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L'impresa - comunità e il rilievo del lavoro quale Valore




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L'evoluzione dell'impresa verso la comunità di persone


Analizzando e volendo proporre un modello che caratterizzi eticamente la gestione d'impresa si prosegue ora, secondo una traccia che dovrebbe risultare di logica conseguenza rispetto alle affermazioni prima proposte, ad analizzare in particolare il valore che il lavoro può e dovrebbe assumere nelle imprese "secondo un umanesimo d'impresa".

Il lavoro nelle imprese, almeno in ambito propositivo, dovrebbe svolgersi secondo un modulo comunitario nel quale si affermassero massimamente :

a)  il rispetto dei valori umani in e da parte di tutti gli interessati ;

b) la divisione dei ruoli nell'unità consapevolmente intesa del piano di lavoro ;

c)  il senso di solidarietà e di corresponsabilità nel lavoro e nella produzione ;

d) un trattamento di corrispondenza reciproca.

Questi potrebbero tutti essere elementi dell'impresa - ideale, cui si accennava alla conclusione del precedente paragrafo, nella quale il lavoratore si potrebbe sentire integrato ; di conseguenza potrebbe perfezionare le sue facoltà, e non essere ridotto meramente ad uno strumento del processo produttivo. D'altra parte la piena valorizzazione della personalità del lavoratore, con la liberazione dalle note forme di frustrazione o alienazione denunciate da Marx, si risolverebbe in maggiore prosperità per l'azienda, dato l'aumento del senso di responsabilità, di appartenenza e di partecipazione da parte del lavoratore, e quindi anche di rendimento. Nelle associazioni di ogni specie, infatti non va dimenticato il grande momento morale della persona. << I problemi della convivenza umana si devono pur considerare anche alla luce della religione espressione dei fini supremi della persona umana. La azioni personali e quelle associate, tutte devono servire al progresso materiale ma anche nell'ambito di un sicuro dominante progresso spirituale >> (Masini).

Da ciò si riesce subito ad intuire come l'azienda possa essere, nello stesso tempo una unità produttiva e anche una comunità di persone ; tali due aspetti sono complementari e convergenti addirittura in un'unica realtà di organizzazione della produzione animata dal sentimento umano, fattore ineliminabile che pervade tutti i rapporti interpersonali.

Per comprendere bene i motivi ispiratori e propulsivi di questa tendenziale realizzazione della comunità di lavoro nell'impresa, come caso particolare e forse precipuo della generale evoluzione della società in senso comunitario, bisogna ricordare che il processo di massificazione dei lavoratori, cominciato con la rivoluzione industriale per poi accrescersi sempre più fino a sfociare nella lotta di classe durante tutto il XIX secolo, si verificò dopo la dissoluzione delle forme comunitarie dell'ordinamento corporativistico. Questo fu sciolto per legge[218] senza tuttavia essere sostituito da altre forme di organizzazioni comunitarie, ma solamente da masse umane unite per comuni scopi di rivendicazione non strutturate sul piano organizzativo e ancora meno formate sul piano umano. La carenza della articolazione vitale comunitaria determinava così la formazione della massa ; questa poi maturava in classe consapevole e operante man mano che, attraverso la solidarietà delle associazioni era compenetrata da un nuovo senso comunitario, affinato nella lotta comune.

Alla luce di tale veloce e semplice analisi, sembra di poter vedere che il nuovo problema ora stia nel superare lo stato psicologico e sociologico di massa sul piano aziendale perché i lavoratori possano raggiungere così, anche in quell'ambito, un livello superiore di maturazione umana. Ciò sembra più facilmente raggiungibile da parte dei nuovi corpi intermedi, non di tipo amministrativo, sindacale, politico, ma principalmente a carattere aziendale, quali possono essere le comunità di lavoro.


Caratteristiche della comunità di lavoro


Con tale termine non ci si riferisce né alle grandi comunità indifferenziate - come quelle costituite sulla base del senso di solidarietà di un gruppo sociale - , né alle organizzazioni sindacali o politiche, di piccoli gruppi di operai che si costituiscono in base ad amicizie o ad interessi particolari e che piuttosto possono assumere i caratteri di comunione affettiva, più che di comunità, poiché si basano su legami personali senza alcun riferimento alla struttura generale dell'azienda. Questi gruppi nascono dalla spontaneità associativa e possono moltiplicarsi ma rimangono comunque fuori dalla struttura della società e di per sé sono solamente dei piccoli centri di amicizia e di solidarietà presenti all'interno della generale massa inorganizzata.

Ben diverse sono le caratteristiche della comunità. Essa è costituita da persone liberamente associate, e differenziate con ruoli e funzioni, che implicano la partecipazione di tutti all'opera comune ma secondo una certa programmazione, che resta indispensabile. Sono compresenti dunque il carattere potenziativo della libertà e personalistico, ma anche il carattere strutturale e quello societario.

