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Aristofane




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ARISTOFANE


Vita e opere







Vita e opere

Aristofane nacque nel 445 a.C. ca. ad Atene e morì nel 385 ca.

Egli possedeva dei beni nell'isola di Egina, dove il padre era andato come colono ateniese.

Ebbe un'ampia e accurata educazione letteraria e musicale: conobbe a fondo non solo la poesia, in modo particolare quella tragica, ma anche la filosofia e la sofistica. Non partecipò alla politica in modo attivo, non ricoprì mai cariche pubbliche.

Aristofane fu il massimo rappresentante della commedia antica greca.

Esordì molto giovane: nel 427, a diciassette anni, con i Banchettanti sotto il nome di Callistrato. Con questo nome ottenne la prima vittoria al Leneo del 425, con gli Arcanesi. Solo nel 424 il poeta presentò con il proprio nome i Cavalieri, conseguendo un'altra vittoria.

Aristofane continuò, però, ad usare ancora il nome Callistrato per presentare Uccelli e Lisistrata; per Procagone, Calabroni, Anfiarao e Rane si presentò con il nome di Filonide

Di lui, unico fra tutti i comici greci, ci sono giunte alcune opere complete e precisamente:  Arcanesi (Leneo 425), Cavalieri (Leneo 424), Nuvole (Dionisie 423), Calabroni (Leneo 422), Pace (Dionisie 421), Uccelli (Dionisie ), Tesmoforiazuse (Leneo 411), Lisistrata (Dionisie 411), Rane (Leneo 405), Donne all'assemblea (Leneo 393), Pluto (leneo 388). Inoltre ci è pervenuto circa un migliaio di frammenti.

L'ultima data e opera furono l'Aiolosicon nel 386 sotto il nome del figlio Araros Oltre a lui ebbe altri due figli: Filippo e Filitero. Tutti e tre furono poeti comici.


Negli Arcanesi il coro è formato da dei contadini di Acarne, danneggiati dalla devastazione della guerra che dura ormai da sei anni. Di contro, Diceopoli (cittadino giusto) non si lasciò convincere dalla propaganda ed era a conoscenza delle vere cause della guerra. Egli era un uomo senza patria e senza ideali, curante solo del proprio benessere. Si apprestò a celebrare una Dionisie, quando entrò il coro che lo vuole mettere a morte come traditore. Diceopoli, però, ottenne di potersi difendere. Per farlo si travestì da Telefo, il più miserabile dei personaggi euripidei, e pronunciò un lungo discorso durante il quale riuscì a convincere i contadini a non ucciderlo.


Questa commedia fu scritta da Aristofane a venti anni circa. Qui, già si notano le sue antipatie: la guerra, Euripide e la cattiva musica. Il poeta quindi, poco più che adolescente, ha già le idee molto chiare. In questa commedia si nota anche la grande capacità di Aristofane nel delineare i suoi personaggi: sia personaggi realizzati completamente, sia personaggi di poche battute che fanno da comparse.

Un anno dopo, Aristofane rappresenta i Cavalieri. Quello era il periodo della gloria di Cleone ed è proprio a lui che si ispirò Aristofane.

Cleone era il capo del partito democratico, il signore della guerra, raffigurato come uno schiavo barbaro, a servizio di Demo (il popolo ateniese), un buon uomo credulone e imbranato, del quale riesce a guadagnarsi la fiducia e il favore.

Nel prologo, due servi si lamentavano spesso con Demo del comportamento di Paflagone (Cleone) e anche per i suoi soprusi contro i compagni. Questi però erano a conoscenza della predizione di un oracolo: Paflagone sarà vinto da un salsicciaio. Quando l'uomo arrivò, venne a sapere della profezia dell'oracolo. Il salsicciaio (Agoracrito) però non si sentiva all'altezza della situazione, ma i due servi cercarono di convincerlo ugualmente.

Di lì a poco arrivò Paflagone, che aveva il sospetto di un complotto. Agoracrito avrebbe voluto fuggire, ma tutto il coro di cavalieri si schierò dalla sua parte e così anche lui prese coraggio e affrontò Paflagone, il quale svenne per i colpi ricevuti.

I due si affrontano altre due volte, ma in gare di adulazione; una di queste proprio davanti a Demo. Entrambe furono vinte da Agoracrito che prese il posto di Paflagone sia nelle simpatie di Demo sia nel suo lavoro.



