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Cause e premesse della I guerra mondiale




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Cause e premesse della I guerra mondiale


Contrasti fra le potenze, contesto internazionale sempre più teso e inquieto: conflitto franco/tedesco (revanscismo francese per la perdita della guerra del 1870 dove aveva ceduto l'Alsazia e la Lorena e la questione del Marocco); conflitto anglo/tedesco per questioni navali e tensione generale con spinta bellicista da parte di tutti gli stati.

Colonialismo. Nel congresso di Berlino del 1878 si era decisa la spartizione del mondo coloniale. Pur non essendo mai scoppiata una guerra vera e propria, i conflitti territoriali causavano spesso diversi attriti fra le nazioni interessate.

Della crisi interna all'impero Ottomano approfittò subito l'Austria - Ungheria che procedette con l'annessione della Bosnia Erzegovina al suo territorio (questo stato le era stato affidato in amministrazione temporanea, al congresso di Berlino del 1878). Questa mossa inasprì le tensioni con la Serbia (che mirava ad un'unione dei popoli Slavi del sud) ed anche con la potenza Russa, grande protettrice della Serbia. Questa mossa non piacque affatto neanche all'Italia: secondo gli accordi infatti, la cessione temporanea della Bosnia all'Austria  era concessa a patto che, quando lo stato avesse voluto appropriarsene pienamente, avesse ceduto all'Italia i compensi del trentino e della Venezia Giulia, come sottoscritto nel trattato del rinnovo del 1887 - cosa che non accadde.

Dal casus belli alla guerra europea

Il 28 Giugno del 1914 uno studente bosniaco, Gavrilo Princip, uccise con due colpi di pistola l'erede al trono Francesco Ferdinando e sua moglie, mentre attraversavano in auto scoperta le vie di Sarajevo. Sarà questo l'episodio che farà scattare la guerra.

L'Austria inviò il 23 luglio un durissimo ultimatum alla Serbia, che comportò un'immediata reazione della Russia in appoggio della regione balcanica. La Serbia accettò tutte le clausole tranne una, quella che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci nelle indagini riguardanti i mandanti dell'attentato all'erede. L'Austria ritenne la risposta sufficiente e dichiarò così, il 28 luglio, guerra alla Serbia. Il giorno successivo il governo russo ordinò la mobilitazione delle forze armate.

La mobilitazione russa che vide il suo espandersi all'intero confine occidentale, venne interpretato come atteggiamento ostile dalla Germania, che inviò un ultimatum alla Russia: la mancata risposta di questa provocò la dichiarazione di guerra

Il giorno stesso, a seguito della mobilitazione delle forze armate francesi, la Germania rispose con un ultimatum alla Francia e con una nuova dichiarazione di guerra.

Il piano Schlieffen prevedeva un primo luogo un massiccio intervento sul fronte francese, che avrebbe eliminato la minaccia nel giro di poche settimane, per poi concentrare l'intero esercito contro la Russia, puntando sulla lentezza della sua potenza.

Presupposto iniziale per la riuscita del piano Schlieffen era però la rapidità. Per attaccare quindi in modo rapido la Francia, il governo tedesco, ignaro del peso che avrebbe avuto l'opinione pubblica a riguardo, decise di attraversare il Belgio con le proprie truppe, nonostante la dichiarata neutralità di questo stato.

La violazione della neutralità belga ebbe un peso decisivo anche nel determinare l'intervento inglese nel conflitto europeo: essa infatti non poteva tollerare l'aggressione a un paese neutrale che si affacciava sulla Manica. L'Inghilterra dichiarò così guerra alla Germania.

I tedeschi ottennero inizialmente una serie di vittorie clamorose sul rivale francese, che costrinsero il nemico a una precipitosa ritirata. Il governo e oltre mezzo milione di civili si affrettarono a lasciare la capitale

Sul fronte russo, i tedeschi riuscirono nel blocco dei russi che tentavano di penetrare nella Prussia orientale. L'offensiva russa mise però in serie difficoltà i comandi tedeschi inducendoli a trasferire oltre centomila uomini dal fronte occidentale a quello orientale, dando però così la possibilità all'esercito francese di ricostituirsi velocemente.

