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Dualismo della luce




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DUALISMO DELLA LUCE



La luce è elemento fondamentale, indispensabile alla vita sulla terra, importante non solo nella vita comune, ma anche nell'immaginario collettivo, nonché nelle tradizioni religiose e mistiche: è naturale allora che l'interesse verso di essa e verso i fenomeni ad essa legati si sia manifestato fin dall'antichità. Ma come spesso è accaduto nello studio dei fenomeni naturali in tempi remoti, l'osservazione propriamente scientifica si è confusa con congetture di carattere filosofico: si pensi, ad esempio a filosofi e scienziati greci, seguaci di Pitagora, che ritenevano che la visione degli oggetti dipendesse esclusivamente dal soggetto, grazie ad un "fuoco" che uscendo dagli occhi si posava sulle cose rendendole visibili. Ad una analisi strettamente scientifica è chiaro che tale concezione cade in contraddizione di fronte a fenomeni molto semplici e comuni, quali il fatto che al buio non è possibile vedere.

Un altro illustre personaggio, che si cimentò nel tentativo di dare una spiegazione al fenomeno della visione delle cose, fu Lucrezio; egli osservò che avvicinando ad uno schermo bianco un oggetto vivamente colorato e fortemente illuminato, sullo schermo apparivano dei bagliori del colore dell'oggetto. Ne concluse allora che ogni corpo emetteva delle "scorze" che raggiungevano l'occhio provocando la visione; nessuno però era in grado di stabilire come tali scorze viaggiassero da un corpo all'altro e di che natura fossero, visto che erano in grado di attraversare oggetti trasparenti, contraddicendo il principio di impenetrabilità dei corpi.

Fu solo nel 1600 che si riuscì a dare un'impostazione corretta al problema, stabilendo che l'immagine da noi percepita si forma all'interno dell'occhio e non all'esterno, ed è provocata dall'interazione della luce, proveniente dalle diverse sorgenti luminose, con gli oggetti. Quindi il problema si spostava alla ricerca della natura della luce e del suo comportamento nell'interazione con gli altri elementi, aprendo uno dei capitoli più affascinanti dello sviluppo del pensiero scientifico.

Lo studio dei fenomeni ottici si sviluppò così in due direzioni: da un lato la ricerca di un modello matematico in grado di descrivere con buona approssimazione il comportamento della luce nei fenomeni osservabili portò alla scoperta delle leggi che regolano i fenomeni di "riflessione e "rifrazione" della luce e dei principi di funzionamento dei vari tipi di specchi e di lenti. Dall'altro la formulazione di teorie sulla natura della luce, compatibili con il modello sperimentale di comportamento, si dibattè a lungo in una disputa fra la teoria corpuscolare, proposta da Newton, e la teoria ondulatoria, il cui principale fautore fu Huygens.

La dualità onda-particella, una singolarità che riguarda la stessa essenza o intima natura della luce, ha portato in effetti una rivoluzione nelle nostre teorie scientifiche e quindi nella nostra concezione della realtà, paragonabile, o forse addirittura più grande, a quella più nota della Relatività. Forse è bene chiarire, almeno intuitivamente, cosa si intende per "particella" e cosa per "onda".

Una particella è un corpuscolo di minime dimensioni che conserva intatte le caratteristiche di solidità e localizzazione: in altri termini una particella occupa una posizione dello spazio ben definita e muovendosi percorre una traiettoria con velocità che, in linea di principio, può essere conosciuta istante per istante. Se la particella urta un ostacolo può rimbalzare, più o meno deviata; o penetrare, più o meno profondamente; o addirittura rompersi se l'urto è abbastanza violento. Una particella, in fondo, si comporta quindi come comunemente si comporta una pallina.

Le caratteristiche salienti di un'onda, cioè fluidità e delocalizzazione, sono ben diverse e potremmo anche dire antitetiche a quelle di una particella (solidità e localizzazione): l'onda non occupa una posizione precisa dello spazio ma è più o meno estesa, appunto delocalizzata, e la sua estensione può variare nel tempo: basta pensare alle onde concentriche provocate da un sasso che cade in un lago, onde dapprima piccole e mano a mano sempre più larghe. D'altra parte non si può neanche parlare rigorosamente di velocità dell'onda perchè parti diverse di essa possono avere, e in genere hanno, velocità diverse; e mentre ovviamente due particelle non possono penetrarsi, due onde possono benissimo sovrapporsi. Inoltre quando un'onda incontra un ostacolo si comporta come se i punti di contatto diventassero sorgenti di tante altre onde che sovrapponendosi riformano un'onda, che può anche essere passata in parte al di là dell'ostacolo stesso: basta pensare agli scogli che non fermano certo le onde.

Quindi, se onde e particelle sono fenomeni in qualche modo opposti, la natura intrinseca della luce è ondulatoria o corpuscolare? La luce è fatta di onde o di particelle?

