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L'angoscia: una condizione esistenziale




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L'angoscia: una condizione esistenziale


Il suo corpo e la sua mente erano stranamente slegati, gli arti lavoravano senza ricevere istruzioni, come se lui fosse il passeggero, non il conducente, del corpo che stava per lasciare


Nel trentaquattresimo capitolo del libro Harry ha ormai compreso il suo ruolo nella lotta contro Voldemort: lui è uno strumento, che deve morire con l'avversario perché questo muoia. Questo era il piano di Silente, un piano che portasse ad un'adeguazione idealistica del singolo al sistema ed alla sua relativa dissoluzione in nome di un'ideale.


Il terrore gli si rovesciò addosso: disteso a terra, sentiva dentro di sé quel tamburo di marcia funebre. Sarebbe stato doloroso? Tutte le volte che aveva creduto che stesse per succedere ed era scampato, non aveva mai pensato veramente alla cosa in sé: la volontà di vivere era sempre stata più forte della paura della morte. Ma ora non gli venne in mente di fuggire, di correre più veloce di Voldemort. Era finita, lo sapeva, e restava solo la cosa in sé: morire. [.] Se si fosse potuto gettare davanti a una bacchetta per salvare una persona amata. invidiava persino la morte dei suoi genitori. Quella passeggiata a sangue freddo verso la propria fine avrebbe richiesto un altro genere di coraggio. [.] Era ovvio che esisteva un piano più grande. [.] Che finezza, che eleganza, non sprecare altre vite, ma affidare il pericoloso compito al ragazzo che era già destinato al macello, la cui morte non sarebbe stata una calamità, ma un altro colpo sferrato a Voldemort. [.] La Morte scalpitava.[.]

Come la pioggia contro una finestra fredda, questi pensieri tamburellavano sulla dura superficie dell'incontrovertibile verità: doveva morire. Io devo morire. Doveva finire.[2]


Harry è toccato in pieno nella sua vicenda dal dramma dell'angoscia. È arrivato al momento cruciale, deve arrendersi ad un disegno più grande, quello che Kierkegaard in Timore e tremore chiama il generale. Per Kierkegaard questo è il disegno della morale e vale per tutti, dentro un orizzonte di immanenza, poiché la morale ha in sé il suo telos. Harry si sente inadatto al compito che gli è affidato, compito che richiederebbe un altro genere di coraggio. L'autrice, nel relativizzare i punti di vista, utilizza la tecnica del discorso indiretto libero: io devo morire è il pensiero di Harry e questo ci viene mostrato senza filtri o altri interventi dell'autrice.

Oltre al fatto che Harry non muoia nello scontro con Voldemort, la sua morte non sarebbe stata comunque un martirio, perché


un martirio cristiano non avviene mai per caso, perché non si diventa Santi per caso. E ancora meno un martirio cristiano è l'effetto della volontà di un uomo di diventare santo, così come potrebbe con la volontà e qualche macchinazione diventare reggitore di altri uomini


Timore e tremore, Abramo cavaliere della fede, oltre l'angoscia.


Kierkegaard (Copenaghen, 1813 - Copenaghen, 1855), nato in una famiglia fortemente religiosa, visse un profondo legame fra la propria vita ed il proprio pensiero. Egli nei suoi scritti prefigurava ed anche giustificava alcune sue scelte, come quella di rinunciare al fidanzamento con Regine Olsen. Il filosofo fu in aperta critica con la filosofia hegeliana, della quale non accettava la subordinazione dell'individuo al sistema, finalizzata a permettere una comprensione razionale della realtà (ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale). Kierkegaard, infatti, dava importanza al Singolo, che si pone in un rapporto assoluto all'Assoluto[4], rapporto che eleva il singolo al di sopra dell'etica. Questo rapporto di paradosso è vissuto anche da Harry nel momento in cui si consegna alla morte. Con lo sguardo dell'etica quest'atto equivale a farsi uccidere, con lo sguardo del singolo assume il significato di un sacrificio.


Nell'opera Timore e tremore (1843) Kierkegaard, celato dietro lo pseudonimo di Johannes de Silentio, prende in considerazione il terzo stadio dell'esistenza, quello religioso. Questo stadio è raggiunto mediante un salto, mediante il pentimento, che porta a considerare la religione: la fede è però paradosso, scandalo, assurdo. Le categorie della morale interpretano in tale modo la scelta di fede; il paradosso è il mistero dell'incarnazione.


L'opera analizza in primo luogo la persona simbolo dello stadio religioso: Abramo. Egli portò suo figlio sul monte Moria per il sacrificio, come ordinato da Dio. Non parlò con nessuno di quest'ordine divino. E così si trovò solo, sul monte a dover rispondere al figlio che chiedeva chi avrebbe provveduto alla vittima sacrificale. La risposta di Abramo è quindi caratterizzata dalla fede: Dio avrebbe provveduto all'agnello, dice Abramo. Così facendo non dice una falsità, proprio perché questa è la forza della fede, che crede l'assurdo. Ciò che razionalmente parlando sarebbe stato impossibile, detto nell'ottica della fede è verità, acquista cioè un significato nuovo e totalmente opposto a quello tradizionalmente attribuitogli dalla morale. Un esempio di questo salto fra il relativo e l'assoluto è nell'essenza stessa dell'azione di Abramo, che può essere interpretata o con gli occhi della ragione, o con quelli della fede:


