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L'identità di materia e luce: la meccanica quantistica




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L'identità di materia e luce: la meccanica quantistica

Negli stessi anni in cui la teoria della relatività e le prime idee della struttura atomica prendevano forma, le menti di alcuni dei più abili scienziati, tra i quali lo stesso Einstein, stavano concorrendo alla graduale costruzione di uno dei più raffinati edifici intellettuali della storia del pensiero: la meccanica quantistica. Essa descrive e spiega la struttura e le proprietà della materia e della luce su scala atomica e subatomica. I suoi protagonisti sono le molecole, gli atomi, i loro costituenti (elettroni, protoni, neutroni) e, in generale, tutte le particelle elementari, siano esse  prodotte da decadimenti nucleari, provenienti dal cosmo, create in laboratorio o ancora da scoprire. Persino la più tipica delle radiazioni, quella luminosa, oltre ad essere costituita da onde, ha a sua volta caratteristiche proprie delle particelle.

L'energia posseduta da un raggio di luce di una certa frequenza può assumere, infatti, solo valori multipli interi di una quantità ben definita, detta quanto: ciò significa che la luce è costituita da tanti corpuscoli uguali, ciascuno dei quali avente esattamente un quanto di energia. L'idea della quantizzazione dell'energia di radiazione emerse nell'anno 1900 dagli studi del fisico tedesco Max Planck (1858 - 1947), che fu insignito del premio Nobel nel 1918 ed è considerato il padre della meccanica quantistica. Lo stesso Einstein ricevette il Nobel, nel 1921, non per la sua formulazione della teoria della relatività, ma per essere riuscito a spiegare in termini di quantizzazione della radiazione l'effetto fotoelettrico, che consiste nell'emissione di elettroni da parte di un metallo colpito da raggi luminosi. I corpuscoli della luce s'indicano con il nome di fotoni e sono a tutti gli effetti particelle elementari, seppure con una particolarità: hanno massa e carica entrambe nulle. Più in generale, le onde elettromagnetiche, di cui la luce rappresenta una possibile manifestazione, sono fatte di fotoni.


Curva di emissione del corpo nero


Le particelle elementari hanno dunque una duplice natura. Da un lato, esse possiedono un certo numero di proprietà ben definite: non solo la massa e la carica elettrica, ma anche qualità più sfuggenti. Ad esempio alcune particelle sono dotate di spin, proprietà assimilabile a un moto spontaneo di rotazione attorno al proprio asse, simile a quello di una trottola. D'altra parte, le particelle sono intrinsecamente delle onde e, come tali, sfuggono alla raffigurazione spaziale che siamo soliti attribuire agli oggetti macroscopici della nostra realtà quotidiana.

L'ipotesi del dualismo particella-onda fu avanzata dal fisico francese Louis de Broglie (1892 - 1987) nel 1924. Due anni più tardi l'austriaco Erwin Schrödinger (1887 - 1961) tradusse questa idea in una fondamentale equazione che oggi porta il suo nome. L'equazione di Schrödinger  rappresenta per la descrizione delle particelle microscopiche quello che le leggi di Newton rappresentano per il moto dei corpi sulla terra e quello dei pianeti. Ma, mentre le equazioni della meccanica di Newton hanno come soluzioni sequenze di eventi definite e di immediata visualizzazione, le soluzioni dell'equazione di Schrödinger sono, appunto, onde.


Lunghezza d'onda associata a un elettrone in moto attorno al nucleo secondo De Broglie


A un'onda è impossibile attribuire coordinate spazio-temporali precise: fissato un istante di tempo, l'onda è raffigurabile come un'entità diffusa nello spazio, mai come un punto o un volume nettamente circoscritto. Tuttavia, è possibile affermare che l'onda è più intensa nella zona di spazio dove essa presenta increspature più profonde e più fitte e meno intensa dove le sue fluttuazioni tendono ad appiattirsi: corrispondentemente, si dirà che di una particella, in quanto onda, bisogna limitarsi a constatare la maggiore o minore probabilità che essa si trovi in una certa regione dello spazio anziché in un'altra.

Secondo questa diffusa interpretazione, la meccanica quantistica sembrerebbe quindi rimpiazzare la tradizionale visione deterministica della fisica classica con l'astratta nozione di probabilità del verificarsi di un fenomeno. Per i suoi inquietanti riflessi ideologici, questa visione provocò una profonda insoddisfazione tra i fisici dell'epoca, inducendo lo stesso Schrödinger, nell'ultima parte della sua vita, a formulare obiezioni filosofiche nei confronti delle implicazioni probabilistiche della teoria che egli stesso aveva contribuito a creare.

In realtà, la meccanica quantistica nasce per descrivere sistemi microscopici cui per natura non si possono assegnare coordinate spaziale definite. Definire esattamente posizione e velocità di una particella a un determinato  istante è non solo difficile, ma addirittura impossibile secondo il principio di indeterminazione formulato da Werner Heisenberg (1901 - 1976). Una volta accettato questo fatto essenziale, la meccanica quantistica è non meno deterministica, in quanto rigorosa e capace di previsioni precise, significative e fedeli alla realtà, di quella classica. Essa fu anzi ideata proprio per compensare l'evidente inadeguatezza della descrizione classica di fenomeni d'interazione tra luce e materia, e ottenne la definitiva consacrazione come teoria capace di riprodurre con grande accuratezza proprietà dell'atomo inspiegabili nell'ambito della meccanica newtoniana.

Il modello atomico classico di Rutherford lasciava infatti senza spiegazione un noto fenomeno, nel quale gli atomi di gas incandescenti emettono luce di una varietà strettamente limitata di distinte frequenze, producendo spettri discontinui, privi cioè della gradualità cromatica caratteristica degli usuali fenomeni di emissione di luce. Tale osservazione era inspiegabile nel contesto della fisica classica, dove tutte le quantità fisiche sono rappresentate da  grandezze che variano in intervalli continui ed ininterrotti di valori.

Nel 1913, completando il modello planetario di Rutherford con le idee della meccanica quantistica, Niels Bohr (1885 - 1962) riuscì a riprodurre con una buona accuratezza anche i più complessi spettri di emissione degli atomi. Bohr ipotizzò che gli elettroni atomici seguissero orbite il cui raggio può assumere solo certi valori fissati. In altre parole, gli elettroni avrebbero potuto trovarsi solo in un numero limitato di stati, ciascuno caratterizzato da un valore definito di energia. Ai livelli energetici discreti, cioè quantizzati, dell'atomo corrispondevano valori discreti dell'energia che l'atomo emette sotto forma di radiazione luminosa e, quindi, un limitato numero di possibili colori di tale radiazione. La teoria di Schrödinger avrebbe poi fornito la giustificazione di queste ipotesi sulla base delle proprietà di funzioni d'onda che descrivono gli stati elettronici dell'atomo.

Nel XX secolo l'uomo apprende dunque che a livello microscopico la materia ha proprietà ondulatorie e, al contempo, la luce ha caratteristiche assimilabili a quelle di un insieme di particelle materiali. Materia e luce, particelle e onde non sono quindi entità distinte, bensì rappresentazioni differenti della stessa realtà fondamentale: la meccanica quantistica è espressione dell'ennesima presa di coscienza da parte dell'uomo della concezione profondamente unitaria della natura.



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