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La crisi della fisica classica




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LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA


Alla fine del XIX secolo si pensava di essere ormai giunti ad una descrizione completa dei vari ambiti della fisica. La fisica classica si basava sui principi di conservazione della massa, dell'energia, della quantità di moto e del momento angolare, e sull'ipotesi tacita che l'osservazione di un fenomeno fosse sempre possibile, così come la determinazione, in un dato istante, della posizione e della velocità di un corpo. A quel tempo, era opinione di molti che le classiche equazioni della meccanica newtoniana potessero descrivere compiutamente ogni moto degli oggetti sia sulla Terra sia nei cieli. Queste equazioni, non solo rappresentavano il punto di partenza per lo studio dei fluidi, delle onde e dei suoni sulla Terra e del moto dei pianeti nello spazio, ma potevano fornire, attraverso la teoria cinetica della materia, una logica meccanica anche ai fenomeni termici.

L'interpretazione teorica dei principali aspetti fisici del mondo macroscopico era poi completata dalle equazioni di Maxwell. Queste equazioni avevano consentito sia di riunire in un'unica teoria i fenomeni elettrici e magnetici, sia di riconoscere la natura elettromagnetica della luce.

Anche quando incominciarono ad arrivare le prime scoperte riguardanti la natura atomica della materia si pensava che pure il mondo microscopico potesse essere descritto correttamente utilizzando opportunamente le teorie elaborate con tanto acume da Newton e da Maxwell.

Questa convinzione si dimostrò, però, del tutto errata.

Anche a prescindere dalle grandi scoperte del primo Novecento, i due gruppi di equazioni mostravano un contrastante presupposto fondamentale. Mentre nella meccanica newtoniana ogni azione si manifesta istantaneamente, qualunque sia la distanza fra i corpi interagenti, nelle equazioni di Maxwell le forze elettromagnetiche si propagano con una 'velocità finita' , corrispondente a quella della luce. Proprio per questo, fin d'allora, si comprese la necessità di superare questa evidente contraddizione per cercare di elaborare una razionale teoria che potesse riunire sotto una stessa logica i principi della meccanica e dell'elettromagnetismo.

Il periodo che va dal 1900 circa al 1930 è stato probabilmente uno dei più produttivi nella storia della fisica. Nell'affrontare le questioni che erano allora sul tappeto gli scienziati elaborarono infatti nuove ipotesi che fossero in grado di spiegarle; tali ipotesi erano nuove nel senso che richiedevano un tipo di approccio diverso da quello proprio della fisica classica. Fu appunto in quegli anni che vennero elaborati i principi della fisica moderna ed ebbe luogo una delle principali rivoluzioni della storia della fisica.

Sono stati i fenomeni radioattivi evidenziati da Becquerel, i lavori teorici di Planck e di Einstein, gli esperimenti di Rutherford, Millikan e Bohr, le sconvolgenti idee di de Broglie e di Heisenberg le scoperte che hanno sconvolto la fisica classica.

I tempi erano ormai maturi per accogliere nella storia delle scienze le due, forse, più rivoluzionarie teorie della fisica moderna: la meccanica quantistica e la relatività.

Nelle nuove teorie allora proposte ebbe un ruolo chiave l'idea che la luce è quantizzata, ossia composta di quantità discrete (cioè separate, distinte) di energia. Quest'idea portò alla formulazione di un nuovo insieme di principi e allo sviluppo di un nuovo ramo della fisica, la meccanica quantistica. Quest'ultima introdusse molti concetti che, pur apparendo strani, paradossali, risultarono estremamente potenti e di vasta portata. La teoria quantistica obbligò i fisici a riconsiderare le relazioni tra particelle e onde. Più precisamente, essa dimostrò che le particelle spesso presentano proprietà ondulatorie e che, a loro volta, le onde spesso si comportano come particelle. Essa ottenne i suoi maggiori successi nella spiegazione di molti fenomeni su scala atomica, laddove la teoria classica non riusciva a fornire le risposte corrette.