Finora, sul piano aziendale, si può ancora dire che domini la massa organizzata in classe mediante gli organi rivendicativi che, pur avendo una loro importanza nell'ambito sindacale, non bastano comunque a risolvere il problema di una maggiore unione e corresponsabilità interna all'azienda. Alternativamente si costituiscono fuori da tali organi e corpi intermedi, solo dei piccoli gruppi basati su rapporti strettamente personali, in forza di un'intima comunione che pur essendo di un alto valore umano, comunque non basta a sviluppare un progresso operativo organizzato e programmato.

Sembra allora di poter dire che tutti coloro che desiderano o hanno la responsabilità di esercitare un influsso per l'instaurazione di rapporti veramente umani, possano e debbano mirare alla formazione della comunità di lavoro, che non esclude la realtà e la forza della massa operante sul piano sindacale, né distrugge le comunioni particolari, ma al di sopra di questi fattori dell'associazionismo operaio, dà consistenza a rapporti umani meglio strutturati ed equilibrati.


Il piano tecnico


La comunità di lavoro abbraccia vari settori dell'attività aziendale in un duplice piano :

a)   tecnico (inerente l'esecuzione del lavoro) ;

b)   organizzativo (che concerne prettamente l'occupazione operaia e la programmazione del lavoro).

Sul piano tecnico, è stato rilevato che tra le varie cause di degradazione della persona del lavoratore che ha luogo durante il processo esecutivo, vi è l'eccessiva partizione del lavoro. Questa organizzazione porta alla rarefazione dei rapporti umani tra i lavoratori e può essere talmente rilevante da giungere al punto che un lavoratore può ignorare completamente il lavoro svolto da un altro collega. Il fatto, si ricorderà era già stato denunciato, ma anche studiosi recenti di psicologia del lavoro concordano sulla necessità di rendere più umano e produttivo il lavoro, non solamente diminuendo la fatica fisica, che indubbiamente resta una conquista encomiabile dello sviluppo tecnologico, ma anche ricostituendo un legame più diretto tra i lavoratori ed il risultato finale del loro lavoro ma, si può ragionevolmente auspicare, anche tra gli uomini in generale, intendendo per esempio tra i lavoratori e i clienti, ove questo sia possibile grazie alla presenza di un rapporto interpersonale diretto. E' di per sé evidente che non si propone di tornare ad un'organizzazione del lavoro di tipo artigianale, ma si auspica solo che si infonda anche un senso umano nell'esecuzione dei piani tecnici, come potrebbe essere affidando la fase esecutiva a gruppi di lavoro ben strutturati piuttosto che a semplici individui. Un cammino in questa direzione è già in atto in diverse fabbriche dove il lavoro è organizzato in piccoli gruppi o isole ; in questo modo i singoli lavoratori sono collettivamente responsabili di una fase produttiva e devono organizzare direttamente tra loro, la struttura tecnica più consona all'esecuzione del piano generale della tappa loro affidata. Si profila pertanto, sul piano prettamente tecnico, la comunità di lavoro o, per lo meno, un insieme di piccoli gruppi che ne rappresentano gli elementi da ricomporre poi ad unità.

Sul piano organizzativo o programmatico aziendale la comunità di lavoro realizza in forma strutturata l'equilibrio necessario fra la partecipazione personale, spontanea e la programmazione. Quando i ruoli all'interno dell'azienda sono ben distribuiti, in modo che ciascuno abbia una propria responsabilità ma anche la conoscenza almeno sommaria di tutto l'insieme, coloro che ne fanno parte si sentono integrati come persone, e agevolmente, con spontaneità finiscono anche col sentirsi una comunità di persone, una comunità di lavoro.

Le condizioni essenziali affinché si possa creare questa coscienza comunitaria, sono le seguenti :

a)       che tutti ed ognuno abbiano il proprio ruolo da svolgere, che sia però attivo e non meramente esecutivo ;

b)       che tutti abbiano una visione generale ;

c)       che tutti siano a conoscenza del coordinamento fra diversi aspetti della vita aziendale (aspetti umani, morali, sociali, a raggio locale, regionale e così via), ciò nel senso di favorire il sentimento di solidarietà per i problemi dello sviluppo non solo del proprio paese, ma anche internazionale se possibile.

Sarà dunque necessaria una buona articolazione e una opportuna distribuzione dei compiti da eseguire al momento opportuno rispettando le competenze, ma va da sé che quando si esige una decisione rapida e responsabile non si possono rallentare i tempi e sarà compito precipuo dei managers agire. In casi quali la politica occupazionale, le necessità di ridimensionamento dell'azienda, o altri simili, invece è auspicabile che tutti possano conoscere e discutere le decisioni da assumere per esercitare un controllo sull'azione che si deciderà, sia in vista del bene comune, che è scopo di tutti, sia per evitare che la ricerca affannosa del reddito finanziario prevalga su tutti gli altri aspetti umani e sociali dell'azienda come motivo determinante delle decisioni e dell'azione.