Con questa commedia, Aristofane colpì Cleone nel momento di maggior potere. Tutti e tre i personaggi principali della commedia sono persone che si servono solo delle adulazioni, delle bassezze per ottenere i loro scopi. Con la rappresentazione di questa commedia Aristofane raggiunge la fama e diede inizio anche alla commedia intesa come satira.




La scena delle Nuvole si svolgeva in una piazza ad Atene, nella quale da un lato c'era la casa di Socrate e dall'altro l'abitazione di Strepsiade. Una sera, quest'ultimo non riusciva a dormire, angosciato dai debiti che aveva dovuto contrarre per soddisfare la rovinosa passione del figlio per i cavalli. Il povero Strepsiade non sapeva proprio cosa fare fino a quando ebbe un'idea: nella casa di fronte abitava Socrate che insegnava ai suoi discepoli a vincere le cause con il solo uso della parola. Così decise di mandarci il figlio, che però non era d'accordo e perciò, alla fine, fu costretto ad andare lui stesso, benché ormai fosse vecchio.

Strepsiade fu accolto da Socrate che però lo cacciò dopo aver sentito le sue risposte. A questo punto al vecchio non rimase altro che cercare di convincere il figlio.

Alla fine ci riuscì e lo portò da Socrate il quale lo istruì, fimo a quando arrivarono i creditori che furono storditi dalle parole del figlio di Strepsiade.

Il vecchio, per la gioia, diede un banchetto durante il quale, però, il figlio cominciò a recitare una poesia di Euripide, che parla dell'incesto tra una sorella e un fratello. Il padre sdegnato lo riprende, ma il figlio lo mena dicendogli che aveva sbagliato. Alla fine Strepsiade diede fuoco alla casa di Socrate con dentro lui e i suoi discepoli.


Qui Aristofane si scaglia contro la nuova forma di educazione della quale fa responsabile Socrate e i sofisti: queste nuove correnti di pensiero sono, a parer suo, dannose per i giovani.


Nella commedia intitolata Calabroni Aristofane narra di un'altra mania degli Ateniesi: quella per i processi.

Filocleone era un giudice che viveva solo per il suo lavoro e provava gusto nel condannare la gente. Era una vera e propria malattia e, perciò, il figlio lo chiuse dentro casa, controllato dai servi in modo che non scappasse.



Quando Filocleone cominciò a dare segni di miglioramento, lui e suo figlio fecero un compromesso: Filocleone poteva esercitare la professione di giudice in casa e lo stipendio glielo avrebbe dato il figlio. Così allestirono un tribunale di fortuna e ci fu la prima causa. Questa finì con l'assoluzione e Filocleone svenne, dato che era la prima volta che assolveva qualcuno.

Il figlio, per confortarlo, lo portò ad un banchetto dove il padre si ubriacò. Cominciò ad insultare gli invitati e a dire frasi insensate. Il figlio cercò di calmarlo e di scusarsi con le persone che il padre ubriaco aveva insultato. A fatica riuscì a portarlo a casa dove, però, continuò a cantare e a ballare, invocando dei poeti tragici ad unirsi con lui. Così fu: la scena si chiude con tutti che escono ballando.


La commedia, confrontata con le altre, è molto più leggera. Si pensa che la mancanza di ispirazione sia stata causata dall'insuccesso di Nuvole.


In Pace il protagonista è un anziano contadino ateniese, Trigeo, il quale, stanco delle devastazioni della guerra decise di recarsi personalmente da Zeus per pregarlo di metter fine al flagello. Preso uno scarafaggio alato, giunse alla dimora celeste dove però trovò solo Ermes: gli dei si erano recati in un altro luogo, stanchi dei Greci. Era rimasto solo Polemo (guerra), che aveva imprigionato Pace. Trigeo venne a sapere che Brasida e Cleone, i massimi fautori della guerra, erano morti, e per questo chiamo a raccolta i Greci, annunciandogli che era un momento favorevole per liberare Pace. Con un po' di fatica riescono a liberare Pace e con lei anche Opora (la stagione dei frutti) e Teoria (festa). Alla fine Trigeo sposerà Opora.

La gioia della pace ritrovata coinvolge anche Aristofane che illude anche se stesso nella speranza della pace duratura, cosa che poi non fu, dato che era solo una tregua. Qui per la prima volta chiama in aiuto tutti i Greci, creando una situazione di solidarietà.