A Marna i francesi lanciarono un improvviso contrattacco che colse i tedeschi di sorpresa costringendoli alla ritirata: il progetto Schlieffen fu cosi sostanzialmente fallito.

Nei quattro mesi di guerra svoltisi fino ad ora, le perdite furono ingentissime, senza che in tutto ciò nessuno degli schieramenti sia uscito vincitore o vinto o fosse riuscito a conseguire risultati decisivi per l'esito della guerra. Si andava infatti incontro ad un nuovo tipo di guerra: la guerra di logoramento o di usura, dove gli schieramenti praticamente immobili si scontravano in una serie di sterili attacchi sanguinosi inframezzati da periodi di stasi. In una guerra di questo genere, l'iniziale superiorità militare passava quindi in secondo piano

Diventava invece essenziale il ruolo della Gran Bretagna, che poteva gettare sul piatto della bilancia le risorse del suo impero coloniale e la sua superiorità navale. Altrettanto importante sarebbe stato l'apporto della Russia e del suo enorme potenziale umano.

Il conflitto si allargò così a livelli mondiali: il Giappone, legandosi alla Gran Bretagna e mirando alla conquista delle colonie orientali tedesche, si schierò contro la Germania; cosi come l'Italia (maggio 1915), Portogallo, Romania, Grecia e Stati Uniti [il casus belli fu l'affondamento da parte dei sottomarini tedeschi di un transatlantico americano, Lusitania. La vera ragione fu però commerciale: gli Stati Uniti, se l'intesa avesse perso, avrebbero perso moltissimi punti commerciali per la loro esportazione, come l'Inghilterra e la Francia, e inoltre le banche americane non sarebbero state risarcite dei prestiti economici per gli armamenti concessi a queste due nazioni.] Nel fronte degli stati centrali si schierarono invece la Bulgaria e la Turchia.


La questione italiana

A guerra appena scoppiata, il governo presieduto da Salandra aveva dichiarato la neutralità dell'Italia. Questa decisione giustificata dal carattere difensivo della triplice Alleanza, aveva trovato inizialmente concordi tutte le principali forze politiche. Il pensiero italiano si divise poi in due correnti di pensiero: interventismo e neutralismo.

INTERVENTISMO

Il fronte interventista era unito da un obiettivo preciso e comune: la guerra contro l'Austria e la comune avversione per la "dittatura" giolittiana. Il fronte interventista era formato da piccola e media borghesia colta: alcuni nomi di spicco furono Gabriele D'Annunzio, Benedetto Croce, Luigi Einaudi.
Sinistra democratica: era favorevole contro le potenze centrali per il compimento del processo risorgimentale e l'annessione quindi di treno e Trieste; difesa della democrazia minacciata dai due imperi autoritari; sentimento antiaustriaco diffuso largamente.

Nazionalisti: erano favorevoli all'interventismo contro le potenze centrali per rendere reale il progetto di un'Italia come potenza imperialista

Conservatori: erano favorevoli all'interventismo contro le potenze centrali in quanto la mancata partecipazione al conflitto in un evento di così grande importanza mondiale che decideva le sorti dell'Europa avrebbe compromesso la posizione internazionale italiana; oltretutto una ipotetica vittoria avrebbe giovato alla solidità del governo.

Benito Mussolini e "il Popolo d'Italia": direttore dell'"Avanti!" e dapprima fermo sostenitore del neutralismo, cambia improvvisamente idea schierandosi a favore dell'intervento in guerra italiano e venendo così dimesso da suo ruolo di direttore dell'avanti e formando un nuovo giornale (il popolo d'Italia) che sarebbe diventato il principale manifesto dell'interventismo di sinistra.

NEUTRALISMO
Fronte in netta prevalenza, che non costituiva però uno schieramento omogeneo, capace di trasformarsi in alleanza politica.

Giolittiani: ritenevano la guerra lunga e logorante e non consideravano il popolo italiano preparato ad affrontare questo tipo di guerra; inoltre confidavano nella possibilità di ottenere i medesimi risultati semplicemente tramite accordi che garantivano la sua neutralità.

