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Einstein




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Einstein


Nell'ambito fisico l'impossibile non esiste o se esiste viene superato. Ricordiamo le parole del grande fisico tedesco Albert Einstein: "Analizzando e valutando ogni giorno tutte le idee, ho capito che spesso tutti sono convinti che una cosa sia impossibile, finché non arriva uno sprovveduto che non lo sa e la realizza."

Infatti ogni teoria fisica che si rispetti è in attesa di un fatto sperimentale che ne neghi la validità e che conduca all'elaborazione di una nuova teoria di portata più ampia e generale e che includa la precedente cm caso particolare.

Le ricerche di Einstein nacquero dall'apparente inconciliabilità tra le trasformazioni galileiane e le equazioni di Maxwell.

La "relatività galileiana" è certamente una delle teorie che più di ogni altra ha resistito tenacemente all'usura del tempo: ci sono voluti quasi 300 anni di progresso scientifico e tecnologico x evidenziarne i limiti e perché si avvertisse l'esigenza di ideare una teoria più ampia che li superasse.

Galilei aveva intuito che non è possibile, solo con esperimenti di meccanica, rilevare se un sistema è fisso o si muove di moto rettilineo uniforme. Due sistemi che si muovono l'uno rispetto all'altro di moto rettilineo uniforme si dicono inerziali se in essi valgono le stesse leggi della meccanica.

Il principio di relatività galileiana afferma quindi l'assoluta equivalenza fisica di tutti i sistemi di riferimento inerziali .

Consideriamo due riferimenti di assi cartesiani ortogonali:

K (x,y,z,t) e K' (x', y',z',t')

Riferiti rispettivamente alle origini O e O', di cui O' mobile rispetto ad O di moto rettilineo uniforme con velocità vo . Si supponga che gli osservatori solidali ad O e O' siano dotati di 2 orologi per la misura dei tempi sincronizzati tra loro in modo che, per esempio, quando O coincide con O' entrambi gli orologi segnino zero. Non è restrittivo supporre che gli assi x e x' siano sovrapposti e scivolino l'uno rispetto all'altro, in modo che v sia parallela ad essi, mentre gli altri (y e y', z e z') restano paralleli fra di loro. Si considera un certo evento fisico che avviene in un punto P con coordinate (x,y,z) e (x',y',z') rispetto ad O e O' e negli istanti t e t' misurati dai 2 osservatori:


Tenendo conto che OO' = vot e che sembra ovvio supporre t'=t ,segue che valgono le cosiddette trasformazioni galileiane:


x = x'+OO' = x' + vot'

y = y'

z = z'      

t = t'


Questi sistemi di riferimento sono SISTEMI A 4 COORDINATE: ogni punto di essi è definito da 3 coordinate nello spazio e da una nel tempo, misurate le prime tre rispetto a un'origine spaziale, la quarta rispetto a un istante iniziale t = 0.

In particolare la IV di queste formule è sempre stata ritenuta EVIDENTE.

La negazione dell'ipotesi che gli orologi dei 2 osservatori debbano segnare lo stesso tempo costituisce uno degli aspetti innovativi della relatività einsteiniana.

Per quanto concerne la velocità ci chiediamo se un corpo si muove con velocità costante v rispetto a K, quale velocità v' avrà rispetto a K' , sapendo che il sistema O' si muove rispetto ad O con velocità vo, detta velocità di trascinamento?

Lo ricaviamo immediatamente dividendo membro a membro la prima e la quarta delle trasformazioni di Galilei, e tenendo conto che:

x / t = v (in K)

x' / t' = v' (in K')

si ha allora:

v = v' + vo


Queste si dicono FORMULE X LA COMPOSIZIONE DELLE VELOCITA'.

Anche esse dovranno variare completamente, non appena saranno introdotti i postulati di Einstein.

La 0.2 ci conduce a concludere che, detta Δv = v2 - v1 la variazione di velocità nel sistema O, si ha:

Δv' = v'2 - v'1 = (v2-vo) - (v1 - v0) = v2 - v1 = Δv

E quindi, dividendo il primo e l'ultimo membro per Δt e ricordando che a = Δv / Δt :


a = a'



Se teniamo conto del fatto che la massa dei corpi è un invariante, utilizzando l'equazione fondamentale della dinamica, concluderemo che la forma delle equazioni non dipende dal riferimento.

Una modifica delle trasformazioni di Galilei deve portare necessariamente ad una modifica dell'equazione fondamentale della dinamica, se vogliamo salvare il principi di relatività. Questa modifica costituisce uno dei tanti pilastri della teoria della relatività che non ha negato la validità del Principio di Relatività Galileiana, ma solo delle formule di passaggio da un riferimento ad un altro.



Alla fine del XIX secolo la fisica raggiunse un traguardo straordinario , riuscendo a spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici attraverso un teoria unitaria e perfettamente coerente, espressa dalle 4 equazioni di Maxwell.

