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Il secondo dopoguerra in italia




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IL SECONDO DOPOGUERRA IN ITALIA


PANORAMICA GENERALE


La guerra del 1914-18 era stata soprannominata 'mondiale' perché ad essa avevano partecipato anche paesi extraeuropei e perché aveva avuto una risonanza mondiale, anche se le battaglie di gran lunga più importanti erano state combattute sui fronti europei.

La guerra del 1939-45, invece, aveva veramente coinvolto tutto il mondo: in Asia, nel Pacifico e in Africa si combatté non meno aspramente che in Europa.

Il conflitto travolse anche le popolazioni civili: città bombardate, campagne devastate, milioni di persone deportate in massa o costrette a fuggire dinanzi all'incalzare della guerra. I morti della prima guerra mondiale furono circa 10 milioni, quelli della seconda almeno 50 milioni, di cui forse la metà civili.

Si colpì non solo il nemico armato, ma anche l'inerme cittadino, quando lo si scopriva appartenente a una razza diversa. Si crearono campi di sterminio simili a vere e proprie fabbriche per eliminare migliaia di uomini al giorno: 4 milioni dall'inizio alla fine della guerra, nel solo campo di Auschwitz. Si giunse a uccidere migliaia e migliaia di persone in pochi minuti di bombardamento aereo; la guerra si concluse con lo scoppio della bomba atomica, che da sola era bastata a distruggere una grande città.

Rimarginate le ferite della guerra, le condizioni economiche dei paesi più ricchi si avviarono verso un continuo progresso; si accrebbero così le distanze fra i paesi poveri ancora affamati, come l'India, molti paesi dell'Estremo Oriente, gran parte dell'Africa e dell'America meridionale, e i paesi ricchi, che sembravano soffrire di nuovi mali nati proprio da un eccesso di ricchezza, dalla subordinazione di tutti i valori individuali e sociali al potere economico, dall'esigenza di produrre e consumare sempre di più (e' quella che oggi si chiama la 'civiltà dei consumi'), stimolando per reazione la protesta e la ricerca di nuovi diritti, di una nuova libertà.


LA RIPRESA DEMOCRATICA IN ITALIA


All'indomani della liberazione l'Italia riprendeva il corso della sua vita democratica, dopo la lunga pausa dovuta alla dittatura fascista. Era un'esperienza del tutto nuova per gran parte dei cittadini, e anche se molti uomini politici del mondo prefascista assunsero importanti responsabilità, è certo che il collegamento col passato, dopo le drammatiche esperienze vissute, era assai difficile.

Al di là dei problemi politici, di fronte agli Italiani stava la tragica realtà economica. Le campagne, devastate dalla guerra e abbandonate dai contadini, producevano solo la metà del grano che veniva prodotto nel periodo prebellico.

Le grandi città avevano subito massicci bombardamenti e molte erano semi distrutte: le vie di comunicazione erano interrotte (per quasi un anno fu assai difficile persino il collegamento tra Milano e Roma), il materiale ferroviario quasi interamente distrutto; la flotta mercantile, prima della guerra una delle maggiori del mondo, in gran parte affondata. Le difficoltà di collegamento e d'approvvigionamento delle materie prime, in particolare di quelle provenienti dall'estero, impedirono che si potesse sfruttare a fondo la capacità produttiva delle nostre industrie, rimasta relativamente integra anche grazie alla vigilanza operaia (le distruzioni non superavano un quarto del totale degli impianti). La necessità primaria era dunque di lavorare intensamente per ricostruire il paese e a questo scopo la via più breve era il ricorso all'aiuto che ci veniva offerto dagli americani.

Grazie a questi aiuti e alla compressione dei salari (i lavoratori, colpiti da una fortissima disoccupazione, dovettero limitare le rivendicazioni economiche) si poté riavviare la macchina della produzione e stimolare l'iniziativa privata.
I risultati economici furono notevoli: si ebbe una rapida ricostruzione, cui seguì una ripresa straordinaria dello slancio produttivo, tanto che quindici anni dopo si parlava con ammirazione nel mondo del miracolo economico italiano.
La produzione si sviluppò tuttavia in modo disordinato anche per la mancanza di un'efficace controllo da parte dei pubblici poteri, soprattutto in materia fiscale, fatto grave questo, le cui conseguenze si dovevano avvertire più tardi.