Cattolici: pacifismo guidato da papa Benedetto XV si poneva fermamente contro l'interventismo in guerra sia per questioni puramente pacifiste, sia per l'idea di un possibile schieramento a fianco della Francia anticlericale e contro la cattolica Austria

Cgl e Psi: netta posizione neutrale di condanna alla guerra che andava contro la scelta interventista dei maggiori partiti socialisti europei ma che rispecchiava l'istintivo pacifismo socialista delle masse operaie e contadine. Il motivo principale fu la riluttanza a fare una guerra che vedesse proletari contro proletari per interessi non proletari.


Le decisioni finali e il patto di Londra: l'esito dello scontro fra interventisti e neutralisti fu preso in seno alla decisione di Re, Capo di governo (Salandra) e ministero degli Esteri (Sonnino). Dopo gli esiti negativi del piano tedesco, in maniera totalmente segreta, Salandra e Sonnino allacciarono rapporti con l'intesa, continuando però ufficialmente a trattare con gli imperi centrali al fine di strappare qualche compenso territoriale in cambio della neutralità. Si decise infine, senza informare né governo né parlamento, di accettare le proposte dell'Intesa e di entrarvi con la stipulazione del Patto di Londra dell'Aprile del 1915, dove in caso di vittoria all'Italia sarebbe spettato il trentino, il sud Tirolo, la Venezia Giulia e l'intera penisola istriana e parte della Dalmazia.

Dimissioni di Salandra ed entrata in guerra: dal momento che Giolitti era all'oscuro del patto di Londra, egli si pronunciò favorevole alla continuazione dei trattati con l'Austria e ottenne più di 300 deputati al suo seguito, che gli assicuravano la loro solidarietà. A questo punto Salandra rassegnò le dimissioni. Ma la volontà neutralista del parlamento fu prevaricata per due motivi: il primo consisteva nel fatto che il Re non accettò le dimissioni del capo di governo, ammettendo cosi implicitamente la sua adesione all'interventismo; il secondo vedeva la sua causa nelle manifestazioni pubbliche (le cosiddette radiose giornate) che vedevano il popolo interventista schierato nelle piazze a favore dell'entrata in guerra dell'Italia. Il 23 maggio 1915 venne così decretata l'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria; il 24 ebbero inizio le operazioni militari.


Prima esperienza di guerra:

Al momento dell'entrata in guerra, era diffusa in Italia la convinzione che una rapida campagna militare sarebbe bastata per avere ragione degli avversari e far volgere le sorti del conflitto a favore dell'Intesa.

Nel 1915 il generale Luigi Cadorna sferrò i primi 4 attacchi senza riuscire però ad ottenere nessun successo; a fine anno l'esercito italiano si trovava a combattere sulle stesse posizioni sulle quali si era schierato a giugno.


Secondo anno: 1916

Verdun: all'inizio del 1916 i tedeschi ripresero l'iniziativa sul fronte occidentale, attaccando la piazzaforte francese di Verdun. Ma la battaglia risultò troppo costosa anche per gli attaccanti, che ebbero perdite di poco inferiori a quelle degli avversari. Il tutto si risolse in una spaventosa carneficina. Più di 600.000 uomini dei due schieramenti perirono e oltre un milione ne morirono nei 6 mesi successivi.

Strafexpedition: nel 1916 l'esercito austriaco attaccò il fronte italiano, tentando di penetrare dal trentino. Gli italiani vennero colti di sorpresa da quest'offensiva, che venne chiamata strafexpedition, ma riuscirono seppur faticosamente ad arrestarla sugli altipiani di asiago.

Il governo Salandra fu costretto alle dimissioni e venne sostituito da un ministero di coalizione nazionale (comprendente cioè tutte le forze politiche italiane esclusi i socialisti), presieduto da Paolo Boselli. 

Nel '16 i russi lanciarono una violenta offensiva, riuscendo a recuperare buona parte dei territori perduti l'anno precedente. I successi della grande nazione indussero la Romania ad intervenire, a fianco dell'Intesa. Ma l'intervento si risolse in un totale disastro: la Romania infatti subì la stessa sorte della Serbia lasciando nelle mani dei nemici tutte le sue considerevoli risorse agricole e minerarie (grano e petrolio).

Nel 1916 la flotta tedesca aveva tentato un attacco contro quella inglese, in prossimità della penisola dello Jutland. Le perdite subite furono tali da indurre i comandi a ritirare le navi nei porti, rinunciando definitivamente allo scontro a campo aperto.








