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Diritto tributario




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DIRITTO TRIBUTARIO


Tributo: si caratterizza per la sua doverosità, per l'autorità della fonte da cui deriva e per la caratteristica di essere dovuto a prescindere che la Pubblica Amministrazioni esegua o no la prestazione a cui il tributo è collegato. Si dividono in Imposte e Tasse ma nella realtà le definizioni si intrecciano nelle varie fattispecie, in alcuni casi non è agevole classificare.




Imposte: entrate pubbliche slegate da un servizio pubblico, non hanno un collegamento. Fanno riferimento ai servizi indivisibili (scuola, sanità, esercito, ecc). Le imposte sono funzionali alla copertura di spese pubbliche.


Tasse: riconducibili ad un servizio specifico che la Pubblica Amministrazione svolge nei confronti di un soggetto, non è comunque il corrispettivo; la tassa è dovuta a prescindere dall'ottenimento del servizio: Fa riferimento ai servizi divisibili (tassa per occupazione di suolo pubblico, in questo caso la tassa è comunque dovuta se la P.A. dovesse effettuare dei lavori di sistemazione del manto stradale su detto suolo non permettendo all'esercente di usufruirne)


Tipologie di tributi:   - Tributi sul reddito: irpef, ires (imposta dirette)

- Tributi sul patrimonio: colpiscono il possesso di una ricchezza. l' ICI ad esempio colpisce una parte del patrimonio del contribuente. altri esempi sono bollo auto e canone Rai (imposte dirette)

- Tributi sui consumi: IVA ed Imposta di registro (imposte indirette)

- Tributi ambientali: non colpiscono una manifestazione economica, sono collegati all'inquinamento. E un tributo che colpisce il danno ambientale, una forma di risarcimento preventivo. Ampio sviluppo stanno avendo per la possibilità di essere facilmente gestiti a livello locale senza entrare in conflitto con la legislazione nazionale.


Tributi diretti: la capacità economica è immediatamente visibile nel presupposto. Imposte sui redditi e imposte sui patrimoni. (l'elemento economico è contenuto nel presupposto).

Tributi indiretti: il presupposto tributario, non civilistico, sta nella capacità economica di chi acquistare un bene (es l'IVA: la capacità contributiva sta nel fatto che se posso comprare possiedo una ricchezza sottostante).


Tributi di periodo: l'obbligazione si forma tenendo conto degli atti e dei fatti che si sono manifestati in un periodo

Tributi istantanei: si tiene conto del singolo atto, imposte di registro o imposte di bollo


Art. 23 cost.: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. (principio formale)

riserva relativa di legge (articolo 23 costituzione). il tributo deve essere imposto per legge come anche le agevolazioni. La riserva è relativa, la legge non dove determinare ogni aspetto del tributo ma solo gli elementi essenziali: il presupposto, i soggetti passivi, i criteri per la determinazione della base imponibile, aliquote e sanzioni. La normazione secondaria può poi intervenire nel dettaglio.


Art 53 cost.: tutti sono tenuti a concorrete alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. (principio sostanziale)


Altre caratteristiche in materia tributaria:

- escluso il referendum abrogativo per quanto riguarda le norme tributarie (articolo 75 della costituzione)

- principio di capacità contributiva (articolo 53 costituzione)

- escluso che con leggi di bilancio si istituiscano nuovi tributi

- alle regioni non è permesso istituire tributi sul reddito analoghi all'IVA. Può colpire situazioni collegate al territorio come ad esempio tributi patrimoniali non già esistenti a livello nazionale (tributi ambientali)


In Italia il legislatore ha optato per la tassazione non applicata alla ricchezza ma in base alla produzione di reddito. Così ad esempio il trovare una valigia piena di denaro non può essere considerato produzione di reddito, non è soggetto a tassazione.


LE FONTI (formazione della norma tributaria)


Rispetto della riserva di legge:


- Legge formale: di iniziativa parlamentare, passa l'esame delle commissioni alle camere. Viene approvata alla maggioranza. Nella prassi e oramai consolidato chiedere 'la fiducia' per l'approvazione.


- Decreto legislativo: dal parlamento parte la legge delega al governo. Il decreto legislativo viene poi portato alle camere per la sua approvazione.


- Decreto legge: molto comuni nella prassi. Sono atti posti in essere dal governo in caso di necessita o urgenza (regola ampliamente disattesa), devono essere convertiti in legge entro il termine di 60 giorni, se non superano ne frattempo l'esame del parlamento decadono fin dall'origine. Generalmente vengono reiterati fino ad approvazione.


Le fonti comunitarie: i regolamenti e le direttive

Le Direttive, o leggi quadro della comunità europea, sono molto importanti in materia tributaria, in qualche modo assimilabili alle leggi delega, le direttive hanno la stessa funzione, sono norme che indicano un tempo entro il quale il singolo stato deve recepire con propria legislazione le indicazione contenute. La direttiva in quanto tale non è atto avente forza di legge, non contiene disposizioni immediatamente applicabili nei singoli stato proprio perchè attende una legislazione a livello locale, in realtà oramai da fine anni '60 la corte di giustizia al fine di evitare un semplice aggiramento della direttiva, omettendone alcune parti, senza peraltro essere chiamato a responsabilità. E' oramai acquisito che se le direttive sono sufficientemente precise, il termine è scaduto e la loro attuazione non è condizionata a qualche evento, sono immediatamente applicabili (self executing), si trasformano da mera legge quadro, programmatica, a norma effettiva, normalmente la direttiva non è immediatamente esecutiva, avrebbe bisogno di attuazione. La legge nazionale deve essere conforme alle previsioni delle direttive comunitarie, le eventuali difformità della legislazione nazionale comportano l'illegittimità a livello comunitario; è lo stesso rapporto che si pone tra legislazione ordinaria e costituzione vi è tra legislazione ordinaria e norme comunitarie., nel primo caso l'illegittimità e decretata dalla corte costituzionale nel secondo è la corte di giustizia Cee. All'interno delle direttive comunitarie abbiamo altre direttive, non sufficientemente precise (non self executing), che lasciano ampi ambiti di scelta al legislatore nazionale.

Costituisce invece legislazione autonomamente efficace il Regolamento, veri e propri atti aventi forza di legge, disciplinano compiutamente e analiticamente la fattispecie, non necessitano di attuazione da parte del singolo stato, nascono immediatamente, ovviamente il singolo stato può intervenire a disciplinare il singolo aspetto ma ovviamente non può confliggere con il principio generale.



Non rappresentano vere e proprie fonti comunitarie le Convenzioni internazionali sono accordi fra stati aventi sostanzialmente natura negoziale che prevedono norme di distribuzione del carico fiscale, le convenzioni non servono per stabilire che un certo fenomeno è tassabile, partendo dal presupposto che un fenomeno è già tassabile si guarda dove: nel paese di residenza del soggetto, dove sia stato creato il reddito, in tutti e due, in nessuno. Sono accordi fra stati che in quanto tali hanno rilevanza non giuridica, diventano atti avente forza di legge con la legge di rattifica (nazionale) composta di due articoli, la fonte non è mai la convenzione è sempre la rattifica, la direttiva normalmente non è self executing, normalmente non ha forza di legge, ma è a presidio della coerenza della legislazione interna del singolo stato rispetto alla convenzione.


Efficacia delle norme tributarie nel tempo


L'abrogazione di una legge può avvenire in tre modi: per dichiarazione espressa del legislatore, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perchè la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore. (cessazione ex nunc)

In materia tributaria chiunque può sollevare un vizio di incostituzionalità davanti alla Corte Costituzionale, ciò però solo in via incidentale, quindi per procedimenti nati all'origine per altri motivi, il ricorso è gratuito. La Corte emana eventualmente sentenza di rigetto valutando non la norma in se stessa (in questo caso l'abrogazione della norma creerebbe un vuoto normativo) ma il rigetto colpisce l'interpretazione che gli è stata attribuita. La norma oltre al porre il problema sui rapporti sorti fino a quel momento c'è il rischio crei un vuoto. (cessazione ex tunc)


A) entrano in vigore a partire dal 15° giorno successivo alla pubblicazione nella gazzetta ufficiale, alcune eccezioni, es. i decreti legge entrano in vigore da subito

B) la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo, alcune eccezioni per quanto attiene i tributi che colpiscono fatti che si sono verificati in passato

C) in caso di successione di legge che possono creare problemi nel gestire situazioni poste in essere a cavallo tra la vigenza delle due norme in successione, il legislatore crea norme apposite 'diritto transitorio'.

D) 'applicazione Immediata' in genere le norme si applicano ai procedimenti che iniziano o che sono in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore. Spesso però si applicano solo ai fatti successivi.


INTERPRETAZIONE (della norma tributaria)


Il diritto tributario è un diritto di 'secondo grado' si appoggia, ha come fondamenta altri ambiti: si basa sul diritto amministrativo e su quello privato, le norme sono le stesse. Esistono le norme che afferiscono la diritto tributario ma non inventano nulla, si limitano a individuare le conseguenze fiscali di un fatto civilistico, al legislatore tributario non interessa in realtà cosa noi stiamo effettivamente facendo, parte dal presupposto che il contribuente ha posto in essere un'attività di diritto civile (affittato un immobile, una vendita) il diritto tributario non definisce i concetti ma le conseguenze, la problematica tributaria presuppone due problematiche da interpretare: il fatto civilistico e quello fiscale. Esempio: il presupposto dell'imposizione è il possesso del reddito, bisogna interpretare la parola possesso che in questo caso non è da considerare civilisticamente.

La non tassabilità è disciplina giuridica, in diritto tributario senza norma non si sà come disciplinare un fenomeno, spesso si utilizza, per coprire lacune, l'analogia.


Generalmente nel diritto è molto importante l'interpretazione letterale, le norme più sono brevi maggiore è la cura della parola, del termine utilizzato, sono norme che si prestano poco ad altre interpretazioni. In diritto tributario invece non è stata posta altrettanta cura da parte del legislatore, fermarsi al dato letterale quindi può essere non corretto o al contrario si può, vista la mancanza di cura, essere portati a sottovalutare il termine letterale. Può capitare nel nostro ordinamento di trovarsi di fronte ad una norma che si presti ad una doppia interpretazione, in alcuni casi la mera interpretazione letterale farebbe morire la norma, rendendola inutile, in questo caso è sempre preferibile accettare il significato che fa sopravvivere la norma, che la rende efficace, seppur stiracchiandone il significato. Dice poi la Corte Costituzionale che di fronte ad un'interpretazione, seppur coerente, che porti all'incostituzionalità della norma è sempre preferibile applicare alla norma stessa un'altra interpretazione che la renda legittima. E chiaro che in linea generale il giudizio di costituzionalità è un giudizio di diritto che spesso però porta a contemperare diverse esigenze, non è mai un diritto puro, è un giudizio più che altro politico, abbiamo sentenze che salvano norme perchè il giudice si trova ad affrontare il problema del diritto del contribuente e allo stesso tempo a dover salvaguardare un'entrata dell'erario.


La fonte dell'interpretazione: la fonte è la dottrina e la giurisprudenza, tendenzialmente arriva prima la dottrina ma ha un grosso limite per il lettore non esperto, molti danno interpretazioni ma pochi ne hanno veramente le capacità, il lettore non esperto non è in grado di discriminare. La giurisprudenza, più si va in gradi superiori maggiore è la rilevanza interpretativa. Caso particolare per quanto riguarda il diritto commerciale forte rilevanza ha il tribunale di Milano per quanto riguarda l'interpretazione. Il diritto tributario è caratterizzata da una alluvionale interpretazione dell'Amministrazione finanziaria con propri atti amministrativi:

- Circolari ministeriali: Non è richiesta di interpretazione, l'amministrazione di sua iniziativa vuole chiarire una determinata situazione. Atto meramente interpretativo, non ha forza di legge, rappresenta l'idea del creditore (l' Erario). Di solito, all'emanazione di una nuova legge fiscale, segue una circolare con il quale ne viene illustrato il significato agli uffici periferici.

- Risoluzioni ministeriali: sono interpretazioni richieste da parte del singolo contribuente, in relazione ad un fatto che il singolo contribuente evidenzia all'amministrazione. Le richieste e le risposte vengono pubblicate nelle riviste di settore

- Risposte agli interpelli: simili le risoluzioni, sono interpretazioni richieste dal singolo contribuente, pubblicate molto meno delle precedenti.

