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Evoluzione del processore
Nel 1982 Intel produce la massima evoluzione della sua architettura x86 a 16-Bit. Si tratta del potente processore 80286, appunto a 16-Bit, ma dotato di molte nuove funzionalità. Per prima cosa viene estesa la principale limitazione dei processori 8086 ed 80186.Infatti viene adottato un bus indirizzi da 24-Bit, che permetteva di accedere a 16-MB di memoria RAM per lo sfruttamento della memoria virtuale (un file da creare sul disco rigido per simulare memoria fisica ed estendere le capacità di manipolazione dati), fino a ben 1-GB. Si trattava di innovazioni senza precedenti, dovute principalmente all'integrazione di un componente separato che si occupava indipendente della gestione della memoria ed era conosciuto come MMU. Nel 286 è presente una VMMU, con supporto per la memoria virtuale. Questo componente era solitamente esterno ed opzionale e permetteva di aumentare le prestazioni ottimizzando l'accesso ai componenti di memoria del PC. Nel 286 viene integrato per permettere di usufruire del multitasking, ovvero l'esecuzione contemporanea di più istruzioni o programmi da parte del processore. Per far ciò era previsto che la memoria fosse suddivisa in diverse porzioni uguali, ognuna protetta dalle altre, in modo che differenti programmi in esecuzione potessero usare solo la memoria a loro riservata, senza intaccare quella riservata agli altri programmi, così da scongiurare conflitti e blocchi del PC. Inoltre la memoria veniva indirizzata in blocchi di byte univoci (64-Byte, sembra), ovvero veniva segmentata, per permettere una più agile gestione della memoria. Infine il 286 era compatibile con i precedenti processori 8086 ed 80186. Tuttavia i programmi scritti per questi processori potevano, a volte, non essere eseguiti correttamente. Per questo motivo Intel aveva inserito nel processore la possibilità di ridurre a 20-Bit il bus indirizzi, così che il 286 potesse vedere un solo megabyte di memoria e si comportasse quindi come se fosse un vero 8086, e senza poter usufruire della memoria virtuale. In questo caso il 286 diventava un vero 8086, con annessi limiti, e poteva eseguire senza errori i programmi per esso progettati e che non funzionavano bene nella modalità 80286 standard (definita modalità protetta, a discapito di quella 8086, definita reale). Questa struttura è presente in tutti i processori successivi al 286, compreso gli attuali Pentium III e Pentium 4. Il 286 era quindi un processore assai più sofisticato dei predecessori, ed anche molto potente. Sul 286 era possibile eseguire una particolare versione di Windows (definita Windows 286 per distinguerla da quella creata per il 386) che non funzionava su 8086 ed 80186 a causa della mancanza della memoria virtuale. L'80286 era prodotto a 6, 8, 10 e 12-MHz, anche se in seguito vennero introdotte, soprattutto dagli altri produttori del chip per conto di Intel, versioni fino a 20-MHz e 25-MHz. In particolare la Harris si diede da fare in questo senso. Il suo 80286 a 25-MHz riusciva ad essere persino più veloce del 386SX a 16-MHz, che come vedremo era un 386 "mutilato". Così il 286 venne impiegato nel nuovo PC IBM, definito AT (Advanced Technology), e per la prima volta (qualche anno più tardi) sui PC IBM divenne disponibile un sistema operativo a memoria virtuale, in parte multitasking, e dotato di interfaccia grafica. Si trattava di Windows, l'amata/odiata interfaccia di Microsoft, che faceva l'occhiolino ai Macintosh. L'80286 divenne in poco tempo il processore più diffuso (ancora oggi ne esistono miriadi in giro!) e le macchine 8088 ebbero un buon calo di prezzo. Allo stesso tempo, nacquero i primi PC IBM compatibili, anch'essi dotati del processore 80286, inoltre il fratello maggiore dell'8088, l'8086, divenne il nuovo processore economico a cui si potevano rivolgere i clienti che non se la sentivano di adottare il 286, comunque più costoso. E poi, parliamoci chiaro, nei primi anni del lancio del 286 Windows era alla sola versione 2.0, senza supporto per memoria virtuale e si può dire senza una vera interfaccia grafica (somigliava più alla Dosshell di MS-DOS!) per cui scegliere il 286 non era così indispensabile! Le cose cambiarono un pochino con l'arrivo della versione Windows 286, appositamente ottimizzata per questo processore. Ma ciò avvenne solo dopo il 1985, quando già il 386 era arrivato e Windows era passato alla versione 3.0. L'arrivo di Windows 3.0 diede una ventata di novità al mondo PC. Chi poteva permetterselo prendeva una macchina 386 e la equipaggiava con la prima vera interfaccia grafica. Ma chi non poteva non si lamentava, comunque, in quanto Windows 286 permetteva di avere la stessa interfaccia di Windows anche sul 286, più a buon prezzo! Ed ancora un grande successo per il 286.
