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Una sfida per il futuro




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Una sfida per il futuro


1. Un caso particolare diventato paradigmatico: riflessioni e confronti.


In apertura di questo settimo ed ultimo capitolo torniamo a ricordare il fatto che la convivenza tra "nomadi" e "sedentari" è una delle classiche situazioni di convivenza tra due gruppi differenti e sicuramente è anche la più antica e se pensiamo al fatto che, per molti aspetti, non è stata ancora risolta, questo non ci fa ben sperare per il futuro. Il (convivenza tra gruppi differenti, multiculturalismo, pluralismo culturale, vie differenti, vie francesi, europee, americane, i vecchi imperi,) (come può essere risolvibile la situazione rom?) (UE lontana, legami tradizionali più vicini nonostante la lontananza, anche qui il punto è riuscire a ritrovare un legame civile: una storia in comune? Radici comuni per potere andare avanti assieme una tradizione comune per poter tramandare qualcosa di comune per uno stesso progresso). (completare)  




Problematiche socio-antropologiche

Tutto quello detto finora sottende ad alcune problematiche.

Forse chi è rimasto legato ad un'immagine romantica ed edulcorata del mondo degli Zingari sentendo parlare di Rom si aspetterebbe il resoconto di alcuni loro tratti culturali più caratteristici, colorati e "folkloristici" non di una situazione così "deprivata". Ma, come è già stato detto, l'Antropologia culturale studia le culture come se le ritrova di fronte e spesso, anche per un "addetto ai lavori" ciò può rappresentare una delusione. Qui non troviamo vestiti sgargianti, canti, balli, curiosità e leggende, ma anche questo sono i Rom, sebbene vivano in condizioni di totale degradazione. Probabilmente non avendo più "appartenenza" , l'unica cosa che rimane è disagio ed emarginazione.

Anche qui, come in molte altre zone povere e degradate del mondo, troviamo una sorta di "gerarchia" anche dentro le stesse fasce sociali deprivate.  Potremmo dire che tra gli abitanti di Iasi gli abitanti dei sobborghi di Frumuasǎ sono considerati "paria" e, tra questi, i più "paria" di tutti sono considerati gli "inquilini" del C A questo proposito ritengo lampante l'esempio di P. una ragazzina che vive in una famiglia "problematica" (vive con otto sorelle piccole ed i genitori in una minuscola baracca fatta di fango e lamiera, entrambi i genitori non hanno alcune occupazione ed il padre è spesso ubriaco). Un pomeriggio, dovendo andare a prendere alcuni ragazzi che frequentano il centro diurno di cui parleremo più avanti, mi feci accompagnare da altri ragazzi del centro al C Tra questi c'era anche Paula. Arrivati al C7 ed entrati lì dentro Paula (che non vive certo in una reggia né in condizioni igieniche ottimali) "si tappa subito il naso" con le dita per non sentire il fetore e, così facendo, mi guarda sorridendo come per dirmi: "in che posto siamo capitati!". Questo episodio, apparentemente banale, dimostra come anche tra i più poveri ci sia la percezione di una sorta di gerarchia e, in questo particolare caso ci fa notare come ci siano frammentazione e processi di marginalizzazione in quello che potrebbe essere gruppo unitario. Qui troviamo addirittura una marginalità nella marginalità e quindi un vissuto di non appartenere ad un gruppo coeso anzi, c'è il vissuto di non appartenere neanche ad un gruppo. Se gli abitanti del C7 sono visti come marginali da quelli delle baraccopoli figuriamoci come li considerano gli altri abitanti di Iasi.

Tra gli inquilini del C7 (Rom che oramai non sono più Rom) è avvenuto quel fenomeno che De Martino stesso chiamava "crisi della presenza" (De Martino, 2002, p. 97). Questo "gruppo" non è cosciente di "essere presente", di esistere come tale. Si potrebbe forse dire, alla luce di quanto scritto prima e parafrasando De Martino, che ci troviamo di fronte anche ad una "crisi dell'appartenenza".

