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Analisi della temporalità heideggeriana da parte di un filosofo del diritto: Bruno Romano




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Analisi della temporalità heideggeriana da parte di un filosofo del diritto: Bruno Romano



Epoca della tecnica

Nella sua  riflessione filosofico-giuridica di Bruno Romano la temporalità diviene piuttosto il concetto guida, su cui poggia l'elaborazione fenomenologica delle caratteristiche del diritto.

La prima notevole opera in cui la centralità del tempo inizia a delinearsi con chiarezza propone un incontro con Heidegger: Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger (1969)[1].

Esponendo la nota interpretazione heideggeriana del nostro tempo come epoca del dominio della tecnica, Romano si pone alla ricerca delle conseguenze che tale dominio implica ai vari livelli dell'esistenza, e in particolare del radicale mutamento del significato di giustizia che determina.Nel far questo l'autore rivolge il suo sguardo all'intera opera heideggeriana, mostrando così la di non partecipare ancora al luogo comune di un 'primo' e di un 'secondo' Heidegger. Romano incontra la questione della temporalità, come uno dei punti chiave indicati da Heidegger per la comprensione dell'essenza dell'epoca moderna:
'Heidegger, commentando il quarto e il quinto capitolo della prima lettera ai Tessalonicesi ove Paolo parla del ritorno del Signore, fa osservare come nel testo paolino non si dia alcuna precisazione circa il tempo del ritorno che è caratterizzato dall'essere improvviso. L'uomo moderno invece è sempre teso nello sforzo di ricondurre l'avvenimento improvviso nel quadro della sicurezza di una determinazione temporale. L'improvvisità e l'incertezza, che costituiscono l'essenza umana nella sua finitezza, vengono ridotte alla sicurezza ed al permanente. '
. La conoscenza certa e la possibilità di azione infinita del soggetto, che costituiscono l'essenza della tecnica, danno vita nella nostra epoca ad un'equivalente nozione di tempo, che da elemento incerto per antonomasia si trasforma in programmabile e sicuro.

Distaccato da qualsiasi base trascendente, l'uomo della tecnica (il soggetto) diviene il fondamento unico di ogni verità, e richiede innanzitutto di essere difeso da tutto ciò che possa smuoverlo dalla sua esigenza di sicurezza:
In questo quadro, la rappresentazione non è più uno dei modi della conoscenza, ma l'unica forma possibile di incontro con l'essente nella sua realtà: sarà reale e vero solo ciò che si lascerà porre come oggetto a partire dalle esigenze del soggetto nello schema del porre-innanzi proprio della rappresentazione

Anche il tempo dovrà dimostrare la propria realtà trasformandosi in oggetto della rappresentazione soggettiva, con ciò riducendosi ad entità calcolabile, misurabile e disponibile da parte del soggetto e della sua volontà di certezza.

Di conseguenza, ogni fenomeno essenzialmente temporale, cioè avente a che fare con l'esistenza dell'uomo, diritto compreso, assumerà caratteristiche di misurabilità e disponibilità:
'Al farsi del pensiero calcolo e fonte di valori è da legare, a mio avviso, la costrizione dei rapporti umani, ormai divenuti oggetto di previsioni assicurabili, nel solo ordine giuridico e sociale. Queste sfere appaiono come la calcolabilità dell'agire umano'[4].

Nell'epoca della tecnica, per ciò che riguarda il tempo, il pericolo consiste in definitiva nel suo ridursi al tempo delle scienze, obliando la sua essenza storica:
'Nelle scienze della natura il tempo è solamente un susseguirsi di punti temporali, ciascuno diverso dall'altro a seconda della posizione che occupa, mentre nella storia il tempo non è costituito da una serie di punti misurabili, ordinatamente disposti, ché anzi, essendo i diversi momenti temporali distinti l'uno dall'altro qualitativamente, diviene impossibile stabilire un calcolo, una regola o un principio per il loro succedersi'

Non può negarsi che al diritto è essenziale la nozione di regola, e dunque una certa calcolabilità del tempo. Il diritto sembra dunque destinato a dimorare, in virtù della sua stessa struttura regolativa, nell'inautenticità del calcolabile.

