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ARTISTI ALLO SPECCHIO - breve percorso tra chi ha fatto arte sulla propria vita o della vita la propria arte




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ARTISTI ALLO SPECCHIO

breve percorso tra chi ha fatto arte sulla propria vita o della vita la propria arte


















Maurits Escher, Drawing Hands, 1948














PREMESSA


Uno dei soggetti più interessanti per un artista è se stesso, nel corso della storia molti hanno provato a raccontarsi e analizzarsi, ma è nel novecento che grazie alle teorie psicanalitiche e a particolari condizioni storiche e sociali si sono raggiunti i risultati più interessanti.


Il mio percorso vuole analizzare il pensiero di alcuni autori, italiani e stranieri, che hanno sviluppato la propria opera in quella direzione tra i quali Pirandello, Svevo e Wilde.


Quello che presento è però una mia interpretazione personale della loro opera, e non pretende quindi di essere né completa né assoluta, ma solo un punto di vista.

Un significato assoluto di opere così complesse non credo nemmeno si possa trovare, come è dimostrato dal dibattito critico ancora aperto e vivace.

Interpretazioni diverse non si escludono a vicenda, ma si esaltano dimostrando la stratificazione di significato ottenuta dall'autore.

citando Oscar Wilde "La diversità di opinioni intorno a un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale".


































LA CREAZIONE ARTISTICA



Lo sviluppo della mia tesi comincia con la nascita dell'opera d'arte, infatti è proprio lì che il rapporto tra l'artista e l'opera è massimo.

In questo processo possiamo riconoscere tre fasi: una di analisi in cui l'autore raccoglie e sviluppa le idee, una di sintesi, il colpo di genio in cui l'artista effettivamente crea e infine la fase di produzione materiale dell'opera. L'importanza delle tre componenti varia molto a seconda dell'arte presa in considerazione, del periodo storico e dalla sensibilità personale dell'artista.


Ad esempio, pensando all'arte figurativa, possiamo osservare un'evoluzione storica che va dal simbolismo medioevale (in cui prevale la fase di analisi) all'arte rinascimentale (ricerca della perfezione formale) per arrivare all'arte moderna in cui ciò che conta non è più la forma ma il messaggio.


Uno dei periodi più interessanti è il '900, in cui questa distinzione non solo viene reinterpretata, ma tende a diventare sempre più labile: la forma diventa essa stessa frutto di ragionamento e intuizione, l'intuizione viene rappresentata (pensiamo alle epifanie di Joyce) e le opere tendono a diventare sempre più stratificate e aperte.


In un contesto di questo genere di fatto le alternative sono due: percorrere le strade della sperimentazione formale (in questo campo ebbero grande importanza le avanguardie storiche) oppure porre l'individuo al centro della propria indagine.



LE AVANGUARDIE STORICHE



Le avanguardie storiche furono un fenomeno di grande importanza e diffusione nato all'inizio del XX secolo. Il termine avanguardie deriva dal linguaggio militare e rappresenta la voglia di questi artisti di trovare nuove forme espressive e rompere con la tradizione.


I vari gruppi spesso non si limitavano a una sola forma espressiva, ma comprendevano artisti di ogni tipo, pensiamo ad esempio al gruppo Die Brücke che raduno i primi espressionisti quali Ernest Ludwig Kirchner, Erich Heckel ed Emil Nolde ma che permetteva l'ingresso anche ai non artisti; o al futurismo che oltre a comprendere pittori, architetti e scrittori teorizzò addirittura una nuova concezione del mondo e della società.


Generalmente la produzione artistica era regolata dai manifesti di carattere ideologico o tecnico in cui venivano esposti i presupposti teorici comuni al gruppo.


Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., Ready -made rettificato

 
Questa caratteristica di collettivizzazione dell'arte rende questo genere di artisti poco interessanti rispetto al mio percorso; infatti l'aderenza al manifesto, dando dei riferimenti comuni, esalta l'artista non per la sua vicenda biografica ma per la capacità di esprimere il messaggio comune in modi nuovi e creativi.