L'espressione etica per l'azione di Abramo è ch'egli voleva uccidere Isacco, l'espressione religiosa è ch'egli vuol sacrificare Isacco; ma in questa contraddizione si trova precisamente l'angoscia che può certamente rendere un uomo insonne - Abramo però non lo è, egli non ha quest'angoscia


Con Kierkegaard quindi definiamo una linea di demarcazione fra il mondo del relativo, nel quale valgono le leggi dell'etica, e il mondo dell'assoluto, della religione, che si identifica con lo sguardo paradossale della fede; questa è la concezione cristiana di distinzione fra due realtà incommensurabili, formulata già da sant'Agostino. A tal proposito Kierkegaard parla di una sospensione teleologica dell'etica: ciò significa che l'etica ha valore fintantoché il telos dell'azione che essa è chiamata a giudicare è al suo interno, all'interno cioè della sfera del relativo. Nel momento in cui si supera tale telos, entrando nell'ambito della fede e dell'assoluto, l'etica non ha più ragion d'essere, perciò si rende necessaria la sostituzione delle categorie etiche con le categorie della fede. Questa è una critica al mondo di quanti vivono nel relativo, senza uno sguardo all'assoluto, senza una speranza.


La condizione dell'angoscia inoltre non esiste più per Abramo, dopo che ha superato lo stadio etico. In questo modo Abramo non teme più, perché ha fede in Dio, il quale esige un dovere assoluto, che Abramo mantiene: questo è il paradosso della fede, per il quale il singolo in quanto tale determina il suo rapporto con la sfera dell'etica in riferimento al suo rapporto all'Assoluto, e non viceversa. Quindi se il dovere verso Dio è assoluto, il momento etico è ridotto a qualcosa di relativo. [.] O il Singolo stesso diventa il cavaliere della fede assumendo per suo conto il paradosso, oppure non lo diverrà mai. [.] Dio è colui che esige amore assoluto. [.] Il dovere assoluto può allora condurre a fare ciò che l'etica proibirebbe, ma non può in nessun caso portare il cavaliere della fede a smettere di amare[6].


Analizzando la parte dell'opera che interpreta il significato del silenzio di Abramo con i familiari, comprendiamo che tale atteggiamento (il silenzio) è sintomo, secondo Kierkegaard, di due impulsi contrastanti: il silenzio è la seduzione del diavolo e più si tace più il demone diventa terribile, ma il silenzio è anche la mutua intesa fra la divinità e il Singolo[7]. In Abramo il silenzio deriva da un rapporto intimo con la divinità, che porta alle conseguenze già considerate, fra cui ricordiamo la forza dell'assurdo. Il silenzio come condizione di chi è sedotto dal diavolo è invece la situazione più temibile: mentre la prima (quella di Abramo) ha le sue radici in un'angoscia iniziale (Abramo conserva in sé le sue sofferenze, fino all'ultimo), per risolversi nel realizzarsi dell'assurdo (Isacco non è sacrificato), quest'ultima condizione trova la propria origine nella seduzione del diavolo che quindi ammalia, per risolversi nella dannazione. Aut-aut dunque: o il silenzio religioso, o il silenzio di chi sarà perduto. Per Kierkegaard la vita stessa è scelta fra differenti possibilità esistenziali (aut-aut), delle quali una esclude l'altra, non essendo possibile una sintesi idealistica che comprenda in sé il momento precedente, il cui simbolo è la dialettica hegeliana dell'et-et.


Anche Harry nel suo viaggio alla foresta è in un silenzio che potremmo fare rientrare nella prima categoria. Lui non vuole rivolgersi a nessun amico perché non avrebbe poi più il coraggio di andare incontro alla morte e così il suo silenzio è dettato da un conflitto interiore nell'accettazione di un piano superiore alla sua limitatezza umana, che potrà poi anche risalire alla sfera religiosa, in quanto Agostino già aveva detto: Noli foras ire, in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas. Et si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende et teipsum. Illuc ergo tende, unde ipsum lumen rationis accenditur[9]. Harry, in questo momento, sta propriamente rientrando in se stesso, svincolandosi dai legami terreni.


Un'ultima considerazione: l'eroe che Kierkegaard descrive, cioè Abramo, non è un eroe tragico, per il quale bisogna piangere. Egli è eroe della fede, si distingue per il fatto che non richiede compassione.


Allora aut-aut: o esiste il paradosso che il Singolo come Singolo sta in rapporto assoluto con l'Assoluto, oppure Abramo è perduto.


Come Seneca e Agostino hanno interpretato il ruolo dell'uomo nella società (civitas).


Il filosofo e scrittore latino Seneca (4 a.C. - 65 d.C.) nei suoi Dialogi e nelle Epistulae morales ad Lucilium definì l'ideale di sapiens, un'idea elitaria di uomo virtuoso che solo pochi uomini possono testimoniare: il sapiens deve possedere qualità non indifferenti, fra cui l'essere un buon padrone di sé, mantenendosi nell'aurea mediocritas. Le avversità fortificano il saggio, sono prove a cui è sottoposto dagli dei perché il suo animo rimanga saldo nella virtù: gubernatorem in tempestatem, in aciem milites intellegas[11] (un buon timoniere lo si vede nella tempesta, come un buon soldato nella battaglia). Affrontiamo quindi la traduzione di un brano tratto dal De Providentia, che descrive la capacità del sapiens di attuare la metamorfosi della volontà secondo il principio dell'amor fati, cioè del desiderare ciò a cui si va incontro . Queste qualità non mancano ad Harry né tantomeno ad Abramo.


