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Persone fisiche e persone giuridiche




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Persone fisiche e persone giuridiche


A. Persone fisiche.

1. Persona umana e soggetto. La persona fisica è l'uomo considerato nella sua individualità e nel rapporto con gli altri. Ci sono due correnti di pensiero: la prima discorre indifferentemente di persona, soggetto, uomo, individuo; la conseguenza è che ogni essere umano vivente è persona e quindi soggetto di diritto.

Meno diffuso, invece, è l'orientamento che, ravvisando l'esistenza di differenti ambiti di incidenza per il soggetto e per la persona, propone di tenerli separati.

Il soggetto giuridico è il titolare di situazioni soggettive; possono essere soggetti giuridici non soltanto le persone fisiche, ma anche gli enti.

2. Capacità giuridica. Soggettività. Personalità. La capacità giuridica è l'idoneità di un individuo ad essere titolare di situazioni soggettive.

La soggettività è la qualità del soggetto giuridico e fa parte dei diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 cost.), riconosciuti e garantiti.

L'appartenenza al genere umano costituisce requisito necessario e al tempo stessosufficiente ai fini del conferimento della soggettività e non sono ammesse distinzioni di sorta tra individuo e individuo (art. 3¹ cost.).

La personalità è l'aspetto dinamico garantito nel suo pieno e libero svolgimento.

3. Nascita ed esistenza. La capacità giuridica si acquista con la nascita ed è richiesto non solo che il feto si stacchi dal grembo materno, ma che l'individuo nasca vivo.

La legge dichiara capace di succedere per causa di morte anche i concepiti al tempo dell'apertura della successione (art. 462¹ c.c.) e li considera capaci di ricevere per donazione (art. 784¹ c.c.). Anche il pasciuto non concepito può ricevere per testamento o per donazione, purché si tratti di figlio di persona vivente al momento dell'apertura della successione o del compimento della liberalità.

Non poche discussioni sono state avanzate nei riguardi del problema dei nascituri e proprio con riferimento ai nascituri, l'esistenza di situazioni giuridiche soggettive ovvero di un centro di interessi più o meno complesso, che riceve tutela senza che esista attualmente un soggetto, induce a non considerare il soggetto di norma come elemento essenziale della situazione giuridica.

4. Residenza, domicilio e dimora. L'art. 43 c.c. definisce il domicilio, la residenza e la dimora.

Il domicilio (quid iuris) è costituito da un elemento intenzionale, ossia la volontà di costituire e mantenere in un luogo la sede dei propri affari, e da un elemento materiale, ossia che è proprio in quel luogo che il soggetto ha costruito la sede dei propri affari.

La residenza è la permanenza sufficientemente stabile in un luogo.

Quando parliamo di affari ed interessi, l'ordinamento non intende solo quelli di natura patrimoniale, ma anche quelli di natura personale, familiare e sociale.

La dimora è il luogo dove la persona si trova temporaneamente e occasionalmente.

Il soggiorno è la permanenza breve, ma non momentanea in un determinato luogo.

La scelta del domicilio e della residenza è libera, salvo specifiche disposizioni penali o di polizia. Il domicilio legale o necessario riguarda il minore e l'interdetto (art. 45 c.c.).

In particolare, il domicilio del minore va individuato nel luogo di residenza della famiglia; se non esiste residenza familiare, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive.

5. Scomparsa, assenza e morte presunta La scomparsa è l'allontanamento della persona dal suo ultimo domicilio o residenza con la mancanza di notizie.

Con tale dichiarazione viene nominato un curatore per tutelare i beni dello scomparso da parte del tribunale (art. 48 c.c.).

Dopo due anni dalla scomparsa, per domanda degli eredi o di chi vanta dei diritti sui beni dello scomparso, il tribunale dichiara lo stato di assenza (art. 49 c.c.).

A questo punto viene eseguita la ripartizione dei beni agli eredi, i quali però, non possono disporne liberamente, e quindi alienarli, ipotecarli, darli in pegno, ecc. (art. 52 e 54 c.c.).

Il coniuge dello scomparso non può impugnare il matrimonio finché dura l'assenza (art. 117³ c.c.).

Nel caso che lo scomparso ritorni, oppure ne sia provata l'esistenza in vita, gli è dovuta la restituzione dei beni da parte dei possessori (art. 56 c.c.).

La dichiarazione di morte presunta presuppone la scomparsa di un soggetto di almeno 10 anni (art. 58 c.c.).

In caso di catastrofi o eventi naturali, questa dichiarazione è pronunciata dal tribunale, su istanza degli eredi e dei parenti, dopo tre anni dall'evento naturale (art. 60 c.c.).

