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Caio giulio cesare




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CAIO GIULIO CESARE





SOMMARIO:


Presentazione di Giulio Cesare .........

Giulio Cesare come persona........

Le imprese di Cesare.............

Cesare come storico e scrittore.......

Bibliografia................


Caio Giulio Cesare

Caio Giulio Cesare nacque a Roma il 13 luglio del 100 a.C. Faceva parte di un'antica e nota famiglia patrizia la Gens Julia che si diceva discendente da Iulo (più noto come Ascanio), figlio del principe troiano Enea , che secondo il mito era figlio di Venere. Era anche legato al ceto plebeo, in quanto sua zia Giulia aveva sposato Caio Mario. La famiglia di Cesare non era ricca, secondo gli standard della nobiltà romana, e nessun membro della sua famiglia aveva raggiunto posizioni di rilievo in tempi recenti, sebbene nella generazione del padre ci fosse una rinascita delle loro fortune. Finiti gli studi, verso i sedici anni, partì con Marco Termo verso l'Asia, dove era in corso una guerra. In Oriente conobbe Nicomede, re di Bitinia, dove si fermò per quasi due anni. Tornato a Roma diciottenne, Cesare sposò, per volere del padre, Cossuzia, ma alla morte di questi nell'84 a.C., la rinnegò per prendere in moglie la bella Cornelia, figlia di Lucio Cornelio Cinna ,  luogotenente di Mario, scatenando così l'ira del potente dittatore Silla, che aveva intuito le qualità del giovane e così nell'82 a.C. gli ordinò di divorziare. Le disposizioni del tiranno prevedevano che Cesare ripudiasse la moglie Cornelia, in quanto figlia di uno dei capi del partito democratico. Cesare si rifiutò e prudentemente lasciò Roma per il servizio militare in Asia e Cilicia . La cosa gli costò la condanna a morte e la confisca della dote della moglie; la condanna in seguito, su intervento di amici comuni, fu mutata in esilio.

Rientrò a Roma nel 78 a.C. alla morte di Silla e cominciò la sua carriera politica come pubblico accusatore, percorrendo il cursus honorum.


Cesare come persona                                                     Tra gli innumerevoli ritratti che di lui ci sono stati conservati, particolarmente significativi sono due, quello del suo aspetto fisico, tracciato da Svetonio nelle sue Vite dei Cesari, e quello morale, tracciato dal suo grande avversario Cicerone in un passo della seconda Filippica.

Ecco quello di Svetonio:

'Cesare era di alta statura, aveva una carnagione chiara, florida salute[] Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso. Per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli[] Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta'.

Non meno incisivo quello di Cicerone:

'Egli ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura, attività, prontezza, diligenza. In guerra aveva compiuto gesta grandi, anche se fatali per lo stato. Non aveva avuto per molti anni altra ambizione che il potere, e con grandi fatiche e pericoli l'aveva realizzata. La moltitudine ignorante se l'era conquistata coi doni, le costruzioni, le elargizioni di viveri e banchetti. I suoi li aveva acquistati con premi, gli avversari con manifestazioni di clemenza, insomma aveva dato ad una città, ch'era stata libera, l'abitudine di servire, in parte per timore, in parte per rassegnazione'.


