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Keynes e lo stato interventista




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KEYNES E LO STATO INTERVENTISTA


Tra il 24 e il 29 ottobre 1929 il crollo di Wall Street scuote tutta l'America. Per favorire l'acquisto dei beni anche alle classi operaie, le banche concessero una serie di crediti, e la piccola borghesia, attratta da futuri guadagni decise di investire in borsa.
Nel momento in cui si nutrivano maggiori sicurezze, i prodotti cominciarono a non essere più assorbiti dal mercato. La crisi di sovrapproduzione che si ebbe fu la causa del crollo della borsa di Wallstreet durante il giovedì nero di Wall Street in cui tutti i titoli azionari ebbero un'evidente flessione.

I governanti,contrari a qualsiasi intervento dello Stato nell'economia, sottovalutano l'imminente pericolo. Le cifre della crisi attestano il fallimento di oltre 5000 banche, circa il 50% della produzione industriale e del reddito agricolo crollati e una diminuzione dei salari pari al 45% circa. I piccoli e medi risparmiatori, fautori di investimenti azionari, si ritrovano sul lastrico.



Questa, ed altre crisi economiche, hanno dimostrato che il mercato non raggiunge spontaneamente l'equilibrio, senza un intervento massiccio dello stato (in disaccordo con gli economisti classici come Say, Ricardo, i quali credevano che il mercato fosse capace di regolarsi da solo); spesso, infatti, si sono verificati periodi di crisi, di depressione dell'economia, di disoccupazione generale.

Questi risultati hanno portato tutti gli stati occidentali ad abbandonare la convinzione liberistica ed a intervenire, secondo le indicazioni dell'economista Keynes, per regolare il mercato.

Posto che il sistema del liberismo economico è contraddittorio ed inefficace per prevenire e fronteggiare gli squilibri e le crisi del mercato, Keynes propone un nuovo paradigma, quello dello Stato interventista, il cui compito fondamentale è quello di aumentare la domanda, cosiddetta aggregata, che risulta dalla somma degli investimenti e dei consumi.

In questo modo si genera un aumento della produzione, per far fronte alla crescente domanda del mercato, e quindi subentrano da un lato la necessità di investire, dall'altro la richiesta di forza lavoro che, una volta occupata, perverrà ad un certo benessere e tornerà ad incrementare la domanda, reinnescando il ciclo di espansione economica. Gli investimenti, secondo Keynes, hanno, rispetto all'economia, il duplice ruolo di moltiplicatore (gli investimenti attuati in un settore porteranno ad una mobilitazione produttiva di altri settori, come se l'investimento originario fosse 'moltiplicato' in ciascun settore) ed acceleratore (viene a crearsi un generale e significativo impulso). Per potenziare la domanda, lo Stato può operare in diversi modi: attraverso una politica sociale di ampio respiro, facendosi committente, finanziando grandi lavori pubblici e investendo in opere che ricadano a vantaggio del maggior numero possibile di persone.

Gli aspetti più propriamente economici della teoria keynesiana sono strettamente legati ad aspetti sociali, e proprio questi ultimi hanno contribuito a definire lo stato che li mette in atto come 'Stato sociale', 'Welfare state' o addirittura 'Etat providence'. Gli aspetti economici e sociali, come già osservato, sono legati perché è indispensabile, secondo la dottrina keynesiana, che sia accresciuta la domanda di beni affinché tutta l'economia entri in un ciclo di espansione: assume quindi notevole rilievo il ruolo dello Stato stesso, che deve agire in economia e nel sociale in modo da creare i presupposti per il consumo e sostenere in ogni sua fase il ciclo economico. Esso deve correggere le disuguaglianze che non derivano dalla volontà dei singoli e che l'individuo non può cancellare: da qui una politica sociale di tutela dei malati, degli anziani, dei disoccupati e dei lavoratori, in generale delle fasce più fragili della società, attraverso assicurazioni, pensioni, distribuzione di reddito, in generale interventi che cerchino di eliminare le disuguaglianze a monte, cioè prima che si verifichino, oppure a valle, dunque correggendole una volta determinatesi.



La teoria keynesiana fu attuata per la prima volta dal presidente americano Roosvelt. Bisognava, dunque, che lo stato prendesse in mano la situazione e si riversasse a favore dei cittadini poveri, dei disoccupati, del popolo distrutto dalla crisi del '29; il presidente capì che era giunto il momento di strappare l'iniziativa economica ai privati. Con Roosvelt si avviò il nuovo corso economico del paese, il New Deal, che aveva come obiettivo la fine dell'assoluto liberismo e l'andare incontro alle milioni di famiglie senza lavoro. Si formò un circolo di economisti e politici che avrebbe dovuto trovare ed indicare la strada da seguire per sanare la situazione. Innanzitutto lo stato svalutò il dollaro, per diminuire il volume dei debiti e per rendere le esportazioni più competitive; mise sotto controllo le banche, la borsa, il mercato azionario; istituì delle leggi per diminuire l'orario lavorativo ed aumentare gli stipendi; concesse prestiti per l'acquisto di case, per i sussidi per la disoccupazione, per i lavoro pubblici. Col passare degli anni i risultati furono visibili: la disoccupazione diminuì, così come la sovrapproduzione, i prezzi risalirono, si iniziò ad avere fiducia e speranza per il futuro. Certo, ci furono anche coloro che criticavano il sistema economico impostato da Roosvelt, perché questo andava contro i loro interessi: alcuni criticavano lo stato di aver invaso l'intero sistema economico, addirittura violando alcuni diritti costituzionali (per esempio la libera concorrenza). Ma la stragrande maggioranza dei cittadini era d'accordo con l'opera del presidente, sopratutto quando, nel 1935, si istituì per i lavoratori, e in genere per tutti i cittadini, un sistema di assicurazioni contro la disoccupazione, l'invalidità e la vecchiaia. Si erano poste le basi del Welfar State (stato di benessere).

Secondo Keynes, dunque, era necessario non tanto risparmiare, quanto consumare, lo stato non doveva preoccuparsi dei bilanci ma, assumendo il ruolo di un grande finanziere, manovrare la spesa pubblica, dirigere gli investimenti, sostenere le imprese, programmare le opere pubbliche.


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