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La radioattivita' naturale




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LA RADIOATTIVITA' NATURALE



LE DATAZIONI


Il fenomeno della radioattività naturale consiste nel decadimento di specie atomiche instabili esistenti in natura. Esso, oltre ad essere la causa del calore interno del nostro pianeta, come vedremo più avanti, ci permette di effettuare la datazione di rocce inorganiche e anche di resti organici.

Un metodo di datazione delle rocce si basa sul decadimento dell'uranio e del torio; il processo di disintegrazione di questi due elementi è iniziato fin dalla formazione dei loro minerali e ha prodotto particelle alfa che sono rimaste intrappolate (come atomi di elio) all'interno delle rocce stesse. Determinando accuratamente le quantità relative di elio, uranio e torio contenute in una roccia è possibile calcolare da quanto tempo è in atto il processo di decadimento, e quindi l'età della roccia.

Un altro metodo è basato sulla determinazione dei rapporti tra le concentrazioni degli elementi iniziali e finali delle serie radioattive; in particolare si misura il rapporto tra uranio 238 e piombo 206 o tra torio 232 e piombo 208 presenti nella roccia.

Questi e altri metodi attribuiscono alla Terra un età di circa 4,65 miliardi di anni, valore confermato sia dall'analisi di meteoriti cadute sulla superficie terrestre, sia dai campioni di rocce lunari prelevate dall'Apollo 11 - durante l'allunaggio del luglio 1969 - che forniscono un età molto simile anche per tutti gli altri pianeti del sistema solare.

Il metodo che ci permette, invece, di datare i fossili di natura organica è quello detto della datazione al radiocarbonio. Il metodo di datazione al radiocarbonio è applicabile unicamente ai fossili di natura organica che abbiano un'età dell'ordine delle migliaia di anni.

Mentre in vita la quantità di carbonio viene mantenuta costante attraverso la respirazione e l'alimentazione, dopo la morte la frazione di isotopo radioattivo 14C inizia a decadere in 14N, dimezzandosi ogni 5730 anni circa (periodo di dimezzamento). Convertendo il carbonio del fossile in anidride carbonica è possibile misurare con un contatore la quantità di 14C. Mettendola in relazione a quella dell'isotopo stabile 12C, noto il periodo di dimezzamento, si può risalire a una buona stima dell'età del fossile.


L'ORIGINE DEL CALORE INTERNO DELLA TERRA


La scoperta dei fenomeni radioattivi e, in particolar modo, della radioattività naturale, ha permesso di riconsiderare alcune teorie che sembravano assodate. Ciò è avvenuto, per esempio, nell'ambito della geofisica cioè di quel ramo della scienza che studia i fenomeni fisici che hanno luogo sulla Terra, come il magnetismo terrestre, il flusso di calore, la propagazione delle onde sismiche e la forza di gravità.

Ci si è chiesti, ad esempio, da cosa potesse dipendere il calore interno della Terra e come mai il flusso termico, ovvero la quantità di calore emessa dall'unità di superficie nell'unità di tempo, varia da regione a regione in maniera non accidentale. Inizialmente si pensava che la fonte di calore fosse esclusivamente l'energia gravitazionale, convertita in energia termica, durante gli stadi iniziali della formazione del nostro pianeta. Secondo questa ipotesi, nelle fasi di accrescimento e contrazione della massa iniziale della Terra si sarebbe sviluppata un'enorme quantità di energia. Per quanto sia difficile una ricostruzione precisa dei passaggi che hanno portato alla formazione di un pianeta roccioso come il nostro, si ritiene che la temperatura, ad un certo punto, abbia raggiunto valori elevati, superiori ai 1000 °C, sufficienti per causare la fusione degli elementi presenti. Un'ipotesi del genere spiega perché l'interno della Terra è caldo e si adatta bene alle conoscenze che abbiamo sulla distribuzione differenziata degli elementi al suo interno. Ciò nonostante tale ipotesi non è sufficiente da sola per spiegare i valori misurati del flusso termico. Infatti, le rocce solide presenti in buona parte del volume terrestre conducono il calore molto lentamente. Il calore, quindi, non può trasmettersi in tempi brevi dagli strati centrali della Terra verso l'esterno. Secondo i calcoli, per esempio, il calore proveniente da 400 km di profondità impiegherebbe più di 5 miliardi di anni (un'età pari a quella presunta della Terra) per giungere in superficie. Per questo la causa del flusso termico andrebbe ricercata in fenomeni che accadono negli strati più esterni.

Isotopo radioattivo

Quantità di calore ( J * g-1 * anno -1 )

U (e serie radioattiva)


U (e serie radioattiva)


U naturale (miscela di isotopi)


Th (e serie radioattiva)


K


K naturale (miscela di isotopi)



Quantità di calore emessa da alcuni isotopi radioattivi presenti nella crosta.

A questo punto entrano in gioco le scoperte riguardanti la radioattività naturale: oggi si ritiene, infatti, che la fonte principale del calore emesso sia l'energia prodotta dal decadimento degli isotopi radioattivi presenti nella crosta. Esaminando campioni di rocce provenienti dalla crosta continentale, si può constatare che tra gli elementi presenti si trova sempre una piccola frazione di isotopi radioattivi, come l'238U, il 232Th, il 40K. I nuclei di questi particolari isotopi emettono particelle, perdono massa, irradiano energia e si trasformano in nuovi isotopi più stabili.

Uranio, potassio e torio si trovano facilmente nei minerali delle rocce sialiche, in particolare nel granito, mentre scarseggiano nei minerali che caratterizzano le rocce femiche. Gli isotopi radioattivi, quindi, si concentrano soprattutto nel granito, che è la roccia più abbondante nella crosta continentale. La crosta oceanica, invece, costituita da rocce basiche, produce per radioattività naturale una quantità di calore molto minore. Secondo stime attendibili il flusso di calore dei continenti corrisponde effettivamente alla quantità prevista tenendo conto del decadimento radioattivo dei graniti continentali. E' molto probabile, quindi, che il flusso di calore osservato nei continenti derivi principalmente dalla radioattività delle rocce granitiche presenti. Nei fondali oceanici, invece, il flusso di calore dovrebbe essere ridotto, poiché i basalti o le peridotiti producono calore in quantità nettamente inferiore (vedi tabella).

Rocce

Quantità di calore

( J * g-1 * anno-1 )

Elementi radioattivi

(parti per milione)

U

Th

K

Graniti (crosta continentale)





Basalti (crosta oceanica)





Peridotiti (mantello superiore)





Produzione di calore radioattivo nelle rocce magmatiche più diffuse.


Tuttavia le misure del flusso di calore relative ai fondi oceanici sono molto simili a quelle registrate sui continenti. Per questa ragione si pensa che il flusso di calore dei fondali derivi non solo dai processi radioattivi che avvengono nella crosta, ma anche da altri fenomeni collegati con l'attività interna del nostro pianeta. La fonte del calore potrebbe essere il mantello, che sotto i fondali si avvicina a pochi chilometri dalla superficie. Si ritiene, infatti, che esistano nel mantello, sotto i fondali oceanici, moti convettivi che portano verso la superficie, in corrispondenza delle dorsali, il calore proveniente dagli strati più profondi della Terra.





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