La teoria quantistica ebbe origine da studi termodinamici, in relazione alla radiazione emessa da un corpo nero. Planck, per risolvere questo problema, ipotizzò che l'energia fosse emessa o assorbita secondo quantità discrete. Fu Einstein a capire per primo che la quantizzazione introdotta da Planck non era un artificio matematico, ma una proprietà generale della radiazione.

Egli per poter interpretare un fenomeno da poco scoperto, noto con il nome di effetto fotoelettrico riesumò nuovamente l'aspetto corpuscolare delle radiazioni. A prima vista l'ipotesi di Einstein sembrava piuttosto paradossale e in sconcertante contraddizione, in quanto una radiazione elettromagnetica doveva essere caratterizzata da un duplice aspetto: alcune volte doveva comportarsi come un corpuscolo, chiamato quanto o fotone, altre volte invece doveva esibire le consuete proprietà ondulatorie. Circostanza di carattere fondamentale è che mai è necessario fare intervenire simultaneamente l'aspetto corpuscolare e quello ondulatorio.

Successivamente Bohr utilizzò il concetto di quantizzazione applicandolo al modello di atomo di idrogeno: in questo modo risultava giustificato lo spettro a righe che la fisica classica non spiegava in alcun modo.


Fisica Classica- fisica moderna

Quando si parla di 'fisica classica', ci si riferisce generalmente a quell'edificio di conoscenze che si è andato costruendo a partire dagli inizi della Rivoluzione Scientifica del XVII secolo e che continua ad essere completato, integrato, perfezionato fino alla fine del XIX secolo. Questo edificio comincia ad essere riconosciuto come 'classico' nel corso del XX secolo, a seguito di scoperte inaspettate che ne mettono in discussione le stesse fondamenta.

Dal punto di vista didattico, la fisica classica è la fisica che si insegna a scuola.

A livello didattico, poco importa se l'insegnamento si riferisce ai criteri di rappresentazione del mondo fisico adottati nel passato: si ritiene giustamente che la base della formazione in fisica sia costituita dalla fisica classica e che non si possa prescindere da tale base. Da questo punto di vista, la fisica classica appare come composta da un gruppo di strutture teoriche, con alcuni elementi di collegamento tra loro. Normalmente tali strutture sono:


La meccanica

La termodinamica

La teoria cinetica dei gas

L'elettromagnetismo

L'ottica


Ciascuno di questi schemi utilizza modelli propri e proprie regole di rappresentazione della realtà fisica. Vi sono anche talvolta alcune articolazioni interne, che introducono ulteriori differenze nei modelli e nei criteri di rappresentazione (basti pensare, ad esempio, alla meccanica del punto e alla meccanica dei sistemi, in particolare dei fluidi e dei mezzi elastici, oppure all'ottica geometrica e all'ottica ondulatoria).

Ora, sta qui il nodo centrale del passaggio alla fisica moderna. Le principali scoperte, che danno il via alla profonda trasformazione dell'immagine fisica del mondo che avviene nel XX secolo, nascono proprio, come nel caso della teoria della relatività, quando l'evidenza sperimentale mette in evidenza le contraddizioni tra le diverse strutture teoriche della fisica classica. Come vedremo tra breve, la 'crisi' dell'intero sistema è determinata appunto dall'indagine su fenomeni di 'confine' (tra meccanica e termodinamica, tra termodinamica ed elettromagnetismo, tra elettromagnetismo e meccanica).

Ripensare la fisica classica significa quindi in primo luogo smettere di considerarla un sistema rigidamente coerente. Sarebbe invece più appropriato vederla come un sistema in evoluzione, in cui ai problemi risolti si affiancano questioni da risolvere e in cui si presenta spesso una forte 'tensione' tra diversi modelli adottati per descrivere diversi sistemi fisici.

Dal punto di vista della realtà storica, la fisica della fine del XIX secolo è un insieme di diversi programmi di ricerca, in competizione tra loro, e ciascuno con seri problemi da risolvere.

La situazione problematica, all'inizio del XX secolo, darà luogo a quelle radicali trasformazioni dell'assetto concettuale della disciplina, che aprono all'affermazione delle strutture teoriche 'moderne'. Pervadono la ricerca alla fine del XIX secolo cinque dicotomie:


continuo  discreto

macroscopico microscopico

causale  casuale

lineare  non lineare

stabile  instabile

continuo  discreto

La meccanica si serve inizialmente di un costrutto mentale, il cosiddetto 'punto materiale', che schematizza il comportamento di corpi semplici, tali da poter essere identificati dalla loro massa e da una terna di coordinate di posizione. 