De Providentia, II, 1-4

[2, I] "Quare multa bonis viris adversa eveniunt?" Nihil accidere bono viro mali potest: non miscentur contraria. Quemadmodum tot amnes, tantum superne deiectorum imbrium, tanta medicatorum vis fontium non mutant saporem maris, ne remittunt quidem, ita adversarum impetus rerum viri fortis non vertit animum: manet in statu et quidquid evenit in suum colorem trahit; est enim omnibus externis potentior. [2] Nec hoc dico, non sentit illa, sed vincit, et alioqui quietus placidusque contra incurrentia attollitur. Omnia adversa exercitationes putat. Quis autem, vir modo et erectus ad honesta, non est laboris adpetens iusti et ad officia cum periculo promptus? Cui non industrio otium poena est? [3] Athletas videmus, quibus virium cura est, cum fortissimis quibusque confligere et exigere ab iis per quos certamini praeparantur ut totis contra ipsos viribus utantur; caedi se vexarique patiuntur et, si non inveniunt singulos pares, pluribus simul obiciuntur. [4] Marcet sine adversario virtus: tunc apparet quanta sit quantumque polleat, cum quid possit patientia ostendit. Scias licet idem viris bonis esse faciendum, ut dura ac difficilia non reformident nec de fato querantur, quidquid accidit boni consulant, in bonum vertant; non quid sed quemadmodum feras interest.


Traduzione

[2, I] "Per quale motivo accadono molte avversità agli uomini buoni?" Non può accadere nulla di male ad un uomo buono: i contrari non si mescolano. A quel modo che tanti corsi d'acqua, tanta quantità di piogge rovesciatesi giù dall'alto, tanto grande numero di fonti medicinali non fanno cambiare il sapore del mare, e neppure diminuire, così l'urto delle avversità non devia l'animo dell'uomo forte: si mantiene nella sua condizione e dà il suo colore a qualunque cosa capiti; è infatti più potente di tutte le cose esterne. [2] Non dico questo, cioè che non le sente, ma che le vince, e, generalmente quieto e calmo, insorge contro ciò che lo contrasta. Considera esercizi tutte le avversità. Chi, d'altra parte, che solo sia uomo vero e teso verso il bene, non è bramoso di una fatica proporzionata e pronto ai doveri benché pericolo? Per chi, purché uomo attivo, non è un castigo l'inattività? [3] Vediamo gli atleti, che hanno preoccupazione delle forze, battersi con tutti i più forti ed esigere, da coloro grazie ai quali sono preparati ad una gara, che impieghino contro di loro tutte quante le forze; lasciano che siano colpiti ed attaccati con violenza e, se non trovano (allenatori) che uno per uno siano alla loro altezza, a parecchi contemporaneamente si gettano contro. [4] La virtù marcisce senza un avversario: quando mostra che cosa possa in pazienza, allora appare quanto sia grande e forte. Sii pur certo che lo stesso devono fare gli uomini buoni, affinché non abbiano paura delle prove dure difficili e non si lamentino del destino, qualsiasi cosa accada la giudichino un bene, la convertano in bene; importa non che cosa, ma in che modo sopporti.


Seneca insegna ad essere padroni di sé anche nelle avversità, perché queste non sono altro che prove da affrontare per irrobustirsi nell'animo e nel corpo. Questa virtù sarà alla portata di tutti solo grazie al messaggio del cristianesimo, rivolto ad ogni persona.


In Seneca la provvidenza, oggetto del dialogo, è perfettamente laica, conforme al principato, apprezza la modestia come virtù per la quale si rispetta il modus, la misura, per la quale i singoli imparano a "stare al proprio posto". Per Seneca l'unica cosa che l'uomo può fare è accettare ciò che il destino gli pone di fronte; se quanto accade non è un bene, il sapiens deve sapersene servire per creare il bene: questa è una concezione laica, che però è alla base della provvidenza cristiana. Manzoni concludeva così i Promessi Sposi:


I guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma [.] la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e [.] quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore


La provvidenza cristiana che è descritta da Manzoni mantiene una spinta rinnovatrice, cioè la facoltà di poter convertire il male in bene, ma quel male che il pagano illusoriamente credeva di poter risolvere da sé viene affidato dal cristiano alle mani di Dio. La consapevolezza del limite umano è quindi necessario presupposto per l'intervento divino.


Agostino d'Ippona (354 - 430) formulò la concezione cristiana della storia spinto dall'urgente motivo delle accuse rivolte dai pagani al Dio cristiano in occasione del sacco di Roma del 410 d.C. L'opera di riferimento è il De civitate Dei.

In una prima parte Agostino descrive uno sviluppo della storia che oltrepassa le vicende degli uomini. Questa è governata dalla Provvidenza ed ha inizio con la creazione del mondo per opera di Dio, procedendo con la storia degli Ebrei fino all'incarnazione, Dio che si fa uomo per la salvezza dell'umanità. Il fine ultimo della storia è Dio e il giudizio universale ne è la fine.

La concezione cristiana della storia è quindi un percorso rettilineo, irreversibile, ha un'origine e uno sviluppo e avrà una fine: non è una storia ciclica (come, per esempio, quella degli stoici), ma la storia ha un senso, una direzione.