L'ARTISTA COME SOGGETTO NEL NOVECENTO



La situazione culturale d'inizio Novecento tuttavia non può essere limitata alla nascita delle avanguardie e alla sperimentazione formale: la rivoluzione fu notevolmente più profonda e radicale ed ebbe origine principalmente dagli studi rivoluzionari sulla psiche compiuti da Sigmund Freud. Egli smontò infatti la concezione dell'uomo come unico e compatto svelando, invece in esso una complessità intrinseca.


Oltre al grandissimo interesse nato nei confronti del mondo onirico che interessò ogni tipo di artista (pensiamo ai pittori surrealisti o a Joyce che scrisse Finnegan's Wake per ricreare il mondo della notte e quindi del sogno), un risvolto di massima importanza della rivoluzione psicanalitica si ebbe nel genere del romanzo, che con Svevo e Pirandello raggiunse in Italia altissimi livelli.


Questi due autori strutturano i propri romanzi in forma di romanzo di formazione introducendo in esse il loro pensiero filosofico e la loro esperienza personale al fine di sviscerare la natura della mente umana.





LUIGI PIRANDELLO



Il fulcro del pensiero di Pirandello può essere riassunto con il titolo di uno dei suoi romanzi: "Uno, nessuno e centomila". L'uomo non è unitario, ma è un individuo diverso per i centomila che lo vedono e, nonostante per se stesso sembra uno solo, in realtà è nessuno, poiché quello che credeva essere se stesso in realtà è una maschera, una rappresentazione che non coincide con la realtà.


Le soluzioni a questo dilemma sono per l'autore due: accettare la propria maschera e continuare a vivere la propria vita o abbandonarla e prendere atto dell'inesistenza di un'identità.


In quest'ultimo caso le conseguenze sono tragiche: Vitangelo Moscarda, il protagonista di uno, nessuno e centomila finisce pazzo agli occhi di tutti che non riconoscono più la sua maschera, e ha come unica soluzione il vivere a contatto con la natura in un ricovero psichiatrico da egli stesso costruito.


Come si può notare il messaggio di Pirandello è fortemente nichilista: la società non è più umana, gli individui sembrano diventare automi e chi si sforza per ragionare e approfondire finisce escluso.







ITALO SVEVO, LA COSCIENZA DI ZENO



L'opera di Svevo per certi versi può essere avvicinata a quella di Pirandello, esistono però tra le due differenze sostanziali: egli supera la concezione pirandelliana di un individuo poliedrico introducendo l'idea dell'evoluzione della personalità.


Anche se a prima vista il ragionamento filosofico de "la coscienza di Zeno" può sembrare vicino a quello di Pirandello, le differenze tra i due autori sono enormi: Svevo non scompone l'individuo in tante parti diverse e contemporanee, ma sottolinea il fatto che questo è soggetto ad una continua evoluzione.

Questo inoltre non è un punto di arrivo, bensì un punto di partenza per un'analisi psicologica tanto profonda quanto complessa, tanto che il dibattito critico è ancora aperto e le varie interpretazioni sono spesso in contrasto fra loro.


La visione che voglio presentare io è un mio punto di vista personale, non vuole quindi essere un'analisi assoluta che oltretutto non penso nemmeno esista. La grandezza di quest'opera, e di tutte le grandi opere d'arte in generale è quella di aprire una serie di porte che sarà poi l'osservatore a varcare. Oscar Wilde disse:


"It is the spectator, and not life, that art really mirrors"

"L'arte rispecchia lo spettatore non la vita"


Limitare l'arte alla presentazione di un punto di vista è riduttivo.

La mia riflessione comincia dal rapporto tra Svevo e Zeno, in particolare nell'ultimo capitolo, visto da molti come uno sfogo personale dell'autore nei confronti del mondo.

Queste sono le pagine in questione:


24 Marzo 19

Dal Maggio dell'anno scorso non avevo piú toccato questo libercolo. Ecco che dalla Svizzera il dr. S. mi scrive pregandomi di mandargli quanto avessi ancora annotato.

È una domanda curiosa, ma non ho nulla in contrario di mandargli anche questo libercolo dal quale chiaramente vedrà come io la pensi di lui e della sua cura. Giacché possiede tutte le mie confessioni, si tenga anche queste poche pagine e ancora qualcuna che volentieri aggiungo a sua edificazione. Ma al signor dottor S. voglio pur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee ben chiare.