Esse permisero di dedurre, per via puramente teorica, che non esiste un campo elettrico separato dal campo magnetico ma che l'uno e l'altro sono manifestazioni di 1 unica realtà fisica chiamata TENSORE ELETTROMAGNETICO. Inoltre esse predicevano con esattezza straordinaria che tale campo elettromagnetico dovesse propagarsi nello spazio sotto forma di onde. La scoperta delle onde elettromagnetiche da parte di Hertz rappresentò il + alto trionfo della costruzione maxwellina. Usando solo le 5 equazioni, F = ma e le 4 di Maxwell, e le 4 formule delle trasformazioni galileiane era possibile prevedere in modo semplice l'evoluzione nello spazio e nel tempo di qualsivoglia sistema fisico.

Se però tutto ciò in teoria sembrava perfettamente possibile, in realtà presentava un limite.

L'equazione di Newton non risultava essere invariante rispetto alle trasformazioni di Galilei (F' = ma'), ma variava numericamente (covariante) secondo una ben precisa legge matematica.

Infatti l'equazione F = ma risulta covariante (varia) rispetto alle trasformazioni di Galilei.

Se le applichiamo all'equazione fondamentale di Newton essa viene ad assumere la forma:

F' = ma'

Forze e accelerazioni non sono cioè invarianti rispetto alle solite trasformazioni:

variano numericamente, ma variano secondo una ben precisa legge matematica.

Essendo covariante l'equazione di Newton ci si aspettava che lo fossero anche le equazioni di Maxwell.

Ed ecco invece il colpo di scena: ci si accorse subito che esse non erano né invarianti, né covarianti rispetto alle trasformazioni di Galilei.

Cambiando il sistema di riferimento adottato, non cambiavano solo nella forma ma non erano assolutamente più valide.

Oltre a questo ostacolo di natura matematica, con la scoperta, grazie alle equazioni elettromagnetiche, che la luce è un'onda, si aggiungeva il problema dell'esistenza di un mezzo, diverso da quelli già conosciuti, attraverso cui essa potesse propagarsi.

Fu così introdotto un nuovo mezzo materiale, supposto impalpabile, trasparente e perfettamente elastico detto ETERE ( x analogia con la celebre quintessenza di aristotelica memoria) che permetteva di stabilire un sistema di riferimento in cui le distanze, gli intervalli di tempo e le velocità potevano essere misurati in maniera univoca per tutti gli osservatori.

Maxwell era profondamente convinto della sua esistenza in quanto aveva individuato l'esistenza di un elemento fisso nell'etere, la velocità della luce:

c =

ma la sua teoria fu messa in discussione dopo pochi anni dalla sua morte a

dall'esperienza di Michelson e Morley.

Quest'ultima era stata concepita x dimostrare che la luce può avere velocità diverse per diversi osservatori in moto relativo rispetto all'etere. Il fatto che l'esperimento sia clamorosamente fallito non poteva far altro che smentire gli assunti di partenza, mostrando una volta per tutte che la luce ha sempre la stessa velocità per tutti gli osservatori, come suggerito dalla 1.3 e che evidentemente le trasformazioni di galilei NON sono valide in tutti i sistemi di riferimento in moto l'uno rispetto all'altro.

Michelson e Morley mostrarono che la meccanica galileo-newtoniana e la teoria elettromagnetica di maxwell erano inconciliabili.

Una possibile spiegazione dell'esito dell'esperimento di questi scienziati fu fornita da Lorentz.

Egli assunse che le equazioni di maxwell erano valide solo in un sistema di riferimento privilegiato, quello in cui l'etere è fermo. Ma allora come trascrivere le equazioni x un altro sistema in moto rispetto al primo?

Lorentz si rese conto del fatto che ogni modifica nella forma di quelle equazioni avrebbe comportato che negli altri sistemi di riferimento le leggi dell'elettromagnetismo sarebbero state diverse. Solo un'ipotesi poteva essere a questo punto sostenuta: esistono delle trasformazioni, diverse da quelle galileiana che lasciano inalterate le equazioni di Maxwell.

Nel 1904 Lorentz scrisse queste trasformazioni che oltre a coinvolgere le coordinate spaziali, x garantire il risultato corretto , prevedono una trasformazione anche x il tempo. Egli non attribuì significato fisico a questo "tempo modificato"; lo chiamò "tempo locale".

Consideriamo un sistema di assi cartesiani ortogonali, ed un altro che si sposta rispetto ad esso con velocità costante v in modo che gli assi x e x' coincidano scivolando l'uno sull'altro, e gli altri (y e y' z e z') restino paralleli fra di loro, e consideriamo i due diversi sistemi di coordinate:

K (x, y, z, t) e K' (x', y', z', t')

riferiti rispettivamente alle origini O e O', come abbiamo già fatto precedentemente. Se K' si muove rispetto a K con velocità v, per la contrazione delle lunghezze sarà:

O'P' β = v/c

Infatti, considerando in K un punto P dell'asse x = x', punto che corrisponde a P' nel sistema K', le sue coordinate rispetto ai due sistemi risulteranno:

P (x, 0, 0, t) e P' (x', 0, 0, t')

O'P' = x' se K' é fermo, perché se é in moto con velocità v esso si contrae nella direzione del moto riducendosi ad una lunghezza data dalla

Ma essendo O'P' = OP - OO' = x - v t , si deduce che

 

da cui:

 

Ordinata e quota rimangono uguali, visto il modo in cui K' si muove rispetto a K. Si consideri invece la coordinata temporale. Il segmento OP rispetto al sistema K' é uguale alla somma di:

OO' = v t con O'P = O'P' = x'

Il segmento OP, però, se K' fosse fermo, misurerebbe x; in effetti si muove con velocità v, e dunque, nella direzione del moto, risulta più corto:

OP (K') = 

quindi:

 

e, utilizzando la

 

moltiplicando ambi i membri per   ho:

 

da cui si ricava, senza alcuna difficoltà:

 

Si hanno così le nuove trasformazioni chiamate TRASFORMAZIONI DI LORENTZ, in onore di H.A.Lorentz, lo scienziato olandese da noi già citato nelle unità precedenti:

y' = y

z' = z

  (3.4)

Se v é molto vicino a zero, cioé se v << c, si ritorna alle trasformazioni classiche di Galileo , perché    .

