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'l'italia' e la missione civilizzatrice di roma




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'L'ITALIA' E LA MISSIONE CIVILIZZATRICE DI ROMA




La Chiesa e il fascismo. Dopo la prima guerra mondiale, pur di fronte alle permanenti diffidenze del governo italiano, la Santa Sede, nel '19, operò un primo tentativo di soluzione della questione romana prospettando un trattato risolutivo del contenzioso aperto1; la richiesta fu quella di una porzione della città di Roma, con piena sovranità e totale indipendenza dallo Stato italiano. Il fallimento dell'iniziativa fu dovuto, oltre che alla caduta del ministero Orlando (il quale, peraltro, aveva già manifestato il suo scetticismo), alla ferma opposizione di Vittorio Emanuele III e alla situazione politica complessiva; il dopoguerra era infatti mosso, difficile, caratterizzato da forti tensioni sociali, con lo spettro della rivoluzione russa in corso2, e " fu proprio l'incertezza estrema della situazione - come nota Giovanni Miccoli - che indusse la Santa Sede a dare via libera" 3 alla iniziativa politica di don Sturzo, iniziativa enunciata con chiarezza fin dal discorso programmatico di Caltagirone del 1905. Si trattava di realizzare un partito italiano cattolico, ispirato cioè a principi cattolici; un partito, come ebbe a dire Sturzo, di cattolici ma non di tutti i cattolici, aconfessionale, democratico, autonomo dalla gerarchia ecclesiastica, sostenitore di un programma politico di avanzata legislazione sociale che si ispirasse agli ideali cristiani senza fare della religione un elemento di differenziazione politica. Esso voleva troncare in modo definitivo con ogni tradizione clericale e superare le posizioni dell'intransigenza, combattendo assieme le tendenze clerico-moderate continuamente riemergenti, optando esplicitamente per la democrazia contro i conservatori. Nell'estrema incertezza della situazione del dopoguerra, la Santa Sede fu dunque indotta a dare via libera - pur fra notevoli diffidenze - all'iniziativa di Sturzo, quale contingente e possibile contraltare alla capillare e insistente propaganda socialista (e utile mezzo per ottenere, al bisogno, l'appoggio dello Stato, dato che della collaborazione del Ppi le forze liberali italiane non potevano fare a meno). L'equivoco di fondo fu però sempre costituito dal mettere assieme cattolici conservatori e democratici; l'ala destra (di cui tipico esponente era padre Gemelli) 4 suggeriva al partito la necessità di riferirsi direttamente al magistero delle encicliche sociali: non per una soggezione immediata alla gerarchia nei termini dell'Azione cattolica, ma proponendo

comunque un totale appiattimento ideologico, una piena adesione ai principi della dottrina politico-sociale cattolica. La stessa enciclica Ubi arcanometteva 5 in guardia - con chiara allusione al Partito popolare6 - da chi, pur riconoscendo a parole il magistero della Chiesa, tendeva a discostarsene nella pratica7. Aspetto significativo di questa tensione fu la circolare inviata ai vescovi dal segretario di Stato cardinal Gasparri, che proibiva al clero di partecipare alle attività politiche, giornalistiche e di parte. La data di questo documento (2 ottobre 1922) è significativa, perché precedente alla marcia su Roma e quindi utile, fra le altre cose, per avvalorare il fatto che le critiche e le perplessità (ovviamente accentuatesi in seguito) da parte del magistero ecclesiastico nei confronti del Ppi erano antecedenti alla presa del potere fascista; infatti, le riserve della Santa Sede verso il nuovo partito crebbero fra il 1920 e il '22, evidenziando una sempre piú accentuata presa di distanza che sfocerà in seguito nel definitivo abbandono. È chiaro che l'affermazione e il consolidamento del fascismo posero fine a quella situazione di incertezza (e al conseguente riserbo) che aveva in qualche modo spinto a dare via libera al Ppi (visto come un mezzo non eccessivamente compromissorio nell'oscuro panorama del dopoguerra) e determinò la Santa Sede a riprendere un controllo piú diretto ed immediato dell'organizzazione del laicato cattolico. Diversa fu dunque la situazione dopo l'avvento di Mussolini che, pur mostrando di voler eliminare o fagocitare le organizzazioni politiche, sindacali, cooperative e giovanili dei cattolici italiani, palesò anche l'intenzione di fare della Chiesa una delle componenti importanti, di supporto del suo piano politico. Tale politica poteva essere sfruttata dalla Chiesa per alzare il tiro ed ottenere non solo una soluzione della questione romana, ma anche una sistemazione vantaggiosa dei rapporti con lo Stato; del resto, avendo il fascismo eliminato le organizzazioni operaie e iniziato ad operare una politica di favore verso la Chiesa, per la Santa Sede il movimento cattolico poteva essere ristretto alle sole organizzazioni dell'Azione cattolica. Dopo aver " eliminato, o lasciato eliminare - come osserva G. De Rosa8 - quelle parti del movimento cattolico stesso, che potevano in qualche modo disturbare la spinta del fascismo verso la completa dittatura, cioè dopo il 1925-26" , e visto fallito il tentativo aventiniano (episodio che segnava la salda instaurazione della dittatura), il Vaticano diede il via a vere e proprie trattative con Mussolini. Il '26, ricordiamolo, fu l'anno delle leggi soppressive di associazione e stampa, dell'emanazione della legge " per la difesa dello Stato" e dell'istituzione del Tribunale speciale9. Le dimissioni di Sturzo dalla segreteria del Partito popolare nel luglio del '23 (in seguito alle pressioni esercitate da parte fascista sulla Santa Sede con la minaccia contro le organizzazioni cattoliche) 10 e il suo abbandono dell'Italia nel '24 (anno dell'assassinio di Matteotti, che non serví però a scalfire la linea sulla quale la Chiesa si stava dirigendo) avevano segnato i momenti piú significativi del progressivo abbandono, da parte della Chiesa, di quel movimento che i fascisti