La guerra di trincea: la vera protagonista della guerra furono le trincee, che divennero la sede permanente dei reparti di prima linea. Tutto il fronte venne ricoperto da due o più linee, collegate fra loro per mezzo di camminamenti. Col passare del tempo le trincee furono allargate, dotate di ripari, protette da reticolati di filo spinato e da nidi di mitragliatrici, diventando sempre più difficilmente espugnabili. La vita nelle trincee logorava i combattenti nel morale oltre che nel fisico e li gettava in uno stato di apatia e torpore mentale. Le condizioni igieniche erano deplorevoli, esposti alle intemperie e ai periodici bombardamenti dell'artiglieria avversaria. Pochi mesi nelle trincee furono sufficienti a far svanire l'entusiasmo patriottico con cui molti combattenti avevano affrontato il conflitto. I soldati semplici non avevano idee precise sui motivi per cui si combatteva la guerra. La visione eroica e avventurosa della guerra restò quindi prerogativa di alcune esigue minoranze di combattenti, perlopiù organizzati in reparti speciali. Per tutti gli altri la guerra era una dura necessità.


Le nuove tecnologie militari: scoppiato al termine di un periodo di grandi progressi scientifici e di grande sviluppo economico, il primo conflitto mondiale si caratterizzò per l'applicazione intensiva e sistematica delle nuove tecnologie di guerra. Ruolo decisivo giocarono artiglierie pesanti, fucili a ripetizione e mitragliatrici, ma anche armi chimiche che provocavano la morte per soffocamento. Il grande cambiamento delle dinamiche belliche si ebbe anche grazie ai grandi passi in avanti compiuti dal settore automobilistico, dalla nascente aeronautica, dalla radiofonia che permise di coordinare al meglio i movimenti delle truppe su fronti vastissimi. Altra innovazione sarà il carro armato, inizialmente chiamati autoblindo e muniti di ruote, limitati quindi dal loro potersi muovere solo su strade. Con l'introduzione dei cingoli i carri armati ottennero un maggiore successo; vennero utilizzati maggiormente dagli inglesi. Fra le nuove macchine belliche quella che influì in maniera significativa sul corso della guerra fu il sottomarino, che utilizzarono soprattutto i tedeschi ( -> problemi politici e morali, caso di affondamento del transatlantico statunitense Lusitania che causò fortissime proteste).


La propaganda: strumento essenziale per la mobilitazione dei cittadini era la propaganda, che non si rivolgeva soltanto alle truppe ma che cercava di raggiungere in tutti i modi possibili anche la popolazione. Erano mezzi ancora rudimentali, che dimostravano la preoccupazione dei governi nel curare l'opinione pubblica: preoccupazione che si faceva sempre più forte man mano che i segni di stanchezza fra i combattenti erano più visibili e quanto più si rafforzavano le correnti contrarie alla guerra.


Le decisioni del socialismo internazionale

Fra il 15 e il 16 in Svizzera si tennero due conferenze socialiste internazionali, a Zimmerwald e Kienthal, che si conclusero con l'approvazione di documenti dove si condannava la guerra e si chiedeva una pace senza annessioni e senza indennità.

Col protrarsi del conflitto, i gruppi socialisti contrari alla guerra andarono rafforzandosi.

All'interno dei gruppi socialisti anti-guerra vi era però una profonda spaccatura:

sinistre radicali: volevano una pace negoziata e un ritorno così alla democrazia

i "disfattisti rivoluzionari", ovvero i gruppi più radicali, dei quali facevano parte i bolscevichi russi [capeggiati da Lenin] e gruppi autonomi come gli "spartachisti" guidati da Rosa Luxembourg.

Lenin già nel convegno di Zimmerwald aveva sostenuto la tesi secondo la quale il movimento operaio doveva profittare della guerra e delle sofferenze che essa provocava sulle masse per affrettare il crollo dei regimi capitalistici. Le sue idee trovarono adesione nelle minoranze di estrema sinistra.










Il malessere del 1917

avvenuta nel 1917 la rivoluzione russa si ebbe la dissoluzione dell'esercito, sebbene l'entrata in Aprile in guerra degli Stati Uniti abbiano compensato il gravissimo colpo subito dall'intesa con l'uscita di scena della Russia.