L'interpretazione dell'amministrazione non ha un valore particolare (non vincola ne i contribuenti ne i giudici), a differenza della sentenza rappresenta che invece è un precedente, un'interpretazione fatta da un soggetto imparziale. L'interpretazione dell'amministrazione tributaria invece è fatta da una delle parti, non imparziale, lo stato che è anche il creditore. L'interpretazione ministeriale non ha quindi una valenza privilegiata, rappresenta quindi solo un punto di vista, il contribuente si adegua, l'interpretazione può comunque essere cambiata nel tempo per vari motivi (persone diverse che interpretano in modo diverso, ignoranza delle norme da parte del ministero, ecc). La particolarità dell'interpretazione ministeriale è che l'adeguarsi è importante per il contribuente perchè permette la non applicazione delle sanzioni in caso di contenzioso, (art 10 comma 2 della delibera 212 del 2000, statuto del contribuente), si introduce il caso dell'obiettiva incertezza nell'interpretazione della norma,  è questa la ragione per la quale il mondo professionale è molto alla ricerca dell'interpretazione, perchè sa che adeguandosi alle indicazioni fornite dall'amministrazione nell'ipotesi peggiore si versa solo il tributo e non la sanzione o eventuali interessi.



Gerarchia delle fonti:

- La norma può essere abrogata da una sentenza di incostituzionalità

- Legge posteriore abroga legge precedente ove incompatibile

- Legge posteriore abroga la precedente ove indichi espressamente

- Solo una legge di pari grado ovviamente può abrogare precedente

- Unico caso in cui non è possibile applicare abrogazione e la legge speciale, in quanto tale può essere abrogata da un'altra legge speciale, non può essere abrogata per incompatibilità da una legge che non sia speciale



LO STATUTO DEL CONTRIBUENTE (legge formale della materia) Legge 212 del 2000


E' una delle pochissime leggi formali della materia tributaria (approvazione nelle camere seguendo l'iter regolare), è un'insieme di norme scritte nell'ottica di tutelare il consumatore, non sono norme sostanziali (non attengono all'imposizione, non dicono che qualcosa è tassabile), sono norme che riguardano il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente, che si sovrappongono a tutte le altre norme che esistono (procedimento, istruttoria, dichiarazione, ecc.) per costruire una serie di diritti per il contribuente, per bilanciare la posizione privilegiata del fisco che vede le norme a suo favore  (peraltro giusta nell'ottica del fatto che l'amministrazione non è a conoscenza della posizione reale del contribuente, parte svantaggiata, deve accertare). Alcuni elementi dello Statuto attengono all'aspetto formale, alla legittimazione, alla formazione della norma, non nel suo contenuto concreto, nella sua logica di essere norma di legge.

articolo 1, le norme possono essere derogate ma solo espressamente (possono essere retroattive solo se espresso, con la parola 'interpreta'), dal punto di vista interpretativo le norme successive devono essere comunque in conformità, non c'è abrogazione implicita, tacita. Non possono essere abrogate per incompatibilità, ci vuole un'abrogazione espressa con legge almeno di pari grado. I costituzionalisti affermano che le singole norme dello statuto sono leggi ordinarie ma hanno un contenuto di principio generale dell'ordinamento, la eventuale difformità della singola norma espressa non può essere stabilità dal legislatore senza giustificazione espressa, giustificata, conoscibile. Ove in una nuova norma emerga solo la deroga (.in deroga all'articolo.) la norma sarebbe incostituzionale in quanto irragionevole (articolo 3 della costituzione, norma che richiede una ragionevolezza), il legislatore eleva a principio generale un diritto. Per derogare (rendere retroattiva una norma) quindi il legislatore deve esprimerne la ragione che deve essere in linea con i principi generali. Molto importante il significato dell'articolo 1, i principi contenuti nello statuto non possono essere abrogati ed ogni interpretazione deve andare in quel senso, a costo di stiracchiare il significato letterale. Normalmente (come indicato nelle preleggi) una norma dispone solo per il futuro, fatti e fenomeni dal giorno della pubblicazione in avanti. Le disposizioni interpretative sono retroattive; perciò è importante distinguere tra disposizioni interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive). La retroattività indiscriminata scardina il meccanismo della certezza del diritto, io oggi tengo un comportamento in base all'attuale normativa giuridica, la certezza del diritto va in briciole di fronte alla retroattività delle leggi. Un esempio di difficoltà a discriminare le due tipologie è dato da una norma innovativa che regola la tassazione dei proventi da attività illecita. in nessuna parte del testo si fa riferimento ad una qualsivoglia interpretazione, si tratta quindi di innovazione. La giurisprudenza, senza una particolare ragione, gli ha attribuito natura interpretativa. Un primo problema è quindi capire se una norma era interpretativa o no, se è retroattiva o no. Per porre un argine al fenomeno della retroattività il legislatore, nello 'statuto dei diritti del contribuente', ha disposto che 'l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionale e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica'. Con questa disposizione non c'è più spazio per poter valutare una norma come interpretativa se non rispetta quei requisiti.Ha senso parlare di norma interpretativa solo dove sia emerso un contrasto interpretativo non eliminabile. Il legislatore deve indicare che si tratta di una norma interpretativa, cioè anche retroattiva (indicandolo che cosa interpreta o indicando gli articoli), se il legislatore non gli dà il marchio formale di interpretazione è una norma ordinaria e basta (non retroattiva) ciò per una certezza del diritto.

Articolo 2: comma 1 e 2 sono norme programmatiche, riguarda un pò l'estetica della norma, in realtà si interessa dell'avvenimento visivo, non c'è norma più trascurata dell'articolo 2, ha una scarsa portata normativa, precettiva. Cita ovvietà.

Articolo 3: il problema della retroattività riguarda due elementi:

- la capacità contributiva, la retroattività trova un ostacolo nell'attuale capacità contributiva (articolo 53 della costituzione), essa può essere diversa rispetto al periodo in cui è venuto a formarsi il reddito nel passato, il problema quindi è l'attualità, non esiste un limite temporale entro il quale vi è o non vi è attualità. Altro problema è quello della

- prevedibilità, per la multinazionale come per il piccolo imprenditore, il costo fiscale è come il costo del personale o come gli interessi, le organizzazioni creano la struttura economica con il minor impatto fiscale, in virtù dell'attuale disciplina, se quest'ultima mi dice che una certa situazione è trattata fiscalmente in un certo modo mi organizzo in tal senso, se la normativa cambia l'impresa si trova spiazzata, magari sapendolo avrebbe fatto altre scelte. Il profilo della 'prevedibilità' di fatto è stato trascurato dalla corte costituzionale ed aggirato.

A differenza di quanto detto sopra in tema di interpretazione di norme, le nuove norme tributarie vere e proprie non hanno efficacia retroattiva, l'entrata in vigore avviene a partire dall'esercizio successivo a quello di imposizione. Vale l'articolo 1, non può essere abrogata da una legge successiva. In ogni caso (comma 2 articolo 3) una legge non può entrare in vigore oggi per valere in un termine di 60 giorni. Nel comma 3 articolo 3 si prevede che non possano essere prorogati i termini di prescrizione o decadenza se non espressamente indicato e motivato (una legge successiva può prorogare nominando la norma espressamente e motivando: nel 2002 c'è stata proroga dei termini dell'accertamenti da 5 a 7 anni, la norma in quel caso indicava l'articolo e la motivazione della deroga: il condono), una semplice proroga non sarebbe quindi costituzionale.


Articolo 10: tutela dell'affidamento (comma 1) e della buona fede. Errori del contribuente (commi 2 e 3)

comma 1: i rapporti sono improntati sono improntati al principio dell'amicizia e della buona fede

comma 2: non sono erogate sanzioni e interesse in caso di obiettiva incertezza

La tutela dell'affidamento vera e propria nella realtà l'avevamo nel nostro ordinamento già da norme precedenti. Si sostanzia nel fatto che l'amministrazione finanziaria non può cambiare idea nei confronti del contribuente. Se l'amministrazione tributaria ha espresso un parere, richiesto dal contribuente, non può più cambiare idea, se ciò accadesse la tutela dell'affidamento prevede che l'intero atto di accertamento sia nullo, il contribuente in questa ipotesi non è tenuto a pagare ne le sanzioni ma nemmeno il tributo.


L'interpello (art. 11): il contribuente muove istanza, invia all'amministrazione tributaria una interpretazione su una norma e l'amministrazione deve rispondere giustificando o meno l'interpretazione.

Applicabile a 3 fattispecie:    - disciplina antielusiva

- spese di pubblicità e rappresentanza

- (solo in teoria) interposizione fittizia: faccio apparire titolare di un reddito chi non lo è


Interpello: - Generale (2000) la risposta vincola l'amministrazione finanziaria, anche se cambia idea il contribuente è tutelato

- Speciale (1991) aveva effetti blani, serviva solo ad invertire l'onere della prova


Oggi non c'è limitazione di oggetto se c'è obiettiva incertezza interpretativa: quest'ultimo è un requisito 'trappola', presentando un interpello generalmente opera, in caso di mancanza di risposta da parte dell'amministrazione tributaria, il silenzio assenso. Ma se la stessa amministrazione dichiara che l'oggetto dell'interpello non aveva incertezza, a quel punto il silenzio assenso non opera.

In tema di risposta da parte dell'amministrazione tributaria esiste una precisa normativa: se la seconda risposta ad un interpello è difforme alla prima allora è nulla. Il contribuente è così massimamente tutelato. Se non c'è risposta entro 120 giorni opera, come detto sopra, il silenzio assenso, viene considerata accettata l'interpretazione proposta dal contribuente.

L'interpello generale introduce la nullità di interpretazioni sucessive, elemento di unicità nella normativa italiana. Ciò significa che dopo aver dato una risposta l'amministrazione tributaria è vincolata a quello che ha comunicato, se dovesse cambiere idea il contribuente non correrebbe nessun rischio, vale la prima risposta.


Questa norma attiene ad un problema di certezza dei rapporti tra contribuente ed amministrazione tributaria. Se l'erario ha riscosso in modo ingiustificato denaro, deve attivarsi per la restituzione. L'interpello ha finalità di certezza del diritto.


Contratto illecito che produce reddito:

In questo caso la materia tributaria non è interessata agli elementi civilistici, che renderebbe nullo tale contratto, incapace di produrre effetti, si valutano le conseguenze economiche. Quindi anche se l'atto è nullo ha prodotto effetti economici.



IL TESTO UNICO

Residenza e tassabilità (art 2 del testo unico)

Nelle imposte sui redditi c'è un principio che distingue:

- il residente: tassabile per i redditi ovunque prodotti

- il non residente: tassabile solamente per i redditi prodotti nel territorio dello stato

Criterio legato al principio personalistico del reddito. In ambito tributario non viene riproposta la residenza civilistica, ma l'iscrizione dell'anagrafe comunale basta per considerare un contribuente residente nel territorio italiano. Potrebbe essere in teoria facilmente aggirabile (basta cancellarsi dall'anagrafe) il problema è che il soggetto che fa ciò e poi assume come residenza qualche paradiso fiscale. In molti casi non è facilmente individuabile il luogo di produzione del reddito (es. cantante, attore, sportivo) non è facile individuare la residenza formale. Il legislatore ha introdotto, nell'articolo 2, una norma antielusiva in materia di residenza. E' il soggetto che si è cancellato per trasferirsi in un paradiso fiscale (paesi a bassa fiscalità) che avrà l'onere di dimostrare che questa modifica formale e anche sostanziale, per continuare a considerarlo non residente. Per le società di capitali la residenza è data dalla sede amministrativa.



- I redditi fondiari: immobili situati nel territorio dello stato

- I redditi da attività: lavoro autonomo, dipendente e di impresa, il meccanismo è semplice, si guarda dove viene svolta l'attività.

- I redditi da capitale: si va a guarda la residenza del soggetto che eroga. Si parla sostanzialmente di dividendi e interessi, si guarda dove risiede il soggetto che eroga


Art 4: il reddito della famiglia, è una norma ricognitiva, i redditi in comunione sono imputati per metà.