Con la crisi della fisica classica occorre modificare i criteri di rappresentazione e quindi i modelli. Il cambiamento più importante è che la descrizione dello 'stato' del sistema deve ora servirsi di funzioni continue.

Il problema fondamentale è ben illustrato da Einstein, nel primo della serie di formidabili articoli pubblicati nel 1905, quello sui 'quanti di luce'. Scrive Einstein:

"Esiste una differenza formale di natura essenziale tra le rappresentazioni teoriche che i fisici hanno tracciato riguardo ai gas e agli altri corpi ponderabili e la teoria di Maxwell dei processi elettromagnetici nel cosiddetto spazio vuoto . l'energia di un corpo ponderabile non può essere suddivisa in un numero arbitrario di parti piccole a piacere, mentre l'energia di un raggio di luce emesso da una sorgente, secondo la teoria di Maxwell (o, in generale, secondo una qualsiasi teoria ondulatoria) si distribuisce in modo continuo in un volume sempre crescente."

La teoria dei quanti di luce cercherà di sanare la dicotomia così chiaramente illustrata da Einstein. Infatti la compresenza di modelli discreti e modelli continui crea una difficoltà notevole, che era stata già riconosciuta dallo stesso Maxwell parecchi anni prima e che riguarda appunto la 'coesistenza impossibile' tra gli schemi di rappresentazione teorica adottati dalla fisica classica.


macroscopico   microscopico

Ci si può chiedere: quando e perché i fisici sono stati costretti a introdurre una distinzione tra mondo macroscopico e mondo microscopico?

La risponda alla domanda quando è: con la scoperta della termodinamica. La risposta alla domanda perché è un po' più delicata.

La nascita della termodinamica è essenzialmente dovuta all'affermazione del principio di conservazione dell'energia. Nei fenomeni reali, l'energia meccanica o elettromagnetica non è perduta, ma semplicemente trasferita a un livello 'nascosto' di realtà: la realtà microscopica.

La prima legge della termodinamica vale per tutti i sistemi macroscopici e stabilisce l'esistenza di una funzione dello stato macroscopico del sistema che non può essere creata né distrutta: l'energia 'interna'. Ma la scoperta della termodinamica non si limitò all'introduzione della prima legge e alla definizione di grandezze che rappresentano le due forme principali di trasferimento di energia: il lavoro e il calore L'evidenza sperimentale metteva infatti in risalto un'altra caratteristica fondamentale dei processi dissipativi: essi sono di fatto irreversibili.

Tutto ciò  ha a che vedere con la distinzione tra macroscopico e microscopico grazie al famoso esperimento mentale che Maxwell "inventa" nel 1867: il cosiddetto "demone di Maxwell", un essere in grado di prendere decisioni e che ha la straordinaria capacità di 'vedere' le singole molecole di un gas e di 'sceglierle'. Se un tale essere esistesse, la seconda legge della termodinamica non avrebbe più senso. Il demone potrebbe trasferire l'energia di agitazione termica da una zona all'altra del sistema, distruggere l'equilibrio termico e fare in modo di recuperare tutta l'energia dissipata per attrito. Dato che tale essere non può esistere, siamo costretti ad ammettere che esiste un livello di realtà che non possiamo 'vedere' e quindi controllare a nostro piacimento. Questo è appunto il livello microscopico.


causale  casuale

Le spiegazioni della fisica classica sono spiegazioni rigorosamente causali. Le forze e i campi causano i cambiamenti. Non solo, ma la conoscenza delle forze e dei campi consente di prevedere esattamente l'evoluzione dei fenomeni da essi causati. Si dice, in questo senso, che la fisica classica è strutturalmente deterministica: note le condizioni iniziali, l'andamento del fenomeno può essere previsto esattamente in ogni istante passato e futuro. A questo proposito, la famosa dichiarazione di Laplace segna il manifesto della visione deterministica del mondo:

"Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell'universo come l'effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro. Un'Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la collocazione rispettiva degli enti che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi".