Agostino, di fronte al timore di chi interpretava il crollo di Roma come il crollo della comunità cristiana, formulò in una seconda parte dell'opera la dottrina delle due città. Esistono una città terrena e una città celeste, la civitas diaboli e la civitas Dei: esse sono permixtae nella storia e si confondono, nella prima vi sono quanti vivono secondo l'uomo, guidati dall'amor sui usque ad contemptum Dei, nella seconda quanti vivono secondo Dio, nell'ottica dell'amor Dei usque ad contemptum sui[14].


Si conferma l'assoluta verità del cristianesimo su un piano di filosofia della storia: la fede trascende la condizione umana sulla terra; in questo modo viene a formarsi un limite invalicabile fra la finitezza dell'uomo e l'infinita grandezza di Dio. Questo non è un limite di natura politica, in quanto è presente sin dal momento del peccato originale, e non è neppure un limite terreno che si possa scavalcare: si è sostanzialmente di fronte ad una dialettica dell'aut-aut. La condizione del cristiano è, afferma Agostino, quella di essere pellegrino nel mondo, i cristiani sono nel mondo, ma non sono del mondo[15], vivono cioè in esso, a contatto con la realtà terrena, ma cercano le proprie radici al di là di esso.


Notiamo che la filosofia cristiana di Agostino supera il concetto stoico dell'amor fati, in quanto l'amor Dei richiede un cambiamento radicale, dall'ottica terrena a quella celeste. Non sono più le avversità a determinare la condotta dell'individuo, ma egli deve sapersi distaccare da esse; il metodo però rimane il medesimo, in quanto la resistenza alle avversità della vita è condotta attraverso la forza morale del sapiens. In Agostino lo sguardo è rivolto verso la civitas Dei, l'uomo agisce però grazie al libero arbitrio, in bene e in male. In Seneca tale sguardo rimane fisso sulla terra. Il valore importante, che entrambi valutano positivamente, è quello svolto dal ruolo della persona in sé: il sapiens senecano e il cristiano di Agostino sono modelli di una condizione esistenziale unica ed irripetibile, l'una elitaria, l'altra aperta a chiunque si lasci influenzare dal messaggio evangelico[16], e stanno entrambi alla base del valore che Kierkegaard attribuirà al singolo.


Harry è emblema dell'ideale senecano, non certamente portavoce di valori cristiani (la chiesa, per esempio, aborre la magia), ma porta comunque all'affermazione di valori laici fondamentali, quali l'altruismo, la cooperazione e la stima della dignità dell'altra persona.


Eliot, Murder in the cathedral.


The context we defined deals with a world in which man is at the centre, with a great decisional capacity. In fact we are facing a problem, since if till the medieval era man had a great importance in the order of the universe[17], the stoic logos, although it was not friendly and helpful to him, the Copernican revolution discarded the conception of the centrality of man.


The influences of these revolutionary events are still present in our society, emphasized also by the new modern theories developed in the latest century: in the scientific field there is the theory of relativity, in philosophy Nietzsche's declaration of God and metaphysic's death.

In this context and under the influence of Bergson's philosophy, developed the works of Thomas Stearns Eliot. We are going to deal with Murder in the Cathedral (1935), a poetic drama which keeps its subject from the life of Thomas Becket (1118-1170), among the works did after Eliot's conversion to Anglo-Catholic religion in 1927.


Thomas Becket lived in the XII century England, and he had been chancellor of the king Henry II till when he was made Archbishop of Canterbury. He then refused to accept the influence of the king onto the Church declared by the Constitutions of Clarendon (1164). Thomas returned to England after a five-years exile and on December 29, 1170, he was murdered in Canterbury Cathedral by four knights. He became a martyr and a saint, and pilgrims from all over England and Europe visited his shrine in Canterbury Cathedral.


Eliot's drama is worked out on the anguish and interior pain of Thomas, as it is reflected in the interlude (The archbishop preaches in the Cathedral on Christmas Morning, 1170), that separates the two parts of the play. Part one takes place in the Archbishop's hall on December 2, 1170. At the beginning the chorus starts the tragedy, foreshadowing its themes, in which are also present echoes from The Waste Land:


Winter shall come bringing death from the sea

Ruinous spring shall beat at our doors,

Root and shoot shall eat our eyes and our ears,

Disastrous summer burn up the beds of ours streams

And the poor shall wait for another decaying October


This passage contains a reference to the introduction to The Waste Land, in which April is presented as the cruellest month. Here the spring is ruinous, and in both the texts those definitions can be interpreted as objective correlatives[19], linked to the condition of the poet himself in The Waste Land, and to that of Thomas in Murder in the Cathedral. Here is present the whole contradiction between the anxiety of the poet and the joy that comes from a martyrdom. Thomas shows how from such a bad fact, as a murder is, can be generated new life: only through martyrdom faith can be renewed.


Here lies a similarity with the situation Harry lives in the final part of the seventh book: in a moment of pause from the action, after he had been hit by Voldemort, there is a shift in a place which is no-where, in a dimension out of the time, to establish a dialogue with Dumbledore[20], who says about the aridity of Voldemort:


'Think back. Remember what he did, in his ignorance, in his greed and his cruelty.' [.]

'He took my blood,' said Harry.