Intanto egli crede di ricevere altre confessioni di malattia e debolezza e invece riceverà la descrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia età abbastanza inoltrata può permettere. Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisi, ma non ne ho neppur di bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto che mi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri.

Non è per il confronto ch'io mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch'era una sciocchezza degna di un sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuadere. Io soffro bensí di certi dolori, ma mancano d'importanza nella mia grande salute. [.] la vita non può essere considerata quale una malattia perché duole.

Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutare e scaldare il mio organismo con la lotta e sopratutto col trionfo. Fu il mio commercio che mi guarí e voglio che il dottor S. lo sappia.

Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto, fino al principio dell'Agosto dell'anno scorso. Allora io cominciai a comperare . Sottolineo questo verbo perché ha un significato piú alto di prima della guerra. In bocca di un commerciante, allora, significava ch'egli era disposto a comperare un dato articolo. Ma quando io lo dissi, volli significare ch'io ero compratore di qualunque merce che mi sarebbe stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa una sola idea e di quella vissi e fu la mia fortuna. L'Olivi non era a Trieste, ma è certo ch'egli non avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me non era un rischio. Io ne sapevo il risultato felice con piena certezza. Dapprima m'ero messo, secondo l'antico costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio in oro, ma v'era una certa difficoltà di comperare e vendere dell'oro. L'oro per cosí dire liquido, perché piú mobile, era la merce e ne feci incetta. Io effettuo di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti. Perché cominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furono tanto felici che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli. [.]

Il dottore, quando avrà ricevuta quest'ultima parte del mio manoscritto, dovrebbe restituirmelo tutto. Lo rifarei con chiarezza vera perché come potevo intendere la mia vita quando non ne conoscevo quest'ultimo periodo? Forse io vissi tanti anni solo per prepararmi ad esso!

Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati.

La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!

Ma non è questo, non è questo soltanto.

Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. [.]Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre piú furbo e piú debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha piú alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del piú forte sparí e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.

Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piú, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' piú ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

Italo Svevo, la coscienza di Zeno, estratto del capitolo 8

La corrispondenza tra creatore e protagonista non mi convince, Zeno di fatto si dichiara sano nel momento in cui si arrende alla legge del mondo: non cerca più metri di paragone a cui adeguare la sua sanità per il semplice fatto che diventa metro di se stesso. Spiega che ciò che l'ha guarito è stato il commercio, ovvero la speculazione finanziaria durante la guerra. Inoltre la "profezia" finale, la spada di Damocle sempre sulla testa dell'umanità, vista da un punto di vista di Zeno è strana, sembra dare un'autorizzazione ad agire senza freni, a vivere curandosi solo di se stessi perché tanto il

mondo è in balia del caso e dei pazzi.


Una lettura di questo tipo porterebbe a una visione decisamente nichilista del mondo, tuttavia conoscendo la vita di Svevo e il forte rapporto intellettuale che lo lega con Joyce credo che l'interpretazione da dare sia ben diversa.


Il messaggio che Svevo ci vuole dare è secondo me quello che sulle proprie azioni si deve sempre ragionare perché ad ogni azione possono corrispondere conseguenze tragiche.


In questa luce la profezia è solo una messa in guardia rispetto alle potenzialità delle nostre azioni; l'occhialuto uomo non è storico, ma è una metafora dell'umanità in generale, e l'esplosivo incomparabile non distrugge il mondo intero ma solo chi ne è interessato.

Un'idea simile potrebbe riguardare anche la visione Sveviana della psicanalisi:


La mia cura doveva essere finita perché la mia malattia era stata scoperta. Non era altra che quella diagnosticata a suo tempo dal defunto Sofocle sul povero Edipo: avevo amata mia madre e avrei voluto ammazzare mio padre. Né io m'arrabbiai! Incantato stetti a sentire. Era una malattia che mi elevava alla piú alta nobiltà. Cospicua quella malattia di cui gli antenati arrivavano all'epoca mitologica! E non m'arrabbio neppure adesso che sono qui solo con la penna in mano. Ne rido di cuore. La miglior prova ch'io non ho avuta quella malattia risulta dal fatto che non ne sono guarito.