individuavano ormai come un nemico; il Ppi, in pratica, fu adoperato come ostaggio da consegnare per la soluzione giuridica della questione romana. La Chiesa (come d'altronde la vecchia classe dirigente) si era decisa cosí - coerentemente col proprio orientamento basilare - per quella soluzione che, garantendo la stabilizzazione dell'ordine sociale e l'affermarsi di una forte autorità, faceva intravedere una possibile alleanza basata su comuni principi " totalizzanti" di fondo. Consonanze di fondo. Siamo di fronte a due sistemi che - seppure a partire da motivi ideologici ben diversi - privilegiavano entrambi principi di ordine, autorità, gerarchia, obbedienza, sottomissione e assolutismo, il mito di Roma, gli apparati e i riti esteriori, l'uso massiccio della psicologia di massa; emersero dunque naturalmente alcuni elementi del fascismo che potevano essere considerati consonanti col punto di vista cattolico11. In particolare, possiamo sottolineare la netta antitesi ad alcuni nemici comuni quali l'irreligiosità, l'individualismo, l'eresia, l'anarchia, la massoneria internazionale, il protestantesimo e soprattutto il bolscevismo (riuscitissimo fu lo slogan " Roma o Mosca" ) e il liberalismo, negando recisamente ogni concezione agnostica dello Stato e quindi l'idea di una sfera pubblica distinta da quella privata, per riaffermare invece la necessità del riconoscimento di un ruolo civile essenziale della religione ai fini di una crescita collettiva in cui i diritti dell'individuo fossero mezzo per ottenere i fini della società (ricordiamo che, secondo una linea già tradizionale nella dottrina sociale cattolica, per Pio XI il corporativismo - in quanto negazione dell'individualismo - era estremamente positivo). 12Altri punti d'incontro furono la tutela del costume (specialmente del focolare domestico, per il quale si propose un ideale di famiglia numerosa), la critica all'idea che l'interesse economico fosse il fondamento primo delle vicissitudini sociali, e l'epurazione dei veleni stranieri (materialismo, libero pensiero, democrazia, modernismo, ecc.), 13tutti fattori inconciliabili col conformismo, col paternalismo, con la mentalità reazionaria e con quell'autarchia materiale e spirituale che - a dispetto degli enunciati e delle pretese universalistiche - era asse portante del mito della romanità. Ma soprattutto, ripetiamo, contò l'analisi che il pensiero cattolico fece delle radici e dell'evoluzione del fascismo; ossia, tolta una minoranza di opposizione radicale (ad esempio Sturzo, Donati) che inquadrava il fenomeno come un coerente e negativo sviluppo della genealogia degli errori14, il fascismo fu visto come un allontanamento dalla nefasta tradizione liberale e socialista, un'evoluzione dal laicismo ancora rischiosa, ma anche di fatto avvicinabile alle posizioni del magistero, una possibile fase di passaggio verso il nascere di una nuova e ben piú favorevole posizione della Chiesa. Senza negare la necessità della Santa Sede di legarsi al regime per tutelare se stessa in quella situazione, risaltano dunque una serie di attese, giudizi positivi e apprezzamenti in vista di una auspicata spinta della società italiana verso uno Stato confessionale15. Per avviarsi su una strada diversa da quella della rivoluzione francese andavano però risolti, innanzitutto, i due problemi della questione romana e di un concordato col regime. Le trattative concordatarie, lunghe e frastagliate, giunsero in porto salutate con grande soddisfazione dal mondo cattolico, sulla scia dell'affermazione di Pio XI secondo cui col Concordato, " certo fra i migliori che si sono fin qua fatti" , si poteva " con profonda compiacenza" credere di aver " ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio" . 16Le relazioni fra Chiesa e fascismo furono caratterizzate da una lunga e sostanziale collaborazione, con alcuni momenti di contrasto; verso la metà degli anni Trenta, nonostante momenti di attrito e reciproche riserve, possono essere definite ottime, e, superata la crisi causata dagli scontri frontali sull'Azione cattolica nel '31, furono senz'altro " cordiali, improntate ad uno spirito di collaborazione, di concessioni reciproche" fino agli inizi del '4017; il segno piú evidente che sigillava l'inizio di un nuovo periodo di intesa, dopo gli accordi del 2 settembre 1931 (che posero fine ai contrasti sull'Ac e si tradussero poi, nel dicembre dello stesso anno, in una nuova riforma dello statuto della stessa), 18fu costituito dalla visita che l'11 febbraio 1932 (terzo anniversario della Conciliazione) Mussolini fece a Pio XI in Vaticano19. Gli attriti, come è stato osservato, " furono assai piú scontri di concorrenza fra due egemonie che volevano essere ugualmente assorbenti dell'intero corpo sociale che scontro di principi o di prassi avvertiti come inconciliabili" .20 La guerra d'Etiopia.L'avvicinamento piú sensibile si verificò a partire dalla fine del '35, in connessione con la guerra d'Etiopia e le conseguenti sanzioni applicate dalla Società delle nazioni nei confronti dell'Italia21. Il papato aveva sempre sperato di poter un giorno riconquistare l'Etiopia al cattolicesimo e, nonostante gli appelli ufficiali alla concordia, alla verità, alla giustizia e all'amore (non volendo schierarsi apertamente con nessuna delle parti in causa), non operò di fatto alcuna reale opposizione nei confronti dell'azione del regime. Non solo, ma l'episcopato - piú libero nell'esprimere i propri pronunciamenti compatibilmente con le condizioni locali - manifestava nel frattempo un consenso senza riserve22, plaudendo ad una missione alla quale contribuire in qualità di italiani e di cattolici, per appoggiare la patria nel momento del bisogno e dare vita ad un'opera di " civilizzazione" presentata come un vero e proprio, irrinunciabile dovere storico; nell'enorme ed efficacissimo apparato propagandistico del regime messo in moto in tale occasione, infatti, un ruolo importante fu giuocato dalla contrapposizione fra " civiltà italiana, romana e cristiana" da una parte e " barbarie e schiavismo etiopici" dall'altra, contrapposizione che richiedeva una fondamentale opera di civilizzazione dell'Italia nonostante l'opposizione dei " perfidi" ed " egoisti" inglesi (con la seconda metà del '35 la polemica antiinglese si poneva al centro della propaganda fascista). Le sanzioni, sentite come un'inaccettabile ingiustizia che mirava a danneggiare quell'opera di civiltà, non fecero che stringere ancor di piú la Chiesa attorno al regime, e le dichiarazioni patriottiche dell'episcopato furono sempre piú seguite da concreti atti ad esse corrispondenti. L'Italia era stata " restituita a Dio" e doveva dunque essere considerata totalmente cattolica, come ebbe occasione di dire il 28 ottobre '35 nel duomo di Milano il cardinale Schuster23. [] nell'Italia nuova il cittadino si identifica col cattolico, e [] la dottrina insegnata nelle scuole per volontà del legislatore deve insieme identificarsi colla vita vissuta da tutti i cittadini per  grazia di Dio e per volontà della Nazione [] Cooperiamo pertanto con Dio in questa missione nazionale e cattolica di bene; soprattutto in questo momento in cui sui campi d'Etiopia il vessillo d'Italia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana le strade dei missionari del Vangelo! [] Pace a tutti nella verità, nella carità e nella giustizia, secondo la venerata parola del Pontefice Sommo. Sono frasi che testimoniano della valenza attribuita in un contesto di questo tipo ai termini " verità, carità e giustizia" , non considerati contrastanti col principio, espresso dall'ambasciatore Raffaele Guariglia il 19 febbraio '32, proprio in riferimento all'ipotesi di una impresa etiopica: " Nulla di grande si fa nel mondo senza imbrattarsi le mani di sangue" . 24La conquista dell'Etiopia, dopo nove mesi di guerra, fu cosí considerata come la conclusione, guidata da Dio, di una vera e propria crociata, che come tale doveva essere festeggiata con messe e ringraziamenti solenni, mentre tutti i missionari stranieri in Etiopia venivano fatti sgombrare e alcuni di essi erano condannati a morte, lasciando il posto a quelli cattolici25. Mussolini si ritenne ovviamente piú che soddisfatto del contegno della gerarchia cattolica, e lo stesso può dirsi in riferimento ad altri aspetti della sua politica quali la lotta per l'autarchia e la " crociata" spagnola. Piú che esplicito fu anche il favore alla politica mussoliniana da parte della stampa (" L'Italia" compresa) e delle organizzazioni del laicato cattolico, con una conseguente grande influenza sull'opinione pubblica. Saranno l'avvicinamento del regime alla Germania e la conseguente applicazione delle leggi antiebraiche in Italia - ma queste ultime unicamente in qualità di indice del profilarsi di una pericolosa simbiosi fra il regime fascista e il Terzo Reich, con tutto ciò che tale fatto poteva comportare ai danni della Chiesa - a determinare delle crepe nell'intesa fra il mondo cattolico italiano e il fascismo26.

" L'Italia" e il fascismo. Un articolo di Sante Maggi dell'inizio del '37 27 ci aiuta ad introdurre l'argomento. Il pericolo principale per la civiltà - scriveva - è l'avanzata moscovita, che l'Italia ha prontamente individuato ed energicamente eliminato, per cui: " La cronaca dell'ultimo decennio può riassumersi cosí: disinteresse europeo - eccezion fatta per l'Italia e da quattro anni per la Germania -per il problema bolscevico" ; e all'origine del gravissimo problema c'era il liberalismo col suo alleato piú efficace, la massoneria.Il " lasciar fare" di marca liberista è stata la miglior formula per la preparazione comunista. Veniam a noi, all'Italia. Sino alla marcia su Roma in Italia, lo Stato fu liberale. Le dottrine

sovversive, all'ombra dei suoi postulati, poterono liberamente propagarsi. La loro marcia venne arrestata definitivamente col 1922. Il bolscevismo registrò, coll'avvento del Fascismo, la sua fine [] Il grande merito va al Fascismo, va alla coscienza religiosa e civile del nostro popolo che - di fronte ai fatti e problemi decisivi - reca il senso del suo alto discernimento, della sua giustezza latina [] L'ordine nuovo non può venire dal mito di Mosca [] Il problema sociale in Italia è stato affrontato con genialità e ampiezza di linee []. Giustamente possiamo concludere, oggi, guardando alla poderosa conquista, che " sul terreno delle conquiste sociali - sono parole del Capo del Governo - intese ad elevare materialmente e moralmente il popolo, noi non abbiamo da imparare da nessuno; possiamo insegnare qualche cosa a tutti" . Era un tema ricorrente, continuo, quello della contrapposizione fra " il liberalismo dominante per quasi tutto l'Ottocento" , che affermava " esageratamente i diritti dell'individuo nel piú ampio e incontrollato esercizio della libertà" , e quel " ritorno al senso ed alla tradizione dell'autorità" che instaurava " piú logiche ed armoniche condizioni di vita" . In questi termini si esprimeva un editoriale del '34 scritto in occasione della festa della Regalità di Cristo28; un tema, quest'ultimo, enunciato solennemente nell'enciclica Quas primas dell'11 dicembre '25 e che aveva trovato riscontro, sempre a detta dell'" Italia" , nei Patti lateranensi. Il pezzo si concludeva sostenendo che si poteva dunque " vedere nella concomitanza della festa di Cristo Re con l'annuale della marcia su Roma qualche cosa di piú di una semplice coincidenza portata dal calendario: poiché se il Fascismo vorrà sempre dare, come oggi dà, il suo doveroso tributo a Cristo Re, bisognerà vedere nelle due date poste cosí vicine una indubbia confermazione ideale". All'inizio dell'anno successivo, lo stesso Maggi curava l'articolo di fondo riguardante il decennio della Conciliazione Stato-Chiesa29. " L'Italia" riportava a grandi lettere le famose frasi pronunciate da

Pio XI a riguardo: " Dio all'Italia e l'Italia a Dio" , e: " Forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare: un uomo che non aveva le preoccupazioni della scuola

liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto i disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci,

tanto piú intangibili e venerandi quanto piú brutti e deformi []" . 30Grazie alla Conciliazione, proseguiva l'articolista, il cattolicesimo era " la religione ufficiale della Nazione, dello Stato" , e si trattava di

" un avvenimento storico, ma non di quelli che si esauriscono nel loro compimento" , perché " la Conciliazione rappresenta una porta chiusa su un passato di dissidio, ma inaugura un'era nuovissima. È

questo il suo fondamentale significato. La Conciliazione, provvidenzialmente, ha portato la storia religiosa dell'Italia su un piano dal quale gli orizzonti si dilatano in prospettive sconfinate" .


Non si trattava dunque di un mero appianamento umano di una controversia, ma di un intervento provvidenziale che spingeva a " ringraziare Dio dei benefici della Conciliazione e rendere un doveroso

tributo di lode agli uomini che ne sono stati gli artefici" , assumendosi le ardue responsabilità generate dalla prospettiva di ampie possibilità d'intervento forse insperate fino a poco tempo prima: una vera

e propria era nuova sotto il segno dell'" influenza religiosa e morale della Chiesa" . La grandezza dell'evento riportava cosí le menti ai fasti del IV secolo.


