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Demostene e la difesa d'Atene




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Demostene e la difesa d'Atene

Demostene è sicuramente l'esempio più importante in Grecia di assoluta opposizione al potere rappresentato da Filippo che nel giro di pochi anni (era salito al trono nel 359 a.C.), destreggiandosi con estrema abilità fra i vari conflitti delle litigiose polis, era riuscito ad estendere in misura sempre maggiore la sua influenza sullo scacchiere greco. Il suo è un comportamento diverso da quello di Tacito che, di fronte al potere assolutistico dei Flavi, ha preferito non parlare per evitare problemi al contrario le opere di Demostene saranno sempre rivolte contro Filippo e la sue mire espansionistiche. Demostene apparteneva alla ricchissima borghesia e nacque ad Atene nel 384 a.C. Perse il padre a soli sette anni, questo aveva affidato il patrimonio a due nipoti Afobo e Demofonte che nel giro di pochi anni si impossessarono di tutti i suoi beni, tanto che Demostene li chiamò in giudizio anche se non riuscì a ritornare in possesso di tutti i suoi averi. Nei primi anni della sua carriera esercitò la professione di logografo e solo dopo aver ottenuto una certa fama diventò un vero e proprio oratore o meglio "l'oratore greco di tutti i tempi". Il primo discorso antimacedone è sicuramente la Prima Filippica (352 a.C.) nella quale vengono ammoniti gli ateniesi perché si scuotano dalla loro apatia e si rendano conto del grave pericolo insito nelle mire espansionistiche del Macedone: "...Vedete infatti, o Ateniesi, a che punto di impudenza è giunto costui: non vi lascia neppure scegliere se agire o restare in pace, ma minaccia e pronunzia, a quanto dicono, parole arroganti, e non è capace di accontentarsi di quello che ha già conquistato, ma sempre si circonda di nuove conquiste e ci accerchia da ogni parte mentre noi indugiamo e rimaniamo inerti."; secondo Demostene questo poteva ancora essere fermato e nella chiusa del discorso propone che si armino un esercito e una flotta per contrastarlo: "...Se dunque anche voi, o Ateniesi, vorrete venire in tale ordine di idee, almeno ora, dato che non l'avete fatto in passato, e ognuno di voi lascerà da parte ogni pretesto e sarà pronto ad agire là dove il dovere glielo impone e potrebbe rendersi utile alla città..." . Gli ateniesi preferirono però la politica pacifista di Eubolo

appoggiato poi anche da Isocrate che nel 346 a.C. scrive il Filippo indirizzata al sovrano macedone che veniva considerata l'unica persona capace di riorganizzare l'intera Grecia e ciò al fine di condurre una decisiva campagna contro la Persia.

Poco dopo Filippo puntò sulla città di Olinto (nella penisola calcifica) che chiese l'aiuto di Atene. A questo periodo risalgono le tre Olintiache (348-349 a.C.) nelle quali Demostene cerca di convincere gli Ateniesi ad aiutare gli abitanti di Olinto coprendo le spese militari impiegando il qewrikon alla cui gestione era posto Eubulo, anche se questa proposta inizialmente non venne accettata, solo dopo la distruzione di Olinto (348 a.C.) Eubulo prese in considerazione la possibilità di una guerra panellenica anche se questa venne scartata dalle altre città greche, anzi si stabilì di inviare un'ambasceria a Filippo per trattare la pace stipulata nel 346 a.C. che prende il nome di "Pace di Filocrate". Nel 344 a.C. viene datata la Seconda Filippica che è il manifesto del contrasto tra Demostene ed Eschine, i due avevano partecipato insieme all'ambasciata inviata a Filippo e Demostene accusa apertamente Eschine di essere un traditore filomacedone. Sicuramente però la Terza Filippica del 341 a.C. è il discorso più acceso di Demostene: Filippo viene descritto come un re barbaro che sta entrando sempre più negli affari della Grecia e rappresenta un pericolo mortale per essa; Atene ha il dovere di fermare i piani di espansione del Macedone e di incitare le altre città ad unirsi on uomini e mezzi in questa lotta, o combattere da sola se le altre poleis intendono adattarsi alla schiavitù: "..il fatto è che le cose vanno male perché voi non fate nulla di ciò che è necessario .Ora Filippo ha avuto il sopravvento sulla vostra inerzia e sulla vostra indifferenza, ma non l'ha avuto sulla città; voi non siete stati vinti: non vi siete neanche mossi..Lui dice che non fa la guerra, ma io proprio non me la sento di riconoscere che egli, agendo in questo modo, faccia la pace con voi.. Se invece ciascuno se ne starà inerte a perseguire quello che desidera e a cercare il modo di non fare nulla personalmente, in primo luogo non è immaginabile che possa trovare mai chi lo farà, e poi temo che saremo costretti a compiere tutte insieme le cose che non vogliamo fare".

Il partito di Demostene ottenne sempre più consensi infatti grazie alla sua propaganda riuscì a staccare alcune città dall'alleanza con Filippo e ad unirne molte altre in una lega guidata da Atene.   Però le attese di Demostene vennero disilluse nel 338 a.C. quando, il 2 Agosto, presso Cheronea, Filippo di Macedonia si scontrò con Atene e i suoi alleati , e per questi ultimi fu un disastro. Demostene, che partecipò alla battaglia come oplita riuscì a salvarsi con la fuga, meritandosi i rimproveri di Eschine per non aver saputo morire sul campo. La Grecia era oramai sottomessa al potere Macedone, solo dopo la morte di Filippo (336 a.C.) risvegliò nei greci una voglia di libertà al punto che il re di Persia inviò un ingente somma di denaro a Demostene perché preparasse l'insurrezione contro Alessandro, figlio di Filippo. Questo però non accadde mai perché Alessandro fece radere al suolo la città di Tebe non appena avuta notizia della sollevazione e minacciò una sorte uguale per chi avesse voluto ritentare l'impresa. La figura di Demostene oratore-politico stava perdendo forza anche a causa di un'accusa di corruzione dalla quale non seppe difendersi e che lo costrinse all'esilio. Tornò in patria solo dopo la morte di Alessandro (323 a.C.) e diede inizio a quella che viene ricordata come guerra di Lamiaca (323-322 a.C.) che però si concluse a Crannon, in Tessaglia, quando Antipatro, capo dell'esercito macedone, sconfisse definitivamente i greci e spinse Demostene al suicidio nell'isola della Calauria (322 a.C.).

Completamente diverso è invece l'atteggiamento che sia verso il poter durante l'età ellenistica. Infatti autori come Callimaco o Teocrito vivendo a corte e lavorando nella biblioteca di Alessandria non attaccano il poter anzi lo appoggiano e lo aiutano. Un esempio di questo si può rintracciare nella Chioma di Berenice di Callimaco dove è chiaro l'intento di captatio benevolentiae da parte dello scrittore che scrive questo piccolo epillio in onore della sovrana moglie di Tolomeo III Evergete ( dedicherà alla sovrana anche un epinicio anche perché questa era originaria di Cirene, terra natale di Callimaco, che per questo tenderà sempre a privilegiarlo). Anche in Teocrito troviamo parti in cui è chiaro il suo intento cortigiano, come nel mimo urbano  Le Siracusane (idillio 2) in cui nel descrivere la città di Alessandria in festa e lo sfarzo del palazzo reale si elogia la figura di Tolomeo perché ha reso possibile tutto questo.


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