Le formule inverse si ottengono senza calcoli, solo tenendo conto che, se K' si considera fisso, sarà K a muoversi con una velocità - v ; allora ad x si deve sostituire x' e t' a t. Si ha così:

y = y'

z = z'

  (3.5)

Strano destino, quello della relatività ristretta: nascere, svilupparsi e giungere a scoperte allucinanti, tali da squassare dalle fondamenta tutto il grattacielo innalzato da Galilei e Newton, solo per giustificare qualcosa che era già acquisito da decenni come le equazioni di Mawxell.

Einstein lavorò in modo diverso. Per nulla preoccupato di sfatare tabù che resistevano fin dai tempi di Newton, egli comprese che, quando ci si muove a velocità prossime a quelle della luce, spazio e tempo subiscono delle effettive trasformazioni che non li rendono più entità assolute. Se si dava credito all'esperienza di Michelson e Morley , una sola cosa appariva costante nel passare da un sistema di riferimento a un altro:

la velocità della luce, uguale sia nella direzione del moto della terra che in direzione opposta. Ed egli partì proprio da qui, assumendo come postulato che non lo spazio né il tempo, ma c sia invariante x tutti gli osservatori.

Tutta la teoria della Relatività Ristretta o Speciale (1905) è basata su 2 postulati fondamentali:

  1. Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Non esiste un sistema inerziale privilegiato (PRINCIPIO DI RELATIVITA').
  2. La velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore c in tutti i sistemi inerziali (PRINCIPIO DELLA COSTANZA DELLA VELOCITA' DELLA LUCE).

Il primo di essi rappresenta un'estensione, a tutti gli eventi del principio di relatività galileiana, che non risulta così annullato, bensì superato attraverso il secondo postulato.

Il primo mito sfatato da Einstein fu quello del tempo assoluto. Uno dei cardini della fisica classica era la contemporaneità degli eventi fisici rispetto a tutti i sistemi di riferimento; Einstein dimostrò illusorio questo principio con il ragionamento dell'orologio a luce. Si dice « orologio a luce » quello che calcola il tempo attraverso la riflessione di un raggio di luce fra due specchi piani e paralleli. Dati due simili orologi in quiete, ben sincronizzati, la partenza dei raggi di luce, la loro riflessione e la loro percezione saranno eventi contemporanei. Ma se uno si muove di moto relativo rispetto all'altro, con velocità uniforme v, che cosa accade?


Per l'osservatore solidale con l'orologio in moto relativo, diciamo nel sistema K', il raggio di luce continua a riflettersi fra i due specchi, perpendicolarmente ad essi. Ma per un osservatore del sistema K , solidale con l'orologio che per noi é in quiete, il moto del raggio di luce si compone con quello traslatorio dell'orologio, e si ha la traiettoria diagonale della figura: non più AB, ma A'B'' e B''A'''. Ora, sia t il tempo misurato dall'orologio a luce in K per percorrere il tratto AB, e t' il tempo misurato in K' per percorrere uno spazio uguale. É chiaro che t < t', essendo AB A''B'' < A'B'' (il cateto é minore dell'ipotenusa); ed essendo la velocità della luce costante in ogni sistema di riferimento, risulta:

A'B'' = c t' , A''B'' = c t , A'A'' = v t'

per il teorema di Pitagora:

A'B'' 2 = A''B'' 2 + A'A'' 2

Da cui:

c 2 t' 2 = c 2 t 2 + v 2 t' 2

cioè:

( c2 - v2 ) t' 2 = c 2 t 2

con facili passaggi algebrici, si ricava:

 

Condizione di realtà é che sia:

 

Il denominatore é sempre minore di uno, quindi l'intervallo di tempo tempo misurato nel sistema K' é sempre maggiore di quello misurato nel sistema K fra due eventi apparentemente contemporanei, come si vede in figura. Per l'orologio in moto, insomma, il tempo passa più lentamente. É questo il fenomeno noto come DILATAZIONE DEI TEMPI. É come se i nostri due sistemi di riferimento vivessero in due tempi differenti.

 

Naturalmente, se gli intervalli di tempo visti da due osservatori diversi risultano differenti, va all'aria anche il concetto di simultaneità tra eventi.

Facciamo un esempio. Sul treno di Einstein il tempo scorre più lentamente: se al passaggio da una stazione il suo orologio viene accordato con quello sulla pensilina, dopo un'ora ci si accorge che, al passaggio ad una nuova stazione, l'orologio di questa segna che é trascorsa più di un'ora, e precisamente:

 

A questo punto sorge spontanea una domanda: la dilatazione relativistica dei tempi é una realtà fisica o una mera astrazione matematica? In effetti è più reale di quanto non si creda in quanto, senza di essa, spiegare taluni fenomeni é impossibile.