Le società umane e il lavoro


La persona umana per natura, come si è visto, è posta in relazione con altre persone ; può attingere meglio i suoi massimi fini quando si riunisce in gruppi o società aventi un fine comune che serva ai fini massimi per cui la persona umana medesima è creata. La socializzazione (unione di persone in società) è dunque frutto di una tendenza naturale che si può interpretare e esprimere come << la tendenza ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che superano le capacità e i mezzi di cui possono disporre >> le singole persone.[219] La società prima naturale consacrata in sacramento è la famiglia, ma altre società sono indubbiamente necessarie all'uomo tanto da poter asserire con Masini che la vita umana è sempre anche vita associata. L'istituto azienda, se anche si presenta come sistema sociale, non è puro sistema, è un essere e divenire più vasto. Questo non essere puro sistema appare anche allo psicologo quando pone la nozione di << azienda ideale >> che è una carenza di fondo delle discipline, almeno di molte, poiché non considerano l'azienda << ambiente in cui l'individuo può realizzare sé stesso >> . Ogni società poi persegue il << bene comune >> dei suoi membri. Il << bene comune temporale >> è un insieme di beni per loro natura comuni, che nessun individuo può procacciarsi da solo o che un individuo può procurarsi ma con difficoltà tali che lo rendono moralmente irraggiungibile. Il bene comune, (secondo la visione di Masini,) è il prodotto della cooperazione societaria che condiziona i singoli nella società : è un bene funzionale per tutti costituito dal complesso di beni che per loro natura hanno una funzionalità universale e un'attitudine per tutti ; << è bene comune di una comunità una cosa che
non potendosi ottenere singolarmente da una persona, però deve essere perseguita in una data situazione sociale per il bene degli uomini rettamente inteso con riferimento alle loro complementari finalità naturali e soprannaturali >>.

Nell'ambito della ricerca del bene comune all'interno delle società umane, nel nostro contesto, viene ad assumere un'importanza preminente il lavoro, come ci fa notare lo stesso Autore qui citato scrivendo che << la persona umana per il soddisfacimento dei bisogni suscitati dal suo divenire complesso di materia e di spirito, secondo il fine del compimento di sé stessa e del mondo in Dio, dunque congiuntamente per i suoi fini naturali e di partecipazione al soprannaturale, svolge l'attività economica con manifestazione primigenia nel lavoro >>[221]


§ 5 Concezioni moderne del lavoro


Si cercherà ora di presentare brevemente alcune fra le principali posizioni tipiche dell'età moderna delineatesi per spiegare il valore del lavoro. Ciò sarà fatto proponendo dapprima concezioni esclusivamente a base materialistica per poi proporre la visione cristiana del lavoro, come sola concezione innovativa e completa.

Fra le concezioni materialistiche si possono ricordare le seguenti :

a) Concezione del lavoro come merce ; questa è tipica di una mentalità esclusivamente mercantile o commerciale la quale valuta il lavoro prescindendo dal considerare il soggetto che lo esegue, e quindi non come attività umana, ma solo in relazione al suo valore di scambio, nel quadro delle leggi economiche che lo influenzano. Si può dire che in tale concezione il lavoro viene svuotato di ogni valore umano, in quanto valutato dal datore di lavoro alla stregua di un qualsiasi fattore produttivo o mezzo di arricchimento e di potenza, dal prestatore d'opera esclusivamente come mezzo di sopravvivenza e come merce di scambio al pari di qualsiasi prodotto con un prezzo che si può vendere e comperare contrattando.

b) Concezione tecnicista ; questa considera il lavoro solo per quanto concerne l'aspetto produttivo. L'uomo è assimilato ad una macchina di produzione, ciò che è rilevante in modo significativo è il prodotto e non il lavoratore, il quale deve solamente essere posto in condizione di poter rendere al massimo. Questa è talvolta al vera spinta all'applicazione di nuovi sistemi di organizzazione del lavoro, in cui l'elemento umano è valutato e considerato solo per la capacità che presenta di rientrare nel meccanismo produttivo e di rispondere alle esigenza di efficienza produttiva.

c) Concezione socialista ; sulla base del materialismo che ha in comune con le due precedenti teorie, attribuisce al lavoro il primato nella vita sociale e ne fa addirittura il valore essenziale della società. A fondamento di questo sta la concezione che la vita umana sia costituita unicamente in vista del benessere temporale e quindi tutto il resto, anche i beni più alti dello spirito umano, deve essere subordinato ed eventualmente sacrificato di fronte alle esigenze di una produzione più intensa e più razionale frutto del lavoro. In questa visuale si è molto vicini ad una affermazione totalitaria della valenza del lavoro : niente vale al di fuori di esso.

Tali concezioni come si vede, includono una pregiudiziale svalutazione dell'uomo - persona, che per principio o di fatto viene strumentalizzato o avvilito. A queste concezioni, come già anticipato si contrappone quella che si sviluppa dalla tradizione umanistico - cristiana, e che riguarda anzitutto il lavoro stesso, come attività umana in vista della produzione esterna, certamente, ma tale da portare al perfezionamento dell'uomo e da contribuire al bene comune della società.