Alle difficoltà militari si aggiungevano un po' in tutta l'Europa anche difficoltà politiche e psicologiche: gli eserciti erano stanchi di combattere senza risultati, le truppe erano ormai stanche, gli ammutinamenti aumentavano di giorno in giorno. Il più grave si verificò sul fronte francese dove a seguito dell'ennesima inutile offensiva più di 40.000 uomini si ammutinarono decidendo di non partecipare al successivo attacco.

Anche negli imperi centrali si andavano moltiplicando i segni di stanchezza, con scioperi e ammutinamenti.

Nell'impero austro ungarico la questione era molti delicata, in quanto l'andamento non brillante della guerra aveva ridato forza agli stati slavi oppressi che rivendicavano la loro indipendenza e l'unione in un'unica confederazione slava. Consapevole del pericolo di disgregazione cui andava incontro l'Impero, il nuovo imperatore Carlo I (asceso a seguito della morte di Francesco Giuseppe, che regnò per oltre 60anni) avviò dei negoziati segreti in vista di una pace separata, ma l'intesa rifiutò.

Papa Benedetto XV in agosto promosse un'iniziativa che invitava i governi a porre fine all' "inutile strage" e a prendere in considerazione l'ipotesi di una pace senza annessioni. Ma i destinatari accolsero malamente l'espressione "inutile strage" in quanto in un certo senso riecheggiava le formule della propaganda socialista.


L'esperienza italiana del '17: Caporetto e il Piave

Anche per l'Italia il 17 fu l'anno di guerra più difficile: la situazione si avvicinava sempre di più al punto di rottura. Sebbene non ci fossero infatti vere e proprie manifestazioni a larga partecipazione, il malcontento era generale e coinvolgeva tutte le classi sociali, sia all'interno dell'esercito dove le perdite continuavano ad essere pesantissime senza che si arrivasse ad un risultato, sia nella parte civile, dove il malcontento era generato dalla mancanza di generi alimentari e dell'aumento dei prezzi. Le manifestazioni di protesta erano quindi perlopiù spontanee che si discioglievano nel giro di qualche ora; tranne per i moti di Torino dove una protesta originatasi per la mancanza di pane si trasformò in un'autentica sommossa a larga partecipazione operaia.

In questa situazione le truppe dei comandi austro tedeschi decisero di infliggere l'attacco decisivo all'Italia, colpendo di sorpresa l'alto Isonzo e sfondandolo nei pressi di Caporetto.  Avanzando in profondità nel Friuli, le truppe italiane, per evitare di essere accerchiate, abbandonarono precipitosamente le posizioni che tenevano dall'inizio della guerra: la ritirata somigliò nettamente di più ad un'autentica rotta.

Solo dopo due settimane l'esercito dimezzato si assestava sulla nuova linea difensiva del Piave, lasciando cosi al nemico + di 10.000 km2 di territori italiani, 300.000 prigionieri e una quantità impressionante di armi, munizioni e vettovaglie frettolosamente abbandonate dai reparti in fuga.

La causa della disfatta fu affibbiata dal generale Cadorna (poi sostituito dal generale Diaz) all'esercito stesso e alla sua stanchezza, sebbene questa fosse una caratteristica comune ad entrambi gli eserciti. La vera causa fu la scarsa preparazione all'attacco a sorpresa e la perfetta ideazione di questo da parte degli strateghi tedeschi, che aveva fatto si di cogliere gli italiani di sorpresa. Del resto gli italiani dimostrarono grandi doti di coraggio e resistenza sul Monte Grappa e sul Piave, evitando la definitiva catastrofe bloccando l'avanzata austriaca nella Pianura Padana.

Complessivamente la disfatta di caporetto ebbe effetti positivi sul morale dei combattenti italiani: la guerra difensiva che aveva preso forma contro il nemico che occupava una grande fetta di territorio italiano aveva contribuito a rendere più comprensibili gli scopi del conflitto e ad aumentare il senso di coesione patriottica.

Anche le forze politiche parvero trovare una maggiore concordia, capeggiati dal giurista siciliano Vittorio Emanuele Orlando che venne affiancato nello sforzo di resistenza del paese dagli stessi leader dell'ala riformista del Psi.