Anche il risveglio culturale del paese fu straordinariamente vivace.

L'esperienza violenta della guerra e degli anni della Resistenza, la speranza d'un futuro migliore, la caduta delle barriere che avevano isolato per tanti anni la nostra cultura da quella europea, aprirono orizzonti nuovi e stimolarono un nuovo fervore creativo. Si affermarono scrittori nuovi, il nuovo cinema italiano sorprese e commosse le folle del mondo.

Erano forme d'espressione fresche, dirette, anche crude della realtà, dopo tanti anni di retorica e di torpore morale.

Il nostro movimento intellettuale contribuì moltissimo a ricreare i necessari legami spirituali con gli altri paesi dai quali per molto tempo il nostro destino era stato diviso.


DALLA LIBERAZIONE AL REFERENDUM ISTITUZIONALE


Sul piano politico, ai partiti, che rappresentavano il principale legame con l'Italia prefascista, si ponevano difficili problemi di adattamento alla nuova realtà economico-sociale.

Bisognava tener conto, oltre tutto, dell'inserimento di fatto dell'Italia nella sfera d'influenza anglo-americana. Così la Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare, venne ad assumere il ruolo di baluardo contro l'avanzata del comunismo e a mettere in secondo piano le esigenze di rinnovamento pure sentite da molti suoi uomini.

Il Partito Socialista era diviso tra una maggioranza favorevole alla collaborazione coi comunisti e una minoranza che vi si opponeva. Il Partito Comunista, invece, sotto la guida di Togliatti rinunciò alla prospettiva di una rivoluzione immediata e si dedicò a una paziente opera di allargamento dell'elettorato e di penetrazione nelle organizzazioni sindacali.

Accanto a questi 'partiti di massa' si muovevano formazioni politiche minori, pur se guidate da uomini di grande prestigio: il Partito Repubblicano, che si richiamava agli ideali mazziniani; il Partito d'Azione e la Democrazia del lavoro, che sarebbero scomparsi presto dalla scena politica, il Partito Liberale, conservatore e difensore dell'iniziativa privata.

Il 25 aprile 1945 il CLN, che controllava ormai completamente la situazione nelle regioni settentrionali, assunse tutti i poteri civili e militari e nel giugno seguente designò FERRUCCIO PARRI, l'animatore della nostra Resistenza nazionale, come capo d'un governo al quale parteciparono i partiti Comunista, Socialista, Democristiano, Democratico del lavoro, Liberale e d'Azione. Il Partito d'Azione chiese che si mantenessero in vita, come organi locali, i Comitati di Liberazione, ma non fu sostenuto dagli altri partiti, neppure della Sinistra. Gli stessi comunisti, che in pratica li controllavano, ne accettarono la soppressione, puntando le proprie carte sull'esito delle elezioni ormai prossime. Questi contrasti determinarono in novembre la caduta del governo Parri al quale succedette, un mese dopo, un nuovo governo presieduto dal democristiano ALCIDE DE GASPERI. Gli altri partiti continuarono a collaborare, nonostante l'irrigidimento nei rapporti tra i due blocchi sul piano internazionale acuisse le divergenze politiche all'interno della nuova coalizione.

Perché l'Italia potesse intraprendere il suo cammino verso la ricostruzione e la democrazia, andava innanzitutto risolto il problema istituzionale decidendo, mediante un "referendum nazionale", nel quale per la prima volta in Italia il voto veniva esteso alle donne, se mantenere la monarchia sabauda o dare al paese l'istituzione repubblicana.

Vittorio Emanuele III, direttamente compromesso con l'abbattuta dittatura fascista, abdicò il 9 maggio 1946 in favore del figlio Umberto. Ma il regno di UMBERTO II fu assai breve: il 2 giugno, con una maggioranza di due milioni di voti (12.718.019 contro 10.709.423), nasceva la Repubblica Italiana. Il giurista napoletano ENRICO DE NICOLA ne diveniva il presidente provvisorio, mentre i Savoia prendevano la via dell'esilio.










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