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La riforma penitenziaria




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LA RIFORMA PENITENZIARIA


1. Introduzione ai concetti di trattamento e di rieducazione




La legge 26 luglio 1975, n. 345, Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà[1] si impose grazie all'introduzione di diversi concetti innovativi: il superamento della segregazione, l'introduzione del lavoro remunerato, la specializzazione degli stabilimenti e il trattamento particolare per i minori.

Attraverso la sua introduzione, il concetto di pena (inteso come espiazione della colpa) scompare, ma al suo posto subentra il progetto di "riarticolare" i soggetti all'interno di una realtà completamente differente dalla precedente.

Inoltre, per la prima volta, la materia che si occupa degli aspetti applicativi delle misure penali, primitive e limitative della libertà, e le condizioni dei soggetti sottoposti all'esecuzione, vengono regolati da una legge ben precisa.

I concetti fondamenti della riforma si basano sull'idea di "trattamento" del detenuto e sulla sua "rieducazione".

Con l'espressione "trattamento" si indica una terapia di riadattamento sociale. Questo termine, però, era già emerso in passato all'interno delle Regole Minime stabilite dall'O.N.U.[2].

All'interno dell'art. 1[3], il concetto viene utilizzato indistintamente parlando di trattamento penitenziario, trattamento e trattamento rieducativo.

In realtà esiste una sottile differenza tra gli ultimi due termini: mentre l'espressione trattamento viene utilizzata per parlare degli internati e dei condannati, l'altra si riferisce ai soggetti detenuti in generale.

Questa differenza ha un preciso valore: in questo modo il legislatore ha voluto esprimere l'idea che l'imputato non deve essere trattato fino alla sua condanna definitiva.

Per quanto riguarda, invece, il concetto di rieducazione del soggetto, l'obiettivo è orientato verso il futuro, ovvero verso quei momenti in cui il detenuto tornerà libero.

Il primo articolo della normativa permette di evidenziare diverse condizioni al suo interno: innanzitutto, si ribadisce il concetto di rispetto verso la dignità della persona, espresso all'interno dell'art. 27 della Costituzione[4], articolo su cui si fonda tutta la legislazione penitenziaria. Inoltre, si ritrova la riaffermazione dei principi di non discriminazione dei detenuti. Infine, l'ultimo comma sottolinea due questioni importanti: l'importanza dei contatti esterni, al fine di un miglior trattamento del detenuto, e il criterio di individualizzazione (criterio analizzato in dettaglio nell'art.13 ).




2. Il percorso del detenuto


Le questioni relative al trattamento e alla rieducazione del detenuto vengono trattate in diversi articoli dell'ordinamento penitenziario, tra i quali l'art. 13, 14 e 15[6].

Alla base di questi due concetti ritroviamo alcuni strumenti che il legislatore ha definito al solo scopo di trovare un modo per facilitare il reinserimento del detenuto: i contatti con l'esterno e le attività ricreative e lavorative.


2.1. Il "gruppo" e l'osservazione


L'art. 17[7] sancisce l'importanza dei contatti tra il mondo carcerario e l'esterno: la figura dell'operatore penitenziario si pone come punto intermedio tra questi due mondi.

Al fine di realizzare gli obiettivi previsti dalla normativa, le figure che si prestano ad aiutare i detenuti fanno parte di un gruppo, definito "équipe": gli articoli 28 e 29 del regolamento esecutivo stabiliscono gli aspetti dell'organizzazione strutturale, e la qualità degli operatori, oltre a discutere attentamente sull'attività di osservazione indirizzata alla formulazione del programma di trattamento e alla sua revisione.

Del «gruppo» fanno parte: il direttore dell'istituto (che presiede il gruppo, e sotto la sua responsabilità vengono svolte le attività di osservazione), l'assistente sociale, altre figure non indicate espressamente nella normativa, ma la cui presenza può essere utile (un medico, un rappresentante di custodia,.). Tra il personale "non dipendente" dell'Amministrazione, invece, si richiede la presenza di uno psicologo o psichiatra

Il ruolo dell'équipe è quello di osservare il soggetto e di arrivare ad una visione delle sue esigenze e dei suoi problemi: la valutazione in questione (che costituisce la base del programma di trattamento), comprende tre aspetti:

La comprensione degli avvenimenti che hanno segnato il passato del soggetto, i suoi problemi personali o familiari;



La comprensione di come il soggetto si percepisce nel presente, ovvero come giudica se stesso e le sue capacità;

La comprensione del soggetto verso il futuro, e l verso le possibilità che il sistema penitenziario è in grado di offrirgli.


Una volta stabiliti i principi del trattamento, il gruppo può riunirsi periodicamente per verificare l'operato del soggetto.





o        Il lavoro


Il lavoro rappresenta uno degli elementi portanti del processo di trattamento e rieducazione del soggetto.

Purtroppo, all'interno delle carceri il progetto di legge è restato fermo a causa del numero delle offerte piuttosto scarso, rispetto alle richieste dei detenuti. Di fatto, l'insufficienza di mezzi ha impedito che dal programma teorico si passasse all'attuazione pratica; in alcuni casi questo deficit di strutture e possibilità porta una forte rivalità interna tra i detenuti.