La teoria della Relatività, come si è detto, capovolge completamente l'edificio della meccanica e dell'elettromagnetismo così come lo avevano concepito Galilei, Newton, Maxwell e soci; ce ne rendiamo subito conto se analizziamo alcune conclusioni paradossali cui Einstein è giunto; ed il caso più clamoroso é certamente il famosissimo « paradosso dei gemelli ». Uno dei due parte su un'astronave superveloce verso una stella lontana, l'altro resta a terra. Quando il primo torna, é molto più giovane del suo gemello, perché il tempo per lui si è dilatato. In realtà questo paradosso, come tutti i paradossi che si rispettano, presenta degli aspetti poco chiari, e dunque è bene rifletterci su. Supponiamo di essere invitati a imbarcarci su una navicella spaziale che parte nell'anno e ritorna nel . In pratica, stante il fenomeno della dilatazione dei tempi, ci viene offerta l'opportunità di scegliere quanto velocemente vogliamo « raggiungere » l'anno terrestre 2020, il che determinerà la nostra velocità rispetto alla Terra. Se siamo d'accordo nell'aspettare dieci anni, cioè nel voler comprimere venti anni in dieci, dobbiamo viaggiare a una velocità pari all'86% di quella della luce. Per ridurre la durata a due soli anni, invece, occorre raggiungere il 99,5% della velocità della luce. Nella figura seguente è rappresentata graficamente questa relazione. Possiamo notare come, a mano a mano che ci si avvicina alla velocità della luce, il « viaggio » fra gli anni terrestri 2000 e 2020 si accorcia (misurato da Terra il viaggio dura sempre vent'anni). Al limite, nel caso in cui viaggiassimo esattamente a velocità c, il viaggio sarebbe istantaneo. Questo giustifica l'affermazione, già di per sé alquanto paradossale, secondo cui tutte le particelle che viaggiano alla velocità della luce vedono il tempo fermo.

Consideriamo ora due gemelli, chiamati Tommasino e Tommasone (perché, in ebraico, Tommaso vuol dire proprio 'gemello'). Tommasone, il più robusto e il più intraprendente dei due, lascia la Terra nell'anno 2000 per raggiungere, a bordo di una navicella spaziale, una stella distante 8 anni luce (la distanza è misurata nel sistema di riferimento terrestre), viaggiando ad una velocità di 240.000 chilometri al secondo, pari cioè ai 4/5 della velocità della luce. A tale velocità occorrono dieci anni per percorrere 8 anni luce, e quindi per Tommasino, sulla Terra, Tommasone rientrerà nell'anno (dieci anni per arrivare sulla stella più dieci anni per tornare sulla Terra). Tommasone, al suo ritorno, concorderà sul fatto che sia l'anno terrestre 2020, ma sosterrà che per lui sono trascorsi soltanto dodici anni, e l'orologio dell'astronave confermerà la sua affermazione segnando l'anno . 

Il viaggio di andata misurato da Terra dura dieci anni. Tommasino però, che osserva il fratello con un potente telescopio, non vedrà effettivamente la navicella raggiungere la stella nel poiché a questo punto Tommasone sarà lontano 8 anni luce. Dato che la luce deve impiegare altri otto anni per tornare sulla Terra, Tommasino avrà la prova visiva dell'arrivo del fratello sulla stella nel 2018 (dieci più otto). La formula di Einstein ci dice che l'orologio di Tommasone funziona a una velocità che è pari al 60% di quella di un orologio terrestre, e quindi, quando Tommasone arriva sulla stella, il suo orologio indica che sono trascorsi sei anni.  Pertanto, quando Tommasino vede l'arrivo nel 2018, l'orologio dell'astronave segna l'anno .

Dal punto di vista di Tommasone le cose sono ribaltate. Concorda ovviamente sul fatto che l'orologio dell'astronave segna  l'anno 2006 al momento del suo arrivo sulla stella,  ma in quell'istante vede l'orologio di Tommasino segnare l'anno 2002. Infatti nel sistema di riferimento terrestre l'arrivo sulla stella si è verificato nel 2010, però, dato che la stella è distante 8 anni luce, il segnale luminoso che effettivamente raggiunge la navicella in quel momento sarà partito 8 anni prima, cioè nel 2002 (dieci meno otto). Quindi Tommasone nel momento in cui raggiunge la stella vedrà il suo orologio segnare l'anno 2006 e quello terrestre l'anno 2002. La situazione è perfettamente simmetrica.

Secondo Tommasino, che nell'anno terrestre 2018 vede l'orologio sulla stella segnare l'anno 2006, l'orologio di Tommasone funziona dunque tre volte più lentamente del suo; secondo Tommasone, che nell'anno stellare 2006 vede l'orologio sulla Terra segnare l'anno 2002, l'orologio di Tommasino funziona tre volte più lentamente del suo.

Fin qui tutto bene? Allora occupiamoci del viaggio di ritorno.