Le imprese di Cesare                                                  Caio Giulio Cesare fu un generale Romano ed un dittatore. Le sue conquiste militari in Gallia estesero l'Impero Romano fino all'Oceano Atlantico, e di questo fatto ancor oggi si vedono le conseguenze. La creazione da parte sua di un governo sotto il Primo Triumvirato (si veda appresso) portò la Repubblica Romana alla fine. Più tardi divenne dittatore a vita ed iniziò molte riforme nella società e nel governo di Roma, lavoro che fu presto interrotto dal suo assassinio. Molte di quelle riforme furono successivamente realizzate da Cesare Augusto . Le azioni militari di Cesare ci sono note in dettaglio dai 'commentari' scritti da lui. Al culmine del suo potere, nel 45 AC Cesare iniziò la costruzione di un Tempio a Venere Genitrice in Roma, per sottolineare il suo legame con la dea. Mentre si recava a Rodi per i suoi studi di Filosofia fu rapito dai pirati . Egli convinse i rapitori a chiedere un riscatto molto alto, aumentando così il suo prestigio in Roma. Dopo la sua liberazione organizzò una flotta, catturò i pirati e li fece condannare a morte per crocifissione. Rientrato nuovamente a Roma nel 69, intraprese il cosiddetto 'cursus honorum': venne eletto alla carica di questore, grazie ai voti acquistati con il danaro prestatogli da Crasso. La carica gli fruttò il governatorato e un comando militare in Spagna, dove per un po' di tempo fronteggiò i ribelli, tornando poi in Patria con la fama di ottimo soldato e amministratore. Tre anni dopo fu nominato propretore in Spagna ma, pieno di debiti, poté partire solo dopo aver saldato tutti i contenziosi, cosa che fece grazie ad un prestito del solito Crasso. Divenne inoltre Pontefice Massimo nel 63 e pretore nel 62.
In Spagna sottomise quasi del tutto gli iberici, riportò un bottino enorme e il senato gli concesse il trionfo, a causa del quale Cesare doveva ritardare il ritorno a Roma. In questo modo gli veniva impedito di presentare la sua candidatura al consolato, infatti la candidatura non poteva essere presentata in assenza del candidato. Cesare andò ugualmente a Roma, lasciando l' esercito fuori dalla città. Qui, strinse accordi di alleanza con il suo finanziatore Crasso e con Pompeo.Crasso era l'uomo più ricco di Roma; Pompeo sposò Giulia, la figlia di Cesare. Questa alleanza non ufficiale dagli storici fu chiamata Primo Triunvirato. Il triunvirato segnò la fine della Repubblica. Nel 61 a.C. Cesare fu govenatore della provincia della Spagna, e nel 60 a.C. fu eletto console. Come Proconsole in Gallia (58 AC - 49 AC) I suoi commentari di questa campagne sono raccolti nel De Bello Gallico (La guerra Gallica).Cesare aveva scelto la Gallia a ragion veduta: egli sapeva di aver bisogno, per poter aspirare al supremo potere, di compiere gesta militari di grande importanza e, soprattutto, di forte impatto. La Gallia, da questo punto di vista, gli avrebbe appunto offerto l'occasione di conquistare territori ricchi di risorse naturali e di sottomettere un popolo ben noto per
le proprie virtù militari e, per questo, molto temuto.Ingaggiò la guerra contro vari popoli, sconfiggendo gli Helvetii nel 58 AC, i Belgi ed i Nervii nel 57 AC ed i Veneti nel 56 AC . Nel 55 AC tentò una invasione della Britannia. Morto Crasso, sconfitto e ucciso a Carre (53 a.C.) nel corso di una spedizione contro i parti, il triumvirato si sciolse. Pompeo, rimasto solo in Italia, assunse pieni poteri con l'insolito titolo di 'console senza collega' (52 a.C.). All'inizio del 49 a.C., Cesare rifiutò di obbedire agli ordini di Pompeo, che pretendeva, con l'appoggio del senato, che egli rinunciasse al proprio esercito e rientrasse in Roma come un semplice cittadino. In realtà Cesare rispose chiedendo a sua volta che anche Pompeo rinunciasse contemporaneamente ai propri poteri, o, in alternativa, che gli fossero lasciate provincia e truppe fino alla riunione dei comizi, davanti ai quali egli avrebbe presentato per la seconda volta la sua candidatura al consolato. Ma le proposte di Cesare caddero nel vuoto: prese allora la difficile decisione di attraversare in armi il Rubicone, fiume che delimitava allora l'area geografica che doveva essere interdetta alle legioni (fu in questa occasione che pronunciò la famosa frase: 'Alea iacta est', ovvero 'il dado è tratto').