In brani come questo Zeno prova una sfiducia totale nella suddetta scienza, tuttavia l'intero libro si presta moltissimo ad un'interpretazione psicanalitica. Credo che Svevo fosse ben conscio del paradosso, e la rabbia che si riflette in Zeno non si scaglia contro quella disciplina in toto, ma contro un suo utilizzo superficiale e stereotipato, ad esempio il ricondurre ogni turbamento psichico al complesso edipico, o di fare di ogni sintomo malattia.


Chiarita la differenza tra Zeno e Svevo, qual è allora il loro punto di contatto? Dobbiamo considerarli due soggetti completamente diversi o resta qualcosa che li unisce?

Secondo me si può parlare di alter-ego, è però necessario chiarire il significato di questa parola, e per farlo mi riconduco alla filosofia di Bergson, in particolare alla sua concezione del tempo e della memoria.















BERGSON, IL TEMPO E LA MEMORIA


Per questo filosofo il tempo si presenta in due forme distinte: il tempo della scienza, formato da attimi tutti uguali e ripetibili e il tempo della vita che non è oggettivo, ma è un concetto interiore e si identifica con la durata.


In questo caso ogni attimo non può essere uguale ad un altro perché racchiude in se tutti quelli che l'hanno preceduto, Bergson ci porta come esempio l'immagine di un gomitolo che cresce su se stesso ed è quindi sempre nuovo perché formato da tutti gli attimi precedenti.


"Per un essere cosciente, esistere significa mutare, mutare significa maturarsi, maturarsi significa creare indefinitamente se stesso". H. Bergson


La sua concezione della memoria si articola in tre concetti: la memoria, il ricordo e la percezione. La memoria pura registra automaticamente tutto ciò che noi viviamo, anche se non ne abbiamo coscienza, si identifica quindi con il nostro passato.


Il ricordo immagine è la materializzazione di un evento passato, ovvero quello che noi chiamiamo comunemente memoria, e rappresenta solo una piccola parte di quello che è registrato nella nostra mente.


La percezione agisce come un filtro continuo in funzione dell'azione.

È chiaro quindi come la memoria e il passato influiscono in maniera notevole sulla personalità.




Applicando il pensiero Bergsoniano alla Coscienza di Zeno possiamo risolvere il problema del rapporto tra Zeno e Svevo: ciò che li differenzia è la vita: il nostro carattere, il nostro pensiero e le nostre azioni sono legate a doppio filo con la vita che viviamo, e piccoli eventi possono portare a grandi cambiamenti. In questo caso credo che sia stato proprio il successo commerciale che ha "guarito Zeno" a discostarlo da Svevo. Di fatto ha scelto di terminare lo sviluppo del proprio pensiero un passo prima del suo creatore: capisce che la vita non è una malattia e che l'essere umano ha assunto un potere sregolato rispetto alle leggi naturali ma non supera questi concetti, in termini Nietzschiani, si limita ad un nichilismo attivo e non coglie quello estatico di creazione di un senso.









UN PUNTO DI VISTA STORICO:L'IMMAGINARIO COLLETTIVO TRA I DUE SECOLI


Presento uno schema in cui viene illustrata sinteticamente la situazione socio-politica europea e i suoi sviluppi nell'immaginario collettivo e nella letteratura.





Fiat Grandi presse, Lingotto 1935

 

Werner Horvath: Friedrich Nietzsche - the Three Metamorphoses. Olio su tela, 50 x 40 cm

 












*Le teorie in questione, di fatto non hanno punti in comune con il relativismo culturale, il loro influsso va cercato a livello filosofico: le certezze della fisica classica crollano e ci troviamo di colpo in un mondo molto più complesso

IL RACCONTO IN PRIMA PERSONA: VIAGGIO NELL'ESOTICO E NELLA MENTE


Se da un lato l'opera di Svevo si può collocare in un orizzonte storico e culturale primonovecentesco, dall'altro può essere collegata alla lunga tradizione letteraria del racconto in prima persona.