'Precisely!' said Dumbledore. 'He took your blood and rebuilt his living body with it! Your blood in his veins, Harry, Lily's protection inside both of you! He tethered you to life while he lives!'


Voldemort, who can not experience anything that overcomes his limits, not surrendering to anyone and trusting only himself, is doomed to fade away, while the faith's heroes we considered (Abram and Thomas) lived to give new life and hope to the world: they both lived the absurd (the dialectic contradiction between the littleness of man and absolute power of the absolute, God) and overcame it through faith: thus Abram obtained twice Isaac (when he was born and at the moment of the sacrifice) and Thomas witnessed the solidity of the Christian man, who finds life through and after death.


The Christian concept of death is that of a passage to a new life, while Voldemort, interpreting death as the end of everything[22], did not accept anything that wins his earthly power, which is obtained through domination over the others. Harry is halfway between these two interpretations, in fact he give an answer to the possibility of a life after death, trying to made Voldemort repent of his bad actions, but he also looked at his death as the end of all, not foreshadowing nothing and surrendering totally himself to a plan to be accomplished, the plan of eliminating Voldemort.


This is one of the contradictions of modern life, a duality always opened, in which a man is always being waiting halfway from this two stand points: the relative, from which originates the interpretation of reality which brings to consider only the earthly life (death is the end of all), and the absolute, which flows into faith (death is a passage towards a new life).

In this context of absurdities, in which a man is facing his own death without sadness, and in the material conflict of the XII century between temporal power and spiritual power (that well explains the clash between the relative and the absolute), there is on the one side the presence of the anguish, on the other that of the clash between the spiritual and earthly city.


The anguish is always struggling Thomas, but as we said, he is not sad: also Abram was not influenced by what he had to say. Being a hero of faith and not a tragic one, Abram did not have to find out words to give explanations to Isaac about the sacrificial victim, and he did not tell falsities: God would provide to it, he says. In this way he did the movement of the absurd, in which his faith is reinforced. Similar to this faith by absurd is that of Thomas, which still attends a repentance in his murderers, obtained only through his martyrdom.


You argue by results, as this world does / to settle if an act be good or bad : Thomas is setting the world of faith against the real and present world, the civitas Dei against the civitas diaboli. He is facing the problem as the faith's knight[24] does: he does not analyse his situation through rational reasoning, but he totally surrenders himself to the knights, which returned to the Cathedral to kill him. The new idea of peace that is developed in the preaching of the interlude confirms the new view he presents: the peace we are to seek for is not that of the world, but that of the spirit.

In this way the priests give thanks to God, in the final. Another time, the good comes out more vividly against the bad.


We praise Thee, O God, for Thy glory displayed in all the creatures of the

earth,

In the snow, in the rain, in the wind, in the storm; in all of Thy creatures,

both the hunters and the hunted.

For all things exist only as seen by Thee, only as known by Thee, all things

exist

Only in Thy light, and Thy glory is declared even in that which denies thee;

the darkness declares the glory of light


Finally, we can say that Eliot's interpretation of Becket's struggle gives to it the shape of the situation lived by Abram: the anguish is a central point in the situation of both this men, and allows them to detach from the contingent situation and go beyond the ethic sphere. And so Abram is not a murderer while Thomas is not seeking for martyrdom, though he can not avoid it.

The situation of Harry is anguishing, too: only through an apparent death he can win against Voldemort, also thanks to the stupidity of his rival. The anguish so leads Harry to the forest and to the direct confront with him. Harry did finally succeed in his action with the help of his friends and mates.


The element that distinguishes Harry from Abram and Thomas is the absurd, that is not present in this fantastic novel. We can also give this interpretation to the duality between this two visions: the real men Abram and Thomas lead a life full of absurdities, which is based on a faith that goes beyond reality, while the fantastic characters lead a regular life, where the adversities are resolved by chance; this is, however, the aut-aut, the contraposition between the Hegelian all-including system and the philosophy of scandal and absurd in faith that is peculiar to Kierkegaard.


Finally, Eliot's interpretation of faith is based on the conception that man's will has to conform to God's, thus highlighting the strict connection Eliot maintained with the Italian poet Dante: E 'n la sua volontade è nostra pace[26].

La scomposizione nel personaggio e nell'arte figurativa.


Il processo con cui Voldemort ha creato dei relitti a cui aggrapparsi negli horcruxes, rovinando la sua anima e lacerandola, lo ha condotto alla perdita dell'umanità. Il personaggio è però sempre in primo piano, anche se la sua dignità viene meno nel momento in cui rifiuta l'aiuto di Harry al pentimento.


Pirandello, il relativismo e il sentimento del contrario.


Pirandello aveva già analizzato e previsto nel 1893, nel saggio giovanile Arte e coscienza d'oggi, gli sviluppi del relativismo nella concezione dell'uomo moderno, denunciando profeticamente la relatività di ogni cosa.


Nei cervelli e nelle coscienze regna una straordinaria confusione. [.] Crollate le vecchie norme, non sono ancora sorte o bene stabilite le nuove; è naturale che il concetto della relatività d'ogni cosa si sia talmente allargato in noi [.]. Non mai, credo, la vita nostra eticamente ed esteticamente fu più disgregata.


La relatività d'ogni cosa si risolve quindi nella perdita delle qualità morali dell'uomo, il cui animo si disintegra sotto l'effetto della scomposizione.