Il processore 80286 a 10-MHz nel suo package PGA ceramico da 68-pin. Anche l'80186 esiste in versione PGA. Notare la "A" anteposta al nome 80286. Questa lettera contraddistingue quasi tutti i processori Intel (e AMD) con package PGA ceramico (alcuni, tuttavia, utilizzano la denominazione C80286 o CG80286 per specificare versioni particolari del circuito interno, con funzioni avanzate, e ciò vale anche per gli altri package usati). Notare, a destra, il circuito interno del processore
Intel, che aveva progettato ed era la principale produttrice del processore 80286, concesse la licenza di questo chip anche ad altre società: quelle ufficialmente documentate sono: AMD, IBM, Harris Semiconductors, Siemens, Fujitsu e Signetics (Philips Semiconductors). I chip prodotti da queste società sono totalmente identici a quelli prodotti da Intel. Inoltre NEC, che già aveva prodotto V20 e V30 (rispettivamente compatibili all'8088 e all'8086) produsse i chip V40 e V50. Dovrebbe trattarsi di chip compatibili 286, anche se sorge un dubbio sul V40, che potrebbe essere invece un chip compatibile 80186.
L'80286 Intel in versione "slim" a 6-MHz. Notare che si tratta di una versione speciale, perché chiamata C80286 e non R80286, relativamente al package!
Nel 1985 si chiude, almeno per l'hardware dei PC IBM, l'era dei processori a 16-Bit. Intel introduce infatti il processore 80386, a 32-Bit. Si tratta di un processore che in linea di massima presenta una struttura simile a quella del 286, con la gestione della memoria virtuale e gli altri accorgimenti già citati. Il tutto, però, convertito per gestire dati ed istruzioni ora a 32-Bit, invece che a 16. In effetti però il DOS, sistema operativo a 16-Bit, poco sfruttava tutta la potenza del 386, tuttavia il 386 risultava essere assai versatile e potente anche con i programmi a 16-Bit. Essendo a 32-Bit anche il bus dati era a 32-Bit, ed a 32-Bit era anche il bus indirizzi, che gli permetteva ora di accedere ad un massimo di 4-GB di memoria fisica e 64-TeraBite (64.000-GB) di memoria virtuale. Erano presenti, come nel 286, una modalità reale in cui i 32-Bit di indirizzi venivano portati a 20-Bit per emulare l'8086 e il suo accesso ad 1-MB di memoria, ed una protetta in cui il processore si comportava come 386 effettivo. Ma era stata aggiunta anche una nuova modalità, definita V86 (Virtual 8086) che permetteva addirittura di creare tante macchine virtuali 8086 capaci ognuna di accedere ad 1-MB e di funzionare quindi in parallelo. Questa struttura è presente anche nel 486 e, con alcune modifiche, anche nei processori di classe Pentium e Pentium II/III odierni. Insomma, nuova potenza a 32-Bit. E per sfruttare i 32-Bit venne specificamente progettato un coprocessore matematico a 32-Bit, l'80387, da affiancare, opzionalmente, al 386. Il coprocessore è un circuito, in passato opzionale, che permette di eseguire i programmi con sofisticati calcoli scientifici, come quelli di ingegneria e CAD o come quelli di grafica avanzata. Il primo coprocessore matematico era stato l'8087, progettato per i processori 8086 e 8088, in seguitò arrivò l'80187, per affiancare 80186 ed 80188, e poi l'80287, per il processore 80286. Si trattava di coprocessori ad 80-Bit con interfaccia a 16-Bit, mentre l'80387 è sempre ad 80-Bit ma ha un interfaccia a 32-Bit. Il processore 386 