uova, zucchero e farina), un po' ricurvi, poiché, si dice, dovevano imitare la forma dei baffi di re Vittorio Emanuele II.
Sono stati brevettati nel 1870 da Domenico Rossi, pasticcere di Casale, per alcuni suoi amici che frequentavano il Caffè della Concordia, che sorgeva in piazza Mazzini.

All'origine del nome, peraltro molto incerta, forse c'è la pastafrolla, la quale è molto 'capricciosa', fa sempre quello che vuole, rendendo i Krumiri come dotati di volontà propria. Infatti il termine vagamente dispregiativo dato a questi biscotti ha in qualche modo a che fare con una tribù araba molto violenta, le cui scorribande in Tunisia nel 1881 furono il pretesto per l'invasione francese della regione. Tutto perché non si riesce a stabilizzare la forma di questo prezioso dolcetto: se le pasticcerie artigianali aiutano la piega con un leggero movimento del vassoio che contiene l'impasto, per un'industria come la Bistefani il problema si rivelò molto più complesso. Fu progettata così non solo una macchina che 'storta' i Krumiri, ma anche quella che a fine cottura controlla la giusta 'stortezza'.
E' veramente un biscotto capriccioso: ogni Krumiro è diverso dagli altri.


Gli Amaretti


E' un biscotto secco o morbido, leggermente amaro, caratteristico di molte zone del Piemonte. L'origine di questo dolce si fa risalire a Francesco Moriondo, cuoco e pasticcere alla corte dei Savoia nella prima metà del Settecento; si trasferì in seguito a Mombaruzzo (Asti), dove cominciò a produrre in proprio il suo dolce. Da allora il paese è noto per gli amaretti e tuttora operano i discendenti del grande pasticcere.

Esistono altre ottime produzioni di amaretti, oltre a Mombaruzzo, come ad esempio a Gavi (Alessandria) e in genere nelle zone al confine con la Liguria. A Orta, sul lago omonimo, si producono gli 'amaretti del Sacro Monte', mentre ad Arona, sul Lago Maggiore, sono tradizionali gli 'amaretti di San Carlone'. A Castellamonte sono famosi gli amaretti morbidi, prodotti secondo un'antica ricetta.

Questo prodotto avvolto con pastella e fatto friggere in padella viene spesso inserito tra i componenti del fritto misto alla piemontese. Sono, inoltre, usati in moltissimi dolci come il classico bonet.


Il bounet


Il bounet è un dolce tipico al cucchiaio, a base di amaretti, cacao, uova, panna e caramello. Viene servito freddo ed è un modo irrinunciabile di terminare un vero pranzo 'alla piemontese'. 


I Nocciolini di Chiasso


Piccolissimi amaretti caratteristici di Chivasso (Torino), sono una delle specialità dolciarie più ricercate del Piemonte. L'elemento base è la rinomata nocciola tonda delle Langhe, che viene tritata e pestata, con zucchero e bianco d'uovo. Una delle più antiche produttrici di nocciolini di Chivasso è la pasticceria Bernardi, fondata nel 1832.


I Tirolin di Isola d'Asti


Biscotti tipici dell'Astigiano e in particolare di Isola d'Asti. Sono spesso conditi con zenzero e cannella.


Il torrone

E' il dolce piemontese con le origini più remote: esiste una testimonianza di Plinio, epoca romana, secondo il quale veniva prodotto, ad opera dei Taurini, una popolazione locale, un dolce a base di miele e di pinoli; l'antenato del Torrone. Era diffuso anche nel medioevo: venne servito in occasione delle nozze di Gian Galeazzo Visconti nel 1395.

Il Torrone piemontese si distingue da quello classico cremonese per l'utilizzo delle nocciole al posto delle mandorle. La modifica fu realizzata nel 1885 a Gallo d'Alba, frazione di Grinzane Cavour (Cuneo), ad opera del pasticcere Giuseppe Sebaste, che utilizzò le nocciole, abbondanti e poco costose nelle Langhe.

Nel dolce vengono usati anche miele, zucchero e bianco d'uovo, impastati per una decina di ore.

La tradizione vuole che il torrone non manchi mai sulle tavole natalizie piemontesi, anche se in quasi tutte le principali feste e sagre della regione non manca mai una bancarella con il classico marchio 'Sebaste Gallo d'Alba'. 


Baci di dama


Tipici dolci diffusi in tutto il Piemonte, in genere composti da due piccoli biscotti rotondi, a base di nocciole, tra i quali c'è una crema. Alcuni tipi di Baci, invece che i biscotti racchiudono la crema tra due amaretti o tre due meringhe. Sono prodotti in particolare a Canelli (AT), ad Alessandria e provincia, a Susa (TO), a Cuneo.


Croccanti del Ciavarin

Nati dalla tradizione dei prestinai di Candelo, sono dolci secchi, friabili di gusto caramellato, profumati di mandorle e fiori d'arancio. Il nome deriverebbe dal secondo mestiere (fabbro fabbricante di chiavi) che l'ideatore della ricetta esercitava affiancandolo a quello di fornaio. I croccanti del Ciavarin sono in vendita presso una nota pasticceria di Cossato e da un fornaio di Candelo.