Era la guerra civile, che sarebbe durata dal 49 al 45. Anch'essa fu molto ben raccontata da Cesare, con la consueta chiarezza ed efficacia, nel 'De bello civili' Varcato dunque il Rubicone, Cesare marciò su Roma. Il senato, terrorizzato, si affrettò a proclamarlo dittatore, carica che mantenne fino all'anno seguente, quando gli fu affidato il consolato. Pompeo, indeciso sul da farsi, si rifugiò in Albania. Fu sconfitto a Farsalo, nel 48 a.C., in una battaglia che probabilmente è il capolavoro militare di Cesare: quest'ultimo, con un esercito di ventiduemila fanti e mille cavalieri, tenne testa vittoriosamente ai cinquantamila fanti e ai settemila cavalieri schierati da Pompeo, perse soltanto duecento uomini, ne uccise quindicimila e ne catturò ventimila. Pompeo fuggì in Egitto, dove venne assassinato dagli uomini di Tolomeo XIV, il quale credeva in tal modo di ingraziarsi Cesare. Cesare, invece, che aveva inseguito l'avversario in Egitto, inorridì quando gli presentarono la testa di Pompeo. In Egitto Cesare si trovò nella necessità di arbitrare un'intricata disputa su problemi di successione e conferì il trono all'affascinante Cleopatra, con la quale ebbe un'intensa storia d'amore (ne nacque un figlio: Cesarione). Sconfisse poi Pompeo e gli ultimi suoi sostenitori a Tapso (46 AC ) e Munda =Munda&action=edit> (45 AC). Dopo esser stato nominato Dittatore per 10 anni nel 46 AC, fu fatto Dittatore e Console a vita l'anno seguente (45 AC), e fu chiamato Padre della Patria (Pater Patriae). Prese inoltre il titolo di Imperatore. alla sua persona furono attribuiti onori straordinari, quali la facoltà di portare in permanenza l'abito del trionfatore (la porpora e l'alloro), di sedere su un trono aureo e di coniare monete con la sua effigie. Inoltre, al quinto mese dell'antico anno venne dato il suo nome (luglio = Giulio) e nel tempio di Quirino gli fu eretta una statua: sembra che Cesare vi fosse venerato come un dio sotto il nome di Jupiter- Iulius.
Nel periodo che va dal 47 al 44 a.C. Cesare attuò varie riforme, molte delle quali contenevano gli elementi cardine del futuro principato, tra cui la diminuzione del potere del senato e dei comizi. Dal punto di vista economico promosse alcune riforme a favore dei lavoratori agricoli liberi, riducendo il numero di schiavi e fondando colonie a Cartagine e a Corinto; promosse numerose opere pubbliche e la bonifica delle paludi pontine; introdusse inoltre la riforma del calendario, secondo il corso del sole e non più secondo le fasi della luna.
 I malumori contro un personaggio di così grandi capacità e ambizioni, in Roma, non si erano mai sopiti. Vi era, ad esempio, il timore che Cesare volesse trasferire a un successore i poteri acquisiti (aveva adottato Ottaviano, il futuro imperatore Augusto), e nel contempo si riteneva inevitabile, o per lo meno altamente probabile, una deriva monarchica dell'avventura umana e politica di Giulio Cesare.Cesare fu assassinato nel Teatro di Pompeo (dove si riuniva il Senato dopo che la sua sede era andata distrutta in un recente incendio), alle I di di marzo (15 marzo) del 44 AC. Fu accoltellato da un gruppo di cospiratori che voleva preservare la repubblica dalle sue ambizioni monarchiche. Fra i cospiratori c'era il figlio adottivo Bruto. Cesare cadde ai piedi della statua di Pompeo e le sue ultime famose parole sono riportate in vario modo:



