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E allora la cina É un pericolo o una risorsa?




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E ALLORA LA CINA É UN PERICOLO O UNA RISORSA?


L'economia cinese gode oggi di 'fon­damentali' particolarmente solidi, di un mercato del lavoro favorevole alle imprese, di una finanza pubblica sana e di un risparmio crescente da parte delle famiglie, ma soprattutto, per la prima volta in Cina, c'è la pos­sibilità di spendere il cosiddetto po­tere di acquisto, che induce ad ac­quistare prodotti anche se non sono proprio di primaria necessità. Certo, il potere d'acquisto del cinese medio è ancora molto basso, ma dal 1978 il reddito pro-capite della popolazione urbana cresce all'in­credibile tasso medio annuo del 14%. In altre parole, l'emergere della classe media - e il con­temporaneo sviluppo del credito al consumo - stanno facendo lievitare la domanda interna. Basti pensare che, soltanto nel 2003, in Cina le vendite di auto sono aumentate del 75%. E il poten­ziale del mercato delle auto è altissimo, se si considera che in Cina vi sono solo 15 auto per 1.000 abi­tanti, rispetto alle 700 auto per 1.000 abitanti degli Stati Uniti.




Alcuni si sono accorti di queste necessità del mercato cinese e le hanno sapute sfruttare, altri hanno preferito la via più facile e comoda delle semplici lamentele nella speranza che la Cina sparisse da un giorno all'altro.


Bisogna però tener conto di alcune difficoltà che gli investitori stranieri possono incontrare.

Il mercato cinese è tutt'altro che unitario e omogeneo. In Cina vi sono 31 pro­vince, 656 città, 48mila distretti, 7 lingue e 80 dialetti. Clima, geografia, reddito, educa­zione e stile di vita variano enormemente, dalle gelide province del nord a quelle semi-tropicali del sud. Il mercato urbano e quello rurale sono nettamente distinti e le infra­strutture di trasporto sono molto arretrate. Tutto ciò rende difficile per le società straniere promuovere e distribuire i propri prodotti su scala nazionale.

Il contesto competitivo è particolarmente agguerrito, non solo per la presenza di quasi tutte le principali multinazionali, ma anche per l'emergere di nuove imprese nazio­nali (favorite dai cinesi).



Altro ostacolo incontrato dalle società straniere che investono in Cina riguarda le leggi e la burocrazia. Oltre alle marcate differenze culturali e di mentalità, gli stranieri devono far fronte a un apparato burocratico inefficiente, a un sistema legislativo ambiguo e scar­samente applicato e a una diffusa corruzione dei pubblici funzionari.

Gli investitori stranieri che sono sbarcati in Cina attratti dalle enormi potenzialità del suo mercato interno fanno dunque fatica a realizzare profitti. Risultati ben più positivi ven­gono invece raggiunti dalle società che hanno investito per beneficiare del basso co­sto della manodopera cinese nella produzione di componenti o beni per l'esporta­zione. Alcune multinazionali, al fine di ridurre i costi in maniera più radicale, stanno addi­rittura pensando di trasferire in Cina le linee di produzione più avanzate e le attività di ri­cerca.


Per mantenere un forte richiamo nei confronti degli investitori stranieri e prolungare così il mira­colo economico degli ultimi anni, il governo cinese dovrà modernizzare il sistema legale e burocratico, prendendo esempio dalla sua provincia più efficiente - Hong Kong. L'ex colonia, infatti, avendo ereditato le regole commerciali della tradizione britannica, ha raggiunto standard di trasparenza più che accettabili per l'investitore straniero.


Errori comuni


Vi sono molti luoghi comuni ed una certa diffidenza nei confronti della comunità cinese. L'immagine data dai media è di una Cina convertita ai principi dell'economia di mercato che in­carna l'immagine di un ordine capitalista globalizzato guidato dal must del "profitto ad ogni co­sto", noncurante dei principi democratici più elementari, del rispetto dei diritti dell'uomo e delle condizioni di lavoro dei salariati.

Colpevolizziamo la Cina per essersi trasformata in leader eco­nomica d'un mondo senza regole, visto che immette nel mer­cato internazionale prodotti a prezzo irrisorio, ma non dob­biamo dimenticarci che molte di queste industrie che utilizzano la manodopera cinese con condi­zioni di lavoro inaccettabili sono in realtà aziende basate su capitali occidentali.

Esempio: la fabbrica di scarpe Timberland, impiega i suoi 4.700 operai (l'80% dei quali sono donne) e un numero impre­cisato - ma comunque significativo - di bambini per un salario di quarantacinque centesimi all'ora, sedici ore al giorno. Anche la Puma fa lavorare i suoi dipen­denti sedici ore al giorno con­cede "addirittura" un giorno di riposo ogni due settimane.


Ma la paura della Cina è infondata anche per un altro motivo: a mio parere un'economia cinese forte porta vantaggi notevoli anche alle economie occidentali. La Cina, infatti, non è solo un'ambita e vantaggiosa meta di outsourcing per chi produce beni di largo consumo, come scarpe da tennis o magliette: con il suo miliardo e trecento milioni di abitanti, il Paese rappre­senta anche uno dei mercati più appetibili per le merci europee.  
Cè anche da considerare che la Cina deve la sua crescita alla produzione di beni industriali classici, mentre oggi il più alto potenziale di guadagno è offerto dall'erogazione di servizi: e questo proposito l'Ue supera di diverse lunghezze la Cina, in quanto dispone di un più alto livello di istruzione e può concentrarsi sempre di più sulla produzione di beni immateriali, in settori come la consulenza o l'informatica. È importante, allora, che l'Europa acceleri ancora lo sviluppo di questo settore: in questo modo gli scambi con la Cina si tradurranno in maggiore produttività e prezzi più bassi.