Una situazione di questo genere è, evidentemente, una continua fonte di marginalità e disagio sociale (nonché di delinquenza). La classica famiglia del C7 (e delle baraccopoli di Frumuasǎ) è quella tipica di molti ghetti presenti nelle grosse metropoli. L'uomo spesso ubriaco non ha lavoro o vive di espedienti (quando va bene ha un lavoro temporaneo o stagionale), la donna ha più spesso un'occupazione stabile anche se scarsamente retribuita (come ad esempio da donna di servizio), può capitare che i figli della donna spesso non siano neanche quelli del compagno con cui vive ma quelli avuti da precedenti unioni. I bambini sono spesso lasciati a loro stessi e raramente seguiti; sovente, quasi sempre spinti dai genitori, vanno a mendicare nei pressi dei grossi centri commerciali e, spesso abbandonano la scuola.

Sono sempre i bambini a dover subire le conseguenze peggiori di queste condizioni degradate, spesso anche a causa della situazione famigliare hanno problemi di apprendimento e comportamentali. Non ultimi arrivano i problemi legati alla salute dovuti alla sporcizia, alle condizioni igieniche carenti e alla mancanza di acqua corrente.

L'esempio appena citato è esplicativo del fatto che queste persone hanno perduto la loro originaria identità culturale rom ma non sono stati ancora assimilati al modello nazionale rumeno, che è poi il modello che viene proposto nelle loro scuole. A questo proposito è interessante segnalare il caso di G., una ragazzina che vive in una minuscola baracca fatiscente sotto ad un ponte insieme a due fratellini piccoli, la madre (unica persona che lavora in famiglia anche se solo con attività occasionali) e il padre alcolizzato e malato. L'abitazione (se così si può chiamare) di G. si trova totalmente isolata da altre abitazioni o edifici, questa situazione ha avuto le sue conseguenze anche sulla bambina la quale, nei primi anni di scuola, ha avuto grossi problemi di rendimento e di relazione con gli altri ragazzi, oltre ad avere influito negativamente sulla sua salute fisica. Un giorno G. mi fece da guida alla sua scuola (specificare?) e mi mostrò una serie di cartelloni illustrativi fatti dagli alunni durante il periodo scolastico. Su uno di questi si trovava un disegno che rappresentava Stefan Cel Mare (Stefano il Grande, Voivoda di Moldavia tra la fine del xv secolo e l'inizio del XVI, è considerato un eroe nazionale rumeno ed uno dei "padri" della Moldavia). Me lo indicò e me lo nominò, notai però che chiamava Stefan Cel Mare tutti quei personaggi che in costume medioevale o antico erano raffigurati su quei cartelloni. Tutti i personaggi storici o i santi rappresentati nelle  icone erano "Stefan Cel Mare", così come quando si passeggiava per la città tutti i monumenti rappresentavano Stefan Cel Mare. Ciò significa che nella mente di G. Stefan Voda è rimasto il personaggio storico di cui ha più sentito parlare e che, oltretutto, è il simbolo per antonomasia della Moldavia rumena. Si può notare quindi come questi ragazzi vengano "inculturati" e educati uniformemente al modello culturale dominante in loco. Probabilmente un comportamento di questo tipo può rappresentare il loro tentativo di integrarsi, di trovare una nuova identità, un senso di appartenenza. D'altra parte se i "moldavi veri" non li sentono come simili difficilmente loro stessi sapranno darsi un'identità. Anche se a livello istituzionale si cerca di integrarli (ad essere sinceri non sempre) per la popolazione locale restano sempre dei "paria", degli "intoccabili". Per fare un esempio, un pomeriggio, durante un riunione con i genitori dei ragazzi che partecipano al "dopo scuola", una madre ringraziò sentitamente noi volontari per il lavoro che svolgevamo con i ragazzi di queste famiglie disagiate. Questa stessa madre ci disse che nessuno lì a Iasi prima di allora li aveva aiutati e che le persone "degli altri quartieri" li evitavano.