William Blake: Inferno, Canto III, Dante e Virgilio sulla porta dell'inferno

 
In questo filone si può notare con una certa regolarità il tema del viaggio e dell'esotico, a cominciare da Dante che si pone protagonista addirittura dell'esplorazione dei tre regni dell'aldilà, Daniel Defoe che fa naufragare Robinson Crusoe su un'isola deserta, Jonathan Swift che scrive di terre lontane sotto il nome di Lemuel Gulliver, R. L. Stevenson che narra attraverso gli occhi di Jim Hawkins della ricerca del tesoro del capitano Flint, il Childe Harold di Lord Byron che scopre l'Europa, Bram Stoker che narra le vicende di Dracula attraverso il diario di Jonathan Harker, e molti altri.


Questa corrispondenza tra viaggio e narrazione in prima persona dipende probabilmente dal forte parallelismo che si può trovare tra questo e la vita, che a livello più o meno conscio può aver portato a questa serie di esempi.


Le seul véritable voyage ce ne serait pas d'aller vers de nou­veaux paysages, mais d'avoir d'autres yeux.

M. Proust

Il solo vero viaggio lo si farebbe non con l'andare verso posti nuovi, ma con l'avere occhi diversi.


Nel novecento questo rapporto è affiorato molto chiaramente, Svevo ad esempio scrisse direttamente del viaggio della vita, e Joyce con l'Ulysses trasformò il viaggio epico di Omero in un viaggio mentale.


QUANDO IL PERSONAGGIO CREA L'AUTORE


Il rapporto fra artista e opera (in particolare quando l'autore si crea un'alter-ego) in alcuni casi non si conclude con la fase di creazione, ma può proseguire oltre, e in questo caso il rapporto si inverte: non è più l'autore che crea il personaggio ma è il personaggio che influenza la vita dell'autore.


Pensiamo ad esempio al poeta romantico George Byron, che basando in parte uno dei suoi scritti più famosi, Childe Harold's Pilgrimage, sul viaggio che aveva realmente compiuto in Europa, finì per essere paragonato e dover essere all'altezza della reputazione del suo personaggio.

George Gordon Noel Byron sesto barone di byron

 


Se per Byron sulle prime la pubblicazione del poema in questione fu fonte di dubbio proprio a causa della componente autobiografica troppo evidente, e di fatto ne fu travolto senza volerlo, ci fu un autore che fece delle sovrapposizioni e delle ambiguità il tema centrale della sua opera: Oscar Wilde.





OSCAR WILDE, IL RITRATTO DI DORIAN GRAY


Dorian Gray è un ragazzo affascinante e non si può fare a meno di essere attratti dalla sua figura e dai suoi lineamenti perfetti. Diviene l'unica ispirazione del pittore Basil Hallward che un pomeriggio lo ritrae nello studio, dove ha inizio la storia. Qui Dorian incontra il cinico e carismatico Lord Henry Wotton. Dorian non tollera l'idea che il tempo lo faccia invecchiare, mentre i quadri del suo amico Basil non muteranno mai. Esprime così il desiderio che i segni inevitabili che la vita lascia sulle persone possano essere rivolti al suo ritratto, e non a se stesso. Da quel momento, come per incanto, qualsiasi cosa egli faccia, qualsiasi azione egli commetta, i tratti del suo volto muteranno solo nella tela e non toccheranno minimamente la bellezza e la gioventù della sua persona. Mentre il quadro porta i segni dell'età che avanza, l'anima di Dorian porta quelli della progressiva decadenza morale, alla quale l'eccessiva dedizione al culto del bello e della superficialità lo ha portato. Disperato per la situazione, giunge ad uccidere l'amico pittore considerando egli il colpevole dell'incantesimo. Infine, per porre fine al suo tormento distrugge il quadro e pone quindi fine alla sua stessa vita.


Parlando della sua opera Wilde definì in questo modo il rapporto tra se e i personaggi principali dell'opera:


Oscar Wilde

 
Basil Hallward is what I think I am. Henry what the world thinks me. Dorian what I would like to be


Basil Hallward è ciò che penso di essere. Henry è ciò che il mondo pensa di me. Dorian è ciò che io vorrei essere.