§ 6 La concezione cristiana del lavoro


Secondo tale concezione il lavoro rappresenta un'attività fondamentalmente umana (che include razionalità, libertà, competenza, impiego di energie fisiche e fatica) ed è in vista della produzione esterna, nel senso che non si tratta di un'attività contemplativa, di un semplice studio, nemmeno di un esercizio di vita attiva in senso classico (pratica di virtù morali) : da tale insieme di valori più alti il lavoro può trarre ispirazione, alimentazione, incremento ma esso va ben oltre, in quanto mira alla produzione e mira dunque al novero delle virtù tecniche o artistiche di cui parlavano gli antichi ; è un fare, non un agire[222]. Il lavoro può essere considerato come un'attività creativa, produttiva in senso forte, inserita nel dinamismo della natura e svolta in collaborazione col principio primo del movimento universale, ossia col Creatore, in quanto include il fare, il produrre, il modellare le cose, per governare la terra, e sfruttarne le energie al servizio dell'uomo. La fatica che accompagna il lavoro, è il corrispettivo che l'uomo deve in questa impresa resa possibile dalle facoltà del fare, il quale è oneroso e doloroso. Secondo la dottrina cristiana il lavoro viene così ad assumere una funzione di riscatto ed è una partecipazione alla redenzione, sia dell'uomo che lavora e fatica, sia del mondo che viene trasformato, rinnovato e progressivamente liberato dal disordine e dalla debolezza che seguono al peccato umano. Questi elementi di dottrina e spiritualità cristiana arricchiscono il valore umano del lavoro, il quale conserva il suo significato connaturale anche nella trasfigurazione soprannaturale, nella quale, anzi, meglio si svelano le sue essenziali componenti e le sue doti. Esso, infatti, alla luce del Cristianesimo, appare in tutta la sua umanità.

§ 7 La triplice dimensione umana del lavoro


Il lavoro principalmente è un'attività economica, svolto dunque per un fine economico, per << guadagnare il pane col sudore della fronte >> ; si tratta come di un'attività che stabilisce il momento di raccordo di relazione tra i due termini di un reciproco rapporto : la natura, la terra che abbisogna del lavoro fisico e mentale dell'uomo per produrre in modo corrispondente alle sue necessità, al sua benessere e l'uomo stesso, che impiega le proprie energie mediante il lavoro per sfruttare le risorse della natura e trarne il suo sostentamento.

Il lavoro poi costituisce un'attività sociale, nel senso oltre a essere caratterizzato imprescindibilmente da rapporti inter personali, esso serve alla liberazione e al progresso di tutta l'umanità e più concretamente al bene comune, sia della famiglia (come più volte ricordato prima società), sia della comunità politica, che vive del lavoro di tutti.

Il lavoro rappresenta in fine un'attività morale, ossia densa di valori etici e spirituali spesso trascurata o sottostimata. Esso risponde a un dovere, imposto all'uomo da esigenze di perfezione personale (impiego del tempo, valorizzazione delle proprie capacità, risposta a una vocazione, mantenimento di sé e aiuto agli altri), e di una funzione sociale (formazione e mantenimento della famiglia, collaborazione allo sviluppo sociale, apporto al progresso della civiltà). In quanto dovere, il lavoro va compiuto nel quadro etico che ha i suoi capisaldi nei fondamentali diritti del lavoratore - uomo : diritto al lavoro, alla vita e alla salute, alla libertà, al progresso e alla salvezza.

Si cercherà ora di approfondire la visione cristiana del lavoro richiamando alcune riflessioni innovative che bene spiegano la portata intrinseca del lavoro come valore. Per fare questo si prende spunto dall'intervento di Tommaso Sorgi all'incontro commissione economia di comunione e imprenditori svoltosi a Castelgandolfo il 23.3.1997, in quanto così facendo si comincia già a introdurre il tema del successivo capitolo nel quale si potrà poi evitare di dilungarsi sul significato che nel progetto di Economia di Comunione viene ad assumere il lavoro, poiché già anticipato ora.

Il lavoro diventa un elemento costitutivo principalmente dell'uomo, ma non meno anche della realtà del Movimento[224] dal quale sorge l'idea del progetto E.d.C.

Prima di procedere è utile forse porre all'attenzione del lettore una duplice questione :

La distinzione tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali si va via via sempre più attenuando. Non si annulla la distinzione, ma si può dire piuttosto che queste due forme diventano realmente un continuum in cui c'è una realtà sempre più unica e inscindibile ;[225]

la distinzione tra imprenditori e lavoratori tende a svanire in quanto sempre più l'imprenditore può essere assimilato, per le mansioni svolte, almeno nelle piccole e medie imprese ad un lavoratore a tempo pieno. Utilizzando un espressione della Lubich l'imprenditore << è un lavoratore che fatica di mente e di cuore - oltre che di portafoglio. E' continuamente esposto al rischio e ha delle responsabilità che coinvolgono la sua persona, la sua famiglia e anche la comunità dei lavoratori ai quali ha dato lavoro >>[226].

Si è ben consci che esistano certamente svariati tipi di proprietari.
Principalmente si possono individuare due macro - categorie : un proprietario assente in quanto esclusivamente azionista, finanziatore ; un tipo di proprietario presente il quale oltre ad apportare capitali apporta anche il proprio lavoro ed è proprio questa seconda categoria che più si avvicina alla definizione originariamente assunta di management,[227] e sulla quale quindi ci si è più soffermati.