Tuttavia questo obiettivo ideale non poteva essere raggiunto: è sufficiente analizzare il semplice esperimento del lancio di una moneta o di un dado per capire che non è affatto facile prevedere il risultato, cioè l'occorrenza rispettivamente di testa/croce o di un certo numero impresso nella faccia superiore.

Quindi, sebbene si seguiti ad assumere che le leggi "di base" siano di tipo deterministico, il nostro stato di incertezza riguardo i dettagli del moto ci impedisce di arrivare a conclusioni certe.

Il grado di incertezza può essere ridotto se le leggi della fisica che governano il processo sono ben note e se le condizioni sperimentali sono sotto controllo. Questo significa che alcuni esiti (o intervalli di possibili valori) saranno ritenuti molto plausibili, mentre altri saranno considerati inverosimili, se non addirittura impossibili. In altri termini, si parla genericamente della probabilità di un possibile risultato di un certo esperimento.

Ci sono poi fenomeni in cui è la stessa meccanica classica a non essere adeguata alla descrizione del processo elementare. Questo succede sulle scale atomiche e inferiori. In questo caso sono le stesse leggi fondamentali che assumono natura aleatoria; si perde il carattere deterministico "almeno in linea di principio" della meccanica classica e si deve utilizzare il linguaggio della meccanica quantistica.


lineare  non lineare

Nella fisica classica il teorema di esistenza e unicità della soluzione di un sistema di equazioni differenziali ci assicura che, note le condizioni iniziali, un sistema dinamico (un sistema di cui siano note le equazioni differenziali che ne determinano l'evoluzione temporale) ha un'evoluzione esattamente definita. Ne segue che un sistema dinamico non può in linea di principio avere un'evoluzione casuale, ossia tale che condizioni iniziali identiche diano luogo a evoluzioni diverse tra loro.

Tuttavia, in fisica classica, salvo casi particolari, le equazioni differenziali da cui è ricavabile la dinamica del sistema sono in genere non lineari. Tra parentesi, un'equazione differenziale si dice 'lineare' solo se i termini, in cui compaiono la variabile e le sue derivate, sono tutti di primo grado. Le stesse equazioni della teoria gravitazionale di Newton sono di fatto non lineari. Per fortuna, sono equazioni abbastanza semplici da consentire di trovarne una soluzione, almeno finché i corpi che si attraggono sono solo due. Tuttavia, basta affrontare il famoso 'problema dei tre corpi' (ossia, per esempio, cercare di studiare l'evoluzione del sistema Sole-Terra-Luna) per accorgersi che le equazioni non lineari che si ottengono sono troppo complicate e non sono risolubili con metodi strettamente analitici. Per questo motivo, la fisica classica ha sempre cercato di evitare il più possibile problemi che dessero luogo a equazioni differenziali non lineari e ha cercato comunque di 'linearizzare' i problemi da affrontare.

Solo in tempi recenti, quando è stato possibile trattare sistemi di equazioni non lineari per via numerica, ossia usando il computer, si è scoperto che questa caratteristica strutturale della fisica classica poteva dar luogo a sviluppi impensati. Ci riferiamo, come è noto, alla scoperta dei sistemi caotici, ossia dei sistemi che presentano la proprietà della dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali.

I sistemi lineari in senso proprio hanno invece caratteristiche peculiari. Appartengono, per esempio, alla classe dei sistemi lineari tutti quei sistemi meccanici o elettrodinamici che hanno una stato di equilibrio stabile (ossia un minimo della funzione che ne rappresenta l'energia potenziale) e che, se allontanati (o 'spostati') da questa posizione, subiscono un'azione tendente a riportarli allo stato di equilibrio che è proporzionale allo spostamento.

Per sistemi dinamici, come il sistema Sole-Terra-Luna, retti da equazioni non lineari, è sufficiente una differenza anche minima tra i valori delle condizioni iniziali per generare 'traiettorie' molto diverse tra loro. Ciò comporta che l'evoluzione del sistema può essere di fatto impredicibile.