Il cardo gobbo di Nizza Monferrato

E' gobbo perché appare fisicamente curvato, quasi accartocciato su se stesso. Oltre all'aspetto, possiede altre esclusività, in primo luogo il colore: bianco panna, che sa esprimere già alla vista un sentore di dolcezza e fragilità; poi il croccante delicato, si spezza al contatto e subito si scurisce. Infine al palato è deliziosamente dolce, probabilmente l'unica specie di cardo che si può mangiare anche crudo senza condimento.
Nizza è la città capoluogo della sua area produttiva, ma è molto estesa la coltivazione anche nelle vicine Incisa Scapaccino e Castelnuovo Belbo. Infatti i terreni sabbiosi di origine alluvionale che costeggiano il fiume Belbo, insieme ad un clima autunnale nebbioso e freddo, consentono la buona crescita del cardo. Ma ci vogliono anche l'esperienza e le cure assidue dei 'cardaroli', che utilizzano solo il tipo spadone. La semina avviene in primavera avanzata; nel corso dell'estate le piantine vengono diradate, a fine settembre vengono scalzate da un lato, coricate e progressivamente coperte di terra. Questo procedimento, con la complicità delle brume novembrine, provoca l'incurvamento e l'imbianchimento del cardo, che giunge a completa maturazione soltanto quando le prime gelate ne ammorbidiscono l'aspra fibrosità.
Il cardo gobbo trova il suo trionfo maggiore nella bagna cauda, prestando inoltre le sue inconfondibili peculiarità per la preparazione di tortini o flan in accompagnamento a fonduta, oppure appena scottato nell'acqua salata e fornito come base di fondute o di salse con l'acciuga.

La nocciola piemontese

E' uno dei prodotti tipici piemontesi più conosciuti.
Il nocciolo è ritenuto uno dei vegetali più antichi. Cresce spontaneo in molte zone e ama i terreni collinari. In Piemonte, Cuneo, Asti e Alessandria sono centri rinomati per questa coltivazione. Le aree dove i noccioleti costituiscono una coltura specializzata sono l'Alta Langa, il Cebano, le Langhe albesi e il Roero, in provincia di Cuneo. Nell'astigiano si segnalano le colline lungo il fiume Belbo, Tiglione e il Basso Bormida. L'Alto Bormida è la zona che interessa questa coltura nell'Alessandrino. La celebre Tonda Gentile delle Langhe è molto pregiata per la sua bella forma e la resa elevata alla sgusciatura e alla tostatura, quindi per la facilità con cui si pela il seme e per la finezza del suo sapore e del suo aroma. Dal 1993 è protetta dalla denominazione d'origine IGP (Indicazione Geografica Protetta) ed è una delle più utilizzate nell'alta pasticceria di
tutto il mondo. La nocciola si utilizza in granella o in pasta per fare cioccolato, creme, gelati e torroni

Il peperone quadrato della Motta

La prima denominazione d'origine è stata 'Peperone quadrato d'Asti, rosso e giallo', ma è più giusto riconoscergli l'originalità della Motta, una piccola fertilissima frazione di Costigliole d'Asti.
Rossi e gialli, in prevalenza gialli con tracce di verde, quadrati, robusti e anche pesanti, con polpa carnosa e delicata, molto profumata.
La stagione di raccolta è centrata nel mese di luglio; per assaggiarlo al meglio crudo è necessario aprirlo e spezzarlo con le mani senza usare il coltello, nella maniera tradizionale, accompagnato con un filo d'olio e magari un'acciuga. Peperoni e coniglio è un classico, come anche intinti nella bagnacauda, ma ancora più tipica astigiana è la peperonata, misto di pomodori e peperoni cotti.
Si può conservare sott'aceto o meglio, dopo essere stato scottato sulla griglia, dentro barattoli trattati a bagnomaria.

I Corzetti di Novi Ligure

Si tratta di un tipo di pasta la cui origine si perde nella memoria collettiva, poco conosciuta al di fuori della ristretta area di produzione. I Corzetti sono tipici di Novi Ligure (Alessandria), dove hanno ispirato anche un'Accademia.
Hanno una forma tonda e sottile, che una volta era diversa per ogni famiglia, gelosa custode dello stampo in legno con il proprio marchio da imprimervi sopra.  Vengono conditi con il pesto ligure o con il sugo di funghi e salsiccia.

La salama

Anche 'Salamà', si tratta di un salame cotto tipico di molti centri dell'Astigiano e del Monferrato.
Viene prodotto con carni suine magre di seconda qualità mescolate a lardo e viene insaporito con pepe, sale, chiodi di garofano, cannella e vino rosso.
Si consuma freddo, dopo cottura.

Salame mica

Salame a grana media grossa originaria delle montagne valsusine, diffusamente usato per il modico costo; infatti si elimina il costo del budello, usando al posto erbe e farine prodotte in casa. Veniva conservato a lungo nelle farine di frumento e di segale.

Salsiccia di riso

Detta anche salame bastardo o dei poveri; è tipico di Curino dove viene preparato con riso impastato a cotiche, ventresca, succo di aglio, sale e vino locale mescolato a sangue. Si asciuga su fuoco di ginepro e si consuma, dopo lessatura, fresco o conservato in olla.