Proseguendo ora l'analisi sul valore del lavoro, secondo un'accezione il più possibile globale, Sorgi riporta il pensiero della Lubich, la quale, ispirata da una profonda conoscenza della dottrina cristiana, ma pure dagli insegnamenti di altre religioni con le quali il Movimento da lei fondato si confronta quotidianamente, esprime un concetto del lavoro che l'Autore definisce "dialettico" o "bipolare" ; include infatti, impegno nel lavoro, ma anche distacco dal lavoro, affermazione e negazione. Il lavoro viene esaltato come attività di cui avere "un altissimo concetto", come una partecipazione all'opera creatrice del Padre e, per la sofferenza che comporta, all'opera redentrice del Figlio, ma è anche un valore concreto che realizza l'umanità dell'uomo e merita per questo di essere liberato da ogni strumentalizzazione alienante.

Allo stesso tempo il lavoro viene esposto al distacco interiore profondo ed è immerso in una visione super - umana, trascendente. Il lavoro si afferma addirittura come partecipazione all'opera divina, e nello stesso tempo è lavoro negato. Nella visione teorico - pratica della Lubich però, la bipolarità viene superata in radice (anche se nella vita pratica non viene facilmente risolto il problema di ciascuno di mettere bene assieme l'aspetto divino e quello umano, l'aspetto dell'impegno e quello del distacco). Ella ci invita ad avere una concezione unitaria della realtà, perché << per capire alla radice le realtà umane bisogna "leggerle in Dio" e per farle crescere autenticamente bisogna conformarle al "pensiero di Dio" su di esse >>.[228] Per ciò che concerne il lavoro la Lubich afferma che : << è necessario certo lavorare - e bene - però senza fare del lavoro un idolo : (con tale espressione si intende senza che esso assurga ad essere il solo fine e obiettivo dell'agire umano, N.d.A.) impegnarsi in esso nello spirito del distacco, nella fede che chi avrà lasciato il lavoro, anche solo spiritualmente, riceverà già su questa terra il "centuplo".

Questo potrebbe sembrare angelismo, ingenuità, utopia, ascetismo di fuga dal reale storico, ma prima di esprimere un giudizio bisogna cercare di capire profondamente la portata e i fondamenti di tale concezione. La Lubich infatti, non fa di questa proposta una sola ipotesi teorica, ma un concreto modo di vivere testimoniato e offerto a chi ne è affascinato. In questo senso le imprese che vivono il progetto E.d.C., si presentano spesso come un laboratorio dove questo processo teantropico, divino e umano, si realizza quotidianamente sottoponendosi alla verifica della storia, non senza ardue difficoltà. Tali piccole e per ora limitate esperienze, fanno sperimentare a chi le vive, senza creare facili illusioni di miracolismo, che si tratta veramente di una storia umano - divina e che sono vere le promesse evangeliche in merito al "centuplo" che scaturisce dal distacco. Ma vediamo di chiarire meglio quanto detto per ora semplicemente in teoria poi, nel capitolo successivo anche attraverso l'esperienza personale presso la ditta Bertagna Filati.


§ 8 Il "centuplo" terreno


<< Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna >>[230].


È bene fin da subito precisare che il lavorare con spirito di distacco non sminuisce l'impegno del lavoratore né tanto meno il valore del lavoro umano, anzi sembra piuttosto di poter dire che illumini questo e quello e li consolidi sul piano psicologico - essenziale della singola persona. La stessa promotrice del progetto E.d.C. compie un'analisi del fenomeno che fa scoprire conseguenze sorprendentemente pratiche e moderne di questo "lasciare" evangelico. Per scansare ex ante facili disillusioni nei confronti di quanto si andrà proponendo bisogna precisare che il "centuplo" di cui si discute vale talvolta sul piano quantitativo, ma sempre su quello qualitativo, qual cosa non è da considerare comunque trascurabile ; tutt'altro.

Dai punti di fondo delle considerazioni che ella compie, risulta che :

un lavoro eseguito con distacco fa si che la professione "lasciata", in spirito, la si ritrovi come disegno di Dio su di sé. In questo modo viene rivalutata pure la

professione ; ciò infatti spinge dal profondo della coscienza il desiderio di adempierla nel modo più perfetto possibile. Per esempio, colui che esercita l'attività d'impresa, si sente di svolgerla non solamente per scelta personale, ma anche per vocazione suscitata da Dio. In questo modo la professione diviene più significativa, più importante e questo spinge con la coscienza ad adempiere alle mansioni del proprio lavoro nel modo più perfetto possibile, tanto da "fare di ogni ora di lavoro un capolavoro di precisione, di ordine e di armonia" e ad impegnare ognuno a migliorare la propria professionalità.[231]

si recupera il valore della professione con tale dimensione coscienziale, offrendo un rimedio alla superficialità nel lavoro e all'apatia in situazioni gestionali dove latitano i controlli - indipendentemente dai motivi - o adeguate strutture di incentivi ;

rende più disponibili i lavoratori ai fenomeni di mobilità e di aggiornamento imposti dalle trasformazioni tecnologiche e dai mutamenti del mercato ;

aiuta a superare gli effetti alienanti che sulla psiche dei lavoratori vengono indotti, come evidenziato prima, dalla condizione passiva di un lavoro "subito come mero strumento di sopravvivenza" ;

offre la soluzione più profonda per rompere la pratica assimilazione dell'uomo a una macchia e riscoprirgli il suo "essere a immagine e somiglianza di Dio".[232]

Si ottiene quindi non solo la liberazione dell'uomo dagli aspetti servili del lavoro, ma anche la liberazione del lavoro, che avviene proprio grazie a questa visione di impegno - distaccato.

