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La scienza nel ventesimo secolo




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LA SCIENZA NEL VENTESIMO SECOLO



Le scoperte scientifiche del XX secolo e le teorie matematiche sviluppate hanno determinato una "crisi delle certezze", durata per tutto il secolo e oggi a mio parere sottovalutata. La causa di tale crisi va ricercata, come anticipato, nelle scoperte scientifiche. Queste ultime si sono infatti susseguite negli anni con una rapidità unica nella storia delle conoscenza, giungendo però a contraddizioni (almeno apparenti). E' interessante notare che tali contraddizioni si registrano in diversi ambiti scientifici, ma assumono, a seconda della loro collocazione, significati differenti.

Una contraddizione che si evidenzi in una teoria fisica è grave ma possibile: le scienze naturali sono infatti sperimentali ed in quanto tali formulano teorie sulla base di ipotesi con un elevatissimo grado di certezza, ma che lasciano comunque possibilità di errore.

Una contraddizione matematica è molto più grave per il fatto che evidenzia o un errore umano madornale oppure l'incoerenza della razionalità stessa. A dire il vero, in matematica non si sono riscontrate vere e proprie contraddizioni, quanto piuttosto prove di "incompletezza". Grazie all'opera del matematico austriaco Goedel infatti, è stato dimostrato che alcune proposizioni risultano essere indecidibili (cioè né confutabili né dimostrabili): questo risultato distrugge il "mito" di una matematica che detiene la verità, mito che appartiene più all'opinione comune che ai matematici, i quali sono ben consapevoli di possedere verità relative ad ipotesi arbitrarie.

Altro elemento che ha turbato la stabilità della scienza è il "salto" dal piano logico a quello ontologico. Bisogna innanzitutto ricordare che la matematica è una scienza logica, non sperimentale, mentre la fisica è una scienza naturale e dunque empirica; quest'ultima fa però della matematica il suo strumento d'indagine privilegiato, e in ciò sta il problema: è lecito applicare schemi razionali alla natura, o quest'ultima forse risponde a leggi diverse da quelle della nostra mente? I problemi nascono quando esistono differenze fondamentali di metodo: gli enti matematici non hanno esistenza propria, sono astratti; allo stesso modo le relazioni matematiche sono concetti, non cose; infine il metodo matematico è severamente deduttivo. La fisica al contrario si occupa della materia ed usa il metodo sperimentale o scientifico. In sostanza, quando si applicano deduzioni logiche alla fisica è sempre necessario controllare che le conclusioni abbiano un riscontro sperimentale. I parametri e le variabili fisiche sono infatti molte e spesso sconosciute, al contrario gli elementi di cui i matematici devono tener conto sono quelli delle leggi stesse del pensare, sempre note ad una mente correttamente funzionante.

Queste considerazioni non erano mai state portate fino alle loro conseguenze prima del XX secolo: Galileo affermava per esempio che "il mondo è scritto in lingua matematica"; alla luce della Critica della Ragion Pura di Kant già bisognerebbe dire "Il mondo è percepito in lingua matematica"; oggi invece la frase diventa interrogativa: "Il mondo è veramente matematico?".

E' inoltre necessario tener conto degli sviluppi della matematica, oggi diventata un insieme di varie "matematiche": al tempo di Galileo era nota soltanto la geometria euclidea e non risultava difficile assimilare un sassolino ad un punto, una traiettoria ad una parabola, un pezzo di terreno ad un piano, la terra ad una sfera, le orbite ad ellissi (modellizzazione). Con l'avvento delle geometrie euclidee sorge ovviamente un problema: a quale geometria va fatto affidamento? Perché scegliere quella euclidea e non un'altra? Per provare che tale questione non è di secondaria importanza basta considerare il caso della teoria della relatività di Einstein, la quale trova espressione solamente attraverso la geometria non euclidea di Riemann (metà Ottocento). Prima di Einstein la fisica classica sembrava aver raggiunto un elevato grado di certezza e validità, oggi invece è noto che la fisica classica risulta essere soltanto un'approssimazione (di teorie più complesse) valida solo in casi particolari, ad esempio a basse velocità.

La presenza di vari e diversi modelli lascia inoltre supporre che la fisica non sia effettivamente una descrizione della realtà, quanto una lettura del mondo attraverso gli occhi dell'uomo e della sua mente: per dirla con Kant, la fisica esprime come l'uomo vede il mondo, non come il mondo è.

La crisi dei modelli fisici classici è dovuta inoltre all'indagine dell'infinito: nell'infinitamente grande (universo) e nell'infinitamente piccolo (atomi e particelle subatomiche) la fisica tradizionale non trova riscontri con la realtà. A velocità prossime a quelle della luce (limite fisico insuperabile secondo Einstein) si ha nuovamente il fallimento della meccanica classica e la necessità di ricorrere ad altre teorie. Prima del XX secolo i modelli fisici collaudati per la realtà di tutti i giorni venivano estesi senza verifiche sperimentali alla totalità del mondo; bisogna a tal proposito riconoscere il merito della tecnologia per aver consentito indagini strumentali più appropriate e precise, capaci di sondare la fisica degli "estremi" (atomi, stelle, galassie, radiazioni) e rivelare l'inadeguatezza dei modelli classici.

Riassumendo quanto detto fin ora, la crisi delle certezze è dovuta a due principali fattori:

a)         le contraddizioni o incompletezze delle singole scienze;

b)         le sostanziali differenze metodologiche tra le scienze (logica e natura).

Tale clima spinge inevitabilmente scienziati e filosofi ad interrogarsi sui fondamenti e sui metodi della scienza. Da un lato vi è il tentativo di rafforzare la coerenza delle scienze matematiche con formulazioni rigorose ed organiche, dall'altro vi è la ricerca del grado di verità delle scoperte della fisica. Se vogliamo, la questione coinvolge maggiormente le scienze sperimentali che le scienze logiche come la matematica: quest'ultima infatti mantiene la sua validità a prescindere dalla realtà naturale; al contrario la fisica avverte con maggiore necessità il problema, dal momento che il suo compito dichiarato ed esplicito è proprio quello di studiare la natura. La crisi coinvolge la matematica quand'è la fisica a chiamarla in causa quale strumento di indagine.





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