BAGNA CAUDA

Ed ecco il piatto tipico per eccellenza del Piemonte. 
Antipasto e talvolta piatto unico gloria e specialità del vecchio Piemonte, simbolo delle amicizie, del focolare nelle vecchie cascine dove sarebbe nata.

Incerta è l'origine del nome: BAGNA, che in Piemonte sta per salsa o sugo e fin qui non si scappa; CAUDA, che sta per calda, ma che potrebbe derivare da Monsù Coda, il biellese che l'avrebbe inventata. Preferiamo la prima versione, che ci riporta alla vera tradizione agreste piemontese, poiché la Bagna Cauda si deve consumare caldissima. 

Dopo le fatiche della vendemmia e della vinificazione, vignaioli, contadini, famigliari e amici sedevano attorno al desco con al centro la 'scionfetta' (stufetta alla brace) e sopra il 'dianet' (recipiente di terracotta) entro il quale stava al caldo - senza mai bollire!- la 'bagna', ed in cui ogni commensale intingeva ('as poncia') ogni tipo di ortaggio, soprattutto cardi di Nizza e i peperoni, poi pane o crostini.



Per raggiungere Lanzo, da cui si dipartono le tre Valli, è consigliabile da Torino seguire al 'Direttissima', un rettilineo di circa 30 km che attraversa una zona ricca di storia e testimonianze del passato.
La prima tappa è a Venaria Reale con la Piazza dell'Annunziata, tipico esempio di urbanistica barocca e soprattutto il Castello del 1600 (opera tra gli altri di Juvarra a Alfieri), attualmente sede di importanti restauri. Dal Castello si può proseguire per un viale alberato fino alla Tenuta della Mandria, creata da Vittorio Amedeo II nel 1713 come allevamento di cavalli, poi divenuta riserva di caccia e ora Parco Regionale.
Da Venaria si prosegue per Caselle Torinese, sede dell'Aeroporto di Torino. La città vanta antiche tradizioni tipografiche, già nel 1200 era sede di una cartiera. Da visitare il Municipio, un ex convento, all'interno del quale si trova una pala della Madonna del Popolo, dei primi del 1500, dipinta dallo Spanzotti e da Defendente Ferrari. Interessante anche l'ex-castello dei Savoia-Carignano con il seicentesco cortile affrescato.
L'itinerario prosegue verso San Maurizio Canavese, importante centro nel Medioevo, ospita un'antica pieve del XI secolo, ampliata in epoche successive. Al suo interno sono custoditi affreschi del 1400 ed un trittico attribuito alla bottega di Girolamo Giovenone. La Chiesa Parrocchiale risale al 1500 ed è dotata di un bel campanile alto 51 metri, eretto nel 1764 da Lodovico Antonio del Bo.
Da San Maurizio si giunge a Ciriè, attivo centro industriale di origini romane; appartenne ai Marchesi del Monferrato nell'XI secolo, successivamente si alleò come libero comune con Torino nel 1230 ed infine passò ai Savoia. Da visitare il Duomo del secolo XIII-XIV, di stile gotico-romanico: la facciata è tripartita, ha un bel campanile ed uno splendido portale gotico del 1400 in cotto. All'interno della chiesa sono conservati un crocifisso del 1300 e una pala di Defendente Ferrari (La Madonna del Popolo). Il centro della città conserva ancora pregevoli testimonianze di case del 1300 e 1400; interessante la Confraternita del S. Sudario, con una tavola attribuita alla scuola di Defendente Ferrari.
Fuori città, in direzione Lanzo, sorge la Chiesa di San Martino di Liramo, di origine romanica, che contiene affreschi del XV secolo e lapidi funerarie romane.
Dirigendosi verso San Carlo Canavese si incontra la Cappella di Santa Maria di Spinterano, edificio romanico del XI secolo che conserva intatto il campanile e l'abside, è stata affrescata nel 1400 da Domenico Della Marca.
A questo punto si arriva a Grosso, noto per la lavorazione del legno. Nel paese sorge un massiccio castello del 1655, con interni decorati, e la chiesa di San Ferriolo (nella campagna circostante) del XI secolo, che conserva molte delle caratteristiche architettoniche dell'epoca oltre ad affreschi della scuola di Reichenau.
La tappa successiva è Balangero, che ospita la Chiesa Parrocchiale di San Giacomo del Quarini, parzialmente incompiuta, ed i resti del castello del XI secolo, voluto da Berengario di Ivrea, da cui il nome del paese.
L'itinerario si conclude a Lanzo, dove è interessante visitare il nucleo medioevale con le strette vie, le 'chitane', attraversate in alto da archi che vanno da una casa all'altra. Suggestivo e famoso il Ponte del Diavolo, costruito arditamente nel 1378 su una profonda gola della Stura e da sempre oggetto di 'diaboliche' leggende.


La ricostruzione storica del Carnevale di Ivrea evidenzia due momenti distinti:

-un Carnevale sei-settecentesco, contraddistinto da elementi arcaici e comuni nei vari momenti festivi dell'epoca;

-un Carnevale ottocentesco in cui la municipalità eporediese se ne impossessa, anzi il Carnevale diventa supporto essenziale per una nuova identità urbana.