Una volta arrivato, Tommasone si imbarca immediatamente per il viaggio di ritorno. Ora si sta avvicinando alla Terra e quindi il ritardo della luce è opposto a quello di dilatazione temporale. Tommasino, sapendo che Tommasone tornerà sulla Terra nel ed avendolo visto arrivare sulla stella nel 2018, avrà l'impressione che il viaggio di ritorno venga compresso in due soli anni di tempo terrestre. Abbiamo già stabilito che quando nel 2018 Tommasino vede l'orologio del suo gemello a metà del viaggio, questo segna l'anno 2006, e che quando lo rivede di nuovo sulla Terra segna il 2012. Quindi nei due anni terrestri di durata del viaggio di ritorno, Tommasino vedrà l'orologio della navicella avanzare di sei anni; in altre parole vedrà quell'orologio funzionare tre volte più velocemente del suo. Questo è un punto fondamentale: durante il viaggio di ritorno l'orologio dell'astronave visto da Terra sembrerà accelerato, e non rallentato! Come per il viaggio di andata, Tommasino è in grado di separare i due effetti e di concludere che l'orologio della navicella sta « realmente » funzionando ad una velocità pari al 60% della velocità del suo, analogamente alla prima parte del viaggio. 

Tommasone, invece, al momento dell'arrivo sulla stella aveva visto l'orologio sulla Terra segnare l'anno 2002. Sappiamo che raggiungerà la Terra nel , quindi Tommasone vedrà l'orologio terrestre avanzare di diciotto anni mentre sulla navicella ne trascorreranno sei. Ciò significa che a Tommasone l'orologio terrestre sembrerà funzionare tre volte più velocemente del suo. C'è quindi una completa simmetria anche nella seconda parte del viaggio! Tommasone può dedurre che l'orologio  terrestre sta « realmente » andando lentamente, a una velocità pari al 60% di quella del suo.

Durante il viaggio di ritorno Tommasino vedrà l'orologio di Tommasone funzionare tre volte più velocemente del suo: infatti quello di Tommasino passerà dall'anno 2018 all'anno e quello di Tommasone dall'anno all'anno . Contemporaneamente, Tommasone vedrà l'orologio di Tommasino funzionare tre volte più velocemente del suo: infatti quello di Tommasino passerà dall'anno all'anno e quello di Tommasone dall'anno all'anno . Come conclude Paul Davies, se spiegato in questi termini, il paradosso dei gemelli non sembra più nemmeno un paradosso.

Purtroppo il paradosso è un altro. Infatti, se mi avete seguito bene, dovreste aver compreso che nella Relatività Ristretta non esiste un riferimento 'privilegiato': se Tizio si muove rispetto a me, a lui pare che sia io a muovermi. Dunque, Tommasone potrebbe ritenere di essere rimasto fermo lui, mentre Tommasino si è mosso alla velocità di 240.000 Km/s rispetto alla sua astronave; egli dovrebbe dunque concludere che è il tempo del gemello rimasto sulla Terra ad essersi dilatato, e quindi che sarà il gemello restio ai viaggi stellari ad essere invecchiato di meno. Ed invece, al suo ritorno sulla Madre Terra, trova Tommasino oggettivamente più vecchio, e la simmetria predicata da Einstein è rotta. Come si spiega tutto questo?

Come per tutti i paradossi di questo mondo, la soluzione è più semplice di quanto non si creda. Infatti il Primo Postulato di Einstein dice chiaro e tondo che le leggi della Fisica sono simmetriche in tutti i sistemi INERZIALI; ora, Tommasino è sempre vissuto in sistema inerziale (se lo si ritiene praticamente fermo, cioè trascurando il moto della Terra rispetto all'astronave del suo gemello), ma siamo sicuri che questo vale anche per Tommasone?

Certamente no, poiché egli NON si è mosso sempre di moto rettilineo uniforme rispetto al suo pianeta madre. Per allontanarsi da questo fino ai quattro quinti della velocità della luce deve prima accelerare fortemente, poi decelerare una volta giunto a destinazione, quindi ruotare intorno alla stella lontana, riaccelerare e poi rallentare fino a fermarsi sul nostro pianeta. Tommasone è dunque vissuto per anni entro un sistema accelerato, del quale la Relatività Ristretta non si occupa. Un'analisi completa di questo paradosso in tutti i suoi dettagli può quindi essere svolta solo nell'ambito della Teoria della Relatività Generale, nella quale si mostra che, in presenza di accelerazioni e decelerazioni, il tempo viene 'oggettivamente' rallentato rispetto a quello di un sistema inerziale!!!

Facciamo notare che, nonostante l'apparente irrealizzabilità, il paradosso dei gemelli è stato verificato sperimentalmente! Questo grazie a degli orologi atomici collocati a bordo di due aerei che volavano in direzioni opposte rispetto al pianeta: l'aereo che viaggia in direzione est somma la sua velocità a quella di rotazione della terra, dunque viaggia più velocemente di quello che viaggia in direzione ovest, e quindi deve segnare un tempo inferiore di alcune frazioni di secondo. E così in effetti è stato. Ma c'é un altro esempio ancor più sconcertante, elaborato da Piero Angela, che illustra le trappole in cui si può cadere viaggiando a velocità prossime a quella della luce. Supponiamo che un ragazzo di 19 anni parta su un'astronave che va alla stessa velocità del treno di Einstein (4c/5) verso una meta lontana, lasciando sulla terra la giovane moglie con un bimbo appena nato. Rimane lontano per un tempo proprio di 30 anni e quindi, quando torna, egli ha 49 anni; ma per suo figlio, in base alla solita legge , ne sono trascorsi 50. Egli dunque ha un anno in meno di suo figlio!!!