originale, del 1985, venne affiancato, nel 1988, da una versione economica, definita 80386SX e presente in package plastico, mentre il 386/DX ha un package PGA ceramico da 132-pin (foto). Il 386 originale venne così ribattezzato come 80386DX (foto) e con esso anche il coprocessore 80387 divenne 80387DX. Il 386SX era quindi affiancato dal coprocessore 80387SX, che impiegava un package QFP Plastico da 68-pin al posto di quello PGA, sempre da 68-pin, usato dal 387DX. Il 386SX ricalcava l'idea che, qualche anno prima, aveva portato alla creazione di 8088 e 80188. In pratica era un vero 386 con nucleo interno a 32-Bit, ma con bus esterni rispettivamente a 16-Bit per i dati e 24-Bit per gli indirizzi. In pratica un 386 con l'interfaccia di bus esterna dell'80286, ma non con la stessa piedinatura. La presenza del bus indirizzi a 24-Bit portava ad una riduzione della memoria accessibile da 4-GB ai 16-MB dello stesso 286 (e da 64-TB a 1-GB per la memoria virtuale). Questa soluzione limitava non solo le prestazioni di trasferimento dei dati verso l'esterno, in quanto veniva limitato, in questo caso, anche l'accesso in memoria. 8086 e 8088, infatti, condividevano un bus indirizzi della stessa dimensione (20-Bit) per cui le prerogative di memoria erano le stesse. Nel 386SX, invece, viene ridotto anche il bus indirizzi, che invece di restare a 32-Bit diventa a 24-Bit, limitando, di fatto, anche l'accesso in memoria e quindi anche le prestazioni in ambito multitasking. Infatti anche la macchina virtuale x86, che nel 386DX poteva, teoricamente, gestire fino a 4.096 macchine 8086 virtuali che indirizzavano 1-MB ciascuna, su una macchina che avesse effettivamente 4-GB di memoria (4.096-MB). In linea teorica sul 386SX le macchine virtuali possibili si limitano a 16, visti i 16-MB massimi di memoria indirizzabile. Verificare poi l'effettiva veridicità di queste presunte caratteristiche era compito arduo. In primo luogo il sistema base, il DOS, impiegava già da solo 640-KB, per cui 1-MB era già off-limits per le macchine V86. Sul 386DX sicuramente era possibile gestire un certo quantitativo di macchine V86, ma difficilmente le 4.096 teoriche. Solo oggi che abbiamo i Pentium III da 600-MHz a salire riusciamo per la prima volta a sperimentare quel multitasking da troppi anni sognato da tutti gli informatici! Si tratta certo di multitasking di tipo diverso, a 32-Bit. Ma anche il Pentium III esegue le V86 machine. Quando apriamo una finestra DOS in Windows stiamo in effetti eseguendo una macchina virtuale 8086. In pratica emuliamo un computer 8086! In effetti, però, una macchina V86 non è proprio una emulazione di un 8086, perché si tratta di eseguire una modalità reale effettiva, che per via del multitasking può essere eseguita in diverse sezioni, anche contemporanee. Se apro più finestre DOS eseguo più sessioni reali 8086. La modalità reale, sia quella esclusiva che eseguiamo con la modalità DOS pura, sia quella presente nella V86 tramite Windows, è in pratica avere un processore 8086 vero e proprio (o tanti processori 8086, quando si aprono più macchine virtuali). Ovviamente si capisce subito che nella modalità DOS esclusiva non possono essere eseguite più macchine 8086, mentre alcuni programmi sotto DOS eseguono diverse funzioni o sottoprogrammi sfruttando metodi multitasking proprietari.