Nel 313 si pubblicava a Milano l'editto di Costantino, l'editto della libertà religiosa nell'Impero Romano. Nel 1929 a Roma si è pubblicato l'editto per la pacificazione religiosa della Nazione

italiana. Le circostanze storiche che hanno accompagnato i due atti sono ben lontane dal poter essere comparate fra di loro: la loro finalità però è essenzialmente la stessa. Come l'editto di

Costantino, i Patti Lateranensi sono destinati a irradiare sul popolo italiano, e conseguentemente sul mondo, un'influenza felicissima di libertà e di pace religiosa. Nel 313 si erano incontrati

la Chiesa appena nascente e l'Impero, l'11 febbraio 1929 si sono incontrate la Chiesa, Madre e maestra delle genti, e l'Italia, pochi anni dopo divenuta imperiale, una di terre e di spiriti []

Le generazioni che seguiranno la nostra potranno, a distanza, comprendere ancor meglio che cosa sia e che cosa avrebbe potuto essere o, auguriamocelo nel fervore delle opere, che cosa

sarà stata, nei suoi frutti, la Conciliazione.


Il genio latino. Le benedizioni che, frutto della Conciliazione, si stavano riversando sull'Italia, non potevano non ripercuotersi sul mondo intero, perché solo dall'Italia (come da una fucina-modello

elaboratrice di una civiltà, grazie all'unione del magistero cattolico con la latinità dei governanti e del popolo) poteva partire un rinnovamento per tutti. La supremazia morale e religiosa della nazione

italiana era preservata e potenziata da chi aveva voluto imparare dalla storia la lezione dell'inamovibilità del primato romano - primato teologico e culturale -, perché Roma era " veramente la Città Santa

riconosciuta dal Concordato" , 31la " bussola infallibile" , " caput mundi" ; 32Mussolini rappresentava il " genio latino" , l'uomo che incarnava " la saggezza politica romana" , e si aggiungeva: " Per il

Fascismo la storia non è stata scritta invano. Il suo grande Capo ne ha perfettamente comprese le austere lezioni e ne ha tratto consigli di profonda saggezza. Il Fascismo vuol essere romano e quindi

cattolico" . Prendendo spunto dalla Reformationsfest del 1936, I Cinque ripensavano ai danni provocati dal " pazzesco distacco da Roma nel secolo XVI e nel secolo XX" , ma questo non impediva

loro " d'augurare che anche la Germania, come l'Italia" potesse vedere " presto la 'conciliazione' della Chiesa con lo Stato" ; 33e la superiorità del fascismo consisteva anche in questo: " Quando il

fascismo si richiama alla grandezza romana e afferma di voler a questa ispirarsi, si richiama alla grande civiltà italiana; Hitler salta invece duemila anni di storia e rinnega la vera culla germanica" .

L'hitlerismo era " dunque negato ad una graduale evoluzione" ; 34il fascismo invece, " chiaro e latinamente misurato" , 35non era come l'hitlerismo " torbido, con una disciplina puramente esterna" -,

bensí destinato a durare, a differenza di altre dottrine politiche del tempo (hitlerismo, appunto, e bolscevismo in primis). Imitando l'Italia, perfino quella Germania verso la quale si nutriva tanta

preoccupazione poteva rimettersi sulla giusta via36.


La nazione italiana stava dunque fornendo un esempio che Mussolini, con la sua sagacia tattica, aveva esposto in un famoso articolo su " Le Figaro" di Parigi riportato dall'" Osservatore romano" e, il

20 dicembre '34, anche dall'" Italia" , che lo definí " magistrale" . 37In esso, il duce affermava che ogni qualvolta lo Stato entra in conflitto con la religione, è sempre il primo a rimetterci perché

combatte contro l'inafferrabile, l'intangibile; Stato e Chiesa dovevano camminare assieme, e i Patti del '29 avevano inteso garantire la libertà religiosa e la sovranità della Chiesa cattolica nel campo

specifico della sua attività. Il giornale sottolineava come, per Mussolini, " nessun governo è piú totalitario, piú autoritario dello Stato Fascista. Nessuno è piú geloso della sua onnipotenza e del suo

prestigio, ma appunto per queste ragioni, il fascismo evita di immischiarsi in questioni che si trovano fuori della sua giurisdizione. Tutti gli Stati che non hanno saputo comprendere questa grande verità si

sono visti costretti, presto o tardi, a riconoscere il loro errore [] Chiunque rompe o turba l'unione religiosa di un Paese, commette anche delitto di lesa Nazione" . Dietro a queste ed altre " magistrali"

idee del duce non è molto difficile leggere l'opportunismo, la tattica, la strumentalità del proprio avvicinamento alla Chiesa. Difficile dire sempre se, da chi e in che misura questo aspetto venisse

compreso, ma sicuramente ogni riserva poteva essere coperta senza grandi difficoltà da quelle garanzie che il regime diceva di offrire (e in parte senz'altro offriva) alla Chiesa; e, d'altronde, come dar

tanto peso ai dubbi, nel momento in cui la figura di Mussolini si ergeva agli occhi del mondo cattolico come quella di colui che - come dicevano I Cinque38 39- aveva evitato all'Italia di finire in un

baratro simile a quello spagnolo? A quel punto Franco, in Spagna, per salvare quella civiltà minacciata dalla barbarie rossa, si doveva necessariamente appoggiare su quel che vi era di piú forte nel suo

paese: " il sentimento cattolico" . Mussolini, invece, questo lo aveva fatto preventivamente con la Conciliazione, e la sua scelta, da qualunque ottica si volesse vedere, non poteva che venir considerata

un " programma di sapienza politica che ormai fa testo [] Perché, - ha aggiunto il Capo - 'è lo spirito che doma e piega la materia'" , e " il Fascismo, nel suo slancio vitale e nel suo anelito verso

l'eterno" , ha " proprio voluto appoggiarsi a quell'istituto che, solo, ha la promessa infallibile della perennità" . 39


Stiamo facendo riferimento ad anni e contesti diversi, che trovano però un comune denominatore di fondo proprio in questi concetti continuamente riproposti. È lo spirito che domina la materia, è la

volontà di affermazione, di primato, di autorità assoluta che le due entità - ognuna a modo suo - condividevano per piegare il mondo ai propri intenti, ma anche, inevitabilmente, per cercare di piegarsi

l'un l'altro. " Dal cuore di Pio XI e dal genio di Mussolini - disse il senatore Cavazzoni proponendo nell'ottobre del '38 all'Unione milanese, di fronte all'arcivescovo di Milano, di sottoscrivere l'erezione

di un tempio da dedicare alla Vergine Regina Pacis - il mondo ha visto balzare la realtà invocata ed auspicata con tanta ansia e con tanto amore dai popoli tutti. Un nuovo ciclo storico nasce, nel

tramonto dei precedenti, e prende vita e nome da Roma, dove si adunano le potestà alle quali si inchinano gli uomini forti e buoni: la carità del Papa e la potenza imperiale della Patria rinnovata" . 40Le

tensioni causate dalla alleanza con la Germania e dalla legislazione antiebraica che ne derivava non impedivano di certo all'" Italia" di riportare con visibile compiacimento queste parole, e di sperarci

ancora.


Il 10 febbraio del '39, pur tenendo presente che ci troviamo in un clima di stampa controllata, possiamo registrare due articoli esemplificativi che vanno apertamente al di là di un semplice consenso di

facciata. A p. 2, in La Conciliazione e le forze armate, si esaltava il " ringagliardimento del sentimento religioso" nelle forze armate italiane, uno " fra i molteplici benefici apportati dai trattati dell'11

febbraio 1929" , avvenuto grazie al ritorno dei cappellani nei reggimenti. Si ricordavano inoltre " gli effetti tangibili della benefica assistenza spirituale" palesatisi durante la vittoriosa guerra d'Africa, frutto

della " potenza del connubio fra Religione e Patria" e portatrice di un'espansione del " segno di Cristo fra genti vittime di una eresia sulla quale era necessario aprire loro gli occhi" .


A p. 3, in Una profezia di oltre 5 secoli fa sul Concordato e sul Papa, si riassumevano varie esperienze mistiche di S. Brigida di Svezia (1302-1373), soffermandosi poi su una visione nella quale

Dio le avrebbe rivelato l'era di " rinnovato zelo e fervore" in cui " la Sacra Città Vaticana [] avrebbe rappresentato nei consigli di Dio il premio che sarebbe stato finalmente concesso ad un futuro

Pontefice, il quale avrebbe voluto seguire in tutto il Divino Consiglio, e nel quale il Signore si sarebbe compiaciuto" , e si annotava infine: " Alla distanza di dieci anni dall'11 febbraio 1929, quando ebbe

compimento l'evento vaticinato già cinque secoli prima sino ai particolari della Città vaticana, era opportuno ricordare quest'importantissimo documento di Storia Ecclesiastica. Esso irradia d'una

speciale luce la figura di Pio XI a cagione della lode che Dio stesso pronuncia in favore del Pontefice della Conciliazione" .