Con questa dichiarazione gli eredi prendono possesso dei beni del presunto morto e il coniuge può contrarre nuovo matrimonio (art. 65 c.c.).



Nel caso il morto presunto ritorni o ne sia accertata l'esistenza in vita, gli eredi sono tenuti alla restituzione dei beni nello stato in cui si trovano e di pagargli i beni alienati, e può pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte (art. 66 c.c.).

Il nuovo matrimonio è dichiarato, su richiesta di entrambe le parti, annullabile, ma i figli sono considerati legittimi (art. 68 c.c.).

6. Morte e commorienza.

La morte produce l'estinzione della persona fisica e determina la cessazione della sua capacità. L'accertamento della morte è stato definito dall'ordinamento come la "cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo".

La commorienza è la morte simultanea di due o più persone; è pronunciata quando non si può stabilire chi sia morto prima e chi sia sopravvissuto per ultimo (art. 4 c.c.).

7. Capacità di agire.

La capacità di agire è l'idoneità del soggetto a svolgere attività giuridica per il perseguimento dei propri interessi, per modificare la propria sfera giuridica e per esercitare diritti e doveri.

La capacità giuridica è il profilo statico dell'uomo come portatore di interessi; la capacità di agire è il profilo dinamico dell'uomo come operatore giuridico, protagonista attivo.

La capacità di agire si configura in due aspetti fondamentali:

la relatività, è l'esclusione o la limitazione della capacità di agire per presupposti al tipo di atto o corrispondenti a precisi scopi: l'incapacità del minore e degli interdetti giudiziali e legali (art. 1441 c.c.);

l'età; il legislatore ha diviso l'età in minore età e maggiore età, maggiore età che si raggiunge con il compimento del 18° anno e permette l'acquisto della capacità di agire. Numerose sono le capacità speciali che si acquistano prima della maggiore età: si pensi soprattutto alla capacità in materia di lavoro (art. 2² c.c.). Il problema, semmai, è di individuare il momento dal quale il minore può affermare le proprie esigenze, sviluppare liberamente la propria personalità, talvolta anche in contrasto con le vedute dei genitori (art.30 cost.; artt. 147, 315 ss c.c.). Si parla, quindi, della cosiddetta capacità di discernimento, intesa come capacità di scelta e di razionalizzazione.

L'interprete deve stabilire se il minore, con riferimento al singolo tipo di attività, abbia oppur no le facoltà di discernimento, al punto tale da assumere la decisione con adeguata consapevolezza. I criteri guida sono l'interesse oggettivo del minore, valutazione unitaria della sua condizione e l'eguaglianza agli adulti nel suo ruolo di persona.

8. Minore età e potestà dei genitori.

L'ordinamento attribuisce il potere - dovere di potestà al genitore sul minore.

È un potere-dovere perché il genitore può sì esercitare il potere sul minore riguardo i suoi beni, ma ha il dovere di operare per gli interessi dello stesso minore, senza abusarne (artt. 320, 330 e 333 c.c.); questa potestà influisce anche sulle scelte del minore.

Tale potestà, comunque, è elastica, cioè i genitori nei primi anni di vita la esercitano in pieno, poi si affievolisce con la crescita, fino a sparire con la maggiore età.

Quanto ai diritti di libertà, si individuano due profili, uno interno e l'altro esterno.

Sotto l'aspetto esterno, cioè quello dei rapporti che il minore ha con i terzi, non sussistono eccessive difficoltà per il riconoscimento allo stesso della titolarità e dell'esercizio dei diritti richiamati; nel rapporto interno, cioè tra genitori e figli (educazione), l'esercizio dei diritti di libertà da parte dei figli trova pesanti limiti nella potestà dei genitori (es: scelta del lavoro (art. 4 cost.), libertà di professare una fede religiosa (art. 19 cost.), ecc.).

La conseguenza è che esclusivamente ai genitori spetta la scelta dell'indirizzo educativo, professionale e culturale della prole.

All'orientamento descritto si contrappone una diversa visione che considera il minore come soggetto di diritto e come oggetto della potestà dei genitori.

Il minore è persona e merita la tutela dei suoi diritti fondamentali e inviolabili.

Considerarlo soggetto di diritto significa consentirgli di effettuare in piena autonomia le scelte che concernono la sua persona, beninteso quando si producano le condizioni per una consapevole decisione (capacità di discernimento).

9. Tutela e curatela. La tutela è ufficio di diritto civile surrogatorio alla potestà dei genitori, in quanto esercita questo potere in mancanza dei genitori e in modo più limitato.