Art 5: i redditi prodotti dalle società di persone si imputano sulla base della loro quota di partecipazione. Il reddito si determina in capo alla società ma appena determinato lo imputo per trasparenza ai soci, indipendentemente dal quando viene percepito ma anche dal fatto che venga percepito. Ciò riproduce una norma un articolo in materia di società di persone (diritto commerciale): i soci hanno diritto agli utili con l'approvazione, indipendentemente dalla percezione, sulla base delle quote (l'utile è dei soci che se vogliono poi decidono di mantenerlo all'interno dell'impresa). Nelle società di capitali il meccanismo è completamente diverso, il socio non ha diritto agli utili, è l'assemblea che deve decidere e deliberare.

Nell'articolo è anche disciplinato l'argomento dell'impresa familiare e quindi dei soggetti che prestano la loro opera all'interno dell'impresa familiare, gli accordi sono irrilevanti, non si può attribuire quote di reddito al fine di suddividerlo a piacimento per usufruire di una tassazione più bassa. Per far ciò è necessario determinare le quote prima che si formi il reddito. Per una modifica del legislatore ai familiari sono imputabili sogli gli utili non le perdite.


Art.3: Il reddito complessivo è una nozione tecnica (definizione precisa). L'imposta si applica su reddito complessivo, quest'ultimo è dato dalla somma algebrica delle 6 categorie reddituali (art 6 testo unico), sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile (articolo 3 comma 3) i redditi esenti, quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o imposta sostitutiva (meccanismi particolari) è possibile farle rientrare nelle imposte istantanee, percepire 1000 euro in cedola, oggi si calcola il 12,5% l'imposta si esaurisce, l'impresa che eroga trattiene alla fonte, l'imposizione si esaurisce in quel momento e quindi non potrà poi entrare a far parte di una base imponibile.


Art. 8: Non concorrono a formare reddito complessivo i redditi soggetti a tassazione separata: i redditi fondiari, i redditi da capitale e da lavoro dipendente le perdite non sono deducibili. Per quanto riguarda i redditi derivanti dall'esercizio di imprese commerciali (art 80) arti o professioni e possibile sottrarre le perdite. Secondo questo articolo una perdita deve comunque rimanere nella stessa categoria reddituale o essere porta all'anno successivo, la perdita da lavoro autonomo non può ridurre un reddito da capitale, non ci può essere compensazione tra le varie categorie reddituali. (in linea di principio si potrebbe obiettare che si tratta di una norma incostituzionale).




L'obbligazione tributaria ha una formazione periodica, per anno solare, unico caso in cui c'è un effetto trascinamento da un esercizio all'altro, in ambito di attività di impresa, sono le rimanenze finali, poi il resto del conto economico è zero. Altro elemento particolare di continuità è il riporto delle perdite.

Anche per le società di capitali vale il periodo di imposta che non deve essere superiore all'anno. Casi particolari sono le società che hanno esercizio annuo a cavallo tra due anni (es. società di calcio o alberghi).


La definizione di reddito dà rilevanza non solo alla componente monetaria ma anche beni e prestazioni di servizi. Il provento che percepisco comunque concorre a formare reddito. Art. 9: definisce il valore normale del bene o del servizio, il valore del comune commercio, in quel tempo, in quel luogo, a quello stadio di conservazione. In base a questa norma quindi, tutte le volte che il legislatore dà rilevanza ad un bene o ad un servizio essi devono essere valutati a valore normale. Ciò per evitare che entrino in gioco elementi soggettivi (es. il mio regno per un cavallo, unità di ricchezza misurata con elementi del tutto soggettivi, non basati su elementi oggettivi quali appunto il valore normale).

Determinato il reddito complessivo come somma algebrica, ove vi siano, delle varie tipologie di reddito arriviamo all' Art. 10: il reddito complessivo si riduce in virtù di oneri deducibili (importante utilizzare i termini corretti), quando si parla di deduzione si parla di riduzione della base imponibile, quando si parla di detrazione si parla di riduzione dell'imposta. Si deduce dalla base imponibile, si detrae dall'imposta. Se io deduco dalla base imponibile 10 il mio risparmio fiscale effettivo, ipotizzando un'aliquota d'imposta del 40%, è di solo 4. Se io detraggo 10, il mio risparmio fiscale è 10. Gli oneri deducibili sono quei costi che riducono la base imponibile, la logica degli oneri deducibili è una logica extrafiscale, come vedremo anche per gli oneri detraibili, non seguono una logica fiscale. Hanno una logica interna, il legislatore dice che, considerando l'intenzione di tassare la singola persona, essa sostiene dei costi socialmente rilevanti (spese mediche, scolastiche, interessi passivi su mutui), spese che in quanto tali riducono la ricchezza del soggetto. E' il legislatore che fa in modo che sia possibile tener conto di tali spese riducendo la base imponibile. La scelta di individuare gli oneri deducibili o detraibili è un pura scelta discrezionale del legislatore che, in certe situazioni, dà rilevanza a determinate spese, scelta puramente politica.

Il legislatore comunque ha dato un tetto massimo di detraibilità (19% del loro importo), a questo punto il calcolo di convenienza tra oneri deducibili o detraibili và valutato soggettivamente (pura matematica, tenendo conto l'aliquota di imposizione, importo dell'imposta, ecc.). Allo stato attuale delle aliquote Irpef generalmente è più conveniente l'onere deducibile a quello detraibile.

Art. 11 e Art 12: trattano delle deduzioni (quindi dalla base imponibile) per assicurare la progressività, indicata anche nell'articolo 53 della costituzione, l'articolo 11 a tal fine concede deduzioni che sono tanto minori quanto maggiore è il reddito percepito dal contribuente (se sei in una fascia bassa si ha deduzione 10, se si è in una fascia di reddito più elevata si ha deduzione 7), il legislatore da qualche anno sta gestendo la deducibilità valutando la base imponibile nella sua progressività, un tempo gestiva le deduzioni solamente sulle aliquote.

Una volta effettuate le varie detrazioni arriviamo a determinare l'imposta Art. 13.



Il principio di progressività: Il sistema italiano è improntato alla progressività, ciò non significa che tutti i tributi debbano essere progressivi, nella realtà oggi abbiamo un solo tributo (irpef o ires) progressivo, per certi versi lo è anche l'iva. Una volta c'era l'imposta di successione e l'invim (imposta sull'incremento di valore degli immobili) che erano progressive.


Deduzioni riconosciute per familiari a carico: lo scopo è riconoscere le spese sostenute per i familiari a carico. Il legislatore non riconosce a tutti la deduzione, lo fa in base al reddito, in un'ottica di assicurare la progressività (ciò è possibile quindi solo aumentando le aliquote d'imposizione all'aumentare della base imponibile oppure rendendo regressive le deduzioni cioè diminuiscono all'aumentare del reddito).


A questo punto abbiamo determinato la base imponibile: sommatoria delle varie categorie di reddito, applicazione delle varie deduzioni. A questa base imponibile netta applichiamo le aliquote Art. 13 in scaglioni, otteniamo in questo modo l'imposta lorda, per giungere all'imposta netta da versare dobbiamo prima di tutto togliere le detrazioni (art 15 oneri detraibili e art 16) è importante sapere che queste detrazioni non possono portare ad un credito verso l'erario (unica eccezione il credito d'imposta per imposte pagate all'estero), la logica delle detrazioni è tener conto dei costi esistenti che non concorrono a formare base imponibile, sono costi personali che non possono portare a credito, se portassero ad un credito verso  l'erario vorrebbe dire che la collettività sta pagando le mie spese personali. Un'altro credito d'imposta che si detrae, sempre art 13, sono le imposte pagate all'estero. Questo credito d'imposta può portare ad un credito verso l'erario, se il contribuente produce il reddito all'estero, come logico gli viene tassato all'estero. Per evitare una doppia tassazione ci sono le convenzioni tra paesi che:

- stabiliscono in via definitiva se questo reddito si tassa in Italia o solo all'estero.

- in tutti i casi ove non sia previsto un accordo in tal senso vene riconosciuto un credito d'imposta. Sono tassato in Italia ma, in relazione alla tassazione straniera, mi viene riconosciuto un credito d'imposta per quanto pagato all'estero. Cede il paese della residenza che restituisce le imposte pagate.



Art. 22: Imposta netta: l'imposta dovuta non è ancora l'imposta da versare, il legislatore riconosce per tutti il versamento di acconto, che precede la formazione dell'imposta (a maggio 2006 avrò un'imposta da cui sconterò l'acconto versato e le ritenute versate)

(ritenuta d'acconto: imposta istantanea, che si applica a titolo definitivo sul singolo provento).

Può succedere che con l'acconto si versi una somma superiore a quella dovuta, è chiaro che in questo caso viene riconosciuto un credito d'imposta verso l'erario.


Articoli dal 17 al 22: regolano la tassazione separata (regime opzionale) per le varie fattispecie che non concorrono a formare reddito complessivo, perchè appunto sono tassati separatamente. Si incide solo sull'aliquota (non sui soggetti o sulla base imponibile), a quel tipo di provento particolare si applica un'aliquota speciale (aliquota media dei due anni precedenti). Si applica ad elementi reddituali che hanno avuto una formazione pluriennale: trattamento di fine rapporto, retribuzione arretrata, le plusvalenze da cessione d'azienda, somme attribuite ai soci in caso di recesso. Il provento si è formato in più periodi. Ipotizziamo di accumulare un tfr 10 ogni anno, se lo tassassimo anno per anno i 10 ricadrebbero sempre nella stessa aliquota, tassandoli a fine rapporto di lavoro il reddito esploderebbe per effetto della sommatorie dei 10 accantonati ogni anno, ciò comporterebbe probabilmente il passaggio a scaglioni con aliquote d'imposta più elevate. Per evitare ciò quando si percepisce la liquidazione essa non concorre a formare reddito complessivo, gli si applica tassazione separata (media dell'aliquota pagata nei due anni precedenti) per avvicinarsi a quanto si sarebbe versato pagando l'imposta anno per anno. Norma ovviamente di favore che però a livello teorico potrebbe portare a situazioni svantaggiose per il contribuente, si pensi ad esempio al caso di colui che nei due anni precedenti abbia avuto, per vari motivi un reddito elevatissimo, per lui potrebbe essere invece vantaggioso non avvalersi della tassazione separata e applicare le aliquote ordinarie. Per questo il legislatore prevede che il regime della tassazione separata è opzionale. In materia di regimi opzionali, si vuol dire che, in mancanza dell'opzione, dichiarazione di volontà espressa del contribuente, in modo automatico gli viene applicata la regola generale, la strada maestra. Principio fondamentale, tutte le ipotesi di tassazione separata di norma sono opzionale ma per qualche strano motivo, in alcune fattispecie, il legislatore ha previsto che la strada maestra sia il regime opzionale, cioè che in mancanza di una decisione del contribuente per lui valga il regime opzionale e non la regola generale, se non dico nulla vale il regime opzionale.

La tassazione separata ha un'ultima particolarità, non funziona con autoliquidazione. Generalmente, per le imposte, il contribuente si calcola l'imposta e la versa, spetterà poi all'ufficio verificare, Nella tassazione separata il contribuente ha solo l'obbligo di dichiarazione non di determinazione.



LE SINGOLE CATEGORIE REDDITUALI art. 6 del Testo Unico (a partire da pagine 249 del testo)


1) I redditi fondiari (articolo 25 del testo unico)

2) I redditi da capitale (troviamo una definizione nella forma di chiusura dell'art. 44 del testo unico, lettera h)

3) I redditi da lavoro dipendente (articolo 49 del testo unico)

4) I redditi da lavoro autonomo (articolo 53 del testo unico)

5) I redditi diversi (raggruppamento delle situazioni residuali, una marea di norme, in particolare sulle plusvalenze)

6) I redditi d'impresa (articolo 55 del testo unico)



1) I redditi fondiari:


(pagina 250 del testo di riferimento)

Art. 25: Redditi fondiari. Si distinguono in:

dei terreni:      - dominicali (attiene al reddito che deriva in quanto proprietario)

- agrari (deriva dal fatto che concretamente esercito un'attività agricola)

dei fabbricati: - fabbricati

Se sono proprietario di un terreno ed esercito attività agricola avrò sia reddito dominicale che agrario. Se concedo in affitto un terreno ad un imprenditore agricolo per lavorarlo avrò solo reddito dominicale mentre l'imprenditore avrà reddito agrario. Se ho un appartamento ho reddito da fabbricati.