Kai su, teknon? (Greco, 'E tu, figlio mio?')

Tu quoque, Brute, fili mi! (Latino, 'Anche tu Bruto, figlio   mio!')



Et tu, Brute? (Latino, 'Anche tu, Bruto?' e questa è la versione riportata da Shakespeare nella tragedia Giulio Cesare.

Dopo la morte di Cesare, scoppiò una lotta di potere fra i suoi nipoti, il figlio adottivo Ottaviano, il suo luogotenente Marco Antonio ed i suoi assassini Bruto e Cassio . Ottaviano prevalse e divenne il primo Imperatore Romano, con il nome di Cesare Augusto.

Cesare come storico e scrittore  La sua opera di scrittore, tuttavia, lo pone tra i più grandi maestri di stile della prosa latina, considerando anche i suoi commentari della guerra in Gallia (De Bello Gallico) e della guerra civile contro Pompeo e il Senato (De Bello Civili). Queste narrazioni, apparentemente semplici ed in stile diretto, sono di fatto un annuncio molto sofisticato del suo programma politico, in modo particolare per i lettori di media cultura e la piccola aristocrazia in Italia e nelle province dell'Impero.

Le sue principali opere letterarie sopravvissute sono:

I commentari delle campagne  per sottomettere i Galli :'La guerra in Gallia' (De Bello Gallico) 58 AC - 52 AC; in sette libri, più un libro ottavo composto probabilmente dal luogotenente di Cesare, Aulo Irzio, per completare il resoconto della campagna gallica;

I commentari sulla Guerra Civile contro le forze di Pompeo e del Senato, in tre libri sulla guerra civile 49 AC ed il rifiuto di Cesare di ubbidire al Senato ;

Un epigramma in versi su Terenzio

Il commentarius                                                                                             Il termine commentarius indicava un tipo di narrazione intermedio fra la raccolta dei materiali grezzi (nel caso di Cesare gli appunti personali, i rapporti al senato sull'andamento delle campagne galliche, etc.) e la loro elaborazione in forma letteraria, arricchita degli ornamenti stilistici e retorici tipici della vera e propria storiografia. Il commentario avrebbe dovuto fornire materiale agli storici. Cesare intendeva inserirsi in tale tradizione: sia Cicerone (Brutus), sia Irzio nella prefazione al libro ottava del De bello Gallico parlano dei Commentarii di Cesare come di opere composte per offrire ad altri storici il materiale sul quale impiantare la propria narrazione, pur affermando che nessuno avrebbe potuto riscrivere quanto Cesare già aveva detto con ineguagliabile semplicità. In realtà, l'opera di Cesare sotto la veste dimessa del commentario, si avvicina alla historia. Lo dimostrano la drammatizzazione di certe scene ed il ricorso ai discorsi diretti. Cesare usa una ammirevole sobrietà nel conferire al proprio racconto efficacia drammatica, evitando gli effetti grossolani e plateali e soprattutto i pesanti fronzoli retorici: in questa direzione va anche l'uso della terza persona, che distacca il protagonista e lo pone come personaggio autonomo nel teatro della storia.

Il De bello Gallico                                                                                          Il De bello Gallico, probabilmente, in origine, era intitolato C. Iulii Caesaris rerum gestarum, il sottotitolo col riferimento alla campagna gallica è stato aggiunto in seguito, successivamente alla morte dell'autore, per meglio distinguere questi Commentarii da quelli sulla guerra civile e dagli altri confluiti nel Corpus Caesarianum. I sette libri dell'opera coprono il periodo dal 58 AC, in cui Cesare procedette alla sottomissione della Gallia. La conquista si svolse secondo fasi alterne, registrando anche pesanti insuccessi che il racconto di Cesare attenua o giustifica, ma non nasconde. Il De bello Gallico, verosimilmente, è stato scritto anno per anno, durante gli inverni, nei periodi in cui erano sospese le operazioni militari. Tale ipotesi è avvalorata da alcune contraddizioni presenti nell'opera, difficilmente spiegabili se si ammette una redazione avvenuta in un breve lasso di tempo, inoltre tale ipotesi spiega l'evoluzione stilistica dallo stile scarno del commentarius alla prosa più accurata tipica della historia, infatti, nella seconda parte dell'opera è presente una maggiore varietà di sinonimi ed è più frequente l'uso del discorso diretto, anche se Cesare predilige il discorso indiretto, mutuato dall'abitudine ai rapporti militari e governativi, quindi il discorso diretto può essere una voluta concessione alla consuetudine storiografica romana. È possibile che Cesare, per comodità compositiva, abbia redatto separatamente, forse in forma abbozzata, i resoconti delle varie campagne e li abbia poi riordinati e coordinati in un secondo momento.