Combinando tale distacco, maturato nei singoli, con il senso comunitario, viene potenziata la dimensione della socialità, la quale come prima accennato è già insita nel lavoro. Si tratta di una socialità che comincia dall'ambiente di lavoro e che da qui si apre al di là delle comunità di lavoro. Nella comunità è un'apertura e una donazione agli altri fino ad amarli come se stessi. Così nell'azienda il sistema arido, invaso di necessità materiali e di conflitti, si trasforma in un "piccolo mondo" del lavoro, dove tutti - dagli operai ai tecnici, ai dirigenti, fino ai proprietari - sono coinvolti ad amarsi a vicenda con spirito di carità, fino a divenire una cosa sola tra di

loro. In questo modo nasce la vera comprensione reciproca, la condivisione di fatiche e di problemi, la ricerca comune di soluzioni e si sviluppano nuove forme di organizzazione del lavoro. Si viene, in questo modo a condividere e a partecipare tutti assieme ai mezzi di produzione e ai frutti del lavoro. In questo modo si può veramente affermare che l'azienda è diventata una comunità di persone. Per i non credenti ?

In modo ancora più convincente Chiara sottolinea come per i cristiani non è solo logica, ma anche doverosa una coscienza sociale a dimensione planetaria, oltre che aziendale. Tale spirito di comunione, corresponsabilità deve scavalcare i ristretti confini del mondo aziendale perché "non è sufficiente unire gli operai per risolvere i problemi economici, occorre unire tutti gli uomini del mondo del lavoro".


§ 9 Due dimensioni complementari del lavoro. Lavorare con, lavorare per


A questo punto è più che mai opportuno aggiungere alcune brevi considerazioni per commentare e sviluppare due concetti che in particolare Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Laborem exercens e poi anche nella Centesimus annus ha posto in rilievo :

a) la socialità del lavoro ;

b) l'influire del lavoro nel realizzarsi dell'uomo e nel crescere in umanità.

Il Pontefice afferma che : << col lavoro l'uomo si realizza come uomo, anzi diventa più uomo >>. Ciò che realizza l'uomo è certo il suo operare nel dominare la materia, il suo innovare nella natura, ma soprattutto lo è nella misura in cui si lavora con e per altri esseri umani : è nella crescita delle relazioni che si arricchisce la personalità di ognuno. Si ricordi a questo riguardo la visione teleologica e antropologica di Antonio Genovesi secondo il quale, ripetendo considerazioni già presentate in questo stesso lavoro, << la felicità si ottiene solo quando la persona tramite la ragione e l'esercizio delle virtù, è capace di orientare le sue passini in modo da realizzare la sua natura che è essenzialmente sociale, relazionale >> per cui Genovesi conclude che la felicità si trova solo nel rapporto con gli altri. In questo modo allora, anche nel lavoro non si cresce, anzi si regredisce, se non si punta sui rapporti inter - umani. L'uomo non cresce nel lavoro, se non è capace di attribuire a questo tutti i significati profondi che esso ha già nella propria natura.

Il lavoro ha di per sé dei significati profondi di socialità. L'uomo allora, non può cercare il lavoro in sé, il lavoro per il lavoro. Non lo può cercare l'individuo perché ne farebbe un idolo, non lo può cercare il sistema, perché lo renderebbe uno strumento di dominio sull'uomo. Il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro. L'uomo non può considerare il lavoro solo per sé, per trarne un guadagno e neppure per autorealizzarsi ; se lo facesse solo per questo il fine sarebbe prettamente egoistico. Certamente non si può e vuole nemmeno negare che il lavoro abbia questi scopi di sostentamento, di sviluppo della persona, ma non va altresì trascurata la possibilità che ciascuno ha di conferire al proprio guadagno ottenuto grazie al lavoro, un contenuto non egoistico.

Ciascuno infatti può attribuire al guadagno stesso una pluralità crescente di fini cominciando certamente dal proprio gruppo familiare (lì sono i primi prossimi), ma non esaurendosi lì, aprendosi anzi alla vasta gamma delle esigenze che lo circondano, di altre persone, di gruppi, di opere sociali, dell'intera comunità nazionale ma anche, perché no, di quella mondiale. L'uomo si realizzerà nel lavoro tanto più quanto si prenderà coscienza dell'aspetto sociale del lavoro stesso e lo vivrà e svilupperà con impegno concreto esteriore e interiore.