Le prime teorie scientifiche sulla luce sono state corpuscolari: la luce è fatta di particelle che partono da una sorgente luminosa e viaggiando in linea retta si propagano con trasporto di materia. Così pensava Isaac Newton, scopritore dello spettro, cioè della scomposizione della luce bianca nei vari colori dell'iride mediante prismi di vetro; la teoria corpuscolare Newtoniana spiegava la riflessione (le particelle rimbalzano, come palline, sugli specchi) e la rifrazione (la velocità delle particelle di luce nell'acqua è minore di quella nell'aria).

Rimanevano comunque molti enigmi: come mai due o più fasci luminosi possono attraversarsi o sovrapporsi, come fanno, ad esempio, i raggi colorati provenienti dalla scomposizione della luce bianca, ripassando in un prisma opportuno e riformando un unico raggio bianco? Le particelle che li formano non dovrebbero invece urtarsi e quindi disordinarsi ? E perchè le particelle di luce azzurra vengono rifratte in misura diversa da quelle di luce rossa? Siamo nel diciassettesimo secolo, precisamente nel 1666; circa dieci anni più tardi il fisico olandese C. Huygens introduceva una teoria antitetica, una teoria ondulatoria della luce, secondo la quale la luce è composta di onde piccolissime prodotte dalla vibrazione delle molecole dei corpi resi incandescenti, e i diversi colori sono dovuti a diverse lunghezze d'onda (la lunghezza d'onda è la distanza tra due 'creste' o tra due 'ventri' successivi). La teoria ondulatoria spiegava altrettanto bene di quella corpuscolare la riflessione e ancora meglio la rifrazione; si capiva inoltre facilmente perchè due raggi potessero incrociarsi o sovrapporsi, dato che, appunto, queste sono proprietà tipiche delle onde.

Ma se alcune domande imbarazzanti ricevevano risposta, altrettante nuove ne sorgevano: come mai infatti la luce, se è fatta di onde, non aggira gli ostacoli come fanno le onde sonore o le usuali onde nell'acqua? E, soprattutto, dato che le onde sono comunque perturbazioni di un mezzo materiale (l'aria, nel caso del suono; l'acqua o un altro fluido, nel caso delle usuali onde), come può la luce viaggiare nel vuoto ? Sappiamo infatti che nel vuoto non si propagano suoni, ma nel vuoto sicuramente viaggia la luce proveniente dal sole e dalle lontane stelle. Huygens tentò di dare una spiegazione immaginando l'esistenza dell'Etere come mezzo di supporto alla propagazione delle onde, postulando l'esistenza di una sostanza estremamente fluida e rarefatta, tanto da non condizionare minimamente il moto dei corpi nello spazio, ma con straordinarie capacità di elasticità: ciò per giustificare l'elevata velocità con cui si trasmettono i segnali luminosi.

Per tutto il secolo diciottesimo le due teorie alternative rimasero in competizione, con una leggera prevalenza della teoria corpuscolare a causa soprattutto dell'autorità e prestigio di cui godeva Newton.

Tuttavia nel secolo diciannovesimo tutta una serie di acquisizioni sperimentali e teoriche sembrarono sancire la vittoria definitiva della teoria ondulatoria. Fresnel dimostrò infatti che la luce aggira effettivamente gli ostacoli, spiegando così il fenomeno della diffrazione che noi non riusciamo comunemente a percepire solo per l'estrema piccolezza delle lunghezze d'onda luminose : (l'onda 'rossa', che pure è la più lunga nello spettro visibile, ha una lunghezza di 75 milionesimi di centimetro!). Young poi dimostrò che la luce può interferire e l'interferenza è un fenomeno tipico delle onde ma non delle particelle.

Nel 1870, mentre già da qualche tempo i fisici che si occupavano di elettricità e magnetismo avanzavano l'idea che tra la luce ed i fenomeni elettromagnetici dovesse esistere qualche rapporto di parentela, il fisico scozzese J. Maxwell sostenne che la luce è un onda di natura elettromagnetica. Essa infatti viaggia con la stessa velocità delle onde elettromagnetiche, uguale nel vuoto a 300.000 Km/s. (velocità che nel frattempo era nota grazie alle accurate misurazioni di Fizeau) e, come le onde elettromagnetiche, è un onda trasversale e non longitudinale: le vibrazioni, cioè, sono sempre perpendicolari alla direzione di propagazione della luce. La teoria di Maxwell inoltre apriva la porta alla possibilità di conoscenza di altre radiazioni della stessa natura della luce al di sotto della lunghezza d'onda del violetto, la più corta, e al di sopra di quella del rosso, la più lunga. In effetti risultò che la luce occupa una piccolissima parte dello spettro elettromagnetico, ed ora sappiamo anche che, in ordine di lunghezza d'onda crescente, raggi gamma, raggi X, raggi ultravioletti, luce, calore irraggiato, microonde, onde radio sono un solo e unico fenomeno, sono tutte onde elettromagnetiche che viaggiano alla medesima velocità e differiscono solo per la lunghezza d'onda.