Il De bello civili                                                                                               Il De bello civili si divide in tre libri, i primi due narrano gli eventi del 49 AC ed il terzo quelli del 48 AC , senza tuttavia coprire interamente gli avvenimenti di quest'ultimo anno. L'opera appare incompiuta, infatti, la narrazione lascia in sospeso l'esito della guerra di Alessandria. Si pensa che il De bello civili sia stato composto nella seconda metà del 47 AC e nel 46 AC , e pubblicato poi nello stesso anno 46. Cesare, attacca la vecchia classe dirigente, rappresentata come una consorteria di corrotti e ricorre all'arma di una satira sobria, una novità stilistica rispetto al De bello Gallico, per svelare le basse ambizioni e i meschini intrighi dei suoi avversari, tuttavia, nel De bello civili, non si trova un preciso programma di rinnovamento politico dello stato romano, infatti, Cesare aspira soprattutto a dissolvere di fronte all'opinione pubblica l'immagine che di lui dava la propaganda aristocratica, presentandolo come un rivoluzionario, un continuatore dei Gracchi o, peggio ancora, di Catilina e vuole mostrarsi come colui che si è sempre mantenuto nell'ambito delle leggi e che le ha difese contro gli arbitrii dei suoi nemici. Il destinatario della sua propaganda è lo strato 'medio' e 'benpensante' dell'opinione pubblica romana e italica, che vedeva nei pompeiani i difensori della costituzione repubblicana e della legalità e che temeva i sovvertimenti sociali, perciò Cesare spiega la ragione di alcuni suoi provvedimenti di emergenza e cerca di rassicurare i ceti possidenti. Sottolineando di essersi sempre mantenuto nei limiti della legalità repubblicana, Cesare insiste sulla propria costante volontà di pace: lo scatenarsi della guerra si deve solo al rifiuto, più volte ripetuto, di trattative serie da parte dei pompeiani. Un altro fondamentale motivo dell'opera è la clemenza di Cesare verso i vinti, contrapposta alla crudeltà degli avversari. Dopo Mario e Silla, molti si aspettavano nuove proscrizioni, nuovi bagni di sangue, Cesare mira a rassicurare la popolazione e insieme di disarmare l'odio dei suoi nemici. Sia nel de bello gallico, sia nel de bello civili Cesare eleva un monumento alla fedeltà e al valore dei propri soldati, dei quali contraccambia l'attaccamento con affezione sincera. Probabilmente l'elogio che Cesare fa dei componenti del suo esercito non può essere staccato dal processo di promozione sociale, fino all'ammissione nei ranghi del senato, degli homines novi di provenienza militare, ma è anche pensando ai posteri che Cesare tramanda nella sua opera i nomi di centurioni o di semplici soldati distintisi in atti di particolare eroismo.



La veridicità di Cesare                                                                                Lo stile scarno dei Commentarii cesariani, il rifiuto degli abbellimenti retorici tipici dell' historia, la riduzione del linguaggio valutativo, contribuiscono moltissimo al tono apparentemente oggettivo e impassibile della narrazione cesariana, ma indubbia è la connessione dei Commentarii con la lotta politica. La correlazione è più immediata nel De bello civili che nel De bello Gallico. In ambedue le opere la presenza di procedimenti di deformazione è comunque innegabile, non si tratta, però, mai di falsificazioni, bensì di omissioni più o meno rilevanti, Cesare attenua, insinua, ricorre a lievi anticipazioni o posticipazioni, dispone le argomentazioni in modo da giustificare i propri insuccessi. Nel Gallico, Cesare sottolinea le esigenze difensive che lo hanno spinto a intraprendere la guerra, senza esaltare la conquista. Era del resto consuetudine consolidata presentare le guerre di conquista come necessarie a proteggere lo stato romano e i suoi alleati da pericoli provenienti da oltre confine. Oltre che ai Romani, Cesare si rivolge all'aristocrazia gallica per assicurarle la propria protezione contro i facinorosi che, sotto gli sbandierati ideali d'indipendenza, celano l'aspirazione alla tirannia. Nel De bello civili Cesare sottolinea come la sua azione si sia sempre mossa nell'ambito delle leggi, si presenta come un moderato, dal quale non ci si devono certo attendere accessi rivoluzionari. In ambedue le opere, egli mette in luce le proprie capacità d'azione militare e politica. La 'fortuna', intesa come sorte, serve a spiegare cambiamenti repentini di situazione, un fattore imponderabile che talora aiuta anche i nemici di Cesare, è quindi ciò che sfugge alle capacità di previsione e di controllo razionale dell'uomo. Cesare cerca, infatti, di spiegare gli avvenimenti secondo cause umane e naturali, di coglierne lucidamente la logica interna e non fa mai ricorso all'intervento delle divinità.


BIBLIOGRAFIA:                     Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.






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