La pace invoca in lui un senso di serenità e libertà, che esprime con la sua poesia.


Dopo sette anni nell'anonimato, con commedie di poco rilievo, ritrova i suoi momenti migliori con la commedia Uccelli.

Evelpide e Pistetero erano due ateniesi che, stanchi di vivere sulla terra, decisero di fondare una città, con l'aiuto degli uccelli, fra cielo e terra. Upupa, che una volta era il mortale Tereo, convinse gli uccelli ad aiutarli anche per il fatto che Pistetero rivelò loro che potevano riconquistare il cielo usurpatogli dagli dei.


La nuova città fu costruita interamente dagli uccelli e fu chiamata Nefelococcigia (la città dei "baggiani fra le nuvole").

Subito arrivò Iride, messaggera degli dei, che intimò agli uomini di andarsene, altrimenti gli dei avrebbero scatenato la loro ira. Iride fu cacciata via.

Molti personaggi, venuti a conoscenza dell'esistenza di questa città, fecero di tutto per conquistarla, ma ognuno di loro fu cacciato via violentemente. Nel frattempo Nefelococcigia ridusse alla fame gli dei e poco tempo dopo Prometeo, amico degli uomini, annunciò loro che Zeus era allo stremo delle forze: Zeus era disposto a venire a patti, ma agli uomini non interessava.

Arrivarono a Nefelococcigia Poseidone, Eracle e Triballo. Alla fine decisero di trattare: Sovranità fu data in sposa a Pistetero




Questa commedia, a differenza delle altre, non tratta i soliti argomenti di guerra e di potere, ma è pura fantasia. Per una volta Aristofane si libera dalla triste realtà della vita di allora e si allontana, guarda Atene dall'alto, in compagnia degli uccelli e dei protagonisti di questa storia che hanno avuto l'idea di costruire la città fra cielo e terra.


Tre anni dopo fu rappresentata Lisistrata Per porre fine ad un interminabile guerra, l'ateniese Lisistrata (colei che dissolve gli eserciti), convocò alcune concittadine e le rappresentanti delle città coinvolte direttamente nel conflitto: una Spartana, una Beota, una Corinzia. Espose loro il piano: le donne si vieteranno ai propri uomini fino a quando prometteranno di far pace.

Nel frattempo giunse la notizia che le donne mandate da Lisistrata a prendere il tesoro, che era stato l'oggetto della guerra, lo avevano messo al sicuro nel tempio di Atena. Due cori si affrontano: quello dei vecchi Ateniesi e quello delle donne in aiuto delle compagne.

Degli uomini cercano invano di far ragionare le donne che resistevano, anche se ad alcune di esse comincia a risultare difficile rinunciare al proprio uomo. Lisistrata cerca di convincerle, assicurando loro che la vittoria era vicina, quindi dovevano resistere ancora per poco.

Così fu, e, agli Spartani, che erano venuti a parlare con lei, assicurò che gli avrebbe restituito le donne nona appena avrebbero finito i patti per la tregua. Gli uomini cedettero e, fra canti di esultanza, Ateniesi e Spartani non più nemici ricondussero felici a casa le loro spose.


Aristofane in questa commedia ha fatto trasparire la sua comicità ed originalità.

Ha saputo riconoscere la forza e la debolezza delle donne davanti ad un sacrificio così grande senza malizia, come un fatto normale. Anche in questa commedia, se pur non in modo evidente è sottolineata una cosa molto grave: la guerra come un fatto contro natura e l'abdicazione degli uomini al senso del valore. Se prima gli uomini avevano un senso della patria e dell'onore ora sono poco più che animali che combattono per niente.


Le Tesmoforiazuse erano le donne che celebravano le Tesmoforie: queste, in occasione di una festa, stavano per condannare a morte Euripide, per le calunnie sul loro conto nelle sue tragedie. Venuto a sapere del pericolo, Euripide si preoccupò, ma un suo Parente si offrì per entrare nel Tesmoforio travestito da donna.