La prima fase testimonia come sino ad allora la manifestazione fosse stata un momento essenzialmente popolare e pubblico, governato dalle badie giovanili.
Gli Abbà, che troviamo documentati ad Ivrea alla guida dei cortei carnevaleschi, erano i rappresentanti di " quel mondo alla rovescia, i "tutori del disordine". I giovani eporediesi accompagnati dalle bande di pifferi e tamburi assumevano quell'aspetto militaresco tipico componente nel rituale delle feste per l'avvento della primavera.
I vari festeggiamenti di carnevale erano divisi tra le varie parrocchie e avevano nell'abbruciamento degli scarli, il martedì grasso, il loro momento principale. Quest'ultimo rito prendeva inizio con "le zappate", il riavvolgimento della zolla di terra, elemento carico di significati per propiziare la fertilità. In questa simbologia
è fondamentale la presenza degli ultimi sposi dei vari rioni, incaricati di dare inizio simbolicamente allo scavo delle fosse per l'erezione degli scarli. Gli Abbà, la sacralità delle fiamme nel gran falò di chiusura, e la zappata, erano gli unici momenti di ritualità obbligata in una festa che nella logica del carnevale viveva la sua natura trasgressiva.
La funzione sociale dei giovani, come detentori degli usi tipici
del "mondo alla rovescia", ovvero dei giorni di carnevale, si può supporre che fosse il traino per affollare mascherate a piedi, a cavallo e sui carri. Partendo da questo sostrato di antiche reminescenze, la festa eporediese venne ampiamente rivisitata durante il XIX secolo.
Le riforme dell'Ottocento avviarono poi un processo di storicizzazione: ad un carnevale per nulla storico, si sovrappose una rappresentazione di libertà. Il carnevale diviene indice di grandezza cittadina, i grandiosi ricordi della storia di Ivrea trovano linfa vitale nei successivi momenti della storia nazionale: dapprima della cultura dello Stato Sabaudo della Restaurazione, ed in seguito in un manifestarsi crescente degli entusiasmi di un Risorgimento Nazionale. La rivisitazione o l'invenzione della "leggenda del carnevale di Ivrea" va dunque collocata all'interno di quell'ampio fenomeno culturale caratterizzante l'ottocento europeo.
Per circa mezzo secolo fiorirono racconti, ballate, epici romanzi.
Il 1858 segna il momento più alto di questa rivisitazione. Nel corso del galà carnevalesco fu introdotto un carro trionfale recante l'eroina della festa, la Vezzosa Mugnaia. Il carro era preceduto da araldi, trombettieri, armigeri in costume di medioevo e da scudieri portanti il picco e la zappa. Dall'alto del loro cocchio dorato, le Mugnaie Eporediesi, indossati i colori del Risorgimenti nazionale, attraverseranno tutto il restante ottocento per giungere con il loro sottile fascino sino ai giorni nostri. Nella figura di Violetta si coglie dunque una esplicita allegoria volta a raccontare il sogno e le aspirazioni risorgimentali di una città della provincia eporediese di metà secolo.

La Mugnaia: tra storia e leggenda

E' il personaggio più importante
della manifestazione, l'eroina
che è stata elevata a simbolo
della libertà conquistata dal popolo in rivolta contro il tiranno feudale. All'epoca del marchese Raineri
di Biandrate, la giovane popolana
e novella sposa Violetta, si oppose con coraggio alle attenzioni del tiranno che, non contento di vessare il popolo con tasse e maltrattamenti, aveva imposto
alle giovani spose lo jus primae noctis.
Salita al castello la sera
delle nozze, questa giovane giurò
al marito Toniotto che non avrebbe accettato un simile ricatto.
Estratto improvvisamente un pugnale dalle vesti, mozzò la testa
del tiranno e la mostrò al popolo intero dagli spalti del castello.
Fu il segno della rivolta. Il maniero fu subito preso e incendiato
e il popolo giurò che in quel luogo non si sarebbe mai più costruito nulla. Ambientata nell'alto Medioevo, questa leggenda, come tutte, ha un fondo di storia: a quell'epoca, infatti, la Dora Baltea era costellata di numerosi mulini natanti; forse la rivolta eporediese
fu causata dall'ennesima tassa sul macinato, ma il suo ricordo si è tramandato nel tempo attraverso l'immagine della vezzosa Violetta che liberò l'intera città.

Il Generale e lo Stato Maggiore

Prima della dominazione napoleonica il carnevale eporediese era celebra-
to autonomamente da ogni rione, questo però
creava una forte rivalità che spesso sfociava in
scontri violenti e sanguinosi.
All'inizio dell'ottocento,
in piena occupazione napoleonica, le autorità civili e militari, preoccupati per l'ordine pubblico, istituirono una sorta di "servizio d'ordine" delle manifestazioni.
A capo di questo gruppo di controllo nel 1808 venne nominato un uomo che, godendo di grande prestigio presso la cittadinanza, ben rappresentava la cultura e l'orgoglio municipalista, soprattutto quando i carnevali rionali vennero unificati in un'unica grande festa cittadina.
Secondo la tradizione, l'Imperatore nominò tale cittadino Generale inficiandolo del titolo e della suprema uniforme dell'esercito napoleonico. Inoltre allo stesso Generale fu concesso di chiamare con se altre persone che, in veste di Ufficiali dello Stato Maggiore, lo aiutassero nei suoi compiti.
Il Generale entra in carica il 6 di gennaio di ogni anno quando riceve dall'interprete dell'edizione precedente la feluca e la sciabola.
Il Giovedì grasso poi, otterrà dal Sindaco, nella cerimonia del "Passaggio dei Poteri", la fascia di primo cittadino insieme agli oneri (oggi ovviamente simbolici) del controllo dell'ordine pubblico.
E' assistito e coadiuvato da un drappello di Ufficiali dello Stato Maggiore, tra i quali poi provvede a nominare gli Aiutanti di Campo e le Vivandiere.