La nuova cristianità: " ideale storico e concreto" . Dipinto il presente come un'età di disgregazione frutto della rivolta contro l'ordine e l'armonia della Roma cattolica, e riaffermato il ruolo

insostituibile di quest'ultima, non si poteva che passare dalla nostalgia di un passato ideale a una volontà di riproposizione, nei modi ritenuti attuabili, di esso. Il movimento era quindi innanzitutto

all'indietro: meglio se tutto fosse rimasto sempre uguale, perché non vi era niente di piú grande di quanto era stato attuato nel Medioevo in virtú dell'opera di civiltà della Chiesa41; né si poteva sperare di

compiere qualcosa di tanto grande esautorando la Chiesa stessa dai poteri che le spettavano su tutta la società. Questa convinzione veniva ottimamente espressa, ad esempio (nella particolare

circostanza di un discorso di Pio XI a sacerdoti che si dedicavano all'assistenza spirituale e caritativa nel campo sociale), dal sottotitolo dell'articolo Cosa ha fatto e fa la Chiesa per gli operai 42:


La Chiesa ha scritto nei secoli un poema di carità che nessun altro può o potrà mai imitare - La Chiesa ha fatto tutto quanto era in suo potere e del suo lavoro è rimasto ciò che non si è

distrutto - Non bisogna dimenticare che se il mondo va male è perché si combatte la Chiesa e che nulla si può edificare senza il rispetto della sua legge.


Sono frasi di sintesi, chiarezza e spessore notevoli. La visione del passato era totalmente giustificatoria di fronte a chi accusava la Chiesa di essere rimasta indietro rispetto ai tempi; nulla di ciò che essa

poteva fare non aveva fatto, e ciò che aveva fatto era talmente fulgido da poter essere definito un " poema" , un'opera d'arte che nessuno, volendo agire indipendentemente da essa, avrebbe mai potuto

eguagliare né imitare. Il mondo cadeva in pezzi perché aveva voluto contrastare l'unica forza vera ed efficace che agisce in esso - la Chiesa, appunto - e quel poco di buono che al presente si poteva

ancora trovare altro non era che il residuo di ciò che il cattolicesimo aveva precedentemente prodotto. Il rimpianto di un passato in cui la Chiesa aveva potuto instaurare un ben altro tipo di rapporti con

la società e con gli altri poteri era sempre evidentissimo; possiamo rilevarlo in alcuni spunti, tanto piú significativi quanto piú emergenti in discorsi che trattano principalmente d'altro e nei piú vari contesti,

manifestando la presenza di un punto di riferimento pressoché scontato, un'idea di fondo fortemente caratterizzante della mentalità di chi scrive. Ad esempio I Cinque, dopo avere amaramente registrato

che numerose personalità politiche della Germania avevano dovuto lasciare la patria per evitare le persecuzioni anticattoliche, e non avevano poi trovato all'estero tutto quell'appoggio, quell'aiuto, quella

solidarietà che ci si poteva attendere, commentavano43:


E sí che si tratta bene spesso di animosi edificatori della civiltà cristiana in terra germanica! Finché il mondo era cristiano, a questi eccessi di incomprensione psicologica, economica e

morale non si arrivava: o ci si arrivava solo eccezionalmente.


C'era dunque un tempo, secondo I Cinque, caratterizzato da un " mondo cristiano" in cui non si potevano verificare simili " carenze di carità" , non si poteva giungere a tali " eccessi" . In un'altra

occasioneessi 44 si scagliavano contro il " famoso mito democratico del progresso" , rimarcando come i suoi fautori avessero fallito per aver voluto tacciare di " oscurantismo" ogni cosa del passato,

per averne cioè in molti casi interpretate le vicende come " segni inconfutabili di barbarie tenebrosa" .


Cosa non si è detto per esempio delle fazioni medioevali, e quanto si è calunniato la Chiesa a proposito delle zuffe cittadinesche che, al lume degli avvenimenti odierni, sembrano burle da

buontemponi! [] Oggi si tratterebbe di civiltà laica, democratica, libera e progressista. Progressista evidentemente è: nei congegni delle autoblinde russe, ossia nei mezzi che sterminano

l'uomo, ne accrescono la ferocia e spianano la strada alla vecchia Morte.


Il concetto è sempre lo stesso: nel Medioevo, in un mondo cristiano, sotto l'influsso diretto della Chiesa, c'erano stati momenti di mancanza di carità, ma mai in modo eccessivo; c'erano stati conflitti, ma

si era trattato - se confrontati con quelli contemporanei - di zuffe da burloni. Pur di segnalare e accentuare il piú possibile la differenza fra i due periodi storici si proponeva, in pratica, un criterio secondo

il quale in epoca medievale, in una società egemonizzata dal cattolicesimo, le guerre, le ingiustizie e i conflitti in genere erano meno gravi, perché meno estesi e meno profondi, e trovavano sempre il loro

equilibrio e la loro giusta soluzione nell'ambito della Chiesa. Troviamo infatti confrontate, in questo articolo, le vicende dei guelfi e dei ghibellini con la guerra spagnola, come se un minor numero di morti,

o la mancanza di un coinvolgimento a livello internazionale, o una piú ristretta potenzialità di conseguenze negative per il mondo potessero far ritenere delle lotte, degli omicidi e degli stermini piú

accettabili di altri (si obliteravano fra l'altro, evidentemente, conflitti e stragi del Medioevo che ben poco hanno da invidiare a quelli del nostro secolo). Ma ciò che a livello piú profondo si voleva

sottolineare era, chiaramente, la diversità di impianto fra le due epoche; la prima, che ovviamente veniva per questo altamente apprezzata, era contraddistinta da una amplissima regolamentazione di ogni

aspetto della vita, guerre comprese, da parte della Chiesa, mentre la seconda tendeva a sfuggire al suo controllo. Tutto mirava dunque ad esprimere e ad imprimere quell'ideale di ri-cattolicizzazione che,

sempre con riguardo ai Cinque, trovava la sua esposizione forse piú piena nell'articolo Idea dell'uomo 45, in cui, dopo il rilievo che la civiltà capitalistica stava " tramontando" , si scriveva:


L'idea dell'uomo che sta morendo è quella dell'Umanesimo rinascimentale e antropocentrico, che durava da cinque secoli e finisce ora di decomporsi sotto l'analisi freudiana e l'atroce

chirurgia marxista. Il Medioevo fu un'era di unità e di comunione, - nella stessa fede vivente, - della persona umana con le altre persone reali e concrete, con Dio che tutti amavano e

servivano, con l'intera creazione. L'Umanesimo spezzò i legami e distrusse l'unità [] Il concetto di causa primaria che la raggiante fede del Medioevo aveva posto in Dio, fu tolto di lassú e

posto nell'uomo. L'uomo divenne il centro dell'universo, arbitro e signore del destino e degli eventi, della legge e della necessità. Aveva i secoli davanti a sé. Costrusse la sua " città" : la

città profana staccata progressivamente dall'Incarnazione.


La descrizione del passato toccava ancora l'idealizzazione poetica: unità e comunione in una stessa fede viva, rapporti ideali fra gli uomini e di questi con Dio, in un comune culto collettivo che

armonizzava l'umanità con la stessa creazione Era dunque tempo, di fronte al " futuro pauroso" che il comunismo e il neopaganesimo già sognavano " come tempo di conquista totalitaria" , di proporre

" l'ideale di una nuova Cristianità, ideale storico e concreto" , 46anche se poteva sembrare un " miracolo" al momento ancora " impossibile" 47 e che veniva fatto rientrare in quel complesso di

aspirazioni all'unità del mondo che in vari modi - ovviamente ritenuti sbagliati - molti proponevano; ma la speranza consisteva solo nel ricollegarsi all'" unità prodotto della cattolicità" . 48Non bastava

infatti il " fattore negativo" - come lo definivano sempre I Cinque49 - di una comune difesa dalla " nuova barbarie divallante dall'Oriente" (il comunismo), ma occorreva " completarlo con un elemento

ideale positivo" costituito da una teologia comune, unica.


Repetita iuvant Tutta la nostra crisi, iniziata con la Riforma, è essenzialmente teologica: è cominciata con mutilazioni e deformazioni della verità cristiana ed è giunta al suo apice di asprezza

come una negazione completa e un rigetto satanico delle verità cristiane. Le Nazioni civili ritroveranno la loro primordiale unità, condizione di vita pacifica, se ricostruiranno la cristianità. Si

potrebbe dire che tutti i crolli e i lutti e il sangue degli ultimi quattro secoli siano stati permessi per farci riscoprire questa elementare verità.