Il processore Intel A80386DX a 33-MHz Il circuito interno del 386DX
Il coprocessore Intel A80387DX a 33-MHz Il circuito interno del 387DX
Quindi il processore 80386, che funzionava a 16, 20, 25 e 33-MHz, divenne in breve molto diffuso e con esso si diffuse il sistema operativo Windows, che dalla versione 3.0 aprì, in pochi anni, la strada della multimedialità! AMD, Cyrix, IBM, Texas, ed altri produttori di circuiti integrati costruirono processori compatibili con i chip 386 di Intel, e con frequenze fino a 40-MHz. Stavolta non si trattava più di semplici copie dei processori Intel, com'era avvenuto per il 286 e anche per i processori precedenti. Anche il processore AMD Am80386 era simile ma non era un vero 80386. In realtà però si comportava come se lo fosse, grazie a diversi accorgimenti interni. Nel 1989 la crescente richiesta di potenza portò Intel a produrre una versione ad altissima integrazione della famiglia 80386. Nacque così l'80486. Si trattò del primo processore con integrati 1 milione e duecentomila transistor su singolo chip. In esso erano integrati il processore 80386, il coprocessore 80387 ed il circuito opzionale Intel 82385. Quest'ultimo, nelle macchine 386, era un chip PGA da 132-pin (grande quanto il processore 386, quindi) che permetteva, opzionalmente appunto, di accrescere le prestazioni aggiungendo della veloce memoria cache. La cache è una memoria assai costosa, definita Static RAM, assai più veloce della semplice memoria di sistema, costruita con chip Dinamic RAM, e che difficilmente superavano i 4-MB. Essendo impossibile pensare di utilizzare la SRAM come memoria di sistema, visto l'elevato costo, era usata appunto la DRAM, che era molto meno veloce. Per velocizzarla, quindi, si affiancava al processore una piccola quantità di memoria SRAM, più veloce, ma in tagli di 64 o 128-KB, che caricavano le celle di memoria più usate per renderle più velocemente al processore. Per accedere alla cache era però necessario un chip, che nel 386 era appunto il cache controller 82385. Il 486 non integrava solo il cache controller, ma anche la stessa cache, sebbene in quantità di soli 8-KB. Questo permetteva però al 486 di essere veloce anche più del doppio di un 386 funzionante alla stessa frequenza. Del 486 esistono diverse versioni. Il 486DX è quello standard, con frequenze da 16, 20, 25 e 33-MHz. AMD, IBM, Texas, SGS ed UMC produssero anche versione da 40-MHz. In seguito Intel produsse anche una versione da 50-MHz, assai rara, ma molto veloce, visto che sfruttava anche il sistema alla stessa frequenza. Poi c'è il 486SX, una versione economica, che non integra il coprocessore matematico (mentre ci sono ancora la cache e il relativo controller) ed era presente a 16, 20, 25 e 33-MHz e fino a 40-MHz, sempre da parte dei concorrenti. Poi arrivò il 486DX2, che prevede una modalità di funzionamento che raddoppia la frequenza della scheda madre. Esiste in tre versioni, da 50, 66 e 80-MHz (anche da parte dei concorrenti), relativamente alle schede madri da 25, 33 e 40-MHz. Il processore Intel 486DX2-80 è un componente assai raro. Del 486DX2 è presente anche la versione economica, SX2, sempre a frequenza doppia, da 66 e 50-MHz solamente, ma senza il coprocessore. Infine c'è il processore 486DX4, da 75 e 100-MHz, che triplica la frequenza della scheda madre ed integra 1.600.000 transistor, grazie ad una cache integrata di dimensioni doppie, ovvero 16-KB. AMD ha prodotto anche un 486DX4 da 120-MHz, che quadruplica la frequenza, mentre ha chiamato 5x86-133 un processore 486DX4 capace di lavorare a 133-MHz e addirittura fino a 150 o 160-MHz.