Il Sostituto Gran Cancelliere

Una figura estremamente importante nella storia del Carnevale di Ivrea
è rappresentata dal Sostituto Gran Cancelliere. Agli inizi dell'ottocento, quando
la manifestazione divenne unica, si volle che ogni avvenimento ed ogni cerimonia carnevalesca fosse minuziosamente annotato in un apposito libro, dal decano dei notai della città, nominato Gran Cancelliere. Poiché i notai solitamente erano molto indaffarati e poco propensi ad andarsene in giro per le vie cittadine in sella ad un cavallo, usavano servirsi di una persona di fiducia nel redigere i loro atti.
Fu nominato perciò un Sostituto Gran Cancelliere. Questi è sempre presente, a fianco del Generale e dello Stato Maggiore, ad ogni atto ufficiale per poterne dare precisa testimonianza.
In abito di velluto nero, parrucca bianca a cannoni, con codino sotto il tricorno, bianchi gilet e camicia con jabot e polsi in pizzo, calzoni al ginocchio su calze bianche, il Sostituto cavalca portando con se una copia del Libro dei Verbali. Quello autentico, sul quale annota con meticolosa precisione lo svolgersi delle cerimonie secondo il protocollo, è custodito in un posto sicuro, in quanto durante la manifestazione è l'unico ad avere la responsabilità di tale documento.

I Pifferi e Tamburi

I Pifferi e Tamburi hanno un'importante storia alle spalle. Si pensa che al tempo di Emanuele Filiberto, nel castello delle quattro torri, risiedessero stabilmente
una banda di Pifferi e Tamburi al servizio del presidio eporediese.
Oggi la banda dei pifferai e tamburini è diretta dal primo piffero che detta gli attacchi a e da un tamburo maggiore che da il ritmo. L'uniforme del gruppo è storica e comprende il berretto frigio al capo, corto alla francese, giubba rossa con collo e risvolti dei polsi verdi, bottoni metallici dorati, calzoni verdi con banda rossa. Gli strumenti del complesso sono i piccoli pifferi, i tamburi e la grancassa. Le suonate sono in tutto trentadue, tra cui spiccano cinque Diane, suonate in occasione dell'alzata degli Abbà, durante
il "Pianta il Pich" e in occasione dell'abbruciamento degli scarli, una Generala suonata ogni volta che il Generale scende da cavallo per congedarsi e durante la marcia del funerale il martedì sera.
Inoltre, in tutti i pranzi ufficiali viene intonata L'alzata da Tavola, che segna la chiusura dei pranzi ufficiali ed è composta dalle cinque marce dei rioni della città suonate tutte di seguito.

Gli Abbà

I dieci bambini in ricchi costumi rinascimentali rappresentano i priori delle cinque parrocchie di Ivrea; nel '700 l'Abbà era a capo della Badia, un'associazione di giovani che organizzava feste e portava come insegna un pane conficcato su di una picca.
Oggi gli Abbà mostrano invece uno spadino con un'arancia infilzata, a simboleggiare la testa mozzata del tiranno
e il Martedì grasso hanno il compito di appiccare il fuoco allo scarlo issato nella propria piazza rionale.
L'Abbà viene presentato alla città dal Generale nelle due domeniche precedenti il carnevale, durante la cerimonia dell'alzata.


Il Podestà e i Credendari

Supremo capo del governo del Comune, il Podestà veniva nominato, sin dal XIV secolo, dai Credendari,
i Consiglieri comunali dell'epoca, ed
era responsabile dell'amministrazione e della giustizia. Scelto fuori del comune per garantire la sua imparzialità,
il Podestà quando entrava in carica, dopo aver giurato sul libro degli Statuti, andava a prelevare con un apposito martello conservato presso
il municipio cittadino, un sasso tra i ruderi del Castellazzo e lo gettava in Dora come spregio al Marchese del Monferrato. La cerimonia si ripete ogni anno, al mattino della domenica di carnevale.
Da alcuni anni è stata anche ripresa l'antica tradizione dell'offerta dei ceri da parte della città, rappresentata dal Podestà al Vescovo. Si svolge in forma solenne nel giorno dell'Epifania presso la cappella dei Tre Re, sul monte Pautro, ovvero il Monte Stella.