Un pezzo estremamente indicativo del modo di porsi che stiamo qui cercando di delineare è quello che Cesco Vian scriveva nell'aprile del '3950. Egli si lamentava del fatto che, nonostante gli sforzi di

generazioni di eruditi dal Muratori in poi, e nonostante che il XX secolo, dopo " le fantasie dei romantici e le pedanterie dei positivisti, idolatri del documento" , fosse " tutto un cantiere di ricostruzione

storica" , tuttavia si poteva dire che buona parte della storia italiana restava ancora da scrivere; un esempio di ciò erano le Crociate, delle quali si erano occupati molti stranieri, specialmente francesi, che

però - sempre secondo l'autore - facevano la storia come gli pareva, con " inestinguibili pregiudizi nazionalistici" . Bisognava dunque scrivere " la storia italiana delle Crociate, senza trascurare affatto

quello che a queste mirabili imprese hanno dato gli stranieri [] ma dando il rilievo che merita alla partecipazione dei combattenti e dei navigatori italiani (oltre a quella indiretta, ma non meno preziosa,

dei banchieri)" . Ancora, il Vian affermava che i francesi avevano scritto molte " fanfaronate" (ad esempio sostenendo che le crociate furono i " Gesta Dei per Francos" ), e che nel reagire contro

queste affermazioni non bisognava " cadere nello stesso peccato di sciovinismo rimproverato agli altri, ma difendere la verità che è, o dovrebbe essere, l'unico scopo di ogni indagine scientifica" ; la

conclusione dell'articolo, però, palesava quale forza potesse avere l'idea, radicata nell'intimo, di un rimpianto passato reputato eroico e giusto, che faceva guardare con nostalgia alle " mirabili imprese"

di combattenti, navigatori, banchieri sotto la guida dei papi e che, proponendosi di non cadere nell'angusto nazionalismo di altri, mascherava di " scientificità" il proprio: " Quando sarà compiuto questo

lavoro [la storia italiana delle Crociate], di evidente utilità nazionale, si vedrà sicuramente che la vecchia formula potrà essere modificata, e parlare - non per sciocca vanteria, ma per reale e riconoscibile

verità - di 'Gesta Dei per Italicos'" . Con tutta chiarezza, però, l'" evidente utilità nazionale" non consisteva tanto nel progresso della ricerca storica in sé, quanto piuttosto in una indagine chiaramente

funzionale, a supporto di un " ideale storico e concreto" che, nel momento in cui si scriveva, aveva già trovato modo di manifestarsi in tutta la sua forza in frangenti come la conquista dell'Impero e la "

crociata" spagnola.


Un paio di mesi dopo (4 giugno 1939, p. 1) un pezzo non firmato, dal titolo Nel solco della tradizione, partiva da una recente allocuzione di Pio XII ai membri del Sacro Collegio e si soffermava su "

un dato normale dell'attività nella Chiesa Cattolica: l'intenso lavoro che essa svolge a favore della pace" , cosa che rientrava " perfettamente nella tradizione e nella consuetudine della Chiesa" , forte

quest'ultima del suo " spirito di carità, di giustizia, di sapienza cristiana intesa a tutelare il diritto quale esso sia, onde stabilire quelle solide basi di civiltà che sole consentono i liberi sviluppi del progresso

civile" . Nella complessa ed esplosiva situazione europea, lo sguardo si rivolgeva dunque ancora una volta all'indietro, con una retrospettiva che era anche una proposta attuale, in quanto " le pagine piú

belle della storia del mondo furono scritte quando, sotto la potente influenza della Chiesa di Roma, i popoli occidentali formavano una grande comunità morale e sociale, cosciente della sua unità" .


Ciò fu nel Medio Evo. L'unità delle credenze religiose e della cultura sia sacra che profana, la stretta e mutua compenetrazione della gerarchia religiosa con quella secolare, avevano fatto sí

che - sotto l'azione diretta dei princípi del Cristianesimo - il diritto delle genti entrasse in una fase che rimase memorabile [] Giustamente notava Pio XI nella sua Ubi arcano Dei, che

nessuna istituzione umana, all'infuori della Chiesa Cattolica, ha la capacità d'imporre alle Nazioni un codice di legislazione comune: ciò che si verificò nel Medio Evo, mediante quella vera

Società delle Nazioni che fu la comunità dei popoli cristiani. Sono note, del resto, tutte le istituzioni fiorite nello spirito della Chiesa Cattolica e tendenti a mantenere la pace fra i popoli, ad

umanizzare la guerra o a limitarne le deprecabili conseguenze [] I tempi moderni sentono la nostalgia di quella unità umana [].


Cosí, se ci si voleva ricordare che " come ieri, come nel Medio Evo glorioso, la piú alta autorità morale rimane pur sempre quella del Sommo Pontefice" , poteva essere superata la difficile crisi che

impediva al mondo di " elaborare una organizzazione giuridica internazionale" la quale potesse garantire, " col bene comune, la pace universale" . Le " pagine piú belle della storia del mondo" , dunque,

potevano ancora essere eguagliate riconsegnando alla Chiesa di Roma quell'autorità e quel ruolo che avevano garantito per secoli - nella visuale idealizzata dello scrittore - pace o quanto meno conflitti "

umanizzati" dalla regolazione sapiente dei papi. L'idea di poter prevenire e/o risolvere i conflitti con istituti umani quali la Società delle Nazioni era vista come illusoria perché posta al di fuori di quella

riproposta tradizione memorabile e infallibile della quale i tempi moderni " sentivano la nostalgia" .


Il mito di Roma 51. Igino Giordani, recensendo il libro di Romolo Murri L'idea universale di Roma 52(presentato come una " storia della romanità universalistica dalla Repubblica dell'Urbe al

Fascismo italiano" ) e stigmatizzandone alcune posizioni (evidentemente troppo simili - possiamo notare - a quelle di Orano e a quelle che Mussolini espose nel famoso discorso alla Camera del 13

maggio '29), 53ci introduce sempre meglio nella concezione ideale della Roma cattolica, centro di irradiazione di una nuova/antica civiltà. Riguardo al Murri - dopo avergli rimproverato di voler troppo

arditamente conciliare l'ammirazione per il cattolicesimo con pregiudizi anticlericali, il soggettivismo con l'oggettivismo e il Medioevo con il modernismo -, scriveva: " Dio volesse che egli partendo dai

riconoscimenti dell'azione benefica della Chiesa, arrivi presto a leggere (o rileggere) la cattolicità con occhi puramente romani e la romanità con occhi puramente cattolici, sino a vedere che le due stanno

come il centro (Roma) alla sfera (Chiesa)" . Se il Giordani (il quale, ricordiamolo, era un antifascista ed aveva anche collaborato con Gobetti) poneva in qualche modo dei limiti, dei distinguo a un modo

di intendere la " romanità" , ben piú frequenti erano nell'" Italia" gli appiattimenti, gli abbinamenti totali fra la Roma civile e quella religiosa. Ad esempio, al termine di un excursus sulla " formazione

storica del laicismo" , dopo aver passato in rapida rassegna Umanesimo, protestantesimo, Controriforma, pensiero moderno e Illuminismo, il prof. Umberto A. Padovano, dell'Università cattolica del

Sacro Cuore, concludeva l'articolo col paragrafo " La missione di Roma" , scrivendo54:


Questo laicismo, questa separazione ufficiale da Dio e da Cristo, che nonostante i suoi amari frutti dura tuttora, e sembra anzi in alcuni luoghi accentuarsi, per l'Italia è finita. In virtú

sopratutto di quei Patti lateranensi, che la Santità di Pio XI, Romano Pontefice, e il genio politico di Benito Mussolini, Duce d'Italia, hanno voluto, per l'Italia e per la Chiesa. Fatto dunque

di un'importanza nazionale immensa, ma destinato pure ad avere una fecondità universale [] Poiché Roma è stato il centro dell'Impero antico e quindi dell'Impero cristiano; perché è il

focolare di valori universali, civili e religiosi: potrà essere nuovamente l'anima di una civiltà cristiana, forte e pacifica [] L'ideale che ci si presenta dinnanzi è immenso, nazionale e

universale, civile e religioso; spetta a noi Italiani, a noi Cattolici di agire fortemente per esso fino al sacrificio, perché senza sacrificio nulla di grande si compie quaggiú, né per la Chiesa, né

per la Patria, né per la religione, né per la civiltà.


Non è difficile trovare degli editoriali dei Cinque con titoli del tipo Romanità(7 settembre '35) o Romanamente(4 ottobre '35); ma il loro pezzo in cui viene forse piú sinteticamente espressa l'idea è La

giusta via(2 novembre '35). Sottolineato il contrasto fra un popolo italiano che camminava unanime, totalmente compatto dietro al re e al duce, e la " malapace di Versailles" che stava portando alle

sanzioni economiche contro l'Italia e della quale avrebbe fatto " giustizia la storia" , si affermava che " in un'Europa disorientata, in un mondo oscillante sull'asse dell'equilibrio" , l'Italia aveva " la sua

parola da dire" e un suo " dovere di civiltà da compiere" .


Roma ha tracciato le sue strade proconsolari, veicoli ideali di un nuovo progresso tra i popoli ancora immersi nell'oscurità della barbarie; da Roma - sede del diritto e della civiltà cristiana -

è sempre partita nel mondo, nelle ore piú decisive, la consegna della ripresa, del rinnovamento e dell'ascesa. A questa missione storica, Roma intende rivendicarsi oggi [] La difesa della

civiltà e del diritto, in conseguenza, merita una valutazione superiore e una obbiettività elevata; in questa prospettiva si comprenderanno con facilità le legittime rivendicazioni dell'Italia, le

quali coincidono con quelle stesse della ragione umana e storica. Questa la via della pace. Le altre la disservono e ne ritardano il consolidamento.