La Cina può esportare nell'Ue merci a basso costo e, in cambio i Paesi dell'Unione possono trarre vantaggio dalla liberalizzazione finanziaria che sta lentamente prendendo piede in Cina.
Sebbene i produttori europei di beni non di lusso non ne siano contenti, venditori al dettaglio e consumatori europei sono entusiasti del numero crescente di prodotti cinesi che sta entrando nel loro mercato, semplicemente perché il prezzo offerto dalle aziende cinesi è imbattibile. Inol­tre, il boom economico cinese comporta che marche prestigiose come Gucci, Armani e Chanel avranno la possibilità di offrire alla ricca classe emergente cinese gli articoli di lusso europei. Le città più importanti della Cina sfoggiano centri commerciali che offrono prodotti originali delle migliori marche, destinati ai nuovi ricchi e la loro crescente richiesta di articoli di qualità.


La Cina è ancora molto lontana dai livelli occidentali

è ora di equilibrare, non di invidiare


Il mercato tessile

Molte catene di distribuzione europea (quali Zara, H&M, Marks & Spencer, .) commissionano alla Cina lotti grandi lotti di produzione. Realizzare pro­dotti in paesi asiatici per abbassare i costi di pro­duzione è una pratica che fa sì che questi grandi marchi siano tra quei pochi del settore tessile che non si vedono danneggiati dalla valanga dei pro­dotti cinesi.


Ad un altro livello, invece, la situazione non è poi così positiva. Le piccole e medie imprese del set­tore delle confezioni in Paesi come Italia, Francia, Grecia e Portogallo, vivono brutti momenti. E la crisi non ha certo vesti nuove: già da diverso tempo si vive questa recessione, ma gli effetti della liberalizzazione ne hanno aumentato gli ef­fetti.

Le stime della perdita dei posti di lavoro in questi Paesi sono raggelanti: la Francia ne perderà 7.000, la Spagna 70.000 e l'Italia 200.000.





Il settore tessile e delle confezioni, uno dei pilastri dell'economia italiana, soffre di una grave crisi, ac­centuata dalla liberalizzazione del settore e dall'emergere del made in Chinitaly: ossia quei pro­dotti di bassa qualità o imitazioni che gli stessi cinesi immigrati fabbricano in Italia. Ora, la lotta dell'Italia si concentra sull'etichetta e sulla specificazione dell'origine geografica dei capi di abbi­gliamento, requisito considerato fondamentale per offrire una maggior trasparenza.

Chi non ha adottato la politica dell'outsourcing o dell'apertura di mercati al continente asiatico, non ha altra possibilità che sforzarsi di offrire un prodotto differente e di qualità più alta rispetto al prezzo, così da poter competere con i prodotti confezionati. Su questa linea si rileva la neces­sità di sviluppare la ricerca nel settore tessile e proteggere la proprietà intellettuale sui prodotti tessili.

La Francia, che possiede la seconda industria tessile d'Europa, rifornisce con il 75 % della sua pro­duzione i Paesi dell'Ue. L'effetto dell'ingresso dei prodotti cinesi è evidente: perdita di quote di mercato con la conseguente diminuzione dei posti di lavoro.



Molti sono coloro che vedono la fine del mercato tessile europeo qualora non si promuovano dei cambiamenti immediati. La realtà è che questa è una crisi annunciata: già da dieci anni era pre­vista la liberalizzazione di questo mercato. Osservando il dinamismo economico cinese, era  pre­vedibile che si sarebbe generata questa valanga di prodotti tessili. Perciò è lecito pensare che le imprese europee del settore non si siano preparate sufficientemente per competere nel nuovo scenario internazionale.


La Cina è quindi un immenso mercato con delle peculiarità che la rendono un concorrente diffi­cile da superare. Quello che alcuni vedono come opportunità di affari, altri lo percepiscono come una grande minaccia. Quello che è certo, è che il volume della produzione cinese ha il potere di destabilizzare i mercati nei quali entra.

Nessuna medaglia ha però una faccia sola, come ogni cosa la Cina porta con se vantaggi e svantaggi. Tornando alla frase della seconda pagina di questa tesina, riprendo l'importanza di attrezzarsi per fronteggiare la situazione, cosa che si doveva fare già da molto tempo.

È importante, a mio parere, non limitarsi alla solite lamentele ma affrontare il "problema" se così può essere chiamato; è importante guardare in faccia alla realtà senza nascondersi dietro luoghi comuni o facili convenzioni; è importante osservare la situazione, analizzarla, per poter evitare i danni che questo Paese può arrecare alle nostre economie, ma anche per capire che non di soli danni si tratta.


Con questa tesina ho cercato di analizzare alcuni aspetti della Cina: riconosco per prima i limiti della ricerca, che altrimenti sarebbe risultata infinita. Forse prorio per il fatto che la mia visione della Cina è ancora ristretta, le opinioni sopra scritte possono risultare facilmente attaccabili o poco condivise. L'importante è però non continuare a negare l'importanza di questo Paese.















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