Il possesso in se dell'immobile è il presupposto dell'imposizione. Più che ad un'imposta sul reddito a prima vista si potrebbe obiettare che assomiglia molto ad un'imposta sul patrimonio, che ha come presupposto la proprietà, ma in questo caso a far scattare l'imposizione sia la proprietà dell'immobile ma l'oggetto dell'imposizione è il frutto che deriva o che in teoria potrebbe derivare dall'immobile, nel reddito dominicale l'immobile quindi non rileva in quanto tale ma in quanto produttivo di reddito. Lo si vede bene nell' art 27 'reddito medio ordinario retraibile dal terreno nell'esercizio di attività agricola' (che io eserciti o no mi viene applicata un'imposizione media, in quanto potenziale produttore di reddito), non si rileva il reddito effettivo ma quello medio ordinario, cioè quello medio retraibile da quel terreno. La rendita catastale determina l'imposizione.

- Il reddito dominicale è la categoria di reddito più semplice. Non devo fare contabilità, ogni terreno ha quella rendita e basta.

- Il reddito agricolo è quello che spetta a chi ha attività agricola. La coltivazione e sempre attività agricola, a prescindere da qualunque modo in cui venga effettuata. L'allevamento degli animali e la manipolazione sono attività agricola solo con certe caratteristiche. Tutto ciò che eccede i limiti quantitativi, determinabili come reddito agricolo, vengono considerati come reddito d'impresa. Se commercializzo bottiglie di vino, non grappoli d'uva (reddito agrario),  ne posso vendere solo un numero ottenibile con quell'uva in teoria producibile da quel terreno, se ne vendo una in più questa produrrà reddito d'impresa.


(pagina 252 del testo di riferimento)

- Il reddito da fabbricato: viene determinato generalmente in base alle rendite catastali. Ci sono casi in cui ciò non avviene: ad esempio per gli immobili locati, si assume come reddito il canone di locazione (viene riconosciuta una deduzione dal legislatore del 15% per tenere conto delle spese che sostiene chi dà in locazione per manutenzioni varie). Atro caso particolare è la casa di abitazione (prima casa) non è soggetta a tassazione. Nelle seconde case al contrario il reddito derivante dalla rendita catastale è aumentato di un terzo (la ragione è extrafiscale, si vuole contrastare la carenza di abitazioni invogliando i proprietari a non acquistare seconde caso o perlomeno a non tenerle sfitte).

Non sono produttivi di reddito fondiario gli immobili strumentali che non producono reddito autonomo, così gli immobili relativi all'impresa, all'esercizio di arti e professioni. Distinguiamo in:

- immobili strumentali per natura (C,D,E,A10): sono quelli dell'impresa, che non possono essere utilizzati in altro modo (ciò comporterebbe radicali trasformazioni all'immobile stesso, sono considerati quindi tali anche se poi non vengono utilizzati a tale scopo), la strumentalità per natura dipende solo dalle caratteristiche dell'immobile.

- immobili strumentali per destinazione: sono quelle utilizzati esclusivamente per l'esercizio di un'attività da parte del possessore.

Le classificazioni catastali: A e B identificano appartamenti, C sono i negozi, D sono gli opifici industriali cioè i capannoni, E sono gli immobili speciali. Questa classificazione pre-identifica la strumentalità per natura (C,D,E sono immobili strumentali per natura) così ad esempio nella categoria C troviamo i negozi, potrei in teoria trasformarlo in appartamento ma l'immobile necessiterebbe di radicali trasformazioni, condutture del gas, acqua ecc. Lo stesso vale per i capannoni (categoria D). La categoria E fa riferimento a centrali elettriche, distributori di benzina, piattaforme petrolifere, tutti casi in cui è ancor più evidente la strumentalità per natura. La categoria A contiene varie sottocategorie, in particolare la categoria A10 contiene gli uffici che rientrano negli immobili caratterizzati da strumentalità per natura, è importante questa distinzione perchè la strumentalità per natura non concorre mai a formare reddito complessivo, a prescindere dal fatto che io lo utilizzi, non lo utilizzi, lo affitti, concorre sempre a formare solo il reddito d'impresa.

L'immobile strumentale per destinazione prescinde dalla natura, quello che rileva è quindi solo l'utilizzo che ne viene fatto, se quindi utilizzo un appartamento adibito ad abitazione come ufficio per la mia impresa (sarebbe una violazione amministrativa ma ai fini di questa classificazione tributaria non interessa), quell'immobile concorrerebbe quindi a formare il reddito di impresa. Riassumendo:

- gli immobili strumentari per natura (un capannone) concorrono a formare reddito d'impresa a prescindere dall'utilizzo che ne viene fatto. E' sempre impresa.

- gli immobili strumentali per destinazione (gli appartamenti) concorrono a formare reddito d'impresa solo se vengono utilizzati a tale scopo altrimenti formano solo reddito fondiario.

L'immobile dell'impresa quindi, concorre a far reddito d'impresa, se viene venduto fa plusvalenza o minusvalenza, è deducibile. Se è fuori dall'impresa non può mai dar luogo a plusvalenze, fa riferimento alle rendite catastali, per un imprenditore persona fisica tra i beni dell'impresa è un disastro se decidesse di venderlo, se non fa cesse parte dopo cinque anni di possesso avrebbe piena libertà di venderlo a qualunque prezzo senza subire tassazione.

Ultime particolarità, le pertinenze non hanno rilevanza giuridica, non concorre a formare reddito. Non costituiscono redditi di fabbricati rurali perchè il legislatore lo considera come una sorta di pertinenza del terreno agricolo, funzionale, servente rispetto al terreno agricolo, gli viene tolta autonomia giuridica. E' chiaro che il terreno in questo caso deve essere utilizzato per attività agricola.


2) I redditi da capitale (pagina 254 del testo)


Questa categoria, come le altre, è subordinata al reddito di impresa. Nel senso che, quando si realizza il reddito d'impresa, per il principio di attrazzione, entra a far parte del reddito d'impresa, anche se lo specifico elemento ricade in un'altra categoria reddituale. L'imprenditore, per esempio, che dà capitale in prestito non ha mai reddito di capitale ma reddito d'impresa.

Considerando che le societa commerciali (o come società di persone o come società di capitali) realizzano, in quanto tali, cioè per una questione formale, reddito d'impresa; noi sappiamo che la logica delle divisione in sei categorie reddituali ha senso per la persona fisica e per alcuni pochi enti collettivi: società semplice ed enti non commerciali.

Nei redditi da capitale noi assistiamo ad un fenomento molto particolare: i redditi da capitale in quanto tali, come categoria, per quanto riguarda la persona fisica e non l'imprenditore o perlomeno per la parte non imprenditoriale del soggetto, raramente concorrono a formare reddito complessivo (per il meccanismo dell'imposta sostitutiva o ritenuta d'acconto a titolo d'imposta del 12,5%). Le norme sulle ritenute le troviamo nel dpr 600 del 1973. rappresentano un pò una deroga alla ma presuppongono sempre una norma impositiva che fa da regola generale.

L' art 44 non dà una vera definizione ma una elencazione alle fattispecie, se vogliamo trovare una definizione vediamo la lettera H, ultima fattispecie, costruita in modo residuale: sono redditi da capitale gli interessi e tutti gli altri redditi derivanti da altri rapporti aventiper oggetto l'impiego di capitale. Quindi rapporto giuridico che si concretizza nell'impiego di capitale, dall'impiego di capitale in quanto tale derivano interessi o altri proventi. Esclusi però rapporti da cui possano derivare rapporti differenziali negativi in dipendenza di un evento incerto: questa è la linea di demarcazione tra i redditi da capitale ed i cosidetti 'capital gains' (nulla hanno a che vedere con i redditi da capitale, sono redditi diversi). Se io impiego il capitale per finanziare una persona, il compenso che ne ricevo è un'evento certo (entra nell'ambito di questa norma). Se invece impiego capitali in azioni, percepisco dividendi (reddito da capitale), poi li vendo, il differenziale positivo o negativo realizzato (dal valore delle azioni) è del tutto incerto, indeterminabile: questo differenziale non sarà reddito da capitale ma appartiene ai redditi diversi (plusvalenze).

All'interno della categoria dei redditi da capitale rientrano una vasta categorie di fattispecie:

- interessi su conti correnti di deposito, su mutui

- lettera b interessi su oggligazioni

- i dividendi: hanno una particolarità, quelli legati ad una partecipazione non qualificata (fino al 20% del capitale sociale), sono soggetti a imposta sostitutiva 12,5%, al di sopra concorrono a formare reddito d'impresa.

La socità di capitali è soggetto passivo IRES, ha un'utile netto che viene poi distribuito. Se il soggetto realizza attività d'impresa come persona ha un'imposizione, se la realizza come società di capitali (esempio srl unipersonale) si trova ad avere due imposizioni: una in capo alla soccietà (IRES) un'altra, per la parte restante, in capo alla propria persona. Questa è una normalità in ogni paese occidentale, è una doppia imposizione economica non giuridica, le due imposizioni non hanno lo stesso presupposto: uno è reddito derivante dall'esercizio d'impresa mentre l'altro è reddito dall'impiego di capitale. Si pensi al socio finanziatore, che non fa nulla, ed una società, che svolge l'attività vera e propria. Il legislatore nel tempo ha cercato di allentare l'effetto economico della doppia imposizione, due metodi:

- l'esenzione, cioè la non imposizione, si tassa la società non l'impresa.

- oppure si crea uno strumento diverso che è il credito d'imposta, un meccanismo matematico molto semplice, in uso in Italia prevedeva un credito d'imposta di 9/16 del reddito distribuito (ora non è più in uso).

Ora il dividendo è tassato nella misura del 40% (pagina 256 del testo), di fatto questo nuovo sistema è peggiorativo rispetto al precedente perchè non è possibile avere un credito verso l'erario. anche ipotizzando il soggetto con aliquota irpef più bassa, nella migliore delle ipotesi l'ipotesi sarà zero, comunque il soggetto in capo alla società paga ires. Questo tipo di tassazione ha senso per mantenere la progressività dell'imposizione.

Ai fini delle deduzioni dei costi essi devono essere provati, elemento fondamentale è la documentazione e l'indicazione nella contabilità, ciò ha una funzione probatoria. I costi a livello di redditi di capitale comunque sono minimali, si potrebbe obiettare che il legislatore abbia predisposto una normativa fondamentalmene a sfavore in questo senso ma ciò non è vero, basta analizzare la categoria dei redditi da lavoro dipendente dove, allo stesso modo, non è possibile portare in deduzione costi. 

Ci sono infine due norme, all'interno della categoria dei redditi da capitale, che attengono a due presunzioni:

- una riguarda in generale la fattispecie degli interessi da mutuo. Essi si presumono percepiti alla scadenza, si presume l'applicazione degli interessi al tasso previsto tra le parti oppure, ove questo no sia previsto al tasso legale. Questa presunzine di percezione alla scadenza si innesta in un'altra norma: i versamenti fatti dai soci di una società si presumono dati a mutuo, se non risulta motivo diverso. La pericolosità sta nell'eventualità il socio finanzi gratuitamente la società, in questo caso scatta ugualmente la presunzione di mutuo, in questo caso gli interessi si intendono percepiti a scadenza e a tasso legale. Il socio si ritrova così a dover dichiarare un provento che non ha percepito. Come tutte le prensuzioni, comunque, devono ammettere prova contraria (per l'art 53 e 24 della costituzione). Per evitare l'inconveniente è sufficiente iscrivere le somme versate dal socio nel capitale sociale e non tra i finanziamenti, altro modo è prevedere una scrittura privata in cui risulti che il versamento non è fruttifero di interessi.


3) redditi da lavoro dipendente (pagina 263)


Art. 49 testo unico, definizione di reddito da lavoro dipendente: 'Sono redditi da lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze o sotto la direzione di altri..'