Il caso "Info12" a San Vittore


Il primo progetto di "telelavoro" all'interno di un carcere è stato realizzato a San Vittore: 30 detenuti (26 operatori e 4 supervisori) rispondono quotidianamente alle chiamate che arrivano al call center situato all'ultimo piano del sesto raggio.

Grazie ad un accordo tra il Ministero della Giustizia e Telecom Italia, Milano è diventata la prima città europea ad ospitare un'iniziativa simile.

I detenuti, radunati in cooperativa, si alternano su tre turni di 7 ore ciascuno; inoltre, il trattamento economico degli operatori di San Vittore è uguale a quello degli altri 2.500 dipendenti di call center.

Lo stesso presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera, spiega che "quello dei detenuti, sarà un normale contratto di lavoro e non attività assistita, anche perché  il recupero è anche fare qualcosa di normale' .

Orgoglioso e felice di questa iniziativa, Luigi Pagano, direttore di San Vittore, ha dichiarato che "Con il telelavoro inizia una nuova frontiera per il lavoro nelle carceri. Non a caso si inizia da qui: un penitenziario che non è certo un paradiso ma che non ha mai considerato la situazione difficile in cui versa, un alibi per restare inerte".

E dopo questo esperimento, il ministro Castelli ha annunciato l'avvio di un nuovo progetto per introdurre l'università in carcere, e nuovi investimenti: "Sono tre i presupposti per garantire il rispetto del dettato Costituzionale sulla rieducazione in carcere: la professionalità degli addetti, che è altissima; la garanzia di ambienti degni, e il governo sta facendo molto: sono in programma 23 nuovi penitenziari per una spesa di oltre duemila miliardi di lire con progetti già avviati e fondi già stanziati; e la possibilità per i detenuti di studiare o lavorare per potersi attrezzare e preparare alle sfide della vita'.


Colloqui, corrispondenza e informazione


L'art. 18 completa il quadro degli strumenti di contatto fra l'ambiente carcerario degli istituti penitenziari e quello esterno, affrontando l'argomento dei colloqui, della corrispondenza e dell'informazione.

L'ordinamento penitenziario vede favorevolmente i colloqui tra familiari; il regolamento, poi, è stato esteso anche ai conviventi.

Il controllo è solo visivo (in quanto si è voluto garantire la riservatezza delle comunicazioni interpersonali, e si è voluto agevolare la spontaneità del rapporto fra gli interlocutori).

Tuttavia, bisogna precisare che la mancanza del controllo auditivo non implica che gli agenti non siano fisicamente presenti nei locali in cui si svolgono i colloqui. Per motivi di ordine e sicurezza essi possono essere presenti, garantendo in ogni caso l'esclusione al controllo auditivo. 

Un passo avanti si è fatto verso la censura della stampa: ogni forma, ora, è stata vietata. I quotidiani, o i libri, che vengono liberamente venduti all'esterno possono essere ricevuti e custoditi dai detenuti. Solo per esigenze di ordine e di spazio, il regolamento interno deve prevedere dei limiti quantitativi.




La legge è completata da un Regolamento di esecuzione, contenuto nel DPR 29 aprile 1976, n. 431, Approvazione del Regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 435, recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà. Questo Regolamento, in seguito, è stato sostituito dal Regolamento Penitenziario approvato dal Governo il 16 giugno 2000 diventato legge con il DPR 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.



Il termine lo si trova ancora prima all'interno del Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena del 1931, dove assumeva due significati: il primo specificava cosa doveva essere fornito al detenuto per la soddisfazione dei loro bisogni. Il secondo significato, invece, era molto più esteso e indicava il regime di vita degli istituti.

Inoltre, all'interno delle Regole Minime è stato dato largo spazio al concetto di trattamento: lo ritroviamo soprattutto nella Regola 65, la quale sottolineava che era importante "stabilire nelle persone la volontà di condurre dopo la liberazione una vita rispettosa della legge ed auto- sufficiente". Cfr. DI GENNARO G, BONOMO B., BREDA R., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, 1987, p. 26 e s.

L'articolo recita: "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti  devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativi che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno,al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti".

L'articolo recita: "La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla sua condanna.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra".

Per la lettura del suddetto articolo vedere "Allegati". Il primo comma dell'art. 13 definisce in modo esauriente cosa significa trattamento individualizzato: la definizione si rivolge sia al trattamento rieducativi dei condannati e degli internati in istituto, sia al trattamento degli imputati. Per i primi è prevista la procedura scientifica, mentre per gli imputati si deve chiarire in quale misura è possibile conoscere i loro bisogni.

Relativi rispettivamente all' "individuazione del trattamento", all' "assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli internati" e agli "elementi del trattamento". Per analizzare interamente gli articoli vedere gli "Allegati".

" Partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa".

Stralcio dell'intervista riportata su Repubblica del 25 novembre 200 Per visionare l'articolo vedere gli "Allegati"

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