Con questa affermazione ironica Wilde conferma l'evidente componente autobiografica dell'opera, ma la pone in una prospettiva decisamente innovativa e interessante che anticipa di un paio di decenni le teorie di Pirandello: egli riconosce in se tre componenti e le rappresenta come personaggi separati che interagiscono tra di loro.


Rispetto all'autore siciliano però, la differenza è notevole: la scissione non viene subita,

ma cercata, l'obbiettivo è quello di fondere produzione letteraria, vita e opinione pubblica in un'unica opera d'arte che potremmo definire concettuale, preannunciando molti aspetti dell'arte Novecentesca.


La spiegazione del romanzo in quei termini non lo trasforma quindi in una riflessione autobiografica (ricordiamo che l'affermazione è fatta dal suo personaggio pubblico, da Henry per intenderci) ma lo rende componente e manifesto della sua arte, di cui il manifesto estetico che fa da prefazione diventa solo una parte:



L'artista è il creatore di cose belle.

Rivelare l'arte e nascondere l'artista è il fine dell'arte.

Il critico è colui che può tradurre in diversa forma o in nuova sostanza la sua impressione delle cose belle.

Tanto le più elevate quanto le più infime forme di critica sono una sorta di autobiografia.

Coloro che scorgono brutti significati nelle cose belle sono corrotti senza essere affascinanti. Questo è un errore.

Coloro che scorgono bei significati nelle cose belle sono persone colte. Per loro c'è speranza.

Essi sono gli eletti: per loro le cose belle significano solo bellezza.

Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Questo è tutto.

L'avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il proprio volto riflesso allo specchio.

L'avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto riflesso allo specchio.

La vita morale dell'uomo è parte della materia dell'artista, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di un mezzo imperfetto.

L'artista non desidera dimostrare nulla. Persino le cose vere possono essere dimostrate.

Nessun Artista ha intenti morali. In un artista un intento morale è un imperdonabile manierismo stilistico.

Nessun artista è mai morboso. L'artista può esprimere qualsiasi cosa.

Il pensiero e il linguaggio sono per un artista strumenti di un'arte.

Il vizio e la virtù sono per un artista materiali di un arte.

Dal punto di vista formale il modello di tutte le arti è l'arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il modello è l'arte dell'attore.

Ogni arte è insieme superficie e simbolo.

Coloro che scendono sotto la superficie lo fanno a loro rischio.

L'arte rispecchia lo spettatore, non la vita.

La diversità di opinioni intorno a un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale.

Possiamo perdonare a un uomo l'aver fatto una cosa utile se non l'ammira.

L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente.

Tutta l'arte è completamente inutile.


Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, introduzione




Come è facile notare il senso di questi aforismi è tutto giocato sullo stravolgimento del senso comune e sull'opposizione di contrari, alcuni di questi sono facilmente confutabili o possono essere addirittura considerati luoghi comuni.


Questa apparente superficialità di Wilde non deve però essere considerata sostanziale: la sua speculazione è riferita all'arte, non alla vita, i valori che non trasmette di fatto non li nega ma, al pari di molti suoi contemporanei non li reputa assoluti e quindi trasferibili.
























BIBLIOGRAFIA


. Cricco di Teodoro, Itinerario nell'arte vol. 3  Zanichelli, 2005


. Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila  Arnoldo Mondadori editore, 2003. 1a edizione 1925.


. Italo Svevo, La coscienza di Zeno  Feltrinelli, 1998. 1a edizione 1923.


. Luperini/Cataldi/Marchiani/Marchese, La scrittura e l'interpretazione vol. 3, tomi I-II  Palumbo

Editore, 2001


. Abbagnano/Fornero, Le tracce del pensiero vol. 3 pagg. 112-115  Paravia editore, 2006


. E.J. Hobsbawm, L'età degli imperi pagg. 356-370 Laterza 1987 (lettura riportata su "La conoscenza storica" De Bernardi/Guarracino, Bruno Mondadori editore, 2002)


. Oscar Wilde, Il ritratto di dorian Gray Traduzione di Benedetta Bini. Rusconi Libri, 2004. 1a edizione 1891.


. Tutti i testi e le citazioni riportate sono stati scaricati dai siti web wikisource.org e wikiquote.org















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