Il tutore è nominato dal giudice tutelare del tribunale del circondariato del domicilio del minore. I presupposti sono che i genitori o manchino, o sono morti, o sono interdetti, o sono impedititi nell'esercitare la potestà.

I compiti del tutore sono di assicurare l'istruzione e l'educazione del minore, e di curare anche i suoi interessi patrimoniali (art. 357 c.c.); il tutore non tenuto, però, al suo mantenimento e, senza l'autorizzazione del giudice tutelare, non può compiere taluni atti, come l'acquisto di beni, la riscossione di capitali, l'accettazione di eredità (art. 374 c.c.).



Il protutore, rispetto al tutore, è un organo ora complementare, ora sostitutivo e sussidiario.

L'unica forma di emancipazione è quella legale, riconosciuta dal tribunale all'ultrasedicenne che contragga matrimonio prima della maggiore età (art. 390 c.c.).

Il minore è affiancato da un curatore, il quale ha il compito di giudicare adeguate le scelte del minore che si limitano agli atti di ordinaria amministrazione (art. 394 c.c.).

La mancanza della dichiarazione del minore comporta la nullità dell'atto; la mancanza della dichiarazione del curatore comporta l'annullabilità.

Il compito del curatore è di valutare che l'atto scelto dal minore sia adeguato per i suoi interessi. Il minore non può rifiutare il consenso del curatore, ma può richiedergli una verifica o una modifica.

Ci sono casi in cui il tribunale ritenga il minore capace di fare le proprie scelte come amministrare un'impresa; in questo caso il tribunale, in accordo con il curatore, ritiene il minore emancipato capace di svolgere gli atti di straordinaria amministrazione (art. 397 c.c.).

Gli organi della curatela sono: il giudice tutelare, il tribunale e il curatore, il quale (curatore), a differenza del tutore, non ha poteri di amministrazione, di rappresentanza e di cura del minore; il suo compito è di prestare il suo assenso agli atti compiuti dal minore.

10. Infermità mentale. L'interdizione giudiziale è causa impeditiva dell'acquisto della capacità di agire, quando la pronunzia avviene nell'ultimo anno della minore età (art. 416 c.c.) ed è causa estintiva della capacità se pronunciata dopo il raggiungimento della maggiore età (art. 414 c.c.).

L'interdizione legale è la perdita della capacità di agire ed è vista come pena accessoria a carico del condannato all'ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni.

L'infermità mentale è un'alterazione delle facoltà mentali, tale da dar luogo ad un'incapacità totale di provvedere ai propri interessi.

Per l'esistenza dell'infermità di mente non è necessario che ricorre una definita malattia mentale, ma è sufficiente che sussista il decadimento e il turbamento etico-sentimentale che compromettono l'esistenza del soggetto.

Condizione importante è l'abitualità, intesa come durevole purché non si preveda quando la guarigione potrà avvenire; essa non deve essere confusa con la continuità: l'esistenza di lucidi intervalli non è di ostacolo alla pronunzia di interdizione.

L'inabilitazione è la perdita parziale della capacità di agire, pronunciata per evitare effetti pregiudizievoli dell'attività negoziale.

La richiesta è fondata su pregiudizio riguardante fatti non ancora verificatisi o su pericoli patrimoniali derivanti dalla prodigalità del soggetto.

L'importanza essenziale nella fase istruttoria riveste l'esame diretto dell'interdicendo o dell'inabilitando da parte del giudice, tanto che questo non può nominare il tutore o il curatore provvisorio senza prima aver esperito tale esame (art. 419 c.c.).

Gli atti dell'interdetto sono annullabili quando compiuti senza la rappresentanza dl tutore; gli atti dell'inabilitato sono annullabili senza la presenza del curatore (art. 427 c.c.).

11. Incapacità di intendere e di volere. L'incapacità naturale s'identifica nell'inadeguata capacità di intendere e di volere l'atto che si sta compiendo.

L'annullabilità dell'atto è prevista quando negli atti unilaterali si dimostra un grave pregiudizio dell'incapace; nei contratti è prevista quando si dimostra la malafede dell'altro contraente (art. 428 c.c.).

L'incapacità naturale provoca e giustifica le pronunzie giudiziarie di interdizione o di inabilitazione dalle quali deriva l'incapacità di agire totale o parziale.

Le cause dell'incapacità naturale sono non soltanto turbamenti della psiche, ma anche tutto ciò che può alterare la sfera affettiva ed emozionale dell'individuo, tanto da privarlo, transitoriamente, della capacità naturale.

La prova è rigorosa e specifica e deve ritenere fatti obiettivi; la valutazione di essa è svolta dal giudice.

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