Gli Alfieri

Gli Alfieri aprono la Marcia del Carnevale di Ivrea, portando le bandiere storiche delle Parrocchie o rioni cittadini.
In passato tale compito è stato per lungo tempo demandato a singole persone ingaggiate e raggruppate casualmente dal Comune, ed ha così perso, progressivamente, l'importanza ed il valore che gli compete
Dal 1996, un gruppo di appassionati
si è offerto per ricoprire questo ruolo, riorganizzando la gestione del servizio di 'portabandiera' e rivalutandone l'immagine.
Nel 1998 il gruppo ha costituito l'Associazione Alfieri, confermando la disponibilità ad aprire il Corteo Storico rendendo onore agli antichi vessilli ed alle nove parrocchie cittadine che essi rappresentano, ed attivandosi attraverso nuove importanti azioni volte a riqualificare l'immagine degli Alfieri ed a riaffermare l'importanza delle bandiere.
Dal 1996, un gruppo di giovani amici (originato dal gruppo arbitrario degli Eporediae Paçdaran) su incarico dell'allora Generale Paolo Bravo, si è offerto per ricoprire questo ruolo, riorganizzando la gestione del servizio di 'portabandiera' e rivalutandone l'immagine. Nel 1998 il gruppo ha costituito l'Associazione Alfieri, confermando la disponibilità ad aprire il Corteo Storico rendendo onore agli antichi vessilli ed alle nove parrocchie cittadine che essi rappresentano, ed attivandosi attraverso nuove importanti azioni volte a riqualificare l'immagine degli Alfieri ed a riaffermare l'importanza delle bandiere.

La Scorta della Mugnaia

Il drappello che indossa la splendida uniforme dell'esercito italico è la scorta della Mugnaia

Il tradizionale getto delle arance affonda le sue radici intorno alla metà dell'ottocento. Ancor prima, e più precisamente nel Medioevo, erano i fagioli i protagonisti della battaglia.
Si narra infatti che due volte all'anno il feudatario donasse una pignatta di fagioli alle famiglie povere e queste, per disprezzo, gettassero i fagioli per le strade. Gli stessi legumi erano anche utilizzati in tempo di carnevale, come scherzosi proiettili da lanciare addosso ad improvvisati avversari. Intorno agli anni trenta e sessanta del secolo scorso, insieme a coriandoli, confetti, lupini e fiori, le ragazze lanciavano dai balconi, mirando le carrozze del corteo carnevalesco, qualche arancia. I destinatari erano giovincelli dai quali le stesse ragazze volevano essere notate.
Dalle carrozze si iniziò a rispondere scherzosamente a tono e, poco a poco, il gesto di omaggio si trasformò prima in duello, quindi in un vero e proprio testa a testa tra lanciatori dai balconi e lanciatori di strada. Solo dal secondo dopoguerra la battaglia assunse i connotati attuali seguendo regole ben precise.

Ancora oggi lo scontro si svolge nelle principali piazze della città, e vede impegnati equipaggi sul carro (simboleggianti le guardie del tiranno) contro le squadre degli aranceri a piedi i popolani ribelli) costituite da centinaia di tiratori. Si tratta indubbiamente del momento più spettacolare della manifestazione che ben evidenzia la lotta per la libertà, simbolo del carnevale eporediese. La battaglia delle arance insieme a tutti gli eventi storici presenti nella manifestazione di Ivrea, costituisce un'incredibile patrimonio culturale e goliardico, che posiziona la festa tra le più importanti nel panorama nazionale ed internazionale. Il getto dello arance rappresenta anche il momento in cui è più alta la partecipazione collettiva: tutti possono prenderne parte, iscrivendosi in una delle nove squadre a piedi oppure divenendo equipaggio di un carro da getto.


Squadre a piedi

Scacchi
Il loro nome fu dettato dal numero dei primi tiratori, sedici come le pedine di una parte della scacchiera. Dal 1964 ad oggi, il numero degli iscritti è cresciuto ma è rimasta la casacca bianca e nera a quadri, su cui si staglia una torre arancione, simbolo del castello eporediese. Il foulard è di colore arancione.
La squadra, tra le più numerose, ha come luogo di tiro, Piazza Ottinetti.


Arduini
La squadra, che divide insieme agli Scacchi la piazza Ottinetti, è nata nel 1966 ed eredita il proprio nome da una delle vie più suggestive del centro storico di Ivrea, via Arduino. Gli appartenenti alla squadra dello scorpione, indossano calzoni verde chiaro, un foulard che ogni anno viene rinnovato, e una casacca gialla con la riproduzione di uno scorpione nella parte posteriore.


Morte
Dividono la piazza di Città con i Picche, sono nati nel 1954 grazie un gruppo di amici del quartiere di San Grato. La casacca originale era costituita da una tuta da lavoro blu. Attualmente invece la divisa è composta da una casacca nera con lo stemma bianco raffigurante un teschio e pantaloni rossi.

Tuchini
Il Borghetto, una delle parti più vecchie ed affascinanti della città, è il territorio della squadra dei Tuchini. Fanno la loro prima apparizione nel 1964 con la divisa, che ancora indossano, di colore rosso e verde e il foulard rosso. Lo stemma è rappresentato da un corvo che prende spunto dal simbolo della Croazia, anticamente infatti vi era una rilevante presenza di croati in Ivrea.