Allo stesso modo in cui ha dovuto abbandonare il concetto di tempo assoluto, Einstein è costretto a far crollare anche il mito della inalterabilità delle lunghezze. Anche se non sembra, lunghezza e tempo sono correlate: per misurare la lunghezza di un'asta si può far scoccare una scintilla ai suoi estremi quando passa davanti ad un osservatore, e misurare il tempo che la luce impiega per andare da un'estremità all'altra. Dato che la durata degli intervalli di tempo dipende dal sistema di riferimento in cui vengono misurati, e che la contemporaneità stessa di due eventi é stata messa in discussione, non siamo più sicuri che le lunghezze così misurate siano assolute! Consideriamo difatti un'asta sulla quale é posto un orologio a luce: si può misurare la sua lunghezza calcolando il tempo t di riflessione del raggio di luce, e poi utilizzando la semplice formula:

Se però l'asta si muove nel sistema di riferimento K', nell'andata il raggio di luce percorrerà in tutto un tratto più lungo rispetto a prima. La lunghezza l', misurata nel sistema K', risulta uguale alla somma delle lunghezze misurata in K con lo spostamento avvenuto nello stesso tempo t , in cui il raggio di luce é andato da uno specchio all'altro:

c t' = l + v t'

l é la lunghezza dell'asta in K). Invece quando il raggio di luce torna indietro, la lunghezza l' risulta uguale allo spazio percorso dalla luce diminuito di quello percorso dall'asta nello stesso tempo t', perché i due moti ora hanno verso opposto:

c t' = l - v t'

Dalla e dalla ricavo t'1 e t'2 :

  ,

e allora il tempo complessivo t di riflessione del raggio di luce é dato da:

 

da cui:

 

l é la lunghezza dell'asta misurata in K ). Essendo, in virtù della formula

ho che:

Ora, si ha che  , e quindi:

 

Condizione di realtà é ora:

La radice é sempre minore di uno, quindi:                      l' < l

É per questo che l'asta si contrae nella direzione del moto: si parla di contrazione delle lunghezze o CONTRAZIONE DI LORENTZ. Supponiamo che l'ipotetico treno di Einstein sia lungo in quiete 2.400.000 Km (una lunghezza smisurata, ma anche la sua velocità di crociera è smisurata!) Se le pensiline delle stazioni da lui attraversate, in quiete (cioè a treno fermo in stazione), fossero di lunghezza uguale alla sua, quando il treno attraversa una stazione senza fermarsi, un osservatore posto sulla pensilina vedrebbe un treno di lunghezza pari a soli 1.600.000 Km, e dunque assai più corto della pensilina! Ma, per quanto sia sconcertante, bisogna affermare che invece un osservatore posto su di una carrozza vedrebbe la pensilina muoversi di moto relativo con verso opposto a quello del treno, e quindi per lui sarebbe la pensilina ad essere più corta del treno!!!

Sono già crollate due grandezze tradizionalmente considerate immutabili dalla fisica classica: lunghezza e tempo. Ora vedremo come Einstein fece cadere anche un'altra testa illustre: quella dell'immutabilità della massa. E non é cosa da poco, perché tra l'altro massa significa anche quantità di materia, e tutta la chimica moderna, abbandonati i sogni degli alchimisti, si basava sul celebre PRINCIPIO DI LAVOISIER: « In natura, nulla si crea e nulla si distrugge ». Insomma, non si può produrre un quintale di acciaio se non partendo da un'uguale quantità di ferro e di carbonio. Nessuno avrebbe dato credito all'idea che un uomo di 90 Kg possa aumentare a 150 Kg senza una scorpacciata di 60 Kg di dolci; ora vedremo invece che ciò é possibilissimo.

Consideriamo un'automobile che si muove a velocità w verso un muretto (nella figura qui sopra essa è vista dall'alto): se essa procede lentamente, toccando il muro, si fermerà senza scalfirlo; se la sua velocità, però, é elevata, possiede un impulso (m v) molto elevato e sfonda il muretto. Rimanendo incastrata in esso, vi trasferisce tutta la propria quantità di moto. Supponiamo ora che un elettrone passi, a velocità v, prossima a quella della luce, parallelamente al muretto. Per la contrazione dei tempi, esso vedrà l'automobile muoversi lentissima verso il muretto, eppure sfondarlo, come se si potesse far crollare il muro di casa solo appoggiandovi la mano.