In fondo l'inautenticità temporale del diritto è  in qualche modo necessaria alla stessa ricerca  di autenticità del Dasein, poiché è ipotizzabile un diritto come regola docile al tempo, che si lasci determinare da esso e non pretenda di regolarlo a sua volta

Temporalità luogo di autenticità del diritto

Si arriva  a riconoscere nella temporalità il luogo in cui ne va dell'autenticità o inautenticità del diritto.Un diritto che si voglia permanente e assoluto è inautentico, e conduce agli esiti di una civiltà dominata dalla tecnica:
'All'irrigidirsi dell'opera dell'uomo corrisponde il prevalere dell'inautenticità dell'esistenza che viene allora a svolgersi in una zona retta da un diritto che è il prodotto di quel tipo di ragione calcolante ove la verità è pensata solo come certezza'

Al contrario, 'l'avvento dell'opera esige proprio l'allontanarsi dalla quotidianità del duraturo, da quanto è ritenuto sicuro per essere pronti invece all'appello del destino epocale dell'Essere nel suo darsi storico. All'uomo di Stato, a chi quindi è interessato alla manifestazione della dike nella storia, compete la duplice funzione di conservare ed innovare, ove è espressa temporalmente la compresenza delle ec-stasi temporali'

E se ad ogni opera è urgente, nel tempo dell'estremo pericolo, guardare di nuovo alla sua essenza (e temporalità) originaria, tanto più questa urgenza si fa impellente per il diritto, 'come opera che consente tutte le altre opere', pur 'senza potersi a queste sostituire'

La dike

Tali conseguenze sono confermate dalla nota interpretazione heideggeriana del frammento di Anassimandro.La adikia di cui il filosofo greco parla è proprio l'assenza di connessione fra la genesi e il declino, 'dovuta allo stringersi della durata del soggiorno, al non considerare che ciò che è presente - e dunque anche i mortali - soggiorna nella direzione della genesi e del ritorno'[9] .La nozione di dike che Romano accoglie da Heidegger regola l'invio del non-nascosto e dimora nel nascosto.
L'opera della giustizia consiste proprio nella lotta condotta dall'uomo perché la
dike del nascosto si manifesti come dike storica. L'autore parla più volte del primo aspetto della dike quello dimorante nel nascosto, definendolo come 'ordine sovradominante'[10].Tale nozione non è del tutto corrispondente col pensiero della dike proposto da Heidegger. Il concetto di 'ordine sovradominante' rinvia piuttosto alle teorie fondate sul diritto naturale, inteso come ordine perfetto di cui il diritto positivo deve continuare a  farsi riflesso calato nella reltà storica del momento. La dike heideggerianamente intesa non è in alcun modo riconducibile a tale costruzione.Nell'ambito del pensiero heideggeriano non è data infatti una realtà sovrasensibile o sovradominante cui la realtà sensibile, ed il suo diritto, debbano ispirarsi: tale costruzione è anzi dal pensatore tedesco riferita a Platone, come una delle radici del traviamento originario del pensiero occidentale.



Ciò che l'uomo può dire della dike  è solo ciò che di essa si manifesta nel non-nascosto, e cioè che abita e si ritira nel nascondimento[11].

Viene messo in luce il diritto come proprietà comune di diritto e non-diritto, egli aggiunge infatti:
Tuttavia il diritto, pur essendo sempre anche non-diritto, deve affermarsi nella sua fase di esistenza come se fosse solo diritto.







Bruno ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, Milano, 1969

idem,p. 73 .


Cfr. idem, pp. 63-78

idem, p. 78

idem, p. 13

idem, p. 209

idem, p. 214

idem, p. 215 in nota

idem, p. 226

idem, p. 202

idem, p. 216 .

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