Il processore A80486DX2 da 66-MHz Il circuito da 1.200.000 transistor del 486DX2
Nel 1993 Intel presenta il successore del 486 e lo chiama Pentium. Si tratterebbe, in effetti, del processore 80586, ma Intel preferisce chiamarlo A80501 e dargli il nome Pentium. Integra 3.1 milioni di transistor ed è veloce anche più del doppio di un 486 funzionante alla stessa frequenza. La sua principale caratteristica è quella di integrare un coprocessore matematico più potente e di essere dotato di due unità di calcolo praticamente identiche a quella singola presente nel 486. A parità di frequenza è quindi capace di eseguire 2 istruzioni, mentre il 486 ne riesce ad eseguire solo una! Rispetto al 486, poi, dispone di un bus dati a 64-Bit, in grado di trasferire due dati a 32-Bit, così da supportare appieno la doppia struttura di elaborazione interna (pipeline). Inoltre dispone di una funzione che gli permette di prevedere la struttura del programma e di preparare i dati prima che siano richiesti. Entro pochi mesi viene la versione aggiornata del Pentium, che viene denominata A80502 (P54C) e funziona a 75, 90 e 100-MHz. In seguito questa che è la seconda versione del chip raggiungerà 120, 133, 150, 166 e 200-MHz. Integrava 3.3 milioni di transistor. Infine la terza versione, A80503 (P55C), definita Pentium MMX, dispone delle nuove istruzioni per il calcolo multimediale ed integra ben 4.5 milioni di transistor e 32-KB di cache.
Esiste in versione da 150, 166, 200, 233 e 266-MHz (a 150 e 266-MHz solo in versione per notebook).Nel 1996 Intel introduce il successore del Pentium. Si chiama Pentium Pro (in pratica doveva essere l'80686, poi chiamato A80521), vero e proprio stato dell'arte nella tecnologia del silicio, che ha dato vita all'architettura P6. Si tratta di un'architettura sempre compatibile con quella x86, ma che presenta molte nuove innovazioni di grande importanza. Colpisce subito il fatto che si tratta di un processore PGA ceramico rettangolare, e non quadrato, come tutti i PGA. Questo è dovuto alla prima importante innovazione del chip, la cache di secondo livello integrata direttamente nella CPU. La cache integrata nel 486 era di primo livello. A poco a poco a questa cache interna venne affiancata comunque una quantità di cache esterna, sulla scheda madre, di dimensioni da 128 a 512-KB. In questo modo si poneva un'ulteriore ponte tra il processore e la memoria di sistema. Ebbene, il Pentium Pro, che dispone comunque di 16-KB di cache di primo livello, integra direttamente nella CPU anche la cache di secondo livello. In tagli da 256 e 512-KB.
Il nucleo del Pentium nella prima versione (80501), a 60-MHz. Integra 3.1 milioni di transistor.
Per questo il Pentium Pro si presenta come un PGA rettangolare, con all'interno due circuiti (in inglese die), uno da 5.5 milioni di transistor che è il processore vero e proprio ed uno da circa 16 milioni di transistor, per la cache di secondo livello da 256-KB (circa il doppio con 512-KB). Inoltre il processore interno ha un nucleo RISC. L'architettura x86 è un'architettura CISC, ovvero con istruzioni complesse, e quindi i processori in questa tecnologia sono assai complicati. I processori definiti RISC usano la filosofia opposta. Utilizzano istruzioni semplici e sono meno complicate. Tra le due tecnologie è da sempre in corso una "guerra" su quale sia la migliore.
La grande innovazione del Pentium Pro è che esso esegue le istruzioni CISC x86 traducendole in istruzioni RISC interne (le semplifica) così che le esegue ad una maggiore velocità. Il primo prototipo funzionava a 133-MHz. Le versioni commerciali erano invece quelle da 150, 166, 180 e 200-MHz, con 256 o 512-KB di cache, a seconda dei modelli. Ultimamente è stata introdotta una versione da 200-MHz con addirittura 1-MB di cache (1.024-KB). Il nucleo del Pentium (3.3 milioni di transistor).
Il Pentium II è la prima evoluzione del Pentium Pro. Si tratta, in effetti, di un Pentium Pro MMX, con integrate le stesse istruzioni del Pentium MMX standard. Per il resto l'architettura è la stessa del Pentium Pro. Le prime versioni erano prodotte a 0.35 micron (µ), come lo stesso Pentium Pro, ed avevano frequenze di 233, 266 e 300-MHz. Successivamente sono stati introdotti i Pentium II con nucleo Deschutes a 0.25µ e le frequenze sono arrivate a 333, 350, 400 e 450-MHz. Rispetto al Pentium Pro la cache di secondo livello è stata riportata all'esterno, in quantità di 512-KB, in una cartuccia, perché la cache interna incideva moltissimo sul costo del processore.