Rivoluzione d'ottobre, Lenin e Wilson

Con la rivoluzione d'ottobre, un'insurrezione guidata dai bolscevichi rovesciò in Russia il governo provvisorio: il potere fu assunto da Lenin che decise immediatamente di porre fine alla guerra seppure ad un prezzo altissimo.

La pace di Brest-Litovsk la Russia dovette accettare le durissime condizioni imposte dalla Germania, che comprendevano la perdita di circa un quarto dei territori russi in Europa.

Per rispondere alla sfida lanciata da Lenin, che aveva dimostrato al mondo che la trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione era possibile, gli stati dell'Intesa dovettero accentuare il carattere ideologico della guerra, presentandola sempre di più come la difesa della libertà dei popoli contro i disegni egemoni dell'imperialismo tedesco. Questa concezione trovò il suo interprete più autorevole nel presidente americano Wilson.


I quattordici punti di Wilson: nel gennaio del 18 Wilson redasse una lista formata da 14 punti formanti un programma di pace. In questo documento figuravano l'abolizione della diplomazia segreta, il ripristino della libertà di navigazione, l'abbassamento delle barriere doganali, la riduzione degli armamenti, la reintegrazione del Belgio, della Serbia e della Romania nell'Europa, l'evacuazione dei territori russi occupati dai tedeschi, la restituzione dalla Francia dell'Alsazia - Lorena, la possibilità di "sviluppo autonomo" per i popoli soggetti a Turchia e impero austro ungarico, rettifica dei confini italiani. Si proponeva infine l'istituzione di un organismo internazionale, la Società delle Nazioni, per assicurare il rispetto delle norme di convivenza fra i popoli. Ilo programma era evidentemente utopistico, ma rappresentava comunque un'autentica rivoluzione. Per questo fu accolto da una consistente parte dell'opinione pubblica come una sorta di "nuovo vangelo" in quanto, se seguito alla lettera, avrebbe garantito un lungo periodo di benessere e pace. In realtà i paesi dell'Intesa non lo condividevano affatto, o solo in parte, decisi com'erano nel raggiungimento degli scopi che si erano prefissati entrando in guerra. Nonostante ciò, furono costretti a far mostra di condividerlo, in quanto necessitavano in maniera estrema dell'aiuto americano, ma anche perché speravano che il wilsonismo costituisse un valido antidoto contro la diffusione dell'altro vangelo, quello rivoluzionario diffuso dalla Russia bolscevica.


L'ultimo anno di guerra: 1918

Nonostante i grandi mutamenti dell'anno precedente, la situazione militare nel 1918 era sempre stabile. La partita decisiva andava a giocarsi sul fronte francese.

Fu qui che avvenne l'ultima offensiva tedesca: i soldati riuscirono a sfondare e a penetrare per oltre 50km, giungendo sulla Marna e avendo così Parigi sotto tiro dei loro nuovi cannoni a lunga gittata.

Gli austriaci tentarono nuovamente di attaccare gli italiani con un'offensiva sul Piave ma furono respinti. Anche l'offensiva tedesca sul fronte francese cominciava ad esaurirsi. Gli anglofrancesi , giovandosi del massiccio apporto degli Stati uniti, bloccarono l'ultima offensiva tedesca.

Le forze dell'Intesa, superiori per uomini e mezzi, passarono cosi ad agosto al contrattacco. Nella battaglia di Amiens, i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale.

I generali tedeschi capirono allora di aver perso la guerra: la loro preoccupazione divenne quella di sbarazzarsi del potere che avevano così largamente esercitato e di lasciare in mano ai politici la responsabilità di un armistizio che si preannunciava durissimo, ma che avrebbe permesso alla Germania di uscire di scena con l'esercito ancora integro e il territorio nazionale intatto. Il compito ingrato di aprire le trattative toccò a un nuovo governo di coalizione democratica.

Mentre la Germania cercava invano una soluzione di compromesso, i suoi alleati crollavano. [Bulgaria, Turchia, Austro Ungheria] quando il 24 ottobre gli italiani lanciarono una controffensiva sul Piave, l'impero era ormai in piena crisi.

Sconfitti nella battaglia di Vittorio Veneto, gli austriaci firmarono a villa giusti l'armistizio con l'Italia.