I sistemi lineari in senso proprio hanno invece caratteristiche peculiari. Appartengono, per esempio, alla classe dei sistemi lineari tutti quei sistemi meccanici o elettrodinamici che hanno una stato di equilibrio stabile (ossia un minimo della funzione che ne rappresenta l'energia potenziale) e che, se allontanati (o 'spostati') da questa posizione, subiscono un'azione tendente a riportarli allo stato di equilibrio che è proporzionale allo spostamento.

L'esempio più semplice è evidentemente l'oscillatore armonico.

La meccanica quantistica si distingue dalla meccanica classica soprattutto per il fatto che i sistemi quantistici devono essere tutti rigorosamente lineari


stabile  instabile

La scoperta dell'elettrone, riconducibile alle famose esperienze di J.J.Thomson del 1897, segna l'inizio della ricerca sui modelli che potessero rappresentare adeguatamente un atomo in quanto sistema costituito da più particelle cariche, positive e negative. Il primo modello 'a panettone' formulato dallo stesso J.J.Thomson e quello 'nucleare' di Rutherford facevano comunque riferimento a sistemi di particelle cariche in interazione reciproca e che quindi il loro comportamento doveva basarsi sulle equazioni dell'elettromagnetismo, combinate con quelle della meccanica.

Ora, proprio questa base teorica, l'unica che la fisica classica era in grado di offrire, era di per sé totalmente inadeguata a raggiungere gli scopi che si proponeva di ottenere. Questo perché la configurazione di qualsiasi sistema di particelle cariche, tenute insieme da forze coulombiane, è strutturalmente instabile, il che contraddice tutta l'evidenza sperimentale relativa alle proprietà degli atomi e delle molecole.

Possiamo per esempio ionizzare l'atomo dell'elemento strappandogli uno o due elettroni: sappiamo che prima o poi l'atomo ritornerà alla sua configurazione originale.

Quando diciamo che gli atomi e le molecole devono per forza essere strutture stabili, intendiamo dire nient'altro che questo.

La differenza sostanziale tra mondo macroscopico e mondo microscopico e tra continuo e discreto si presenta, quando si parla di struttura atomica, in una forma decisamente più drammatica. Un sistema classico composto di corpi interagenti assume una configurazione che dipende dalle condizioni iniziali. Per intenderci, l'orbita della Luna, o dei satelliti di Giove, non è obbligata. Se dallo spazio esterno al sistema solare provenisse un altro satellite e se questo satellite entrasse nell'orbita di Giove, si produrrebbe un cataclisma di proporzioni inimmaginabili e l'intero sistema o si sfascerebbe o assumerebbe una nuova configurazione.


Tutto ciò non vale per i sistemi atomici. Gli atomi possono essere sottoposti a perturbazioni violentissime, ma, dopo un tempo molto breve, essi ritornano esattamente alla configurazione originale. Tutto ciò è, dal punto di vista della fisica classica, semplicemente inconcepibile.


Si può quindi concludere che lo schema esplicativo della fisica classica, proprio per le sue caratteristiche strutturali, non può spiegare il comportamento e le proprietà della materia che ci circonda. Le caratteristiche di stabilità delle molecole e degli atomi e l'estrema regolarità del loro comportamento sono proprietà estranee alle capacità di spiegazione della fisica classica. La fisica classica è, insomma, incapace di spiegare le caratteristiche essenziali dei corpi materiali. Queste caratteristiche possono essere comprese solo con la meccanica quantistica.

La concezione deterministica dell'Ottocento rispecchiava, in un certo senso, l'esigenza umana di certezza in un mondo mutevole e capriccioso. Il caso veniva definitivamente allontanato dai pensieri dell'uomo e ogni cosa evolveva, indipendentemente dai suoi desideri e dalla sua volontà, con assoluta precisione. Con il nuovo secolo appena concluso però la visione del mondo fisico cambia profondamente e come era già accaduto in altre occasioni, una teoria che appariva coerente e in grado di spiegare in modo logico e certo i fatti sperimentali, si rivelerà invece inadeguata quando verrà spinta oltre i limiti sperimentali entro i quali era stata stabilita.


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