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Henri bergson e il tempo come durata




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HENRI BERGSON E IL TEMPO COME DURATA


Come si è detto fra il XIX e il XX secolo alcune scoperte mettono in dubbio il paradigma positivista dell'osservabilità diretta dei fatti positivi, cioè del raggiungimento da parte della scienza di verità assolute, tanto che già a partire da fine '800 alcuni scienziati proclamano il carattere ipotetico o convenzionale della scienza: alcuni esempi sono costituiti da Poincaré, un matematico che si interessa di filosofia,autore di «La scienza e l'ipotesi»; o la «Teoria della fisica» di Duhem nella quale lo scienziato sostiene che la fisica non sia né vera né falsa, ma solo un insieme di proposizioni coerenti fra loro e più o meno approssimate. Qualcosa di simile avviene anche nelle scienze umane, come con la sociologia di Weber (1864-1920), o in campo psicologico. Riflettendo sulla coscienza e il tempo interiore si arriva, in campo filosofico, alle posizioni di Bergson (1859-1941) sulla durata che si ricollegano alla tradizione dello spiritualismo.


La filosofia di Henri Bergson può venir definita col nome di Evoluzionismo spiritualistico.

In tale filosofia si fondono i motivi dello Spiritualismo antico (come quello di Agostino) e quelli della tradizione introspettivo-spiritualistica francese che trova i suoi capostipiti in Descartes e Pascal. Tali motivi convergono, in una sintesi ricca ed origi­nale, con le istanze dell'Evoluzionismo spenceriano e con la critica delle 'verità' scientifiche.

Bergson è considerato come il filosofo francese più importante del suo tempo. E, in real­tà, l'influsso del suo pensiero è stato notevole non solo sul Pragmatismo americano alla James, ma anche per la riflessione sulla scienza, sull' arte, sulla concezione della società e della religione.

Nel clima culturale del suo tempo, il giovane Bergson assume ben pre­sto fiducia nelle scienze, soprattutto matematiche e fisiche, e vivi interessi di ricerca in un ambito che si può definire di filosofia della scienza, tutto centrato sul problema del tempo.

Ben presto emerge il senso della irriducibile «dimensione qualitativa» presente nell' espe­rienza concreta, al di là di ogni tenta­tivo «scientifico» di ridurla sempre entro lo schema della quantità Gli «stati di coscienza», nelle riflessioni di Bergson, si atteggiano quindi come «processi» e durata vita interiore e molteplicità qualitativa che sostengono e provano l'autonomia della vita interiore al di là del mondo del tempo spazializzato e oggettivato.

Il filosofo si accorge, infatti, che il Positivismo non mantiene affatto la promessa della fedeltà ai fatti, come appare, per esempio, dalla trattazione del problema del tempo. La sorpresa consiste nel fatto che alla meccanica sfugge il tempo dell' esperienza concreta. Per la meccanica, leggiamo nel Saggio sui dati immediati della coscien­za, il tempo è una serie di istanti uno accanto all' altro, come emerge dalle successive posizioni delle lancette dell' orologio. Per questo, il tempo della meccanica è un tempo spazializzato e, difatti, misurare il tempo significa controllare che il movimento di un certo oggetto in uno spazio determinato coincide con il movimento delle lancette dentro quello spazio che è il qua­drante dell' orologio. Ma, oltre che spazializzato, il tempo della meccanica è un tempo reversibi­le, poiché possiamo tornare indietro e ripetere infinite volte lo stesso esperimento. Per la meccanica, inoltre, ogni momento è esterno all' altro, ed è uguale all' altro: un istante si sussegue all'altro, e non c'è un istante diverso dall'altro, più intenso o più importante dell'altro.

Ebbe­ne, queste caratteristiche del tempo della meccanica non riescono minimamente a render con­to di quello che è il tempo dell' esperienza concreta. Se la spazialità è la caratteristica delle cose, la durata è la caratteristica della coscienza. Durata vuoI dire che l'io vive il presente con la memoria del passato e l'anticipazione del futuro.