L'11 novembre i delegati del governo provvisorio tedesco firmavano l'armistizio nel villaggio francese di Rethondes, accettando le durissime condizioni: annullamento dei trattati con Russia e Romania, restituzione unilaterale dei prigionieri, consegna dell'armamento pesante, ritiro delle truppe.


L'esito della guerra: la Germania perdeva così una guerra che più degli altri aveva contribuito a far scoppiare. La perdeva per fame e per stanchezza, per esaurimento delle forze morali e materiali, ma senza essere stata schiacciata sul piano militare e senza che alcuna parte del suo territorio fosse stata invasa da eserciti stranieri. Gli stati dell'Intesa, vincitori grazie all'appoggio degli Stati Uniti, uscivano dal conflitto scossi e provati per l'immane sforzo sostenuto. La guerra si chiudeva quindi con un tragico bilancio di perdite umane, ma anche con un drastico ridimensionamento del peso politico del vecchio continente sulla scena internazionale.


La conferenza di pace di Versailles e l'applicazione dei 14 punti: compiuto difficile spettò ai vincitori della guerra, che nella conferenza di pace iniziata a Versailles nel 1919 e protrattasi per più di un anno e mezzo, dovevano ridisegnare la carta del vecchio continente, rimasta immutata per più di mezzo secolo, ora sconvolta dal crollo contemporaneo di 4 imperi (tedesco, austro ungarico, turco e russo). Quando la conferenza si aprì, era convinzione diffusa che la sistemazione dell'Europa sarebbe stata fondata essenzialmente sul programma wilsoniano. Nella pratica però, questo fu assai problematico. Il contrasto principale avvenne fra l'ideale di una pace democratica e l'obiettivo di una pace punitiva. Questo fu evidente soprattutto nel caso della Germania: la Francia non si accontentò di Alsazia e Lorena, ma volle spostare i suoi confini al di là del Reno, il che significava ottenere uno dei territori fra i più ricchi e popolosi della Germania. Wilson si oppose in maniera netta, e l'Inghilterra, seppure meno esplicitamente, era da sempre contraria allo strapotere di una nazione sul territorio continentale. Così la Francia dovette rinunciare al confine del Reno.


Diktat: il trattato di pace con la Germania fu firmato il 28 giugno 1919. era una vera e propria imposizione (diktat) che prevedeva: restituzione Alsazia -Lorena, restituzione di territori tedeschi alla Polonia, Danzica diventava città libera, le colonie tedesche venivano spartite fra Francia Inghilterra e Giappone. Indicata nel testo stesso del trattato come responsabile della guerra, la Germania ebbe l'obbligo di risarcire i danni subiti dalle altre nazioni in conseguenza del conflitto: l'entità era tale da rendere impossibile per molto tempo la ripresa economica.


Dissoluzione con l'impero asburgico e nuove nazioni: la nuova repubblica d'Austria venne ridotta in un territorio di 85.000 km2, + o meno la grandezza attuale, con 6 milioni e mezzo di abitanti , dei quali + di un quarto vivevano a Vienna. A trarre vantaggio dal crollo dell'impero asburgico furono i popoli slavi. Boemi e Slovacchi confluirono in una repubblica di Cecoslovacchia; gli stai del sud si unirono a Serbia e Montenegro per dare vita alla Jugoslavia. Problematici furono i rapporti con la Russia. Gli stati vincitori vollero l'annullamento del trattato di Brest-Litovsk, e non riconobbero la repubblica socialista che infatti nemmeno partecipò alla conferenza. Cercarono anzi di abbatterla appoggiando i gruppi controrivoluzionari, riconoscendo inoltre le nuove repubbliche indipendenti che si erano formate dal territorio russo, ovvero Estonia, Lettonia, Lituania e Finlandia. L'istituzione della Società delle nazioni al fine di garantire il benessere e il rispetto dei popoli e dei nuovi stati, ma soprattutto dello status di pace, venne accettata da tutti i partecipanti alla conferenza di Versailles. Ma quest'organismo in sostanza non si realizzò: la società delle nazioni nacque minata da profonde contraddizioni, come la mancata adesione degli Stati Uniti [l'opinione pubblica americana non vedeva di buon occhi l'eccessivo coinvolgimento dell'america nelle questioni europee].