Diavoli
Tra le squadre più blasonate, i Diavoli hanno come luogo di tiro piazza del Rondolino. Nati nel 1973, sono riconoscibili grazie alla casacca e pantaloni rossi con bande gialle e un foulard giallo. Il loro stemma è un diavolo con la forca.

Mercenari
Anche loro in piazza del Rondolino, i Mercenari sono nati nel 1974 e vestono uno stemma color vinaccia, pantaloni gialli, che hanno sostituito gli originali blue-jeans, e foulard a fantasia.
La squadra ha scelto come stemma una coppia di scimitarre, inserite in una stella gialla a cinque punte.

Pantere
Sono l'ultima squadra a dividersi, insieme a Mercenari e Diavoli, l'immensa piazza del Rondolino. Le Pantere però hanno anche "combattuto" per una decina di anni in piazza di Città dove praticamente sono nati, per poi spostarsi in piazza Ferrando, Ottenetti, sino a giungere nell'attuale luogo di tiro.
I membri della squadra indossano un completo nero, listato di giallo come il foulard.
Lo stemma è rappresentato, come dice il nome stesso,
da una pantera ruggente.



Asso di Picche
Nate nel 1947 da un gruppo di giovani giocatori dell'Ivrea calcio, hanno una divisa
rossa e blu, con l'asso di picche come distintivo e un foulard nero.
La squadra, tra le più antiche, ha come luogo di tiro, Piazza di Città.


Credendari
Sono gli ultimi nati, 1985 ma riconosciuti solo nel 1989, tirano in piazza Freguglia e la loro casacca è gialla e blu con il foulard giallo.
Lo stemma è rappresentato dal con il Palazzo della Credenza sotto il quale sono riportate, incrociate, la mazza (simbolo del Comune) e la scure d'arme (simbolo del Podestà) e, sotto ancora, il nome della squadra. 

La Gastronomia locale un tempo era ricca di piatti poveri: si doveva far di necessità virtù, arte che i nostri avi hanno dimostrato di ben conoscere, elaborando piatti prelibati con ingredienti di stagione e molto semplici le cui ricette, fortunatamente, sono ancora utilizzate in molte famiglie, in ristoranti e trattorie.
Nel periodo di carnevale, oltre all'immancabile tofeia di fagioli grassi con il "prejve" si possono gustare lardo e salam dla duja,sciole piene e capunet, bat-de-soje (squisita rarità), toma d'mul della Valchiusella, tomin fresc e tomin eletric di Chiaverano. Bugie, eporediesi al cacao e canavesani al rhum, paste d'melia e torcete sono la fantasia dolciaria.
Il tutto accompagnato da bianco Erbaluce, vivace Barbera, corposo Carema e dolcissimo Passito di Caluso.

I torcetti di Lanzo

Sono tradizionalmente nati come dolci a base di pasta di pane, passati nello zucchero o nel miele e preparati nei forni comuni a legna dei paesi, ove un tempo tutte le famiglie portavano a cuocere il pane: generalmente venivano posti sulla bocca del forno, in attesa che questo fosse sufficientemente, caldo per infornare il pane. Con il passare del tempo il prodotto subì una trasformazione e da grosso torcetto di pane la dimensione si ridusse di circa la metà, la consistenza della pasta si fece più leggera (anche grazie alla farina meno grezza, al lievito, ma soprattutto all'introduzione del burro), la superficie divenne lucida attraverso la pennellatura con acqua e zucchero semolato.
Si modificò anche il modo di consumare i torcetti: dapprima erano destinati solo ai bambini (al tempo rara occasione di mangiare un dolce), poi si passò a presentarli a fine pasto nelle ricorrenze familiari (battesimi, matrimoni, ecc.), a volte accompagnati da panna montana (fioca) spruzzata di caffè d'orzo macinato o con lo zabaione. Dal 1800 in poi divenne un vero prodotto di pasticceria secca..

LA 'TOMA' DI LANZO
Lo splendido formaggio denominato 'Toma di Lanzo', (la 'Toma Piemontese' ha recentemente ottenuto l'ambito (e meritatissimo) riconoscimento  del marchio D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta))  ha avuto modo di essere apprezzato moltissimo, tra gli altri, anche dagli Atleti e dagli Staff Olimpici durante le recenti Olimpiadi Invernali di Torino.  La Toma di Lanzo è strettamente legata all'areale alpino ed in particolare ai margari che sfruttano i pascoli montani delle Valli di Lanzo nel periodo estivo, per poi riscendere a fondovalle o in pianura nel periodo invernale.
La Toma di Lanzo  è quindi, come tutti i formaggi tipici, un prodotto tradizionale la cui tecnologia si tramanda di generazione in generazione, poco sensibile alle evoluzioni tecnologiche e che possiede tutte quelle specifiche caratteristiche di sapore e aroma che la differenzino da un prodotto comune.
Fra i fattori di questa tipicità vi sono la storia, la particolare tecnologia di produzione,  l'origine   e   soprattutto   la   qualità  della  materia  prima,   cioè   l'insieme   delle caratteristiche chimiche, chimico fisiche e microbiologiche della stessa. A loro volta queste ultime  derivano  dalla razza delle bovine,  dalla qualità degli  alimenti somministrati   agli   animali,   dall'organizzazione   aziendale   e   soprattutto   dagli ecosistemi microbici ambientali, in grado di evolvere in una microflora caratteristica di ogni azienda di trasformazione.