Queste citazioni appartengono al periodo di maggiore intesa fra la Chiesa e il fascismo, periodo in cui " Roma" era dunque il punto d'incontro - ideale e concreto allo stesso tempo - fra il temporale e lo

spirituale, per una missione che doveva perpetuarsi nel tempo al fine di evitare la distruzione di un'intera civiltà. In netto contrasto con quanti sostenevano una separazione fra Chiesa e Stato, la

Conciliazione aveva ancora una volta mostrato come l'armonia fra le due istituzioni fosse " arra sicura di effettivo progresso per la Nazione e di civilizzazione spirituale nel mondo" .55


Lo Stato cristiano. Lo Stato ideale doveva avere requisiti di saldezza, ordine, autoritarismo, massima centralizzazione. La critica aspra al parlamentarismo e alle democrazie - viste come fattore

disgregante, laicizzante ed eccessivamente liberalizzatore - ci introduce in questo aspetto della complessiva visuale cattolica e dell'" Italia" , aspetto che è perfettamente in linea con quanto affermava

Mussolini (le frasi del duce vengono riportate sull'edizione del 19 gennaio '37 a p. 1): " Le democrazie hanno fatto fallimento. Esse non sono - se ne rendano conto o no - che focolai di infezione, cellule

di bacilli e foriere del bolscevismo" ; agli occhi dei Cinque, ad esempio, le libertà democratiche moderne erano indelebilmente marchiate col sangue della rivoluzione francese56.


La democrazia, per sua fatale legge, porta all'abbassamento della persona umana; un regime egualitario vi porta per proposito e tendenza di programma. Esso favorisce la mediocrità e

l'inferiorità, e non si contenta di capovolgere la gerarchia dei meriti, ma la sostituisce con un'altra col vertice verso il basso. All'origine di un regime d'eguaglianza, vi sono dei diritti stabiliti;

all'origine di un regime egualitario, vi sono delle teste mozze.


La democrazia di tipo anglo-francese non era dunque in grado di portare ad alcuna reale uguaglianza, ma solo ad un ingannevole egualitarismo che sovvertiva le gerarchie naturali, metteva sullo stesso

piano realtà diverse, abbassava e poi appiattiva la persona, si traduceva in violenza57. Prendendo spunto da un colpo di Stato totalitario compiuto in Brasile (indicato come " necessario per mettere un

po' di ordine nel disordine dei partiti, da cui era irretita la vita nazionale" ) e facendo riferimento alle politiche inglese, francese e statunitense (che sembravano preannunciare " una sorta di totalitarismo" ,

ossia interventi e controlli sempre piú " vasti e gravi" sulla vita economica dei rispettivi paesi), I Cinque rilevavano che " il capitalismo sfrenato porta inevitabilmente a una crisi sociale, da cui non si esce

che in due modi: o col controllo dello Stato sul capitale o col dominio del capitale sullo Stato" , e ne deducevano che " i due fronti antagonisti - di Stati democratici e Stati totalitari - sono costituiti da

due nomenclature apparentemente opposte, ma in realtà convergenti" :58


Vuol dire che, sotto due nomi, si stanno compiendo identici processi storici. E allora, se si avesse il coraggio, anche tra le sedicenti democrazie, di chiamare le cose col loro nome, un'altra

ragione di contrasto cesserebbe: e il contrasto, se c'è, si ridurrebbe ai suoi giusti limiti, e apparirebbe nella sua vera realtà. Ciò che semplificherebbe la soluzione.


Mentre quelle democrazie si mascheravano, dunque, i regimi totalitari avevano il coraggio di chiamare le cose col loro vero nome, senza infingimenti demagogici e mirando a uguaglianze sostanziali, che

tenevano conto delle diverse facce della realtà e della società. Qual era dunque lo Stato che poteva a buon diritto vantare l'attributo di " democratico" ? In pieno funzionamento dell'asse Roma-Berlino,

facciamoci ancora illuminare dai Cinque59.


Mussolini, Hitler, Salazar, Vargas hanno l'ambizione di fare dei loro Paesi altrettante autentiche democrazie. Di rincontro certa retorica da comizio seguita a proclamare che le vere e sole

democrazie sono i Paesi dirimpetto, ai quali soli competerebbe l'onore di rappresentare gli interessi dei popoli [] Ora, vera democrazia è quella della Spagna nazionale [] In Spagna si

difende, contro i rossi, la causa della vera democrazia.


Lo " Stato cristiano" (che in quanto accentrato, totalitario e cattolico propugnava il vero interesse collettivo, il bene popolare, e doveva essere quindi considerato genuinamente democratico) era in

grado di fornire quelle garanzie che i sistemi democratici parlamentari non potevano dare. In un articolo del 2 maggio '34, sottotitolato appunto Lo Stato cristiano, si riportavano le principali

affermazioni del cancelliere Dollfuss in occasione della festa della Costituzione in Austria. Riferito il suo compiacimento per il concordato con la Chiesa appena entrato in vigore, altre dichiarazioni

venivano sunteggiate dall'anonimo articolista.


La nuova costituzione è ispirata alla concezione cristiana [] La nuova costituzione offre alla corporazione la piú ampia autonomia. La nuova Austria avrà una direzione autoritaria; uomini

esperti della vita pubblica ed economica dirigeranno coscienziosi e risoluti le sorti del paese. Soltanto il Governo avrà l'iniziativa di emanare leggi ed in tempi eccezionali verranno affidati al

Presidente federale poteri eccezionali.


Accordi con la Chiesa cattolica, corporativismo, autorità risoluta, accentramento di poteri: queste le caratteristiche adatte per portare a " tempi migliori nella vita sociale dell'Austria" . Idee simili erano

già state espresse in un articolo dell'anno precedente60, commentando l'avvenuto concordato col Terzo Reich (concordato in cui si riponeva allora una grande speranza).


Quel che di buono vi è nell'idea democratica, quel che di benefico si può trovare nello stesso programma socialista, le riforme sociali, la proprietà, il progresso della vita collettiva, non

possono essere salvati che dalla formazione di salde unità nazionali su cui domini una autorità capace di avvincere alla collaborazione, pel bene comune, tutte le classi sociali, tutte le forze

produttive, tutte le energie del lavoro e del pensiero. Lo Stato democratico parlamentare sta cedendo il posto a quello unitario corporativo. Noi cattolici che al bonum commune abbiamo

cercato, in tempi e tra esigenze diverse dalle attuali, e reagendo anche allora su un passato denso di errori, di piegare le istituzioni democratiche, non possiamo essere sordi alle voci che

ogni dove si levano oggi per invocare un'autorità che ponga fine alle troppo lunghe incertezze e assicurare alla civiltà le sue conquiste. La Chiesa ci è ancora una volta maestra []

Attraverso i vari concordati, che costituiscono la caratteristica e il successo dell'attuale politica vaticana, tra i quali quello testè concluso col Reich germanico è di importanza somma, è facile

riconoscere la nuova direttiva su cui si orientano i popoli civili specialmente in Europa.


È vero che tale politica, come annotava ancora l'articolista alludendo con ogni probabilità allo scioglimento del Centro61, implicava " la decadenza e il ripudio di metodi cari a precedenti generazioni e il

superamento di posizioni politiche talvolta faticosamente conquistate" , ma " la Chiesa non esita a chiedere [] anche i piú generosi sacrifici in omaggio a finalità superiori. E tra queste finalità non è solo

la libertà religiosa ma anche la pace e la prosperità dei popoli. A tali sacrifici, e a battere vie nuove i cattolici non oppongono resistenza" . Fu dunque considerato inevitabile, dopo i vani tentativi di "

piegare" le democrazie all'indirizzo della Chiesa - cioè dopo non essere riusciti a realizzare all'interno di quei sistemi politici una propria egemonia - allearsi con quelle realtà statali unitarie, corporative e

totalitarie che sole potevano garantire alla religione cattolica la riconquista di una posizione di primazia, sebbene al momento ancora imperfetta. Solo il principio di autorità poteva, in questa visuale,

riportare la " normalità" , concependo quest'ultima come un tipo di civiltà ove la Chiesa cattolica avesse una sorta di monopolio - garantito dall'autorità stessa - sulla formazione dello spirito della

nazione; a queste condizioni, l'appoggio alla patria sarebbe stato totale, senza riserve, per collaborare ad una nuova opera di civilizzazione.


Certo è che la parola autorità è quella che oggi riassume tutti i programmi di rigenerazione sociale [] Ricordiamo però: il successo definitivo, cioè le sorti della civiltà e la salvezza

dell'ordine sociale sono legate alla restaurazione generale e profonda dello spirito cristiano. Ed è questo l'apporto che al faticoso ed auspicato ritorno della normalità in questo sconvolto

consorzio umano sono chiamati a dare i cattolici di tutti i paesi, sia colla loro azione individuale, sia con quella collettiva che va sotto il nome di Azione Cattolica, sia ancora colla loro

collaborazione nel campo civile alla grandezza e alla prosperità della Patria.


Dio e patria. Era infatti grazie ad una " concezione cristiana della Patria" , secondo padre Brucculeri62, che il pensiero cattolico si teneva " ben lontano" dalle " paradossali bizzarie [le " famigerate"

idee di Mazzini] di un cosmopolitismo miope" ; da S. Tommaso a Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, tutta la concezione cattolica era basata su un'idea di amor patrio fonte di tanti eroismi se

regolato dalla legge della Chiesa. In tal modo, nel clima infuocato delle sanzioni, di fronte all'ardore per la conquista dell'Impero, il Brucculeri non solo ricordava la dottrina del magistero, ma adoperava

anche diverse citazioni dal Vecchio e dal Nuovo Testamento ed episodi della Chiesa primitiva (con forzature evidenti, fra l'altro) per dimostrare la legittimità del versare il sangue proprio o altrui in nome

del particolarismo della patria, particolarismo che mai doveva essere considerato contrastante con l'universalismo della Chiesa63. In quest'ottica - sempre secondo il Brucculeri - l'individuo offriva se

stesso alla patria per il bene collettivo, con una etica religiosa che " per l'autorità e l'amore di Dio prescrive di amare il prossimo come se stessi" .