Lì una Pubblica Accusatrice esponeva tutte le ragioni per cui Euripide doveva essere condannato a morte: per averle definite adultere, fannullone, ubriacone e scialacquatrici. A quel punto il Parente intervenne in difese di Euripide, dicendo che le donne avevano fatto cose peggiori di quello che aveva narrato il poeta. In quel momento arrivò Clistere che avvertì le altre che tra loro c'era un impostore: e così il Parente fu smascherato e fatto prigioniero. Per scampare alla morte egli strappò dalle braccia della madre un bambino, dicendo che l'avrebbe ucciso se non l'avessero lasciato libero, ma il bambino in realtà era finto. Tentò altri stratagemmi, ma tutto fu inutile. Così Euripide dovette scendere a patti per far sì che lasciassero libero il Parente. Euripide promise di non parlare più male delle donne nelle sue tragedie. Questo, però, non bastò: si dovette mascherare da donna per liberare il Parente.


Il tema di questa commedia non è per nulla legato alla realtà di quel momento. Essa è tutta una parodia letteraria. La condanna del poeta è l'implicito riconoscimento dell'arte euripidea, e del pericolo che rappresenta questa troppo efficace poesia. Aristofane quindi tende a mettere in evidenza le donne euripidee spregiudicate e non quelle nobili e buone.


Con la morte di Euripide, seguita a poca distanza da quella di Sofocle, muore anche la tragedia, che ha perso i suoi scrittori più importanti.



Dioniso, protettore della tragedia, decise di scendere all'Ade per andare a trovare Euripide, accompagnato dal suo schiavo Xantia. Durante la traversata sulla barca di Caronte, si udirono le voci delle invisibili Rane, che erano nella palude. Dopo un lungo tragitto, i viaggiatori raggiunsero Plutone, il re dell'Inferno.

Ad un tratto si sentirono Euripide ed Eschilo che litigavano per il trono accanto a Plutone. Questo allora istituì una gara di poesia e il vincitore si sederà sul trono accanto a lui: il giudice sarà Dioniso. Cominciò la sfida a suon d'insulti ognuno sulla poesia dell'altro. Questa gara finì in parità. Poi proposero di pesare ognuno i propri versi su una bilancia, per vedere da quale parte penderà l'ago.

Nonostante Eschilo abbia dimostrato una netta superiorità, Dioniso non sa decidere e quindi stabilisce che il vincitore sarà colui che saprà dare il consiglio più utile alla città, ed anche qui vinse Eschilo. Così, Euripide tornò tra i morti, mentre Eschilo si avviava verso Atene.

La parodia letteraria qui assume aspetti e significati più importanti. Tutto è legato al morale di Atene, che era stato sollevato con la poesia civile di Eschilo, mentre era calato con le tragedie di Euripide. Si pone così il problema della funzione della poesia, sulla quale Aristofane ha espresso idee nuove e originali, attraverso la critica che ognuno dei poeti fa all'altro. In ogni caso la vittoria di Eschilo rappresenta le preferenza di Aristofane.


Questa commedia evidenzia ancora una volta la grande originalità di Aristofane e in particolare l'uscita un po' fuori dagli schemi della tradizionale commedia greca fa sì che le Rane sia il suo capolavoro.


Dopo quindici anni di assenza Aristofane si presenta con Le donne dell'assemblea.



Stanche del governo degli uomini, che avevano condotto la città in rovina, le donne ateniesi, al comando di Prassagora, decisero di impadronirsi del potere. Un mattino, lasciati i mariti a dormire, travestite da uomini, uscirono all'alba per recarsi all'Assemblea. Essendo in maggioranza per l'assenza degli uomini, riuscirono a votare una legge che affidava il governo alle donne.

Mentre Blepiro e un altro concittadino commentavano la scomparsa delle mogli, tornò Cremate dall'Assemblea, che li informò dell'accaduto: d'ora innanzi le donne baderanno a tutto.


Tornata a casa, Prassagora fece finta di niente e disse al marito di essere andata ad assistere una sua amica partoriente, ma poi gli rivelò la verità, presentandogli il suo programma di governo: tutto era in comune, ma tutto era governato dalle donne; gli uomini non dovevano fare più niente, ci sarebbero state delle leggi contro le ingiustizie verso le vecchie e le brutte. Forti di queste leggi, tutte le donne anziane e le ragazze brutte potevano portar via i bei giovani alle altre ragazze.


Nel periodo in cui fu composta questa commedia, ad Atene c'era la più totale disfatta. Era stata rovinata dalla guerra, il commercio era in decadimento e non c'era più un'organizzazione logica al governo. Anche questa commedia rivela l'indebolimento dell'uomo nei confronti della donna.