A questo punto, considerando le condizioni di vita in questi ambienti verrebbe spontaneo porsi alcune domande: come agire per poter migliorare questa situazione? Vedendo quale è la loro situazione socio culturale è possibile, per queste persone, recuperare un'identità ed un riscatto sociale? Sul fatto che questi Rom debbano costruirsi o ricostruirsi un'identità ed una cultura (e se ciò abbia senso)   ritorneremo più avanti. Vedendo come stanno le cose l'azione più immediata da intraprendere, più urgente del ritrovare una loro coscienza di sé come gruppo e/o etnia, è che recuperino la loro coscienza di essere persone.




A questo punto si ripropone ancora il problema dell'identità: che identità hanno attualmente i Rom? Si può pensare o proporre a loro la ricostruzione di una loro identità? Ha senso una ricostruzione di questo tipo? Come abbiamo già visto più volte nel corso di questo intervento questi non sono più Rom né tanto meno possiedono un'identità etnica o sociale. Talvolta manca addirittura la percezione di loro stessi come esseri umani, in questo caso dunque la loro identità etnica e sociale non sarebbe da ricostruire ma da costruire da principio, da un punto di vista culturale, sono totalmente deprivati. Prima di tutto quindi è bene ricordarsi che queste persone, prima che un'etnia, sono esseri umani e, se si deve agire, bisogna operare prima di tutto per cercare di restituire loro una dignità come persone. Una volta restituita loro una dignità si potrà tentare di risvegliare una loro coscienza, ma questo è un percorso che devono fare loro una volta raggiunto un livello dignitoso di esistenza, sceglieranno loro cosa essere o cosa diventare. La deprivazione economica può accelerare ed aggravare i processi di deculturazione. Potrà anche essere probabile che un giorno recupereranno parte della loro identità originaria, la quale non sarà loro meno d'aiuto di una identità mantenuta nel tempo senza cesure oppure di un'identità acquisita. Il sapersi parte di una storia e di una cultura antica e ricca può contribuire a rafforzare psicologicamente e socialmente una comunità provata dal disagio e dalle avversità, non avendo più "appartenenza" ci si sente isolati e l'unica cosa che rimane è disagio ed emarginazione.

Il riscoprire una identità, una propria storia perduta non è un processo sconosciuto nei gruppi umani: la memoria svolge la sua opera grazie all'oblio, il sociologo francese Patrick Pharo per spiegare come opera l'oblio nel favorire la memoria cita l'esempio della cascata che forma, nel punto di caduta dell'acqua, correnti che si immergono nella profondità del fiume per poi riaffiorare con forza più avanti (Pharo, 1981, pp 1259-1260). La stessa Mary Douglas diceva che gli uomini dimenticano per poi riscoprire. In questo caso la riscoperta della propria identità per le persone che vivono nei quartieri degradati di Jasi è strettamente connessa alla riscoperta della propria dignità come persone.


Come abbiamo vistoIn questo mio intervento non parlerò di Rom, o meglio, parlerò di Rom che no sono più tali e che neppure sanno di esserlo e che non sanno neppure che lo sono stati.

sono neanche percepiti come minoranza ma solo come una frangia marginale della popolazione che vive nell'illegalità e nel degrado: un corpo totalmente estraneo col quale è anche difficile (se non percepito come impossibile) comunicare e mettersi in relazione.

Anche in Romania sotto i regimi comunisti i Rom non erano considerati una "minoranza etnica" ma solamente uno ".strato marginale della società per il quale c'è bisogno di un'azione massiccia di inserimento in fabbrica e in cooperativa." (Piasere, 2004, pag.61).

Ci sono nel mondo gruppi allogeni considerati minoranze, alcune di queste sono riconosciute come tali, altre no, alcune sono dimenticate ed esistono pure minoranze che dimenticano sé stesse, dimenticano la coscienza di essere minoranza. Questo può essere il caso degli abitanti dei molteplici sobborghi sparsi in tutta Europa: sono Rom che non sono più Rom perché hanno dimenticato di essere Rom. Non solo non vengono considerati né percepiti come una minoranza o un gruppo etnico dagli "altri" ma anche loro stessi non si considerano latori di una propria identità e storia particolare.

Questa deprivazione, culturale e identitaria con pesanti ripercussioni nel campo sociale è strettamente collegata alla loro situazione di marginalità. La maggior parte degli abitanti del C7 sono i discendenti di quei Rom sedentarizzati a forza negli anni '80 che ormai di Rom non hanno più nulla se non la marginalità ed il disagio sociale.