A questo si collega lo sviluppo, a partire dai moduli del verismo verghiano[27], della teoria del sentimento del contrario nel saggio l'umorismo.


Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti. tutta goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così. ma che forse ne soffre. ecco che la riflessione. da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza fra il comico è l'umoristico.


In questo modo Pirandello si preoccupa del personaggio, ma a distanza: il personaggio può essere solamente oggetto di compassione, e l'autore non può sperare null'altro per lui. È proprio per questo motivo che i Sei personaggi in cerca d'autore si risolvono in tragedia con due morti in scena. In Harry Potter si intravvede la stessa compassione di Pirandello autore per il personaggio, nel tono con cui Harry si rivolge a Voldemort durante il loro ultimo incontro.


(Harry) "Ero pronto a morire per impedirti di fare del male a queste persone."

(Voldemort) "Ma non l'hai fatto!"

(Harry) ". era mia intenzione, ed è questo che importa. Ho fatto quello che ha fatto mia madre. Sono protetti da te. Non hai notato che nessuno dei tuoi incantesimi funziona su di loro? Non puoi torturarli. Non puoi toccarli. Non impari dai tuoi errori, Riddle, vero?"[29].


In particolare Harry cerca anche di far pentire Voldemort, aiutandolo a riconoscere il male che ha fatto. Harry è qui strumento della provvidenza laica.


(Harry) ". prima che tu provi a uccidermi, ti consiglio di pensare a quello che hai fatto. pensaci, e cerca in te un po' di rimorso, Riddle."

(Voldemort) "Che cosa?"

Di tutte le cose che Harry gli aveva detto, più di ogni rivelazione o insulto, niente sorprese Voldemort come questa. Harry vide le sue pupille ridursi a fessure sottili, la pelle attorno agli occhi sbiancare.

"È la tua ultima possibilità" continuò Harry, "tutto ciò che ti resta. [.] sii un uomo. cerca un po' di rimorso."


Ma Voldemort non può capire, lui è come Faustus, ha venduto la sua anima. Oltre ad averla venduta, l'ha divisa in sette parti; non è più capace di amare. E perciò non è più capace di conoscere tutto ciò che nell'intimità con se stesso si passa, d'inconfessabile[31]. Il problema consiste appunto, per Voldemort, e più in generale per l'uomo contemporaneo, nella mancata unità interiore, nell'assenza di una prospettiva ben definita per la propria vita. L'unità esteriore, al contrario, è mantenuta tramite la maschera del perbenismo. In questo, Voldemort, che non ha maschere in quanto non soggetto ai doveri imposti dalle convenzioni sociali, è più coerente con se stesso di chi invece si presenta duplice, triplice, sempre diverso, <<uno>> con questo, <<uno>> con quello . Ma Voldemort ha distrutto la parte più vitale della sua persona, l'anima, per mantenersi vivo, anzi aggrappato alla vita. Questa contraddittorietà sottolinea la profonda disumanità di Voldemort.


C'è però un limite: di fronte a tale disumanità non è concesso ridere e neppure giudicare, in perfetto ossequio alla teoria del sentimento del contrario che, ricordiamo, rivendica la dignità del personaggio.

Manzoni e il personaggio di fronte al problema del male.


Per rileggere il personaggio di Voldemort in chiave umoristica prendiamo ancora in considerazione il saggio l'umorismo, relativamente all'interpretazione di Manzoni come scrittore umorista.

Nei paragrafi iniziali del saggio Pirandello scrive:


Il Manzoni non si sdegna mai della realtà in contrasto con il suo ideale: per compassione transige qua e là e spesso indulge, rappresentando ogni volta minutamente, in forma viva, le ragioni del suo transigere e del suo indulgere: il che, come vedremo, è proprio dell'umorismo


Manzoni cioè interpreta la realtà sempre in riferimento all'ideale cristiano, adeguando i personaggi a tale visione.


È interessante quindi l'analisi svolta sul personaggio di don Abbondio, dei Promessi Sposi. Questo personaggio suscita a prima vista la risata per la sua fragilità e per la sua meschinità. Se si considera però il fatto che lui non abbia mai avuto coraggio, e che dietro tale comportamento c'è la sofferenza, allora si compatisce don Abbondio, e il sorriso diventa amaro. In quest'ottica si nota la piena attenzione manzoniana per il personaggio, tramite il quale si trasmette il messaggio evangelico. Se apparentemente quindi don Abbondio si è comportato da vile, non gli è mai preclusa la speranza della salvezza.


Allo stesso modo la Rowling descrive il personaggio di Voldemort, per il quale però non rimane altra soluzione che la morte del corpo e dell'anima, dopo che ha rifiutato l'aiuto di Harry che lo invitava al pentimento.

La provvidenza si manifesta più intensamente per contrasto con il male. Harry vince Voldemort dopo che questo ha ucciso molte persone, così come nella storia dal male si scopre il bene, da Guernica può nascere un fiore di speranza.


Voldemort è l'incarnazione del male morale che viene dall'uomo.

Questa è la precisazione del cardinale Carlo Maria Martini a proposito del male, di origine agostiniana:


Nessun essere umano può rispondere all'interrogativo sull'origine del male, se non per approssimazione: Dio ha donato all'uomo la libertà. [.] Con la libertà, tuttavia, nascono pure le difficoltà. Puoi dire di "no" anche all'amore di Dio, anche al bene. [.] Così alcuni rendono infelici altri e, alla fine, anche se stessi. E questo lo definiamo il male che viene dalla libertà. Non sempre gli uomini usano la loro libertà per il bene. Possono distruggere altre persone, l'ambiente o se stessi.