Nel tempo della meccanica gli istanti sono diffe­renti solo quantitativamente, ma in quello della coscienza un istante può valere l'eternità, o comunque può essere decisivo per una vita: ci sono momenti che non passano mai e giornate e periodi che volano via. Il tempo della meccanica è reversibile, ma per la coscienza e per la vita è vano andare alla ricerca del tempo perduto: l'oggi è diverso da ieri, l'istante successivo presuppone sempre e cresce sull'esperienza dell'istante precedente e di tutto il passato, e quindi, di fronte ad essi, si presenta sempre come irriducibile ed autentica novità.

Certo, il tempo spazializzato, e quindi quantitativo e misurabile, cristallizzato in una se­rie di momenti esterni l'uno all' altro funziona bene per le finalità pratiche della scienza che ha per compito quello di costruire teorie utili in quanto ricche di previsioni che si riducono in tal modo a strumenti efficaci per controllare le situazioni che, di volta in volta, sono da fronteggiare. La realtà, però, pre­senta aspetti diversi che, volendo rimanere fedeli all' esperienza, vanno studiati con un metodo proprio. È qui che, a suo avviso, il Positivismo fallisce: nella concezione per cui la natura dei fatti è unica e nella pretesa di giudicare tutti i fatti con lo stesso metodo.

All'idea di durata, quale fondamentale caratteristica della coscienza, Bergson lega la sua difesa della libertà e la sua critica al determinismo quando questo presume di poter spiegare la vita della coscienza.

In realtà, se gli oggetti «non portano il segno del tempo trascorso», se cioè essi esistono uno esterno all' altro in un tempo spazializzato, allora la determinazione di un evento successivo per mezzo di un evento precedente, distinto da esso, è possibile: primi eventi identici (le cause) spiegano successivi eventi identici (gli effetti). Ma ciò che è possibile - ed utile - nell' ambito degli oggetti spazializzati, si rivela subito impossibile per la coscien­za. La coscienza conserva le tracce del proprio passato; in essa non esistono mai due eventi identici, per cui la determinazione di successivi eventi identici risulta impossibile.

Sia i deterministi che i sostenitori della dottrina del libero arbitrio sono, secondo Bergson, in errore poiché applicano alla coscienza le categorie tipiche di quel che, invece, è esterno alla coscienza. Sia i sostenitori che i detrattori della libertà della coscienza presuppongono un'idea di coscienza come una somma di atti distinti, mentre l'io è un'unità in divenire, per cui «siamo liberi quando i nostri atti emanano dalla nostra persona­lità intera, quando la esprimono».

È vero che i nostri atti non sempre scaturiscono dalla radice profonda del nostro io; spesso essi sono abitudini, e in quanto tali essi risultano meccanizzati e prevedibili come i fenomeni esterni. Quindi in essi non siamo liberi. Ma se i nostri atti scaturiscono dal profondo di noi stessi, se esprimono la totalità della nostra persona, la loro libertà è indubitabile.

L'autonomia e la specificità della coscienza rispetto alla materia, le relazioni insomma del corpo con lo spirito divengono quindi i temi su cui, in "Materia e Memoria" del 1896, Bergson si concentra àvendo identificato nella memoria il «luogo» del contatto fra lo spirito e la materia.

Alcuni pensatori, dice Bergson, sostengono, riguardo al problema del rapporto tra la materia o il corpo e lo spirito, la teoria del parallelismo psicofisico secondo cui gli stati mentali e gli stati cerebrali sono due diversi modi di parlare della stessa cosa o processo. L'evo­luzionismo materialistico, invece, afferma che gli stati mentali (cioè la coscienza) sono un epife­nomeno ovvero una semplice funzione del cervello. Ebbene, Bergson avversa ambedue queste dottrine e reputa la prima di esse sostanzialmente equivalente alla seconda.