Art. 50: ampliamento della categoria dell'articolo precedente, lavori assimilati che di per sè non ci starebbero all'interno della definizione art 49, per scelta del legislatore vengono ricompresi. Il caso più comune sono dei Co.Co.Co., attività senza vincolo di collaborazione ma che vengono fatti rientrare per scelta del legislatore.




A livello di determinazione del reddito, si parla della sommatoria di quei redditi che derivano da un rapporto di lavoro avente ad oggetto del lavoro (la remunerazione ha per oggetto un rapporto di lavoro, l'operaio prende paga a prescindere dal valore della sua prestazione o dalla qualifica). Nel lavoro autonomo, a differenza di quello dipendente, la remunerazione e collegata alla prestazione.

Costituiscono lavoro dipendente le pensioni di ogni genere, le pensioni a prescindere dalla categoria reddituale nella quale si è formata (da lavoro dipendente, da lavoro autonomo, da lavro d'impresa), la pensione uniforma le varie categorie reddituali, potrebbe anche essere slegata da un'attività lavorativa (pensione di guerra, di invalidità).


Qualsiasi costo sostenuto dal lavoratore dipendente per l'esercizio della sua attività non è deducibile, al lavoratore dipendente è però riconosciuta una detrazione, che in qualche modo tiene conto mediamente dei costi mediamente sostenuti dal dipendente in modo forfettario, detrazione di 500 € che cossispondono ad una deduzione di 1500 € sul reddito.Questa detrazione, che spetta al lavoro dipendente tipico, aspettano anche ad alcuni casi del lavoro dipendente assimilato (da non ricordare).


Nella determinazione del reddito da lavoro dipendente si fa rifento a tutto ciò che viene percepito dal dipendente (bene, denaro, sevizio, liberalità, mance, friendge benefit, l'uso di un'autovettura, l'asilo aziendale, il servizio pulman, un corso d'inglese ecc.) in relazione al rapporto di lavoro. Non sono redditi da lavoro dipendente i rimborsi spese, es. il dipendente che prende un treno per andare da un cliente a Bologna, in questo caso il denaro non è un'utilità per il dipendente ma sta spendendo per l'impresa, non c'è incremento patrimoniale per il lavoratore.

Data questa definizione così ampia, la percezione del reddito usa il criterio di cassa, nell' art. 51 troviamo una parziale deroga a questa omnicomprensività. Alcuni casi più comuni: le erogazioni liberali concesse in occasione di feste per un importo non sueriore a 250 € (la norma serve ad evitare che il panettone di fine anno diventi reddito per il dipendente), le somministrazioni di vitto in mensa per un importo massimo determinato, il trasporto collettivo in pulman.

Sono reddito le Stock Option (compensi dati ai dipendenti, in genere la dirigenza, sotto forma di azioni della società), questa prassi di dare compensi, specie in America, ha comportato forti comportamenti opportunistici nel tentativo di influenzare il valore delle azioni.

L'indennità di trasferta non è reddito fino ad un ceto importo. Se il dipendente sostiene delle spese, presenta la documentazione, gli viene rimborsata la spesa per intero, non è mai reddito, è la restituzione di un costo. La norma fa riferimento a tutti i casi in cui venga versata una indennità forfettaria, esempio è l'indennità per la trasferta effettuata dal dipendente, il legislatore in questo caso prevede un tetto massimo di 60 € al giorno, oltre è tassabile.


Art. 6: quando fa riferimento alle indennità risarcitorie, anche di natura assicurativa, indica che contribuisce a formare reddito dello stesso tipo di cui va a sostituire, quindi di converso non è reddito se rappresenta ristoro patrimoniale (è il caso dell'incidente d'auto, il risarcimento in questo caso non è tassato perche serve da ristoro patrimoniale). E' un ragionamento generale, qualsiasi entrata se non ha natura reddituale ma risarcitoria non è tassabile in base all'articolo 6. Per quanto riguarda le pensioni, ve ne sono di esenti (infortunio per invalidità contratta per servizio militare obbligatorio), poi vi sono le pensioni di guerra, non tassabili perchè hanno natura risarcitoria per un danno materiale, biologico, esistenziale. Questo meccanismo si allaccia perfettamente anche alle pensioni ricevute per lavoro dipendente, tassabili perchè non hanno natura risarcitaria, sostituiscono il reddito.


Domanda classica d'esame: differenza tra esclusione ed esenzione

Parlando di art.6 entriamo in un tema che incontreremo anche più avanti: esclusione ed esenzione. I due termini dal, punto di vista del linguaggio comune o dal punto di vista operativo identificano lo stesso meccanismo, ma esenzione ed esclusione hanno una profonda differenza di fondo:

- l'esclusione concorre a tracciare esattamente i confini del presupposto, ed è perfettamente coerente con il presupposto, sembra illogico perchè presupposto indica imposizione per una certa situazione, mentre esclusione al contrario. la logica sta nel collegamento diretto, l'esclusione serve per chiarire i limiti del presupposto, si giustifica in un'ottica prettamente tributaria, l'esclusione non è un regalo è doverosa dato quel presupposto.

- l'esenzione è un regalo, e sostanzialmente una norma agevolativa dettata da finalità extrafiscali e che quindi contrasta con il presupposto. Una certa situazione dovrebbe portare ad imposizione ma il legislatore per logiche sue non vuole che scatti il tributo. L'esenzione presuppone capacità contributiva, non può giustificarsi in un'ottica tributaria, se non ci fosse capacità contributiva non ci sarebbe esenzione (un regalo) ma ci sarebbe esclusione (doverosita da parte dell'erario).

Ad esempio tra i soggetti passivi IRES non sono soggetti passivi lo Stato e gli altri enti territoriali, è una norma di esenzione (regalo) perchè non ci sono ragioni per non tassarli, sono enti commerciali. Sono escluse da imposta le pensioni di invalidità causata durante il servizio militare, lo sono perchè si tratta di risarcimento, la natura del provento si determina in base all'invalidità. La differenza tra i due termini è importante, se il legislatore ne creare una norma non ammette una esclusione, quella parte diviene incostituzionale perchè è doveroso introdurla se il presupposto lo ammette. L'esenzione è a discrezione del legislatore. Nelle sistemazioni patrimoniali tra i coniugi divorziano si applica una tassazione differenziata, si applica una tassa fissa, quì si parla di esenzione (regalo) un'agevolazione per una fattispecie a tutti gli effetti tassabile.

Vedremo che nel reddito d'impresa la differenza tra i due istituti per la prima volta dall'anno scorso ha acquisito importanza. Fare attenzione che nelle varie norme il legislatore usa i termini confondendoli per sua ignoranza della differenza.


4) i redditi da lavoro autonomo (articolo 53)

- definizione residuale rispetto al reddito di impresa

- determinazione reddito compensi meno costi

- principio di cassa tranne i beni strumentali


Non c'è una definizione, è presente in via residuale, sono quei redditi che derivano dall'esercizio di arti e professioni, esecizio abituale (ripetitività, professionalità, non ocassionalità). Esiste la definizione di reddito d'impresa, ciò che non lo è può essere solo lavoro dipendente oppure appunto reddito da lavoro autonomo. Facendo rientrare poi nei redditi diversi le attività di impresa e di lavoro autonomo occasionali, si può affermare che qualunque attività lavorative in Italia è assoggettabile ad imposizione. Nessuna può sfuggire alle 6 categorie reddituali, sarà solo un problema di dove classificarle.

Per ricavare il reddito da lavoro autonomo bisagna quindi partire dalla definizione di reddito d'impresa

(fondamentale conoscerla a memoria pena esclusione dall'esame)


Art. 55: sono redditi di impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicatenell'art 2195 fa riferimento ad un'altra norma e sarebbe opportuno conoscela, il 2195 cita la produzione induztriale dei beni e servizi, intermediazione, attività ausiliarie (agente, promotore, ecc) e delle attività indicate alle lettere B e C del comma 2 dell'art 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, riguarda prodotti agricoli, come già detto in tema di redditi agricoli, la parte di reddito prevista dalla media si tassa come reddito agrario, la parte che eccede è reddito di impresa. anche se non organizzate in forma di impresa. fondamentalissimo questo punto perchè fa rientrare anche quelle attività non organizzate, la presenza di beni o persone non è rilevante: il soggetto che nella pubblica via vende braccialetti sta facendo, ai sensi del 2195, intermediazione di beni, è imprenditore, è irrilevante che non abbia organizzazione d'impresa. Sono inoltre considerati redditi di impresa:

a) i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art 2195 sostanzialmente quei servizi che non hanno il carattere dell'industrialità, sono impresa commerciale quando hanno un'organizzazione in forma di impresa (fotografo, consulente di marketing, ecc.) sono attività di servizi non industriali. Nella medesima attività lavorativa possiamo far ricadere il soggetto in diverse categorie reddituali: il fotografo semplice è lavoratore autonome mentre il fotografo di moda che si avvale di attrezzature costosissime è imprenditore (c'e organizzazione di beni).

realizzano attività di impresa le attività commerciali


A questo punto i redditi da lavoro autonomo sono fondamentalmente tutti quelli che derivano dalla prestazione di servizi che non rientrano nella categoria dell'impresa (organizzazione).

Non c'è nel diritto tributario la categoria delle professioni intellettuali (notai, avvocati, ecc), è al di fuori del diritto tributario, come possimo dire che si tratta di lavoro autonomo: organizzazione in forma di impresa significa parlare di un insieme di beni che autonomamente mettono in condizione di produre un reddito (chiunque usando quei beni o persone è in grado di produrre un reddito), di fronte a questa interpretazione possiamo risolvere la problematica di catalogare professioni come il notaio: è una persona fondamentale nella sua attività, per quanti dipendenti abbia è lui che deve mettere la firma, l'insieme dei beni e delle persone non sono in grado di generare autonomamente un reddito, per quanto sia rilevante l'organizzazione da sola non va avanti. Così vale per l'avvocato, il medico, l'ingegnere, ecc. Tutte queste categoriè vengono trattate quindi analizzando la presenza dell'organizzazione autonoma, non esiste una definizione che spieghi in modo alternativo cosa sia il lavoro autonomo.


Come nel reddito da lavoro dipendente anche nel reddito da lavoro autonomo ci sono delle assimilazioni, sono molto minori, e sono sostanzialmente: i diritti d'autore e altri casi marginali


Come si determina il reddito da lavoro autonomo? Si determina secondo una logica effettiva: compensi meno costi inerenti l'attività, la norma fa espresso riferimento ai compensi: nel lavoro dipendente si remunera la persona, a prescindere dalla qualità del lavoro, nel caso del lavoro autonomo si parla di compenso, nozione tecnica, si remunera non la persona ma la prestazione lavorativa. Anche quì si rileva il compenso sia in denaro che in natura. Non entrano nei redditi da lavoro autonomo le plusvalenze o le sopravvenienze, si pensi al macchinario di un dentista o all'autovettura, una volta venduti se danno luogo a plusvalenza non rilevano, non si tassano perchè non sono compenso. Per quanto riguarda i costi si riconoscono solo quelli legati all'attività. Vale per i redditi da lavoro autonomo il principio di cassa, concorrono a formare reddito i compensi e i costi percepiti nel periodo di imposta.


Quando si parla di imposte sui redditi si parla di IVA e IRPEF o IRES. Mai legare il calcolo delle imposte sui redditi al fatturato. Per calcolare la base imponibile si prendono in considerazione i compensi meno costi, che con il fatturato non hanno nulla a che vedere. A prescindere che il soggetto abbia fatto in tempo o no ad emettere la fattura, con il principio di cassa il compenso o il ricavo si sono già verificati e quindi sono assoggettabili. C'è una deroga al principio di cassa solo per i beni strumentali, imputati ai vari esercizi in base all'ammortamento predeterminato con aliquote ministeriali.