Per spiegare l'incongruenza (che una bassa velocità w' possa imprimere un'altissima quantità di moto), bisogna ammettere che, mentre la velocità si é notevolmente ridotta, la sua massa sia notevolmente aumentata. L'impulso della forza é sempre lo stesso, quindi:

m w = m' w'

ma:

 

quindi:

 

Il risultato ottenuto é importantissimo: con il crescere delle velocità, cresce anche la massa del corpo (MASSA INERZIALE). Non va confuso l'aumento relativistico della massa con l'impulso medesimo, cioè non si deve credere che un corpo che cade da un metro faccia meno danno di uno che cade da dieci perché va meno veloce e la sua massa é minore: a velocità così bassa rispetto ai 300.000 Km/s della luce, la massa é praticamente la stessa che a corpo fermo. Se una persona di 90 Kg di peso si trova sul treno di Einstein, la sua massa risulta di:

Come annunciato, un uomo di 90 Kg può aumentare di colpo dei due terzi del suo peso: basta che salga sul treno di Einstein

Anche l'aumento relativistico della massa non é cosa che interessi solo gli scrittori di fantascienza. Di essa devono quotidianamente tener conto coloro che progettano acceleratori di particelle e sistemi di confinamento per plasmi, in quanto alle velocità cui le particelle si muovono in tali apparecchiature le variazioni di massa non sono solo apprezzabili, ma anzi piuttosto consistenti! Per conoscere nei dettagli le conseguenze strabilianti della


Adesso tocca alla composizione einsteiniana delle velocità.

Se un corpo si muove con velocità costante v rispetto a K, quale velocità v' avrà rispetto a K'? Dalle trasformazioni di Galileo si è dedotto che:

v = v' + v0

Rifacciamo un esempio a noi già noto, perché siamo partiti proprio da esso. Se si fosse sul treno di Einstein e si accendessero i fari, la loro luce dovrebbe viaggiare ad una velocità di:

240.000 + 300.000 = 540.000 Km / s

contro il secondo postulato Di Einstein. La composizione relativistica delle velocità deve essere dunque differente, se vogliamo salvaguardare i principi fondanti della Relatività! La si può dedurre dalle trasformazioni dedotte nel paragrafo precedente:

  ;

dividendo membro a membro:

 

É stata introdotta la velocità v0 per indicare la velocità relativa di K' rispetto a K. A questo punto basta dividere entrambi i termini della frazione al secondo membro per t'

 

ma x / t  = v (in K) e x' / t'  = v ' (in K'). Perciò:

 

Qualunque sia il valore di v0 e di v' v é sempre minore di c. Si ha v = c solo se una delle due velocità uguaglia c, perché allora:

 

Così, per tornare all'esempio precedente, i fari del treno di Einstein emetteranno luce che si muove sempre a 300.000 Km / s. Se invece dal treno si fa partire, nella stessa direzione del suo moto, un aeromodello che si muove pure a 240.000 Km / s, la sua velocità, rispetto alle rotaie, risulta:

 

e non 480.000 Km / s, come avrebbe sostenuto chiunque prima di Einstein!

Se v tende ad avvicinarsi a c:

 

Ciò vuol dire che le velocità non possono crescere all'infinito. Secondo la fisica classica ciò era possibile; invece, a partire da Einstein, la velocità della luce diviene INSUPERABILE.

Crollano così i sogni di poter costruire fantascientifiche astronavi in grado di macinare anni luce al secondo: un corpo potrà avvicinarsi alla velocità della luce, ma mai uguagliarla. Inoltre, ad altissime velocità andare più veloce risulta difficile. Infatti, la massa cresce sempre di più, e più un corpo é massiccio, più energia si dovrebbe fornire per imprimergli una certa velocità. Il Secondo Principio della Dinamica asserisce che applicando una forza F ad un corpo, essa gli imprime una accelerazione a. Secondo Newton al crescere di F, anche a doveva crescere indefinitamente. Invece, ad un certo punto, l'energia fornita dalla forza applicata, invece di produrre ulteriore accelerazione, SI RIVERSA NELLA MASSA.

É per questo che, accelerando un corpo, apparentemente si 'crea' materia, contro il principio di Lavoisier. In realtà non vi é nessuna creazione: semplicemente, é l'energia fornita al corpo che si trasforma in massa. Fu proprio tale considerazione che condusse Einstein alla sua più grande scoperta. Vediamo come.

Si consideri il prodotto . Operiamo su di esso nel modo seguente:

Se x << (cioé x é molto minore di x2 e x3 sono trascurabili. Si ha quindi:

cioè, con facili passaggi algebrici:

Se si usa la sostituzione , si ottiene:

dove m0 é la massa a riposo del corpo, calcolata quando la sua velocità rispetto all'osservatore è zero, mentre md é la sua massa dinamica, a velocità v Se si moltiplicano entrambi i membri per c2 e si sviluppa, si perviene all'equazione:

Einstein ebbe il genio di intendere che md c2 é l'ENERGIA TOTALE del corpo. Essa risulta la somma dell'energia cinetica  , fornita dal moto, e dell'addendo m0 c2

Einstein notò che, se v = 0, l'energia totale del corpo si riduce a m0 c2 ; egli chiamò quest'espressione ENERGIA A RIPOSO del corpo. Esiste quindi una perfetta equivalenza tra materia ed energia, espressa dalla celeberrima « formula di Einstein »:

E = m c2

L'esattezza dimensionale della formula é immediata:

[ m c2 ] = [ m l2 t-2 ] = [ l2 m t-2 ] = [ E ]

Einstein sostituì la conservazione della massa stabilita da Antoine Lavoisier con quella della massa dinamica:

md = m'd + m''d + m'''d + mIVd +

e, se si moltiplica per c

md c = m'd c + m''d c + m'''d c + mIVd c +

ovvero:

mdtot c2 = m'0 c2 + 1/2 m'0 v2 + m''0 c2 + 1/2 m''0 v2 +

Questo prende il nome di conservazione della massa-energia in ogni fenomeno si conserva sempre la somma delle masse e delle energie coinvolte.