Il sofisticato Pentium Pro 200-MHz con 1-MB di cache integrata (notare i 3 die che lo compongono, quello della CPU da 5.5 milioni di transistor, a sinistra, e gli altri due die da 512-KB di cache ciascuno).
Pentium Pro: stato dell'arte della tecnologia Intel.
Del Pentium II è stata prodotta anche una versione economica, chiamata Celeron, che rispetto al Pentium II effettivo dispone di 128-KB di cache, ma integrati sul circuito della CPU, similmente al Pentium Pro ma non distaccato su un secondo circuito. Infine veniamo al Pentium III, attuale punta di diamante della produzione Intel e successore del Pentium II, che integra circa 9 milioni di transistor. La sua architettura è la stessa del Pentium II. La principale differenza sta nella presenza di nuove istruzioni post-MMX, maggiormente adatte alla gestione dei dati grafici e multimediali. La prima versione è stata prodotta a 0.25µ, come il Pentium II Deschutes, e con frequenze di 450, 500 e 550-MHz e cache sempre esterna, su cartuccia, e sempre da 512-KB. In seguito la Intel ha adottato il core (nucleo) Coppermine a ben 0.18µ. Questo ha permesso di integrare di nuovo a bordo del processore la cache di secondo livello ed inoltre ha portato a creare modelli con frequenze che variano tra 600 e ben 1000-MHz. E pensare che il 4004 funzionava a soli 0.108-MHz (108-KHz). La tecnologia, in questi ultimi anni ha fatto passi enormi. Nel 1971 il 4004 integrava circa 2.300 transistor delle dimensioni di circa 10 micron (10µ), ovvero 10 micrometri, meno dello spessore di un capello umano. Ma Intel pensa già al successore del PIII. Infatti a breve dovrebbe essere pronto Willamette, nome in codice del Pentium IV. Non sarà più basato sulla architettura P6, ma sarà ancora compatibile con il mondo x86. Si sa ancora poco della sua architettura. Di certo si conosce il fatto che dispone di due unità d'elaborazione assai potenti, quasi due processori su singolo chip, e che funzionano a frequenza doppia, rispetto al resto dei circuiti dello stesso chip. In una prova su un prototipo del chip è stato dimostrato il funzionamento del chip a 1.500-MHz. Le due unità di esecuzione funzionavano quindi a ben 3.000-MHz (3-GHz).
Ecco il Pentium III Coppermine a 0.18µ Ed il Rivale AMD Athlon,
sempre a 0.18µ.
Oltre a Willamette, poi, Intel sta ultimando il progetto Merced, ora ribattezzato Itanium. Si tratta di un processore a 64-Bit che non sarà più compatibile con l'architettura x86 a livello di istruzioni. Disporrà infatti di istruzioni proprie, progettate ex-novo. Sarà comunque capace di eseguire il codice x86 grazie ad un processore aggiuntivo, probabilmente di classe Pentium Pro, integrato direttamente nel chip. Questo permetterà di eseguire il codice senza ricorrere all'emulazione, più complicata. E per concludere diamo qualche consiglio per la scelta del processore che volete nella vostra macchina. Fermo restando che Intel assicura 30 anni di esperienza, esiste infatti un rivale del Pentium III. Si tratta dell'Athlon AMD, che seppur dispone di una struttura differente, si tratta infatti di un processore a 64-Bit, esegue codice a 32-Bit x86. Dispone di alte prestazioni ed è presente con frequenze equivalenti a quelle in cui è disponibile il Pentium III. In generale si tratta di un processore assai valido. Tuttavia il suo costo è un tantino più elevato, a parità di frequenza, di un Pentium III. Questo è dovuto soprattutto all'adozione di schede madri differenti rispetto a quelle per Pentium III. In generale, comunque, la scelta del Pentium III è sempre da preferire! Per quanto riguarda le schede madri, per Pentium III e soci esistono ormai numerose offerte. Dopo accurate prove noi della Farinv abbiamo ad esempio scelto le Matsonic che grazie al chipset Via Apollo Pro 133A garantiscono il massimo supporto non solo a tutti i modelli di Pentium, ma anche alle nuove tecnologie come l'UltraDMA/66 per gli Hard Disk IDE, il bus a 133-MHz per il processore, le memorie a 133-MHz e la connessione AGP 4x. Si tratta di una soluzione non costosissima ma di qualità per una macchina da alte prestazioni, magari equipaggiata con un Hard Disk da 10 o 15-GB, 128-MB di memoria, CD-ROM 52x (di serie sulle nostre macchine) e modem 56K. Inoltre è ormai pensabile equipaggiare la macchina anche con un buon masterizzatore 4x/4x/32x.