Il lungo articolo si sforzava dunque di dimostrare in tutti i modi non solo la legittimità ma la necessità, da un punto di vista cattolico, di un appoggio incondizionato alla nazione nell'ora della guerra e della

conquista; e la dimostrazione doveva andare a beneficio di chi scorgeva " delle antinomie irriducibili fra l'universalismo della Chiesa e il particolarismo della Patria" ; l'autore si augurava un ritorno pieno a

quella azione forgiatrice della coscienza pubblica da parte del cattolicesimo, " in guisa da raggiungersi quella vera società delle Nazioni o famiglia dei popoli, che è stata auspicata e promossa dai Romani

Pontefici" . Possiamo notare che, evidentemente, qualcuno aveva prospettato la suddetta antinomia, e ciò probabilmente anche all'interno del giornale, visto che si sentí la necessità di pubblicare sullo

stesso l'intero articolo di Brucculeri che già doveva comparire il giorno seguente sulla " Civiltà cattolica" . Ma questo non fa che confermare che, al di là delle problematiche e delle discussioni

sotterranee, una grande compattezza esteriore reggeva sempre, in questo come su ogni altro tema di fondo; ovviamente, è a questa solida impalcatura ufficiale e pubblica che dobbiamo far riferimento

in una ricerca come la presente (lo stesso tipo di considerazione possiamo fare per altri articoli).


Dunque, seppur in un periodo di tensione nei rapporti fra la Chiesa e il regime64, l'appoggio alle iniziative imperiali, espansionistiche, o d'altro genere era totale, perché l'Italia era una " nazione cattolica"

, " restituita a Dio" , come Sante Maggi ricordava ancora nel '38 65 in occasione del discorso del duce a 60 arcivescovi e vescovi e 2.000 sacerdoti tenutosi a Palazzo Venezia. Dopo la questione

romana, che " era stata per il liberalismo e la loggia il comodo pretesto per il conseguimento delle loro mire anticattoliche" , al " settarismo demo-liberale" era " subentrata una atmosfera di cordiale,

feconda collaborazione fra le due podestà religiosa e civile" .


In simile convergenza di mete [] Mussolini ha accennato nel suo discorso ai frutti della Conciliazione. Ha ricordato l'efficace collaborazione offerta da tutto il clero durante il conflitto

italo-abissino e durante la resistenza del Paese al sanzionismo ginevrino e ha ricordato " con particolare simpatia l'esempio di patriottismo e di italianità offerto dai vescovi" [] Pio XI è il

Papa della Conciliazione e questo nome sarà consegnato ai posteri come uno dei piú fausti nella storia della Chiesa e dell'Italia [] Nel mondo, nell'Europa le incertezze sono molte, le

incognite ancor forse piú numerose. La civiltà nelle sue basi è minacciata: questa civiltà nata dall'Evangelo, illuminata dalla luce della Chiesa e nutrita costantemente dai primi secoli dell'era

volgare col pane del suo insegnamento [] L'unità forgiata dalla Conciliazione è il piedistallo delle nostre glorie presenti e venture; è davvero un baluardo di difesa e un faro di irradiazione

dei principi di una civiltà che ben lungi dal suo tramonto, è all'alba di fasti piú fortunati.


Accostato all'articolo del Maggi compariva il dettagliato, lungo e trionfalistico resoconto dell'adunata di Palazzo Venezia dal quale mi sembra opportuno stralciare qualche brano.


L'Italia, nazione totalitariamente cattolica, dà oggi al mondo il magnifico esempio di una unità integra, assoluta, ricca di conseguenze quale non si poteva certo supporre in nessun momento

dei decenni che precedettero il Fascismo e che oggi ha riscontro soltanto, sebbene in modo imperfetto, in pochissimi piccoli Stati che hanno posto a fondamento del loro regime

l'insegnamento del cristianesimo, la dottrina della Chiesa. In Italia oggi, la tradizione cattolica, la quale ha superato secoli di storia in un collaudo glorioso e ricco di civiltà, informa l'anima

stessa del popolo, le sue tendenze, le sue piú nobili aspirazioni. Il lungo dissidio che solo il cuore del grande Pontefice Pio XI assecondato dalla ferrea volontà di Mussolini, ha potuto

risolvere, aveva affinato sempre piú, nel crogiuolo d'una sofferenza profonda, lo spirito di milioni e milioni di cattolici anelanti ad una pace atta a dimostrare quella pienezza d'intenti e di

opere, principio di una duratura grandezza, basata e costruita sull'insegnamento del Redentore, luce a tutti i popoli, conforto a tutte le esistenze.


Si descrivevano poi il corteo dei sacerdoti recanti la bandiera della patria e i vescovi con una grande corona d'alloro.


[vescovi e arcivescovi sono] imponenti nell'abito talare, ravvolti nel ferraiolo violaceo, con la grande croce pastorale sul petto che taluni, e sono i piú, hanno fregiato con le decorazioni di

guerra [] La teoria dei prelati della chiesa incede - maestosa macchia di colore che si inquadra perfettamente nella austerità romana dell'ambiente - e fa ingresso nella sala regia, immensa,

dai cui enormi lampadari si diffonde una calda luce dorata che si intona con quella del giorno che filtra attraverso il celeste pallido delle invetriate [] La sala regia si presenta, a chi guarda,

un complesso quadro in cui il passato si salda armonicamente col presente [] La massa, che massa compattissima è questa di sacerdoti convenuti da ogni parte d'Italia per vedere il Duce

ed a lui esprimere la piú schietta gratitudine e il piú fervido entusiasmo, appare animata, nell'attesa, da una sola fede, da un solo amore: Dio e Patria. E, a Dio, allo scoccare di mezzogiorno

s'innalza il pensiero dei convenuti, che sorti in piedi recitano l' Angelus Domini; e alla Patria ancora il pensiero s'innalza quando dopo pochi minuti essi prorompono in una entusiastica,

prolungata dimostrazione all'arrivo del Duce [] L'ovazione dei convenuti si innalza potente e anche dal petto degli ecclesiastici, le cui braccia si levano romanamente e prorompe

calorosissimo, schietto, vibrante il grido: " Duce! Duce! Duce!" .


Venivano riportati infine il discorso di Mussolini e, prima di questo, l'indirizzo d'omaggio al duce da parte di mons. Nogara, arcivescovo di Udine, che concludeva:


Ebbene, io vi posso assicurare che, quando si tratta della gloria di Dio, del bene del popolo, della grandezza della Patria, in una parola di ciò che è veramente buono ed utile, il Clero dà e

darà, la sua volonterosa collaborazione al Vostro Governo, perché Voi volete che l'Italia continui ad essere al mondo intero esempio e maestra di civiltà cristiana; volete che Roma sia sede

rispettata del Vicario di Cristo. Duce! Avete vinto tante battaglie, avete vinto anche la battaglia del grano. Vi assista il Signore, noi lo preghiamo, e Vi conceda di vincere tutte le battaglie,

che Voi sapientemente ed energicamente dirigete per la prosperità, la grandezza e la gloria dell'Italia cristiana, di questa Roma, dove è il centro del Cristianesimo, di questa Roma che è la

capitale d'Italia Imperiale66.


Queste citazioni riassumono molto efficacemente quanto visto finora, in un impianto che si fonda su di una battaglia ideologica e per una egemonia. L'Italia doveva essere considerata un faro, una luce

per tutti i popoli perché, grazie all'unione di due sistemi totalitari, era divenuta " totalitariamente cattolica" e quindi di nuovo " cristiana" in una convergenza di mete fra potere politico e religioso,

convergenza che preannunciava con tutta sicurezza la rinascita di una civiltà: quella nuova e duratura sperata da Mussolini67, accompagnata dalla prospettiva di una nuova civiltà cattolica che rimediasse

all'estrema minaccia del tempo presente e ponesse fine alle sofferenze lenite dalla Conciliazione. Ancora una volta, poi, la retorica si vestiva di poesia per descrivere un evento - e una situazione che

quell'evento simboleggiava - le cui caratteristiche apparivano, agli occhi di gran parte del mondo cattolico, frutto di meccaniche divine. Tutto ciò non poteva che far vincere ogni battaglia, di qualunque

genere essa fosse: religiosa, politica, espansionistica, economica, sociale. Non deve cosí sorprendere se, nei momenti piú aspri di un sanguinosissimo conflitto come quello che era in corso in Spagna, si

difendeva, esaltandola, l'opera di Franco dalle accuse - mossegli dalla stampa massonica mondiale - di essere un tiranno, un oppressore, un cattivo cattolico e " perfino un massone" ; 68l'articolista

(A.P.), dopo aver ripercorso brevemente la vita " esemplare" del generale, affermava: " Se fosse massone non lo si vedrebbe, adesso come prima e come sempre, adempiere i doveri di cristiano e di

cattolico fervente, né lo si sentirebbe parlare da cattolico, agire da cattolico, sacrificarsi da cattolico per la causa di Dio e della Patria" . Si ricordavano poi le dichiarazioni fatte tempo prima dal "

Generale cattolico" a Salamanca.


Ecco il nostro vanto: l'onore alla Patria, la onoratezza, l'amore al popolo, un sentire cattolico profondo, ed una fede cieca nel destino della Spagna. Nel campo religioso alla persecuzione

marxista e comunista noi opporremo i sentimenti di una Spagna cattolica, coi suoi Santi, i suoi Martiri, colla sua giustizia sociale e colla sua carità cristiana dei passati tempi.