5) i redditi diversi


Mancano di una definizione, si identificano per una elencazione, In molti testi si trova che il comune denominatore di queste fattispecie previste sarebbe che ogni una non rientrerebbe nelle atre categorie per carenza di uno degli elementi previsti (esempio: se una fattispecie è simile a quelle previste per i redditi da capitale ma gli manca una delle caratteristiche previste per tali redditi, allora è reddito diverso). Gli esempi tipici dei redditi diversi sono quelli dalla lettera A alla lettera C quinquies, importanti comunque sono le lettere B e C cioè le fattispecie che trattano le plusvalinze su determinati beni: da un lato sugli immobili e dall'altro sulle partecipazioni. Entrambi i casi riguardano la cessione a titolo oneroso, la cessione a titolo gratuito non da luogo a fattispecie imponibile. Sono soggette a tassazione le plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili ma non possono dar luogo a minusvalenze fiscalmente rilevanti, al contrario la cessione di partecipazioni possono dar luogo a minusvalenze fiscalmente riconosciute, in un ambito peraltro molto ristretto (può essere portata in deduzione solo di una eventuale plusvalenza su uno stesso reddito diverso, non su una qualsiasi altra categoria), se io vendo un'immobile e faccio plusvalenza di 100 e poi vendo una partecipazione facendo una minusvalenza di 80 non posso compensare le due somme (potrò portare in deduzione gli 80 negli anni sucessivi solo su eventuali future plusvalenze ugualmente generate da cessione di partecipazioni).

le plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili: norma storica che risente della vecchia normativa 1973 sulle plusvalenze da speculazione. Il legislatore considerava importante il reddito prodotto lavorando e tassava le plusvalenze speculative, generate senza fatica. L'intento speculativo che si misura nel momento dell'ascuisto del bene, lo acquisto non per abitarci ma con l'intenzione di rivenderlo ad un prezzo più elevato; la plusvalenza in questo caso è cercata, quindi è speculazione. Un tempo solo questo era tassabile, nel 1986 il legislatore ha tolto l'intento speculativo dalla norma ma lo ha confermato nei fatti, tre sono gli elementi.

- c'è tassazione se tra l'acquisto e la vendita dell'immobile non siano trascorsi almeno 5 anni. Il legislatore presuppone che sopra i 5 anni non ci sia intento speculativo.

- l'immobile deve essere usato come abitazione principale

- la plusvalenza non è tassabile se è pervenuto per donazione o lascito

Tre elementi che rispondono alla stessa esigenza, tassare la speculazione. Questa norma riguarda gli immobili e i terreni agicoli ma non i terreni edificabili che con una norma sucessiva (quì si vede il degrado legislativo) il legislatore tassa sempre e comunque, a prescindere dal tempo, dall'utilizzo o dalla provenienza.

Sono inoltre tassabili le cessioni di partecipazione: la differenza tra lettera C e C bis è che una riferisce a plusvalenze su partecipazioni qualificate mentre l'altra alle non qualificate. Le plusvalenze non qualificate sono soggette a tributo sostitutivo del 12,5% mentre le plusvalenze di partecipazione qualificate sono soggette a tassazione sul 40% del valore, stessa disciplina dei dividenti, ciò non è casuale, dividenti e questo tipo di plusvalenze da partecipazioni sono legati da una stessa logica (trattata in ambito di redditi da capitale), questa plusvalenza potrebbe esse avviamento nascosto, utile nascosto, plusvalenze latenti, tutti elementi che rappresentano dividendi, quindi stessa tassazione.

Tra i redditi diversi vi sono poi tutta una serie di altre ipotesi:

- redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente (osserviamo che manca un elemento della categoria redditi fondiari cioè la rendita catastale, quindi sono redditi diversi)

- i redditi di beni immobili situati all'estero (manca un elemento dei redditi fondiari, il territorio italiano, quindi sono redditi diversi)

- i redditi derivanti dall'usufrutto o dall'affitto di beni che non rientrano nelle altre catecorie

- i redditi derivanti da attività commerciale non abituale

- i redditi da lavoro autonomo non abituale

- i redditi derivanti da vincite, lotterie, scommesse, ecc. da prove di abilità o dalla sorte (a titolo di curiosità queste somme sono sempre soggette a ritenuta alla fonte a titolo di imposta: 20% se è abilità 30% se è fortuna).


Sono ipotesi tra di loro del tutto eterogenee, comune è il principio di cassa. Sostanzialmente reddito diverso non ha devinizione ma una elencazione riassumendo:

- plusvalenze su immobili e partecipazione

- altre fattispecie mancanti di un elemento per essere ricondotte alle altre categorie di reddito

Questa, come ogni altra categoria reddituale, perde di significatività se a realizzare il reddito è un imprenditore o società (diviene sempre reddito d'impresa, principio di attrazzione al reddito di impresa).


Classica domanda d'esame: La FIAT compera un immobile a Venezia per 100 e lo rivende a 120, di che tipo di reddito si tratta? è sempre reddito d'impresa per il principio dell'attrazione. Non è reddito diverso.




6) i redditi di impresa


La definizione vale per la persona fisica, per la società commerciale basta la forma societaria per far scattare il reddito d'impresa (la forma prevale. Qualsiasi cosa produca o faccia la società è sempre reddito di impresa).

Determinazione del reddito d'impresa Art 56 (fa rinvio al 70 e all'83), molto banale, il reddito d'impresa si determina secondo il regime IRES, il reddito complessivo si determina apportando all'UTILE risultante dal conto economico le variazioni o in aumento o in riduzione derivanti dall'applicazione delle norme fiscali (qualsiasi parola diversa da queste all'esame sarà considerato grave errore) Dire che il reddito è ricavi meno costi significa non avere capito nulla del reddito d'impresa (errore che non fa passare l'esame, l'utile e civilistico il reddito è fiscale). Le norme sul reddito d'impresa non servono per tassare, non servono per dedurre. Questa norma mi dice che non mi serve una norma per sapere che un elemento è tassabile o che un elemento è deducibile. Le norme servono solo per variare l'utile da conto economico, ciò vuol dire che gli elementi che hanno concorso a formare l'utile da conto economico sono:

- gli elementi positivi che nascono tassabili

- gli elementi negativi che nascono deducibili

Le norme fiscali servono eventualmente per variare questo punto di partenza, se quindi non c'è una norma fiscale rimane la regola generale. Non c'è nessuna norma che indica che le spese di cancelleria sono deducibili , ma non interessa, le norme fiscali servono per variare il punto di partenza che è dato da 'tutti i proventi sono tassabili, tutti i costi sono deducibili', mettiamo poi il filtro fiscale e solo a questo punto vediamo se c'è una norma che da una regola diversa, le norme fiscali che seguono servono a dare una regola diversa, non ho bisogno di una norma fiscale che mi dica che un'impresa edile che affitta una gru, realizzando un reddito, lo deve imporre a tassazione come reddito d'impresa, è una somma che va a conto economico, nasce tassabile e se il legislatore non ha poi previsto, nel filtro fiscale, una norma che lo esenti, quel reddito è tassabile.


+ UTILE

+- variazioni in aumento o in riduzione derivanti dalle norme fiscali

= REDDITO


Utile e reddito sono termini perfetti, non hanno bisogno di aggettivi, l'utile è solo civile, il reddito è solo fiscale mai confondere.

Fino al 1 gennaio 2004 le norme sul reddito d'impresa erano costruite in modo particolare, il legislatore aveva creato norme che valevano allo stesso modo per il fruttivendolo e per la FIAT, esistevano solo poche norme, ora gli articoli dal 55 al 66 non esauriscono i criteri per l'imposizione (esempio l'articolo 56 rinvia a norme sulle società di capitali), bisogna fare un salto all'articolo 110, è il punto di partenza del reddito d'impresa, nessuna norma norma sul reddito d'impresa ha senso senza il 110, il concetto fondamentale è l'attribuzione del costo fiscalmente riconosciuto, il bene che entra a far parte dei beni appartenenti all'impresa ha un costo fiscalmente riconosciuto, detto costo è dato: dal costo di acquisto sostenuto o dal valore normale del bene regalato. Dal momento che sostengo un costo per un bene che entra a far parte dell'azienda detto costo è sempre fiscalmente riconosciuto, posso portarlo in deduzione: subito, attraverso l'ammortamento ecc. Vi sono poi norme di riequilibrio di questo sistema: se dall'azienda esce un bene (venduto, regalato, distrutto, ecc) qualsiasi fine faccia il bene da luogo ad un componente positivo del reddito. Quando il bene entra riduce quando esce aumenta la base imponibile. Ragione fondamentale dell'articolo 65 (i beni relativi all'azienda), nel reddito d'impresa, a differenza delle altre categorie, è fondamentale sapere quali beni siano del patrimonio aziendale e quali del patrimonio personale (a cui, ove sia possibile, si applicano le norme sulle altre eventuali categorie reddituali) per cui se io ho un'immobile che fa parte del mio patrimonio personale e sono anche imprenditore, se vendo l'immobile esso è tassabile secondo la normativa dei redditi diversi, percui se lo vendo dopo 6 anni non è tassabile l'eventuale plusvalenza. Se il capannone è iscritto nell'inventario, quindi appartiene all'impresa, l'ho ammortizzato, le spese di manutenzione le ho dedotte quindi l'immobile è sempre tassabile come lo è anche l'eventuale reddito derivante da una sua locazione, per il principio dell'attrattività.

Un'altra norma fondamentale è l'art. 109 che detta le norme generali sul reddito d'impresa, e riguarda quindi tutti i componenti positivi e negativi, riguarda in particolare il principio di competenza, il principio di inerenza ed il principio di imputazione a conto economico. Il principio di competenza riguarda sia i componenti positivi che negativi (ovviamente vale sia per chi acquista che per chi vende) e attiene al cosidetto reddito temporale (è individuato dalla competenza e non dalla cassa. Il reddito d'impresa non rileva il principio di cassa, salvo rare eccezioni, non interessa il materiale percepimento), comperenza che è definita dal comma 1 e 2 del 109: il componente positivo o negativo si dice di compotenza a seconda della tipologia di prestazione possa in essere, a sua volta poi bisogna distinguere tra cessione di beni mobili o immobili e cessione di servizi:

- Per i beni immobili rileva la data della stipulazione dell'atto (o quella di trasferimento della proprietà, nel momento quindi dell'accordo tra le parti, che abbisogna in questo caso della forma scritta).

- Per la cessione di beni mobili (la proprietà anche quì si trasferisce con il consenso) il legislatore individua il criterio della consegna o spedizione del bene, ciò che normalmente non rileva nel diritto civile, la consegna è un elemento controllabile.

- Per la prestazione di servizi, per i quali non si può applicare il criterio dell'atto scritto e nemmeno quello della consegna, si applica il criterio dell'ultimazione del servizio (il servizio è di competenza integralmente dell'esercizio in cui è stata ultimata la prestazione).

Il legislatore individua tre modi diversi ma anche per logica si capisce che non potrebbe essere diversamente per questioni concrete, operative. Ci sono poi quei servizi (locazione, mutuo, assicurazione) per i quali non esiste una ultimazione, quì il legislatore prevede che la competenza sia data dall'annualità, unico caso in cui possiamo spezzare tra due anni la competenza.

Il costo o il provento per essere di competenza deve essere determinato nel suo ammontare. Esempio è la costruzione di un'impianto tra due esercizi, l'imprenditore ha due strade:

- al 31 dicembre quantifica il valore dell'impianto fin li costruito (non possibile, non ci sarebbero criteri ogettivi di valutazione)

- rinvia alla ultimazione dell'opera la registrazione dell'ammontare intero che finirà quindi per essere interamente di competenza di quell'esercizio.

Competenza, inerenza e imputazione a conto economico: stiamo parlando dei principi generalissi del reddito (devono essere conosciuti bene).

L'articolo 109 parla anche dei componenti negativi per quanto riguarda la deduzione del costo.

Il principio di inerenza è trattato nel 109 comma 5, riguarda la conducibilità del costo all'attività imprenditoriale, (la società compera n computer, il costo è inerente, qualsiasi fine faccia non interessa). Il problema è che per il costo per essere dedudicibile deve essere riferibile a quella attività di impresa, se io compro materia prima per una azienda controllata, non posso dedurre il costo perchè tale spesa non è inerente alla mia attività. Il comma 5 del 109 fa poi un passo ulteriore, il costo deve essere correlato ad un provento tassabile, la discriminante in questa norma è la tassabilità o non tassabilità, non è provento o non provento (esempio è un imprenditore che investe in un prototipo che poi non genera profitti, non deriva nessun provento ma il costo è comunque deducibile perchè rientra nel presuposto di tassabilità). Per qunto riguarda i costi promisqui (che riguardano cioè più categorie reddituali) il metodo per calcolare la deducibilità e puramente matematico, in roporzione all'attività a cui si riferisce.