Di particolare importanza ai fini della qualità finale è quindi la microflora presente nel formaggio e che origina dall'ambiente di produzione del latte, ma che subisce nel corso del processo produttivo una evoluzione più o meno accentuata in relazione alle fasi che costituiscono il processo stesso, quali in raffreddamento del latte alla stalla, l'affioramento o la cottura della cagliata.

Alle caratteristiche di questa microflora è quindi legato in larga parte il profilo compositivo e sensoriale del prodotto ottenuto e in diversi casi da essa dipende l'originale qualità che diventa anche tipicità e pregio commerciale.

La possibilità di 'controllare' questa microflora è quindi un fattore   cruciale per i formaggi tradizionali e per la Toma in particolare, potendo determinare oltre alla qualità intesa come assenza di difettosità, anche la personalità del prodotto che ne deriva.

Lo scopo del progetto che ha portato all'attribuzione della D.O.P. è stato quello di selezionare presso i produttori delle Valli di Lanzo ecotipi batterici autoctoni utilizzabili come starter in latte crudo per la produzione di formaggi di qualità fortemente collegati al loro territorio di origine.
II protocollo pretende i seguenti momenti:
- Inserimento, da Tome di undici alpeggi, di batteri lattici.
Gli alpeggi sono stati scelti di concreto con gli Enti operanti nel progetto fra quelli con autorizzazione sanitaria, caratterizzati da una produzione di buona qualità e che non hanno mai fatto uso di starter industriali.
- Esame genotipico dei ceppi isolati
- Esame fenotipico dei ceppi isolati
- Utilizzo dei ceppi isolati nella produzione su scala ridotta di Toma al fine di
valutarne le performances ecologiche. A tal fine verranno utilizzate le strutture
produttive presenti in Dipartimento e quella dell'Istituto Lattiero-Caseario (LC)
di Moretta.
- Utilizzo dei ceppi risultati migliori nella produzione presso alcune Aziende
locali di Toma di Lanzo
- Verifica delle performances dei singoli ceppi e selezione finale a scopo
produttivo.

I  TORCETTI  DI  LANZO 

Sono tradizionalmente nati come dolci a base di pasta di pane, passati nello zucchero o nel miele e preparati nei forni comuni a legna del paese, ove un tempo tutte le famiglie portavano a cuocere il pane: generalmente venivano posti sulla bocca del forno, in attesa che questo fosse sufficientemente, caldo per infornare il pane. Con il passare del tempo il prodotto subì una trasformazione e da grosso torcetto di pane la dimensione si ridusse a circa la metà, la consistenza della pasta si fece più leggera (anche grazie alla farina meno grezza, allo lievito, ma soprattutto all'introduzione del burro), la superficie divenne lucida attraverso la pennellatura con acqua e zucchero semolato.

Si modificò anche il modo di consumare i torcetti: dapprima erano destinati solo ai bambini (al tempo rara occasione di mangiare un dolce), poi si passò a presentarli a fine pasto nelle ricorrenze familiari (battesimi, matrimoni, ecc.), a volte accompagnati da panna montana (fioca) spruzzata di caffè d'orzo macinato o con lo zabaione. Dal 1800 in poi i Torcetti di Lanzo divennero un vero prodotto di pasticceria.

I GRISSINI

I grissini, uno dei più celebri prodotti della gastronomia del Piemonte, sono stati 'inventati' da un Lanzese, in collaborazione con il fornaio di Casa Savoia.

La tradizione vuole infatti che siano stati inventati nel 1684 per venire incontro agli affanni e alle preoccupazioni di Maria Giovanna Battista di Nemours, madre di Vittorio Amedeo duca di Savoia.
(figlio di Carlo Emanuele di Savoia). Vittorio Amedeo era sempre stato un bambino gracile. Difficile farlo mangiare.
Per rafforzarlo la mamma chiese al medico di corte, il Lanzese Dr. Teobaldo Pecchio, il da farsi. Questi gli prescrisse una dieta a base di pane friabile e ben digeribile e, con l'aiuto del panettiere di corte, tal Antonio Brunero, fece preparare con fior fiore di farina e acqua e dividendo l'impasto facendone scorrere i pezzetti sotto le mani sino a formare dei lunghi bastoncini sottilissimi, i 'grissini' appunto.
Poi li mise in forno sino a che furono dorati.
Grissino, parola piemontese che deriva da 'grissa' significa appunto pane allungato con una fenditura nel mezzo.
Non sappiamo se al piccolo piacquero, certo è che il successo internazionale fu travolgente. Le corti europee, francese in testa, vollero provare le 'petits batons de Turin'. Napoleone poi ne fu talmente ghiotto da mandare a prendere i grissini a Torino regolarmente dai corrieri imperiali.
L'acqua e l'aria di Parigi infatti non permisero mai la creazione di un prodotto all'altezza di quello piemontese.

Un successo che si rinnova tutt'ora. Nell'impasto si aggiungono oggi anche, talvolta, latte, malto olio o lievito, (anche se l'antica ricetta tradizionale però non li prevede).

















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