Contro la riduzione dello spirito a materia, Bergson propone e ribadisce l'idea che il cervello non spiega lo spirito e che «in una coscienza umana c'è infinitamente di più che nel cervello corrispondente».

Bergson, assumendo i dati delle scoperte di psico-fisiologia effettuate in quell' epoca, compie una approfondita analisi dell' attività della coscienza distinguendo tre distinti momenti di essa, e cioè la memoria, il ricordo e la percezione. La memoria coincide e si identifica con la coscienza stessa, Da questa memoria spirituale -che è la 'durata' della coscienza-, si distingue il ricordo. Il nostro essere più vero e più profondo sta nella memoria spirituale, ma la vita ci impone di porre attenzione al presente e ripesca dal passato unicamente quanto serve perché ci si possa orientare appunto nel presente. E questa opera di selezione del ricordo utile e dell' oblio viene effettuata dal corpo e dal cervello.

La memoria spirituale, per realizzarsi, ha bisogno dei meccanismi legati al corpo - giac­ché è attraverso il corpo che noi agiamo sugli oggetti del mondo - ma essa è dal corpo indi­pendente talché una lesione del cervello non colpisce la coscienza, quanto piuttosto il collegamento fra la coscienza e la realtà: la coscienza resta intatta anche se perde il contatto con le cose.

La percezione è infine il potere d'azione del nostro corpo che si destreggia tra le 'immagini' degli oggetti. Il ricordo, come immagine del passato, orienta la percezione presente, per il fatto che noi agiamo sempre in base alle esperienze passate. In ogni istante della nostra vita, pertanto, si ha un legame tra memoria e percezione, in vista dell'azione.


Lo slancio vitale

La vita è «slancio vitale». Contro Spencer, che aveva formulato una teoria puramente meccanica dell'evoluzione della  realtà, Bergson propone il suo evoluzionismo spiritualistico. La realtà «esplode» creativamente in molte direzioni, come un'«onda», o un «fuoco d'artificio». l'evoluzione della vita non è né deterministica né finalistica (la presenza di un fine condurrebbe nuovamente il processo della realtà a uno sviluppo necessitato e condiziona to dal fine stesso; la natura è invece libera e imprevedibile, cioè spirituale). Alcune forme della realtà, dopo varie evoluzioni, si arrestano e cadono nella ripetitività dell'abitudine; in certo modo si «materializzano» e si «spazializzano».

Anche l'uomo è il prodotto di questo processo evolutivo. Come l'animale si arresta inchiodato nel circolo dell'istinto: strumento mirabile di sopravviven­za, ma anche mezzo troppo rigido per evolvere oltre un certo limite. La novità presentata dall'uomo è l'intelli­genza, cioè la capacità di forgiare strumenti artificiali (a cominciare dal linguaggio), e non soltanto naturali come quell i forniti dall'istinto, per sopravvivere. L'intel­ligenza umana, poi, si sviluppa nelle due forme dell'intelletto (con il quale opera la scienza) e dell'intuizione (che è invece l'organo della filosofia o metafisica, rivendicata da Bergson contro i positivisti).

Questo schema evolutivo Bergson lo applicò anche alla società, alla morale e alla religione. Società, morali e religioni «chiuse» sono quelle che si irrigidiscono confor­misticamente nelle istituzioni già raggiunte, e così de­cadono e inaridiscono la creatività dello spirito. Società «aperte» sono invece quelle che favoriscono lo slancio vitale verso il nuovo.


Le idee di Bergson trovano uno sviluppo in campo letterario dove gli scrittori sentono la necessità di esprimere il 'flusso dei pensieri' che attraversa i loro personaggi in ogni momento, di rendere conto sia della loro coscienza, che del loro inconscio; essi, infatti, cercano, come Bergson, di comunicare la "distruzione" del tempo che non segue più il suo ordine cronologico, ma il flusso degli attimi che si susseguono nella mente dei personaggi, nel quale presente, passato e futuro coesistono.


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