Per poter provare il costo è necessaria l'imputazione a conto economico. In questa parte la norma ha funzione probatoria, introduce un onere funzionale all'ttenimento di un beneficio. Devo iscrivere il costo a conto economico per poterlo dedurre. Sono deducibili, anche se non imputati a conto economico, i soli costi la cui deduzione è prevista per legge. Il caso più importante è l'azienda data in affitto, si prevede per legge la deduzione da parte di chi prende in affitto, l'affittuario potrebbe anche non effettuare l'iscrizione degli ammortamenti a conto economico, rimangono comunque deducibili, il calcolo non avviene nella determinazione dell'utile ma più avanti, direttamente sulla dichiarazione dei redditi.

In sede di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria può accadere che l'imprenditore abbia nascosto dei costi (ad esempio non ha registrato costi per il personale dati in nero per lavoro straordinario), in questo caso il fisco calcola, in funzione del costo, un ipotetico ricavo, ad esempio ho nascosto costi per 100, mi vengono calcolati ricavi nascosti per 200. Sono quindi deducibili quei costi derivanti da attività accertate dall'amministrazione finanziaria, e di conseguenza tassabili i relativi ricavi.

Nel 2005 il legislatore ha previsto delle deducibiltà espresse a prescindere dal criterio contabile utilizzato (per evitare così inquinamenti di bilancio) il tutto era nato dall'acquisto di beni in leasing che presentava due criteri contabili diversi che influenzavano diversamente il reddito.


Esempio fatto in aula di calcolo di un'ammortamento secondo logiche reddituali (dichiarazione) e civilistiche (bilancio) secondo i principi dell'articolo 109 comma 4.




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le sopravvenienze

Art.88: variazioni in positivo nell'impresa rispetto a quanto contabilizato negli esercizi precedenti. La norma fa riferimento a quelle somme portate in passato in deduzione dalla base imponibile. Importante il concetto perchè le somme che non sono state portate in deduzione negli esercizi precedenti danno luogo si a sopravvenienza ma solo civilistica non fiscale. E' il caso ad esempio di un rimborso delle tasse, il tributo a suo tempo non era dedudicibile (non era iscritto a conto economico, non concorreva a formare la base imponibile) e quindi il rimborso non è sopravvenienza.

Il principio su cui si basa è generale: il costo dedotto dà origine ad un provento tassabile, i costo non dedotto non da origine a proventi tassabili

Ci sono poi sopravvenienze attive assimilate: tutti i contributi diversi da quelli che rappresentano ricavi, non quelli tra privati (sono tutti ricavi), sono quelli pubblici non in conto esercizio ma ad altro titolo, si pensi al contributo erogato a chi apre un'attività in una determinata zona geografica, si tratta di un contributo una tantum. Sono sopravvenienze anche le liberalità, cioè i regali. Quando compro un bene sostengo un costo che mi viene riconosciuto, anche ai fini fiscali, mi riduce il reddito. Mi arriva un bene regalato, l'alternativa per il legislatore era: o arriva il bene e non viene riconosciuto il costo, non riduce il reddito, quindi non si tassa il valore del regalo. Oppure all'arrivo del regalo attribuisco un valore al bene e, non avendo subito il relativo costo, lo si impone a tassazione.

Fino al 1995 c'era una norma sulla plusvalenze iscritte, ho un bene a patrimonio, un immobile, che quando l'ho comprato valeva 100, oggi vale 120, lo iscrivo a maggior valore, iscrivo una plusvalenza rivalutandolo. Il legislatole fiscale si è sempre posto il problema, concede di poter iscrivere l'immobile ad un valore più elevato (portando quindi a costo quote di ammortamento più elevate) ma per contro obbliba a contabilizzare la plusvalenza. Per contro se non si riconosce il maggior valore non si contabilizza nemmeno la plusvalenza. I redditi di impresa sono caratterizzati da questa simmetria.

La sopravvenienza attiva non serve per tassare ma per riequilibrare.

Le sopravvenienze tipiche si tassano per competenza e si tassano tutte nell'esercizio di competenza. I contributi invece si tassano 8questi contributi, non quelli che danno luogo a ricavi), si tassano per cassa, non guardiamo la competenza giuridica ma la materiale percezione, e si tassano a scelta del contribuente nell'anno in cui vengono percepiti o in più anni (5).

Il contributo legato ad un costo si porta direttamente in deduzione del costo: es compero un macchinario che costa 100 e ricevo un contributo di 40, portero à costo una somma solo di 60, senza contabilzzare il contributo (in questo modo il contributo verrà trattato come il costo che, diminuito, verrà portato in ammortamento per 60). Altro esempio è il contributo sugli interessi passivi su un mutuo, il contributo non si contabilizza tra i ricavi ma viene inserito nella voce interessi, riducendo così gli interessi passivi.

I dividendi: se lo percepisce la persona fisica subisce tassazione solo per il 40% (si esclude il 60% come spiegato in lezioni passate, con lo scopo di mantenere la progressività) mentre le lo percepisce una società si esclude il 95% (si tassa solo per il 5%). Non c'è una logica precisa, il legislatore ha solo voluto mantenere quello che c'era prima: progressività per le persone fisiche mentre c'era esenzione per le società. I dividendi si tassano nel periodo in cui vengono percepiti, non nel momento della delibera. Ci sono due casi di deroga.



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Art 99: 'le imposte sui redditi per i quali e prevista la rivalsa' in quest'articolo vengono poste, sullo stesso piano della indeducibilità, le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa. In realtà la ragione delle deducibilità per queste due fattispecie è del tutto differente:

- ovviamente le imposte sui redditi non posso essere portate in deduzione (la base imponibile serve per determinare l'imposta, sarebbe assurdo poi portare la stessa imposta in deduzione della base imponibile, logica matematica),

- non sono invece deducibili le imposte per le quali è prevista la rivalsa, grazie alla rivalsa il peso economico del tributo viene scaricato su qualcun altro, un caso evidente è quello dell'IVA, la quota versata dall'imprenditore al suo fornitore viene poi scaricata (rivalsa) al consumatore finale. (Curiosità: l'IVA è un credito o un debito dell'imprenditore, sono di stato patrimoniale, non sono costi o ricavi. La norma invece cita di costi riferiti a imposte, non è un'evidente errore, la norma vuole significare che, anche se l'imprenditore li iscrivesse sul conto economico come costi, non potreppe dedurli). Altro caso a cui si riferisce questa parte dell'art. 99 sono le accise o le imposte di fabbricazione: prodotti petroliferi, alcolici, fiammiferi, zucchero. Sono imposte che giuridicamente gravano sul produttore ma lui, attuando la rivalsa, scarica l'accisa sul consumatore finale il peso economico del tributo. I tributi di fabbricazione sono una certezza per l'erario, il consumatore non può rifiutarsi di pagarli e il produttore non deve far altro che girare l'entrata, addebitata al cliente, all'erario. Per questo motivo un tempo l'evasione dell'IVA era trattata giuridicamente alla stregua dell'appropriazione indebita, reato molto grave; se non versavo IVA c'era una sanzione penale. L'IRPEF è un pezzo del patrimonio dell'imprenditore che se ne và, l'IVA no, è un pezzo del patrimonio del'erario, addebitato al consumatore finale, che viene trattenuto indebitamente dall'imprenditore che evade (ora comunque non è più reato penale).

L'art. 99 cita poi che le atre imposte deducibili lo sono nel periodo di riferimento, non si deducono per competenza ma per cassa (quando sono state pagate).

I componenti positivi trattabili per cassa sono: i contributi e i dividendi.

Dal lato costi si deducono per cassa: le imposte e i compensi all'amministratore.

Nellart. 99 quando si parla di altre 'imposte' bisogna tener presente che il legislatore fa spesso confusione nell'usare i termini, in questo caso era meglio utilizzare la parola tributi.



Gli interessi passivi:

Seguono una logica autonoma, è sicuramente una spesa riferibile all'impresa ma è difficile riferirla ad un singolo bene. Il legislatore ha stabilito una regola matematica: gli interessi passivi sono deducibili solo 'per la parte corrispondente al rapporto tra i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi' (Art. 96), vecchia normativa a cui si sono aggiunti gli articoli 97 e 98 dall' 1 gennaio 1994..

La legislazione tributaria in materia di interessi passivi prevede l'applicazione di tre articoli nell'ordine:

Art. 98: in riferimento alla thin capitalization

Art. 97: pro-rata patrimoniale

Art. 96: pro-rata ordinario


Art. 98: E una norma nella sua logica abbastanza semplice, la thin capitalization vuole evitare la forbiche che si forma tra regime fiscale dell'impresa e quello del percettore degli interessi tassati come redditi da capitale. Succedeva (prima della nuova normativa) che l'impresa potesse portare in deduzione una parte degli interessi passivi mentre il percettore degli interessi attivi usufruiva di una tassazione 12,5%: la convenienza era per il socio di un'impresa che, prendendo a prestito denaro in banca, poteva a sua volta prestarlo all'impresa di cui è socio, sotto forma di finanziamento, manovra che: evita di aumentare il capitale sociale, il socio riceve interessi a tassazione bassa, l'impresa deduce il 33% degli interessi. Nella volontà del legislatore c'era appunto l'intenzione di evitare questi passaggi. Una sentenza della corte Cee però cancellò un'analogo tentativo in Germania con la motivazione di evitare ostacoli alla circolazione dei capitali. A questo punto il legislatore italiano trovò una scappatoia: Se il socio finanzia l'impresa e percepisce gli interessi, qusti però ha fornito all'impresa capitali che se avessero incrementato il capitale sociale non avrbbero dato luogo ad interessi passivi, il legislatore allora assimila gli interessi passivi del finanziamento ai dividendi, si riqualifica quindi il ricavo del socio, non più interesse attivo ma dividendo con le relative differenze in matteria di tassazione sia per l'impresa (che non può portarlo in deduzione) sia per il socio. Ciò e tradotto dal comma 4 art. 98 con la regola del rapporto limite di 1 a 4 (1 di capitale e quattro di finanziamento, oltre tale rapporto gli interessi si considerano dividendi), tale regola vale anche per i finanziamenti indiretti, ottenuti cioè mediante prestazione di garanzie. L'articolo dal comma 5 in poi è poco importante.


Art. 97: Si riferisce alla parte di intressi non ancora deducibili dopo l'applicazione dell'articolo 98, presenta un'altro tipo di logica. Oggetto dell'articlo sono le plusvalenze esenti (per essere tali devono avere precise caratteristiche, descritte in una precedente lezione), il legislatore vuole evitare che l'impresa si indebiti con una banca o con un socio per poi utilizzare i fondi per acquistare partecipazioni che poi rivende come esenti. Esempio:

Attivo patrimoniale: 100

Patrimonio netto: 60

Passivo: 40

Debiti commerciali (nella pratica difficili da definire, la norma non dice nulla): 10

Il rapporto tra l'eccedenza (100-60) cioe 40 e il totale attivo ridotto dello stesso Patrimonio netto contabile e ridotto dei debiti commerciali                                                   40/(100-60-10)=rapporto di non deducibilità

togliere i debiti commerciali rappresenta un male per il contribuente che vede aumentare il rapporto di non deducibilità




Gli ammortamenti:

Sono ammortizzabili solamente i beni strumentali, l'inizio della deduzione parte dall'effettivo utilizzo del bene, ciò rappresenta una deroga al principio di competenza, segue una logica aziendale per permettere la deduzione del costo quando effettivamente il bene inizia a produrre ricavi.