LA RIVOLUZIONE RUSSA

Nel marzo del 1917 la rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado provocò la caduta dello Zar e la formazione di un governo provvisorio formato dalle forze liberal-moderate, presieduto da L'Vov.

Nel maggio si formò un secondo governo provvisorio cui partecipavano tutti i partiti, ad eccezione di quello bolscevico, che rifiutò convinto che la sola classe operaia avrebbe potuto assumersi la guida del paese: accanto al potere "ufficiale", si andava formando il potere parallelo dei soviet [consigli eletti direttamente da operai e soldati]

Col ritorno di Lenin in Russia nell'aprile del 17, i bolscevichi accentuarono la loro opposizione al governo provvisorio, chiedendo la pace immediata e il passaggio di tutti i poteri ai soviet. [tesi di aprile]

Grazie alla determinazione di Lenin, durante la presidenza del consiglio tenuta da Kerenskij decisero di conquistare il potere con la forza. Lenin trovò come punto d'appoggio Trotzkij, che fu l'organizzatore e la mente militare dell'insurrezione: la fulminea presa di potere da parte dei bolscevichi fu attuata accerchiando il palazzo d'Inverno (mattina del 25 ottobre). Si venne così a formare un governo costituito esclusivamente da bolscevichi di cui Lenin era il capo. Tutte le forze politiche erano contrarie a questa presa di potere con la forza.

In dicembre i social rivoluzionari ebbero un grande successo per le elezioni dell'assemblea costituente, conquistandosi la stragrande maggioranza dei seggi, al contrario dei bolscevichi che ne ottennero meno di un quarto. La costituente venne così sciolta rompendo in tal modo definitivamente con la tradizione democratica borghese occidentale, e ponendo le premesse per una vera e propria dittatura di partito.

L'uscita della Russia dalla guerra ci furono gravissime conseguenze a livello dei rapporti internazionali. Le potenze dell'Intesa, preoccupate di un possibile contagio rivoluzionario, intensificarono l'azione antibolscevica anche militarmente (le armate bianche).

Grazie alla riorganizzazione dell'esercito operata con la costituzione dell'armata rossa, il governo rivoluzionario riuscì a prevalere.

Con la rivoluzione d'ottobre e la vittoria della guerra civile i bolscevichi avevano compiuto il miracolo di far nascere il primo stato socialista. Nata nel 1919, l'Internazionale comunista (o Terza Internazionale o Comintern) estese a tutto il movimento operaio europeo la frattura fra comunismo e social democrazia che si era verificata in Russia. I partiti comunisti nacquero strettamente dipendenti dalle direttive dell'internazionale, controllata dai russi,e  non riuscirono ad ottenere l'adesione della maggioranza della classe operaia.

Nel 1918 il governo bolscevico attuò una politica economica più autoritaria ("comunismo di guerra"), basata sulla centralizzazione delle decisioni e sulla statizzazione delle attività produttive. Questa politica ebbe tuttavia scarsi risultati, finendo con l'alimentare il malcontento di contadini e operai.

La NEP (nuova politica economica, basata su una parziale liberalizzazione delle attività economiche che aveva come obiettivo principale quello di stimolare la produzione agricola e favorire l'afflusso dei generi alimentari verso le città), stimolò la ripresa produttiva, ma ebbe anche effetti non desiderati (crescita dei contadini ricchi, degli imprenditori e degli affaristi).

La prima costituzione della Russia rivoluzionaria era stata varata nel 1918 e si apriva con una "dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato".

Nel 1922 nacque l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). La nuova costituzione comportava di fatto la dittatura del partito comunista, l'unico del quale fosse consentita l'esistenza.

Con l'ascesa di Stalin alla segreteria del partito (aprile 22) e la malattia di Lenin (morto nel gennaio 24) si scatenò una dura lotta all'interno del gruppo dirigente bolscevico. Stalin riuscì dapprima ad emarginare Trotzkij (fautore di un continuo sviluppo ed estensione del processo rivoluzionario), contrapponendogli la teoria del "socialismo in un solo paese". Si sbarazzò dell'opposizione di sinistra, che chiedeva la fine della Nep e l'accelerazione dello sviluppo industriale. Si affermava sempre di + il suo potere.
       




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