L'aspetto sociale è dato dal fatto che si lavora con gli altri e si lavora anche per gli altri. Lavoro con e lavoro per sono due dimensioni della socialità del lavoro. La prima, è più intuibile anche se necessita continuamente di essere rilanciata ; è qui posta l'enfasi sull'importanza non solo della dimensione spirituale, ma anche di quella economica, sociologica delle cellule d'ambiente. Se non funziona la cellula d'ambiente anche il mondo del lavoro diventa un mondo arido, dove ognuno rimane solo con i suoi problemi.

Relativamente al lavoro per il concetto non dovrebbe essere completamente nuovo, ma spesso si rischia di fermarsi a considerare esclusivamente il per che giunge all'altro dentro la famiglia trascurando il fatto che gli conferisce un vero contenuto sociale solo il per che scavalchi i piccoli muri domestici. A questo riguardo è interessante una considerazione d carattere sociologico proposta da Sorgi il quale sottolinea che << questa dimensione amplissima del per c'è già nei fatti anche se noi non lo sappiamo. C'è già un per che è una realtà fattuale ed è il per che indica i destinatari a cui giungono i prodotti del lavoro o i servizi offerti. In talune situazioni lavorative i destinatari il lavoratore li può vedere direttamente. Si tratta allora semplicemente di agire in modo che non ci si trovi di fronte solo una prestazione a pagamento, ma un vero rapporto da persona a persona da ambedue le parti >>[233]. In tante altre situazioni, come si può ben capire il lavoratore non vede in modo assoluto coloro ai quali giunge il "suo" prodotto. Il lavoratore non pensa a coloro cui esso deve giungere ma senza saperlo egli ha lavorato proprio per loro e allo stesso modo una parte del denaro che questi pagano, più o meno inconsciamente essi lo versano apposta per il lavoratore. In un oggetto, in un servizio, sempre al meno due persone si trovano ai due capi di un filo umano che li congiunge, pur vivendo acquirente e lavoratore spesso lontani e pur non conoscendosi ; si tratta di un filo reale, attraverso cui, con un minimo di "strategia dell'attenzione", i due possono farsi veramente prossimi.

Si può quasi concludere, senza eccessive forzature che tutti, in questo modo, siamo prossimi sconosciuti gli uni agli altri. Tra l'altro è necessario constatare che produttore e consumatore possono farsi veramente prossimi se il lavoro dell'uno e l'uso da parte dell'altro si caricano di significati morali con conseguenze non solo spirituali e morali fantasiose, ma anche pratiche, poiché l'attenzione al destinatario di un oggetto impegna il lavoratore nella qualità del produrre. Se a fondamento dell'agire del produttore c'è un profondo rispetto e amore per l'uomo, sapendo che l'oggetto prodotto viene utilizzato proprio da un uomo allora nel produrre si può mettere maggiore attenzione e amore in quanto questo atteggiamento è a vantaggio di un uomo.[235]

In tale atteggiamento di interiorizzazione e istituzionalizzazione da parte del lavoratore della destinazione del proprio lavoro e nell'immissione in esso, di conseguenza, della maggior carica possibile di socialità, di solidarietà umana, di vera e propria carità, c'è quello che lo stesso Sorgi ha definito "plus - valore umano"[236].

Si può ragionevolmente ritenere si tratti di un vero impagabile plus - valore del lavoro. E' questo, forse, ciò che libera il lavoro da ogni tentativo di mercificazione, il timore teorizzato da Marx, in quanto nessun salario sarà mai adeguatamente elevato per poterlo acquisire, nessun contratto di lavoro potrà mai misurarlo e regolamentarlo.

Ancora più profondamente si può notare come questi due momenti del lavorare per e del lavorare con possano ancor più essere elevati se inseriti in un contesto umano - divino ; si giunge in questo modo a lavorare con e per Dio. Il lavoro viene così ad assumere il senso della partecipazione alla creazione, come già anticipato. Secondo un ultima analisi evangelica poi, si lavora con e per altri. Secondo la Dottrina cristiana Gesù non soltanto è nel bisognoso, malato, affamato, ma in ogni altro essere umano. Questo per allora assume il significato di "per Gesù negli altri". Questa dimensione è stata definita sempre da Sorgi come il "plus - valore divino" del lavoro umano. Per convincersi meglio della valenza questa dimensione tanto nuova quanto sconcertante da credere, si cercherà di aiutarsi con una riflessione della Lubich, che fonde in unità indissolubile il binomio benedettino "ora et labora", che sembra a prima vista composto di due realtà distinte. Riflettendo con cura, si ricava da questo motto che anche il lavoro nel suo senso più profondo può essere assunto al rango di una forma di preghiera, come si è cercato di spiegare fino ad ora. Del resto poi, per lo stesso San Benedetto, il lavoro doveva assurgere a tale valore se, nella sua regola impegna a considerare gli arnesi di lavoro con la stessa venerazione dei vasi sacri dell'altare.[237] Se sono sacri gli arnesi del lavoro lo è anche lo stesso lavoro, in conclusione.