In materia di ammortamenti non vale la regola dettata civilisticamente, ciò per evitare che il contribuente abbia troppa discrezionalità nel determinare le deduzioni. Le aliquote di ammortamento vengono stabilite quindi con decreto ministeriale, in linea generale rappresenta il massimo che si può utilizzare, il conribuente non le deve superare tranne in due casi:

- ammortamento anticipato: facoltà di raddopiare le aliquote previste ma solo per i primi tre anni dall'acqisto

- ammortamento accelerato: caso nella pratica rarissimo. Il legislatore nel determinare le aliuote si è basato su una media ed inevitabilmente ci possono essere casi in cui queste non corrispondano all'effettivo utilizzo del bene acquistato. Se il contribuente riesce a dimostrare che ha impiegato ad esempio un macchinario, usurandolo in un tempo minore a quello previsto, gli è concesso di aumentare le aliquote di ammortamento

In ogni caso per il primo anno l'aliquota di ammortamento è ridotta del 50%, ciò per evitare di gravare il contribuente dal dover calcolare i giorni di effettivo utilizzo dal momento dell'acquisto al 31/12.


In materia di ammortamenti un caso particolare è l'affitto d'azienda: ci troviamo davanti ad una separazione tra chi ha acquistato i beni strumentali e chi effettivamente li utilizza traendone beneficio. Il concedente ha sostenuto il costo mentre il conduttore ne sta percependo i ricavi. In questo caso l'ammrtamento spetta al conduttore , si lega il costo (ammortamento) ai proventi percepiti dall'esercizio dell'attività.



Gli accantonamenti:

Art. 107 comma 4: non sono ammesse deduzioni da accantonamenti al di là delle ipotesi previste. Ad esempio gli accantonamenti a fondo rischi ed oneri non sono costi deducibili, in questo caso mancano del requisito della certezza. Questa norma è ricognitiva (ribadisce) di un principio generale.

In ogni caso è regola generale che se un'accantonamento non è deducibile e poi produce una sopravvenienza, quest'ultima non è tassabile. C'è simmetria. Se un'accantonamento è deducibile allora anche l'eventuale sopravvenienza prodotta è tassabile.

L'accantonamento è deducibile se fa riferimento ad un costo certo (e il caso di accantonamenti per oneri che prima o poi si verificheranno, rimane sono il dubbio sull'ammontare), il fisco in questo caso determina lui l'ammontare da portare in deduzione, 0,5 o 0,6 dei crediti iscritti a bilancio.

Le perdite su crediti sono, a differenza degli accantonamenti a perdite su crediti, eventi certi e precisi, si deducono quindi nell'esercizio in cui divengono certe.



Differenza tra spese di pubblicita (interamente deducibili) e quelle di rappresentanza (deducibili solo per 1/3). (pagina 336 del testo)


Operazioni a premio: non c'è affatto certezza sul costo, è il caso ad esempio della raccolta bollini, l'impresa non sà quanti richiederanno il premio. Basso grado di certezza, diverse aliquote di ammortamento.

Concorsi a premio: l'impresa sà con certezza l'importo dei costi, è il caso ad esempio dell'azienda Melegatti che ad ogni natale regala una serie di premi ben definiti per cui ha già sostenuto la spesa.





Regime fiscale delle partecipazioni: a favore della esenzione delle plusvalenze


Un tempo il legislatore avea previsto la possibilità di svalutazione delle partecipazioni, tale meccanismo permetteva di risalire ai collegamenti che potevano esserci tra una società madre (controllante) e una società figlia (controllata). Non esisteva un sistema di tassazione per il gruppo, c'era comunque la possibilità di far valere la perdita della partecipata in capo alla partecipante viso che non si poteva individuare un sistema di determinazione di un reddito omnicomprensivo.

Nel momento in cui viene ridisegnato il sistema di tassazione in senso di esenzione si è tolto ogni collegamento tra le società.

Il legislatore si è quindi trovato di fornte a due strade per poter dare riconoscimento ai gruppi di società:


I - Dare soggettività passiva al gruppo (entità autonoma e distinta rispetto ai singoli componenti), creare quindi un nuovo soggetto,

nella pratica non percorribile.

II - Mantenere i singoli e determinare una sommatoria di redditi delle partecipanti al gruppo. (strada scelta dal legislatore)


Impraticabilità della prima strada:

Art. 73: i soggetti passivi IRES sono: società di capitale, enti non commerciali, società ed enti non residenti. Art 73 comma 2 'fra gli enti economici si ricomprendono.., le altre organizzazioni dei confronti del quale il presupposto si verifica in modo unitario e autonomo'. La norma prevede che un'organizzazione di beni, non di una persona fisica, ma un'entità dotata di autonomia patrimoniale, deve avere cioè propria capacità contributiva.


Per riconoscere il gruppo come soggetto giuridico sarebbere necessari due requisiti: Soggetto comune e autonomia patrimoniale. Il legislatore prende atto così che non può creare un soggetto nuovo (prima strada) e opta quindi per la seconda.


Ripetendo un concetto già espresso nelle lezioni precedenti, il presupposto dell'imposizione sul reddito, cioè alla base del ricavo, ci sono basi civilistiche (rapporti giuridici tra soggetti da cui scaturiscono effetti fiscali).


Art. 118: la tassazione del gruppo è un regime opzionale, una scelta che deve essere fatta a coppie (controllante ogni volta con ogni controllata congiuntamente) la scelta naturalmente deve essere fatta preventivamente all'esercizio e deve durare per almeno tre anni.

La controllante diviene soggetto passivo per quanto attiene al proprio reddito e per quanto attiene al guppo.


Il consolidato (nazionale): come nel diritto civilesi tratta di bilancio consolidato, qui conosciamo il reddito consolidato. A differenza del bilancio c., che si determina calcolando il valore dei beni pro-quota in base alla partecipazione, nel reddito c. prendo il reddito o la perdita e le imputo ler l'intero alla controllante (irilevante la quota di partecipazione, per semplicità operativa.


Il consolidato mondiale: (art. 130 in poi) per la presenza di soggetti non residenti in Italia, il calcolo assomiglia di più al bilancio consolidato in ambito civilistico, il calcolo si effettua in base alla quota di partecipazione.


(pagina 289 del testo di riferimento)

Art 115 e 116: Il legislatore consente di optare per la Trasparenza (per il principio dell'articolo 5 del testo unico che riferisce alla tassazione delle socità di persone), indipendentemente dal quando o dal se, si considera avvenuta la partecipazione agli utili. Nel caso l'impresa opti per la trasparenza il suo reddito si imputa alle imprese figlie.

Consolidato: Unico reddito

Trasparenza: tanti redditi quante sono le imprese controllate, ciascun reddito peraltro influenzato dal risultato della madre.



Enti non commerciali: non hanno per oggetto esclusivo e principale l'attività di impresa: Art. 73: non rileva la forma è un'entità atipica, che non ha un'attività commerciale. Per definire un ente non commerciale si tralascia l'aspetto formale (il soggetto impresa) per concentrarsi sull'aspetto sostanziale (l'attività svolta). Al comma 4 dello stesso articolo troviamo come elemento l'esestenza di un atto scritto avente data certa, lo statuto, in cui sia descritto l'oggetto sociale dell'ente. A differenza dell'ente commerciale, che è assimilato alle società di capitali nella determinazione del reddito (attrazione di eventuali altri redditi), gli enti non commerciali si trattano come le persone fisiche, gli eventuali ricavi concorrono a formale base imponibile solo in proporzione uguale alla componente commerciale all'interno dell'ente (se l'attivita che produce reddito copre il 40% dell'ente, anche quei costi che non sono imputabili come la luce dovranno essere imputati solo per il 40%).


(pagine 292 del testo)

Enti di tipo associativo: il legislatore li fa rientrare nelle attività non commerciali Art. 148: La quota versata dall'associato non può essere considerata reddito per l'ente, è un versamento effettuato in qualità di socio non per aver usufruito di un servizio. Questa norma storicamente si è prestata a favorire elusione e vera e propria evasione, si pensi alle discoteche. Per evitare ciò il legislatore ha previsto nell'articolo determinati requisiti da rispettare (es. non distribuzione di utili, ecc.) pena la perdita della qualifica, e quindi dei benefici, dell'essere ente non commerciale.


(pagine 342 del testo)

Art 162: Requisito della stabile organizzazione, che si occupa dell' individuazione dei redditi prodotti in Italia dai non residenti. Cioè di una base fissa all'interno della quale si svolge l'attività tipica dell'impresa. Se non vi è stabile organizzazione, i redditi della società o dell'ente non sono attratti nel reddito d'impresa, ma conservano la qualifica di redditi della loro categoria e l'imponibile è il risultato della loro somma, da cui possono essere dedotti alcuni oneri.


Il soggetto non residente, non è soggetto a tassazione per la difficoltà nel determinare la sua capacità contributiva, cosa che può essere fatta solo nel paese di provenienza. Il non residente vine tassato in Italia solo quando la sua attività ha un collegamento con il territorio, quando partecipa alla spesa pubblica o ai servizi pubblici. Possiamo dire che concorre in base all'utilizzo di servizi.




IRAP: imposta regionale sulle attività produttive (decreto legislativo 15 dicembre 1997 n° 446)


Nel caso dell'iva abbiamo:    - Presupposto: cessione di beni e servizi, finalizzata all'immissione al consumo (al mercato)

- Manifestazione economica: ricchezza sottostante


Nel caso dell'IRAP non è facile riconoscere la forza economica: esercizio di un'attività finalizzata alla cessione di beni, presupposto è l'esercizio dell'attività in quanto tale.


Qual'è la ricchezza sottostante?:       - non è un'imposta si redditi

- non è un'imposta sul patrimonio (non c'è il presupposto del possesso)

- non è un'imposta sul consumo (perchè il presupposto è l'esercizio in quanto tale)


Istituita nel 1997 ha sostituito una serie di tributi ereditando alcune caratteristiche di ogni uno. Ha sostituito l'ILOR (imposta locale sui redditi), i contributi sanitari, ecc. L'Irap è sostanzialmente destinata alla copertura delle spese sanitarie (oramai gestite a livello quasi esclusivamente regionale). Ricorda la vecchia ICIAP, un'imposta che a suo tempo tassava l'esercizio di arti e professioni, in questo caso però si trattava di un'imposta applicata in via minimale e forfettaria, non incideva quindi in modo significativo e non destava proteste pur non avendo ben chiaro in se il presupposto dell'imposizione. Nel caso dell'IRAP si è cercato di percorrere un'interpretazione secondo cui la giustificazione dell'imposta si trovava nel fatto che teneva conto delle dimensioni dell'impresa: il presupposto è l'esercizio di un'attività economica autonomamente organizzata (organizzazione di beni e persone, più grande la dimensione maggiore è l'imposta, nella base imponibile IRAP non si possono dedurre i costi del personale, quindi più dipendenti = più imposta). Elemento di contraddizione nel calcolo dell'IRAP è che non si deducono i costi per il personale ma inspiegabilmente si gli ammortamenti, che in egual misura rappresentano la dimensione dell'azienda. Altro elemento di critica è il fatto che, in base al calcolo utilizzato per determinare la base imponibile, potrebbe tranquillamente succedere che un'azienda in perdita si trovi a dover versare IRAP. Per quest'ultima considerazione si può obiettare che l'IRAP ha un presupposto proprio (posizione sociale) che prescinde dal risultato d'esercizio, ma anche in questo caso si deve constatare il diretto collegamento IRAP-Conto Economico e quindi il collegamento con il risultato d'esercizio. Più volte la corte di cassazione è intervenuta in materia salvando l'imposta.

Non sono imponibili IRAP i soggetti che non hanno autonomia organizzativa, il cui lavoro è organizzato dagli altri. Si è voluto attribuire valore nel poter organizzare la propria giornata lavorativa (l'avvocato è soggetto passivo perche è libero di gestire il proprio lavoro mentre il dirigente d'azienda non loè quindi non è nemmeno soggetto d'imposta), si attribuisce quindi valore al tempo libero. Una sorta di presa d'atto che nella società moderna la ricchezza non è data soltanto dal reddito.

Spiegato il presupposto ci si trova di fronte ad un'altra contraddizione: inspiegabilmente l'IRAP considera differenti il lavoratore autonomo e l'imprenditore.

Recentemente la corte CEE ha ritenuto l'imposta sia incompatibile con una direttiva in materia d'IVA che vieta espressamente l'introduzione di tributi sul consumo equivalenti alla stessa IVA.




Richiami finali (ultima lezione)


Impresa: è l'attivirà economica

Azienda: complesso dei beni

Società: contratto



Richiami sull'istituto dell'interpello (articolo 11 dello statuto del contribuente)


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