Fra i punti di forza del P4 il vantaggio sull'ampiezza di banda della memoria, apparentemente molto ragguardevole, è del tutto teorico. Quello che Intel non dice, è che l' enorme ampiezza di banda viene saturata solo da grandi quantità di dati prelevati sequenzialmente dalla memoria: in applicazioni più vicine al mondo reale, al contrario, il processore cerca dati posizionati casualmente nella memoria; questo fa emergere il tallone di Achille della tecnologia Rambus, causa di molte critiche anche precedenti all'introduzione del Pentium4 (i tristemente noti chipset 820 e 840 per P3): innanzitutto l'inaccettabilmente elevata lentenza di accesso (la velocità con la quale i dati vengono reperiti e resi disponibili alla CPU) che, se nel caso di una lettura sequenziale passa in second'ordine, nel caso di molte letture casuali si somma risultando in tempi lunghissimi e molto penalizzanti. Le basse prestazioni iniziano a trovare qualche giustificazione ma ci sono altri fattori che aggravano la debolezza della memorie. Com'è noto uno dei problemi architetturali più gravi che affliggono i moderni computer è la sproporzione fra la capacità di elaborazione della CPU e la relativa lentezza della memoria. Fino a qualche anno fa questo problema non esisteva: il Pentium, nella sua primissima edizione (core P5 a 60 e 66MHz) lavorava alla stessa frequenza della memoria. Di lì in poi le frequenze operative dei processori sono cresciute a ritmi incalzanti. Le memorie invece (escluse DDR e RDR) hanno solo raddoppiato la loro velocità dai tempi del Pentium, arrivando ai 133MHz delle ultime sdram Questo problema è stato aggirato dai produttori di hardware con l'adozione di memorie cache sempre più grandi, veloci e vicine alla CPU: ad iniziare dal Pentium Pro (su piattaforme x86) anche la cache L2 è stata incorporata, in principio con grossi costi produttivi, nel 'package' o nel 'die' del processore, tendenza seguita attualmente da tutti i produttori di CPU. L'utilità della cache sta nella sua capacità di operare alla stessa frequenza della CPU e di permettere al processore di sfruttare prelevare dati ogni ciclo di clock piuttosto che spendere cicli ad aspettare che dati provenienti dalla RAM o peggio dalla memoria di massa, siano disponibili. Va dunque immaginata una linea ideale al cui estremo c'è la CPU, seguita da cache L1, cache L2, RAM, memorie di massa; in questa china, allontanandosi dalla CPU si accumulano stati di attesa via via più grandi (il che spiega anche per quale motivo l'aumento di memoria RAM comporti un beneficio sulle prestazioni quasi sempre rilevante). Purtroppo la cache è costosa da produrre e da implementare dal momento che i processori devono attenersi a consumi bassi e dimensioni ridotte. Al contrario,qualche anno fa la intel, ha dotato il suo nuovo 'mostro di potenza' di soli 8k di cache L1 (la stessa quantità presente nei 486!!!) contro i 128 dell'Athlon e del nuovo Cyrix Samuel. L'impatto di questa discutibile scelta tecnica pesa su un quadro che, come sostenuto, già vede nella memoria, particolarmente nella sua latenza di accesso, un punto debole. Un ulteriore problema del P4 sta nelle enormi dimensioni del die (il cuore della CPU in ci sono tutti i transistor del core e della cache L2) e le conseguenti: 1: ciclopiche richieste di energia (si parla di oltre 40w); 2: forti necessità di dissipazione termica; 3: tragiche conseguenze sui costi di produzione e quindi sulla vendita.
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