Il risultato ottenuto è importantissimo, poiché significa che massa ed energia possono trasformarsi indifferentemente l'una nell'altra; in termini euristici, non è sbagliato dire che in un processo interviene « un chilo di energia »! Questo giustifica tra l'altro l'abitudine, assai diffusa nella Fisica della Materia, di misurare le masse delle particelle con unità energetiche. Facciamo un esempio semplice: la massa dell'elettrone, com'è noto, è di 9 * 10-31 Kg. Ma il chilogrammo è un'unità troppo grande per le particelle su scala nucleare! Determiniamo allora l'energia a riposo in Joule di un elettrone attraverso la

Anche il Joule è un'unità troppo grande su questa scala, un po' come se noi pretendessimo di misurare le nostre altezze in anni luce. Allora utilizziamo l'elettron-Volt, definito come l'energia posseduta da un elettrone che si muove nella differenza di potenziale di un Volt. Poiché la carica di un elettrone vale notoriamente  , si ha:

perché un Volt è pari ad un Joule su un Coulomb. L'energia a riposo di un elettrone vale perciò:

Dove MeV indica il Megaelettron-Volt, cioè un milione di elettron-Volt.

Purtroppo però l'equazione , oltre ad essere una delle pietre miliari della Fisica del Novecento, ha anche un tragico rovescio: costituisce infatti il fondamento teorico delle armi nucleari, in grado di trasformare una piccola massa in un enorme quantitativo di energia, che si libera con effetti catastrofici. Prima di proseguire in questa affascinante unità soffermiamoci un attimo a riflettere su questo punto. Lo stesso Einstein comprese la sciagurata possibilità di utilizzare a fini bellici la sua più importante scoperta allorché nel 1938, proprio mentre si profilava la Seconda Guerra Mondiale con l'invasione della Cecoslovacchia da parte di quell'Hitler che già lo aveva costretto all'esilio negli USA a causa dei suoi deliranti proclami contro la stirpe ebraica, il fisico Otto Hahn (1879-1968) ed il chimico Fritz Strassman (1902-1980) da Berlino annunciavano al mondo la scoperta della fissione nucleare. Allora, temendo che se Hitler fosse riuscito a costruire per primo la bomba atomica la avrebbe usata per ridurre il mondo ai suoi piedi, il 2 agosto1939 Einstein indirizzò al Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt una lettera, nella quale chiedeva l'inizio del programma nucleare. Il risultato di quel programma è, purtroppo, ben noto: centinaia di migliaia di morti nelle città martiri di Hiroshima e Nagasaki. Einstein non si perdonò mai di aver scritto quella lettera, e si impegnò fino all'ultimo dei suoi giorni in campagne pacifiste.

Estendendo i princìpi della relatività ristretta all'intero universo, Einstein elaborò la seconda parte della teoria, la Relatività Generale, dove entra in gioco un'altra forza fondamentale, quella gravitazionale, a cui praticamente si sottomette persino la luce. La teoria della relatività portava diritta al sogno "dell'unificazione delle forze"; Einstein tentò di trovare una possibile unificazione tra campo elettromagnetico e campo gravitazionale in un'unica formulazione, più semplice e completa che mai; ma questo tentativo purtroppo non fu coronato da successo e non lo è tuttora. Tale impossibilità , secondo il fisico, andava ricercata nell'esistenza di una matematica in grado di descrivere adeguatamente questa "Teoria del Tutto".


Strettamente legata alla sua attività si scienziato era quella di filosofo, egli stesso infatti si considerava più un filosofo che uno scienziato e in molti modi fu dello stesso stampo dei filosofi greci, come Platone ed Aristotele, cercando di capire la natura mediante la ragione anziché l'esperimento.

Nella sua filosofia della scienza c'era una forte componente "realistica": egli credeva che una teoria scientifica fosse composta da un insieme di assiomi o principi fondamentali che potevano esser scelti liberamente dall'atto creativo dello scienziato e non dedotti direttamente o logicamente dai dati dell'esperienza, come invece riteneva Newton. La connessione con i fenomeni, infatti, veniva alla fine della catena di deduzioni, quando i teoremi del sistema matematico venivano messi a confronto con l'esperienza. Benché però potesse esserci bisogno dell'intelletto creativo umano per andare oltre i modi del pensiero tradizionale, ciò non significava che secondo Einstein qualsiasi vecchio principio potesse funzionare. Egli riteneva, piuttosto, che quando una teoria riusciva a dare una correlazione matematica semplice e una rappresentazione altrettanto semplice nell'esperienza, stava fornendo una copia adeguata della realtà. Senza dubbio nn intendeva asserire che la scienza sarebbe riuscita infine a conseguire una descrizione completa e definitiva del mondo . Egli infatti notò che "la cosa più incomprensibile del mondo è che esso sia comprensibile".



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