Il risultato a cui è giunto Voldemort è sostanzialmente la prosecuzione di quanto già Pirandello aveva sviluppato nell'analisi dei personaggi. La scomposizione del personaggio per l'analisi umoristica porta cioè alla creazione di diversi punti di vista da cui un soggetto può essere percepito con uguale profondità. Il personaggio quindi riflette su di sé questa scomposizione, si osserva cioè dai diversi punti di vista da cui è osservato, si trova perciò di fronte al paradosso. Per esempio Mattia Pascal (nei panni di Adriano Meis) è vivo per la morte e morto per la vita[35], allo stesso modo in cui Voldemort è sempre meno presente a se stesso nella disperata ricerca dell'immortalità che lo induce continuamente a rincorrere la vita.


Solamente chi cerca di mantenersi unico, integro, può realizzare la vita, proprio per il fatto che non si preoccupa della morte ma dell'integrità della propria persona. Così anche un personaggio della fantasia dell'autore come Harry è simbolo di chi vive, direbbe Seneca, da sapiens, libero dai timori della morte, in quanto questa è presente ogni giorno. Harry ha sperimentato proprio la continua vicinanza con la morte.

Harry quindi è personaggio che aspira all'assoluto, libero da ogni legame con la relatività delle paure terrene, nel momento in cui si abbandona alla morte.


Pablo Picasso: il cubismo di Guernica.


Picasso (1881-1973) diede vita nei primi decenni del XX secolo, assieme a Braque, al movimento artistico del cubismo, movimento che rivoluzionò lo spazio pittorico ricostruendo la realtà in base a diversi punti di vista, con prospettive sempre differenti in un'unica composizione. Tale movimento trova un suo precursore già nelle nature morte di Cézanne, dove si inizia a sviluppare l'utilizzo di diverse prospettive in relazione a diversi punti di vista. Il cubismo si distingue solitamente in due fasi. Nella prima, detta fase analitica, prevale la scomposizione del soggetto, i punti di vista si moltiplicano; la seconda invece tende a ricomporre il soggetto, ed è detta fase sintetica.


Non si sa quanto il movimento cubista sia stato influenzato dalla nuova concezione dello spazio-tempo novecentesca, ma certamente anche gli apporti da questo campo della cultura non furono irrilevanti: la verità non è più rappresentata unilateralmente, ma da molteplici punti di vista, in uno spazio che quindi non è più assoluto, che include i diversi tempi di osservazione. L'arte cubista, che presenta qualche analogia con le rappresentazioni infantili della realtà (una casa disegnata da un bambino, per esempio) è meno reale, forse; ma più vera![36].


L'opera Guernica di Picasso (figura 6, p. seguente), sviluppata secondo la tecnica cubista, ritrae il disastro umano della guerra dopo il bombardamento, da parte dei tedeschi, della città basca di Guernica ed è divenuta emblema della repulsione verso la guerra e gli orrori che essa provoca, dell'impegno sociale dell'artista e della denuncia contro chi permette tali disastri.


Ai due lati del quadro vi sono due donne, una disperata per la morte del figlio, l'altra che sta morendo nelle fiamme. Nel cavallo al centro si notano i diversi punti di vista, essendo rappresentati sia la parte posteriore che la testa. Il cadavere a terra ha le stimmate sulla mano sinistra, simbolo della sofferenza, e nell'altra tiene una spada spezzata, dalla quale nasce un timido fiore, a ricordare e mantenere viva la speranza. Il toro è simbolo della bestialità, mentre la luce portata dalla donna vuole illuminare la scena e cercare di comprenderla, così come l'occhio al centro, con una lampadina al posto della pupilla.


Anche nell'opera di Picasso troviamo un esplicito riferimento al tema dell'angoscia vissuta dai personaggi di Guernica, di cui è simbolo la donna straziata con il figlio morto, ed a quello della scomposizione dei personaggi, cioè dell'aridità interiore di chi ha pianificato una distruzione di tal genere. E questo sarebbe stato soltanto l'inizio dei bombardamenti, perché a Guernica fu sperimentato per la prima volta tale tipo di guerra.


Figura Pablo Picasso, Guernica, 1937; tempera su tela, 354x782 cm; Madrid, Centro de Arte Reina Sofia.

Bibliografia e sitografia.


https://it.wikipedia.org/wiki/Protagora


Introduzione e motivazioni.

De Mauro, Tullio (a c. di), Dizionario italiano (2 voll.), Paravia, Verona, 2000.

Rowling, Joanne Kathleen, Harry Potter and the Deathly Hallows, Bloomsbury, Londra, 2007.

Rowling, Joanne Kathleen, ed. italiana a c. di Gamba Daniela, Harry Potter e i doni della morte, Salani, Milano, 2008.


Il pensatoio: oltre il tempo e lo spazio.

Resnick, Robert, ed. italiana a c. di Uguzzoni Arnaldo, Introduzione alla relatività ristretta, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1979.

Zwirner, Giuseppe e Scaglianti, Luciano, Funzioni in R, analisi infinitesimale, Cedam, Padova, 1998.

https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_ultimo_dell%27universo


L'angoscia: una condizione esistenziale.