È facile constatare come Franco sapesse toccare le corde piú sensibili del sentire cattolico, prospettando anche per la Spagna la possibilità di una società totalitariamente cattolica che, pur attraverso le

necessarie stragi del presente, recuperasse la " carità cristiana dei tempi passati" e, grazie alla Chiesa, potesse di nuovo vivere nella " giustizia sociale" . Ecco perché l'articolo terminava dicendo che " a

Dio piacendo, a suo tempo la verità brillerà della luce piú viva [] Intanto per noi, e per qualsiasi animo leale, di fronte a questo accanimento dei tristi, la figura e l'opera di Franco si nobilita e si

ingrandisce ogni giorno di piú" .


L'opera civilizzatrice di Roma. Abbiamo già accennato all'omelia - esemplificativa di tutta una serie di discorsi e di atti concreti, e quindi di un clima complessivo del mondo cattolico - tenuta il 28

ottobre del '35 dall'arcivescovo Schuster, il quale incitava a cooperare col massimo sforzo alla " cattolica missione di bene" , al " trionfo della croce di Cristo" che era in corso in Etiopia. A conquista

avvenuta e consolidata, " L'Italia" riportava un altro discorso pronunciato da Schuster nel duomo di Milano69, questa volta in occasione del XIV annuale della marcia su Roma; evento in cui, secondo il

cardinale, si doveva individuare " la mano della Provvidenza di Dio, che, mentre risparmiava alla sede del 'successor del maggior Piero' e all'Italia [] gli orrori delle settimane rosse, preparava da lungi

il concordato lateranense e disponeva gli animi alla redenzione dell'Etiopia dalla schiavitú e dall'eresia, nel rinnovamento cristiano dell'antico Impero romano" . Allontanato il pericolo rosso, risolta la

questione romana e data dunque la giusta base alla nazione, la Provvidenza aveva guidato l'Italia verso una missione di " redenzione" in Africa orientale, riconquistando alla fede cattolica romana un

popolo traviato da quell'eresia monofisita che era considerata il battistrada di tutte le " barbarie" - capeggiate dall'istituto della schiavitú - che affliggevano le popolazioni indigene. L'origine di tutti i mali

veniva come al solito individuata nel distacco dalla autorità romana, come lo stesso Schuster aveva affermato alcuni mesi prima indicendo il " Te Deum" di ringraziamento (su cui riferisce " L'Italia" del 7

maggio 1936) per la vittoria sugli etiopi, inquadrati, con un audace e anacronistico salto nell'Antico Testamento, come ancora soggetti alla maledizione di Cam ( Genesi 9,24-27) 70 fino al giorno della

liberazione cattolica.


La Chiesa Cattolica già da tanto tempo pregava, perché la paterna maledizione anticamente pronunciata contro Cam, si cangiasse finalmente in benedizione per i meriti infiniti del Sangue di

Gesú Cristo. Parecchi gruppi di Santi Martiri e schiere di zelanti Missionari hanno tanto sofferto per redimere l'Etiopia dalla schiavitú dell'Eresia monofisita - che è stata la prima e vera

origine di tutte le altre miserie morali che per oltre un millennio hanno oppresso quel povero popolo [] L'Italia, entrando in Addis Abeba, sa di essere [] all'inizio di una vera missione di

pace e di civiltà Romana.


Oltre ai numerosi articoli celebrativi71, inneggianti ai fasti dell'Impero e ai palpitanti comunicati di guerra, quotidianamente riportati con grande enfasi e costante fervore, vi erano scritti che si

soffermavano piú a lungo sulle premesse, sugli esiti e sui significati politici e religiosi dell'impresa. Luigi Mietta, in un lungo articolo alla fine del '3572, analizzava alcune delle " molte ragioni di vario

genere" che giustificavano " l'impresa italiana in Africa Orientale" e che facevano risaltare " piú iniquo il trattamento verso il nostro Paese da parte della cosiddetta 'Società delle Nazioni' e dei Paesi

sanzionisti" . La piú notevole motivazione era quella dell'eccedenza demografica, la quale, unita alla incapacità della nazione di assorbire tutti i propri cittadini, aveva causato emigrazioni in massa di cui

avevano beneficiato moltissimi paesi in tutto il mondo; infatti gli italiani - notava sempre il Mietta -, adattabili ad ogni clima e situazione, avevano portato le proprie braccia e il proprio ingegno dovunque,

facendo anche gli interessi di chi li aveva accolti. Altri popoli non sentivano invece la stessa necessità di espansione, sia per la scarsa natalità interna che per la vastità e ricchezza del territorio e per lo

sviluppo dell'industria; l'italiano, piú povero, aveva bisogno di " sbocchi coloniali adatti" ed era per natura " specialmente idoneo alla colonizzazione" . Ora - continuava l'autore - non era giusto mettere

a servizio di altri le proprie energie, mentre era giusto farlo a pro dell'ingrandimento dell'Italia, una nazione per la quale l'espansionismo era " connaturato" alla propria " costituzione fisica e morale" . La

reazione ginevrina veniva vista dunque come una forma di puro " legalismo" che tendeva a stroncare la " missione storica dell'Occidente" (rappresentato appunto dall'Italia), e ciò a causa degli "

interessi delle Nazioni soddisfatte, congiurate ai danni del progresso e della civiltà umana" .


Cosí l'Italia, per motivi economici, demografici, geografici e morali, aveva il diritto di colonizzare, di civilizzare; nessuno meglio degli italiani poteva farlo, perché italiano significava cattolico romano, e

Roma era sinonimo di civiltà la guerra d'Etiopia assumeva dunque un ruolo non solo contingente ma anche simbolico, rappresentativo, come dichiaravano senza indugi - alla fine del conflitto - I Cinque.


Lo si è detto a chiara voce: la marcia dell'Italia in Etiopia è la marcia della civiltà [] rinnovamento e rincivilimento nel nome e alla luce di Roma italiana e cattolica [] Quella dettata da

Ginevra è stata una sentenza che ha colpito piú che l'Italia - trionfatrice in Abissinia e vittoriosa contro l'assedio sanzionista - la missione civilizzatrice della stessa Europa [] L'Italia non si

smentisce né nella sua storia, né nella sua saggezza, né nel suo senso di equità. L'Europa il mondo lo riconoscano: in Etiopia l'Italia, sta scrivendo una nuova incancellabile pagina di

conquista sociale. La sua è una genuina lezione - stupenda ed eloquente - di civiltà cristiana e umana73.


Addis Abeba è italiana. L'Etiopia è italiana [] Il mondo - attonito e ammirato - registra e plaude: gli ostili di ieri, tacciano [] Il cappellano, il missionario - in prima linea e nelle terre

conquistate - crocesignato per le sue opere di pietà e di amore, ha prodigato ovunque il suo ministero consolatore, e animatore infaticabile al sacrificio, ha riconsacrato, anche col sangue, le

terre d'Abissinia, ora aperte al pacifico passaggio dei nuovi evangelizzatori, che richiameranno quelle popolazioni alla pace cattolica nell'ortodossia romana. La guerra è finita: combattuta

per ragioni di difesa e di civiltà - missione e vanto a diritto di Roma - termina in un'apoteosi che è quella stessa di una giustizia compiuta e di una civiltà tutelata nei suoi elementi di vita e di

luce [] Pace nella giustizia: pace romana [] La missione dell'Italia non poteva, non doveva essere arrestata74.


Il sangue dei soldati morti doveva essere considerato sacro, e la terra su cui era stato versato consacrata nell'ortodossia di Roma, quella Roma che dava la pace per mezzo della guerra, perché Dio

stesso aveva " benedetto la nostra bandiera" : la situazione creatasi non poteva che essere definita " giustizia" . I Cinque potevano ritenere realizzati gli auspici che avevano espresso un mese e mezzo

dopo la dichiarazione di guerra, parlando di un'ora " storica per la Patria e la Religione" ; 75un'ora decisiva perché impiegata per porre argine agli sviluppi del " comunismo sempre in agguato" e della "

massoneria sempre in allarme" , i " due pericoli incombenti sull'occidente latino e cattolico" . Possiamo dire, allora, che un'altra ragione dell'espansionismo italiano-cattolico era proprio la necessità di un

contrattacco, di " rispondere" , come dicevano ancora I Cinque, ai tentativi di espansione rosso-massonica. L'Italia - affermavano - poteva compiere questa impresa con tranquillità e fiducia piene,

perché la sua causa era " quella stessa della civiltà" , e col tricolore avanzava " la Croce; colla Croce, la luce della civiltà che al Vangelo rivendica le sue sorgenti, la prassi del suo costume" . Si trattava

di una conquista di spazi vitali, di occupare una posizione prima che fosse conquistata dal nemico di Dio o quanto meno di controbilanciarne il potere con una forza d'urto ad esso contraria. La guerra

era dunque guerra per Dio, di Dio.


E gli africani? Come già accennato, si trattava di un popolo " maledetto" fin dai tempi di Noè, " traviato" dall'eresia, imbarbarito e incapace di provvedere a se stesso, che doveva sopportare

l'inevitabile impatto con le " ragioni di difesa e di civiltà" di cui s'è detto. Altri motivi dell'espansione erano dunque questi: l'Italia doveva " difendersi" dalle popolazioni abissine che d'altronde, come le

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