Per cercare di comprendere meglio come la povertà e la "deculturazione" si siano diffuse in questa zona cercheremo, tra poco, di offrire un breve sguardo sulle problematiche socio-antropologiche.






Tutto quello detto finora sottende ad alcune problematiche.





A questo punto, considerando le condizioni di vita in questi ambienti verrebbe spontaneo porsi una domanda: come agire per poter migliorare questa situazione? Vedendo quale è la loro situazione socio culturale è possibile, per queste persone, recuperare un'identità ed un riscatto sociale? Sul fatto che questi Rom debbano costruirsi o ricostruirsi un'identità ed una cultura (e se ciò abbia senso)   ritorneremo più avanti. Vedendo come stanno le cose l'azione più immediata da intraprendere, più urgente del ritrovare una loro coscienza di sé come gruppo e/o etnia, è che recuperino la loro coscienza di essere persone. Ma possono essere sequenziali il recupero di dignità personale ed il recupero di appartenenza cuturale? Ma, paradossalmente, avrebbe senso intervenire per "riavvicinarli" alla cultura rom, ammesso che questa esistea ancora




Talvolta manca addirittura la percezione di loro stessi come esseri umani, in questo caso dunque la loro identità etnica e sociale non sarebbe da ricostruire ma da costruire da principio, da un punto di vista culturale, sono totalmente deprivati. Prima di tutto quindi è bene ricordarsi che queste persone, prima che un'etnia, sono esseri umani e, se si deve agire, bisogna operare prima di tutto per cercare di restituire loro una dignità come persone. Una volta restituita loro una dignità si potrà tentare di risvegliare una loro coscienza, ma questo è un percorso che devono fare loro una volta raggiunto un livello dignitoso di esistenza, sceglieranno loro cosa essere o cosa diventare. La deprivazione economica può accelerare ed aggravare i processi di deculturazione. Potrà anche essere probabile che un giorno recupereranno parte della loro identità originaria, la quale non sarà loro meno d'aiuto di una identità mantenuta nel tempo senza cesure oppure di un'identità acquisita. Il sapersi parte di una storia e di una cultura antica e ricca può contribuire a rafforzare psicologicamente e socialmente una comunità provata dal disagio e dalle avversità, non avendo più "appartenenza" ci si sente isolati e l'unica cosa che rimane è disagio ed emarginazione.

Il riscoprire una identità, una propria storia perduta non è un processo sconosciuto nei gruppi umani: il ricordo svolge la sua opera grazie all'oblio, il sociologo francese Patrick Pharo per spiegare come opera l'oblio nel favorire il ricordo cita l'esempio della cascata (completare) la stessa Mary Douglas diceva che gli uomini dimenticano per poi riscoprire (citarea). In questo caso la riscoperta della propria identità per le persone che vivono nei quartieri degradati di Jasi è strettamente connessa alla riscoperta della propria dignità come persone.




2. Le periferie nuovo centro?

(perdita del centro. Quale è il ruolo delle periferie? "legame con il centro"?, Aree periferiche non solo in senso fisico ma anche sociale e architettonico (citare De Martino e Agustoni (esempio dello svizzero che impazzisce) società "multicentrica Multiculturalismo = multicentrismo.

Recuperare un nuovo centro


Conclusioni


Questo lavoro con le sue pecche e lacune vuole cercare di aprire delle nuove prospettive sul modo di studiar quelli che sono i problemi sociali più attuali. Trovare strade nuove, e magari più efficaci, può essere possibile sia con le nuove "aperture" sia grazie alla tradizione.
























Bibliografia


Ambrosini M.,

Agustoni A., I vicini di Casa, Adelphi, Milano 2004

Baumann Z., La società dell'incertezza, il Mulino Bologna, 1999

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Cesareo

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Davidson D.,

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Durkheim E., Il suicidio, Utet, Torino 1969.

Durkheim E,, Le regole del metodo sociologico, Comunità, Milano 1979.

Ferguson A., Saggio sulla storia della società civile, Vallecchi, Firenze 1973.

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