Eliot, Thomas Stearns, trad. di Giglio Tommaso e La Capria Raffaele, Assassinio nella cattedrale, Bompiani, Milano, 1985.

Kierkegaard, Søren Aabye; Segre, Bruno (a c. di), Timore e tremore - Lirica dialettica di Johannes de Silentio, Opportunity Book, Milano, 1995.

Manzoni, Alessandro; Jacomuzzi, Vincenzo (a c. di), I promessi sposi, Petrini, Torino, 2004.

Seneca, Lucio Anneo; Ramondetti, Paola (a c. di), Dialoghi, Utet, Torino, 2000.

https://www.augustinus.it/varie/frasi/frasi.htm


La scomposizione nel personaggio e nell'arte figurativa.

Di Sacco, Paolo; Baglio, Marco; Camisasca, Franco; Serìo, Mauro; Moduli di scritture, vol. 3c, Mondadori, Varese, 2002.

Martini, Carlo Maria e Sporschill, Georg, Conversazioni notturne a Gerusalemme: sul rischio della fede, Mondadori, Milano, 2008.

Pirandello, Luigi, Il fu Mattia Pascal, Opportunity Book, Milano, 1995.

Pirandello, Luigi; Argenziano, Maria (a c. di), L'umorismo, Newton Compton, Roma, 1993

Pirandello, Luigi, Sei personaggi in cerca d'autore - Enrico IV, Mondadori, Verona, 1972.

Verga, Giovanni; Greco Lanza, Concetta (a c. di), I Malavoglia, Newton Compton, Roma, 1993.


Le immagini sono state tratte da:

Figura 1 e 2:

Resnick, R., ivi, p. 4 e 67.

Figura 3:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/24/Cassini-science-br.jpg

Figura 4:

https://fc.retecivica.milano.it/Rete%20Civica%20di%20Milano/Scienza%20e%20Tecnologia/Orologio%20di%20Einstein/S0042B46D-069C3622.7/CROCE%20DI%20EINSTEIN.jpg

Figura 5:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/98/End_of_universe.jpg

Figura 6:

https://physics.stmarys-ca.edu/classes/Sem123_F07/Guernica.JPG


La data di ultima consultazione dei siti internet è stata il 30 giugno 2009



Rowling, J. K., ivi, p. 643.

Rowling, J. K., ivi, p. 635 - 637.

Eliot, Thomas Stearns, Assassinio nella Cattedrale, p. 93.

Kierkegaard, Søren Aabye, Timore e tremore, p. 45.

Kierkegaard, S. A., ivi, p. 27.

Kierkegaard, S. A., ivi, p. 55 - 57.

Kierkegaard, S. A., ivi, p. 67.

Enten-Eller, (aut-aut) è il titolo di un'opera pubblicata da Kierkegaard con lo pseudonimo di Victor Eremita.

Agostino d'Ippona, De vera rel. 39, 72. Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell'uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione.

Kierkegaard, S. A., ivi, p 88.

Seneca, Lucio Anneo, De Providentia, IV, 5.

Il principio stoico dell'amor fati verrà sviluppato anche nel principio nietzschiano dell'eterno ritorno dell'uguale.

Manzoni, Alessandro, I Promessi Sposi, cap. XXXVIII (p. 777).

Agostino, De civitate Dei XIV, 28, 1

Questa concezione della condizione del cristiano nel mondo era già stata introdotta nella Lettera a Diogneto, testo cristiano di autore anonimo, risalente al II secolo.

A proposito del messaggio evangelico, si ricorda la posizione di Paolo di Tarso sulla schiavitù, nella quale ha rilevanza il medesimo ruolo del cristiano: Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Tutti voi siete uno: è questo il valore del cristiano. (San Paolo, Epistola ai Gàlati 3, 28, trad. della Bibbia di Gerusalemme)

The anthropocentrism, the faith in human progress and in its power of dominating things, was reworked in the XV century renaissance.

Eliot, T. S., Murder in the Cathedral, p. 12.

This is the definition of objective correlative, given by Eliot himself: a set of objects, a situation, a chain of events which shall be the formula of a particular emotion.

This is the name of Silente in the original English edition.

Rowling, J. K., Harry Potter and the deathly hallows, p. 567, 568.

Seneca had already given this interpretation: he considered death both as a finis, the end of all, and as a transitus, a passage to a new life (De brevitate vitae).

Eliot, T. S., ivi, p. 142.

In this way Kierkegaard defines the role of Abram in Fear and Trembling.

Eliot, T. S., ivi, p. 168.

Alighieri, Dante, Paradiso, III, 85.

Nella prefazione ai Malavoglia (p. 50) si legge: chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo.

Pirandello, Luigi, L'umorismo, p. 78.

Rowling, J. K., Harry Potter e i doni della morte, p. 678.

Rowling, J. K., ivi, p. 681.

Pirandello, L., Sei personaggi in cerca d'autore, p. 59.

Pirandello, L., ivi, p. 62.

Pirandello, L., L'umorismo, p. 19.

Martini, Carlo Maria, Conversazioni notturne a Gerusalemme - sul rischio della fede, p. 12, 13.

Pirandello, L., Il fu Mattia Pascal, p. 166.

Proprio in questo modo il padre in Sei personaggi in cerca d'autore (p. 40) reclamava la sua autenticità, il diritto alla vita di questi personaggi.

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