Si può concludere allora il paragrafo affermando che l'ideale cristiano - ma non solo - da perseguire nel mondo del lavoro è quello della fraternità attuata in termini di rispetto alla dignità umana di tutti.[238] Sul carattere ascetico e il valore soprannaturale del lavoro, si vuole riportare una pagina di S. Geltrude la Grande (1256 - 1302), tratta dal libro degli Esercizi. In essa la grande mistica si sente dire da Gesù : << Mi è indifferente vedervi applicate agli esercizi spirituali, oppure al lavori esterni ; è l'intenzione che mi da la misura del merito. Se avessi preferito d'essere servito nella pace della preghiera, avrei riformato la natura umana in modo da non avere essa bisogno né di cibo, né d'altra cosa necessaria alla vita ; ma dai travagli dei miei amici, ritraggo profitto maggiore. Io mi compiaccio pure di altre occupazioni utili e variate che hanno per fine l'nor mio, e che mi invitano a dimorare con gioia fra i figli degli uomini. Sono appunto questi lavori manuali che danno occasione agli uomini di praticare maggiormente la carità, la pazienza, l'umiltà e le altre virtù >>[240].

Questa realtà è posta in evidenza anche dall'esperienza, senza dubbio ancora minuscola, seppure già diffusa in tutti i continenti oramai e in continuo sviluppo nei documenti del magistero ecclesiale, di molte persone e imprese che vivono il progetto dell'E.d.C., indipendentemente da ogni confessione religiosa, perché i valori etici sono assoluti e quindi imprescindibili per chiunque, anche se in diversi modi talvolta, credenti o atei indistintamente, purché non si desideri rimanere agnostici o apatici per scelta.



Con Le Chapelier, 1791.

Masini Carlo, Lavoro e risparmio economia d'azienda, Unione tipografico - editrice torinese 1977.

Pensieri di Masini C, il quale cita Spaltro E., Appunti di psicologia sociale del lavoro, Milano, 1966, due volumi (VOL. II, pp. 141, 169, 170, 172, 173).

Ibidem.

Cfr. Summa Theol., I - II, q. 57, aa. 3, 4.

Poco più avanti nel capitolo si cercherà di essere più espliciti, riportando anche precisi riferimenti biblici.

Si tratta del Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, che sarà succintamente presentato nella sezione successiva.

Una conferma di quanto detto sembra la si possa trovare nell'osservare che gli opera devono sempre più specializzarsi mentre gli specialisti, i tecnici, devono al contrario svolgere talora anche mansioni prettamente manuali.

Si noti la significativa analogia con quanto affermato in precedenza allorché si è riportato il pensiero di Maccobby (cap. 1 § 3) concernente le qualità della mente (iniziativa, senso di cooperazione, flessibilità, sangue freddo in condizioni di stress) e quelle del cuore (onestà, cordialità, compassione, generosità, idealismo) a suo avviso indispensabili per il management, mentre le aziende moderne tendono piuttosto a stimolare il carrierismo.

Si confronti la sezione uno.

Si noti l'analogia col pensiero di Masini, che conferma la complessità della natura umana.

Chiara Lubich, Economia e lavoro nel Movimento Umanità Nuova, in Atti del convegno Il lavoro e l'economia oggi nella visione cristiana, Roma 1984.

Vangelo secondo Matteo, 19, 29 - 30; si confrontino anche il Vangelo di Marco, 10, 29 - 30, e di Luca 18, 29 - 30 ; La Sacra Bibbia, edizione ufficiale della CEI.

Ibidem.

Ibidem.

Tommaso Sorgi, Il lavoro nell'Economia di Comunione.

Espressioni e concetti proposti da Tommaso Sorgi, Economia e lavoro per l'uomo, in "Atti del convegno" 1984, si veda anche Id. Costruire il sociale, in "Città Nuova", Roma 1991, pp. 121 - 123.

Questa dimensione del per nell'E.d.C. si sviluppa ancora di più perché, come si mostrerà poi, anche gli stessi utili aziendali sono devoluti a vantaggio di bisognosi che devono sollevarsi dalla propria indigenza ;Tommaso Sorgi, Economia e lavoro per l'uomo, in "Atti del convegno", 1984.


Regola di San Benedetto, C. 31, in Gregorio Magno, Vita di San Benedetto e La regola, Città Nuova, Roma, 1981, 3° ed., p. 201.

Cfr. Il lavoro, enciclopedia a cura di L. Civardi e P. Pavan, Roma, ed. Coletti, 1963. Tale dimensione del rispetto reciproco, della dignità di tutti vale comunque non solo in ambito cristiano, e si ricordi quanto scritto nell'ambito dei doveri del management a riguardo, cap. 1 § 3.

Cfr. anche A. Negri, Filosofia del lavoro, Storia antologica in 7 volumi, con studi introduttivi, Milano, Marzorati ed ; sulla concezione tomasiana del lavoro e le sue dimensioni umane, cfr. Ph. Delhaye, Quelaques aspects de la doctrine thomiste et néothomiste du travail, in "Esprit et Vie", 1989, n. 1, pp. 1 - 10


S. Geltrude la Grande (1256 - 1302), tratto dal libro degli Esercizi L. III, c.69.

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