Quattro anni dopo fu rappresentata Pluto. Protagonista è un contadino preoccupato per le sorti del figlio, data la decadenza della città in quegli anni. Per questo motivo si recò all'oracolo di Febo: il dio gli disse di seguire la prima persona che avrebbe incontrato uscendo dal tempio. Quella persona fu Cremilo, che stava tornando a casa col servo Carione e con un vecchio cieco e malinconico. I due non sapevano chi fosse il vecchio e quindi gli fecero delle domande alle quali egli non rispose, ma poi, sotto minacce, dovette rivelare che era il dio della ricchezza, Pluto, che era stato accecato da Zeus perché non distinguesse i buoni dai cattivi. A quel punto Cremilo gli disse di andare con lui perché gli avrebbe fatto tornare la vista per distinguere il bene e il male.

Deciso questo, Cremilo chiamò attorno a sé i contadini, che formavano il coro, dicendo loro che gli avrebbe dato la ricchezza, ma mentre conducevano Pluto al tempio, incontrarono Penia (Povertà), che tentò invano di dissuaderli da quello che stavano per fare: quando tutti sarebbero diventati ricchi, nessuno avrebbe più lavorato e il denaro non servirà più a nulla. Nessuno le diede ascolto e per questo predisse che un giorno l'avrebbero invocata.

Dopo un po' tornò Carione, che annuncia che Pluto ha riacquistato la vista e che sta beneficiando i buoni. Carione elogia tutte le ricchezze che Pluto ha portato, ma anche i disagi e dopo un po' Cremilo promette, con l'aiuto di Pluto, che avrebbe collocato il dio nel tempio di Atena.



Questa fu l'ultima tra le opere rimaste del poeta, e come tale fu molto criticata. Fu considerata, infatti, come la decadenza di Aristofane. Fu giudicata insignificante l'apparizione del personaggio di Penia, che però alla fine si capisce che aveva ragione.

Assente è il tema che è rappresentato dalla ricchezza, ma non sufficientemente espresso come nelle altre opere.

Pluto va considerata come una favoletta dove è presente la lotta tra il bene e il male. evidente l'assenza dell'originalità che ha caratterizzato Aristofane nelle altre sue opere.

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Drammaturgia e personaggi; lingua e stile

La maggior parte delle opere di Aristofane è costituita da uno schema ben preciso: un progetto ideato dal protagonista per porre fine ad un male che colpisce la città, viene realizzato attraverso varie vicende verso la metà delle commedia; dopo l'intervallo della parabasi, vale a dire quando il corifeo si rivolgeva al pubblico in nome dell'autore, una serie di scene presenta realisticamente le conseguenze della situazione mutata dopo i fatti narrati precedentemente, e spesso si chiude con un banchetto, un corteo nuziale o una festa.

Nelle altre commedie, invece, il progetto e l'azione si concludono alla fine della commedia, molto spesso con una lunga contesa. In ogni modo, anche queste, generalmente, hanno un lieto fine, ad eccezione delle Nuvole nella quale muore Socrate in un incendio provocato dal protagonista della storia.

In Aristofane la parte drammatica è evidente e seria, in quanto, anche se con una vena ironica, affronta temi di pubblico interesse: i continui riferimenti alla guerra, l'educazione dei giovani, il governo della città, la funzione sociale della poesia, la ormai inesistente democrazia.

Da questo interesse politico di Aristofane deriva il fatto che quasi mai una sua commedia abbia un solo argomento: per mezzo di allusioni, episodi, caricature, il tema predominante viene sempre ampliato in una visuale più larga. La semplicità della drammaturgia è contrapposta allo scarso rilievo che ha il personaggio comico: in tutto il tetro di Aristofane è difficile trovare un personaggio in quanto tale, in pratica, definito con una personalità tale da portare avanti il dramma.

In qualunque genere di rappresentazione teatrale, l'espressione è la cosa fondamentale. Aristofane fu aiutato dalle grandi possibilità della lingua greca, di cui fa un uso ampio e variegato:  passa dalla volgarità all'allusione sottile; dall'esprimere la

realtà umile all'ispirazione lirica; dal teorizzare riguardo alle situazioni più difficili all'utilizzazione delle parole più difficili; dai metodi del canto popolare alla parodia tragica e filosofica. La lingua di Aristofane è molto realistica: fu creatore di molte parole composte, nei corali più solenni utilizza espressioni della grande lirica. Nella parodia, invece, si divertiva nel riprendere il linguaggio tragico, non solo euripideo.


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