La scoperta di Maxwell non risolse tuttavia un altro problema: attraverso quale mezzo si propaga la luce? Verso la fine dell'800 i due fisici americani Michelson e Morley tentarono di misurare la velocità del vento dell'etere a cui la teoria ondulatoria affidava la propagazione della luce; ma il loro risultato fu sempre negativo. Si dimostrò così l'esistenza del vuoto nello spazio e di conseguenza la luce, che si propaga in ogni zona dello spazio, non poteva essere altro che un'onda elettromagnetica trasversale.

Ma agli inizi del nostro secolo il problema relativo alla natura della luce si ripresentò. Lo scienziato Planck, riflettendo sulla scoperta di Thompson dei raggi catodici (gli elettroni), ipotizzò che l'energia elettromagnetica non viene emessa in modo continuo, ma in piccoli pacchetti, o quanti; un quanto di energia è denominato fotone. Inoltre, l'energia emessa è direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione emessa. L'idea di Plank era che un quanto di energia elettromagnetica, e quindi di luce, fosse correlato alla frequenza dell'equazione: E = hu, dove h è una costante chiamata "costante di Plank'.

La comprensione delle implicazioni della visione quantistica, introdotta dalla legge di Plank, nel giro di un trentennio porta a cambiamenti radicali nella fisica. E' Einstein che a partire dal 1905 con una serie di lavori introduce la visione quantistica prima nella interpretazione del comportamento delle onde luminose e poi anche nell'interazione fra luce e materia. In sintesi, Einstein postula che l'emissione e l'assorbimento di luce da parte della materia avvengano tramite quanti di luce a cui dà il nome di fotoni, particelle dotate di quantità di moto, che viaggiano alla velocità della luce, ma considerate prive di massa. Le teorie di Eintein, che ripropongono la spiegazione di alcuni fenomeni tramite un'interpretazione corpuscolare della luce, suscitano una fortissima opposizione, oltre che per la loro arditezza, probabilmente anche perché per molto tempo rimangono prive di riscontri sperimentali.

La prima verifica sperimentale delle teorie di Einstein avviene nel 1923 con l'effetto Compton, in cui si dimostra che nella diffusione di un raggio di luce ad opera di particelle elettricamente cariche, la luce si comporta come un fascio di particelle, ossia le collisioni fra luce e particelle cariche soddisfano alle stesse leggi di conservazione dell'energia e della quantità di moto che valgono per i corpi rigidi della meccanica classica.

Ci troviamo così nella situazione paradossale di avere ancora oggi due teorie della luce: una, quella ondulatoria, che va bene in tutti i casi che riguardano la propagazione nello spazio; l'altra, quella dei quanti, che va bene in tutti i casi che riguardano l'interazione con la materia. La spiegazione di tale ambivalenza si può avere solo nell'ambito della Meccanica quantistica, secondo la quale le particelle non sono altro che "pacchetti" di onde elettromagnetiche di piccola lunghezza d'onda.

Infatti l'emissione della luce avviene a livello atomico. Sappiamo che un atomo è costituito da un nucleo centrale in cui sono concentrati protoni e neutroni e da un certo numero di elettroni che orbitano attorno al nucleo. In un certo senso l'atomo può essere pensato come un sistema planetario, in cui al centro c'è il nucleo atomico dove risiede quasi tutta la massa e le cariche positive, tenute dai protoni. Attorno ad esso, in maniera simile ai pianeti, orbitano i singoli elettroni che hanno carica negativa. Ogni orbita corrisponde ad un livello energetico; cioè gli elettroni ruotano seguendo una data orbita a seconda della quantità di energia che è in loro possesso. Tale energia non è fissa: può anche essere ceduta o assorbita; nel qual caso l'elettrone cambierà orbita, passando ad un livello energetico rispettivamente più basso o più alto. Tale passaggio non avviene mediante spostamenti graduali e continui, ma a "salti", cioè direttamente da un'orbita all'altra.

Questi livelli energetici sono in numero finito; l'aumento di energia corrisponde all'assorbimento nell'atomo di un fotone di luce; in tal modo l'atomo viene a trovarsi in una condizione di eccitamento con gli elettroni che si spostano su orbite corrispondenti a livelli energetici più alti. In modo del tutto casuale, gli elettroni ritornano al loro stato energetico di partenza. In tale situazione si ha un'emissione di un fotone di luce, con l'insorgere spontaneo del raggio luminoso.

La produzione della luce avviene allora nel modo seguente: fornendo energia al corpo (ad esempio surriscandandolo fino a farlo diventare incandescente) si provoca un'eccitazione degli atomi. Ciò comporta una variazione del livello orbitale degli elettroni. Quando questi, casualmente, saltano sulle orbite originarie, si ha emissione di luce. Una sorgente luminosa quindi, non è altro che un corpo che emette una radiazione elettromagnetica pura.


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