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LIBERTÁ - E se l'unica libertà dell'uomo fosse potersi domandare: Sono Libero?




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LIBERTÁ


E se l'unica libertà dell'uomo fosse potersi domandare: Sono Libero?








































Introduzione



Perché trattare di libertà?                          

Ho deciso di trattare quest'argomento perché ritengo che nonostante la libertà stia alla base della realtà quotidiana di ognuno di noi, molto spesso questa viene sottintesa, per così dire, 'data per scontata'. Citando Søren Kierkegaard:

Difficilmente l'uomo fa uso delle libertà che lui ha, per esempio la libertà di pensiero; in compenso insiste a richiedere la libertà di parola.

Mi sono resa conto in prima persona di quanto mi fosse difficile parlare di libertà quando mi è stata posta la domanda: 'l'uomo è libero?'. Questo interrogativo ha spinto la mia riflessione sul tema, facendomi iniziare un lungo percorso di ricerca nel tentativo di rispondere alla domanda; percorso che mi ha portato alla più ampia e controversa questione 'cos'è la libertà?'. 

Decisamente difficile, ma allo stesso tempo molto entusiasmante, è stata la riflessione personale che ha preso corpo grazie alle lezioni seguite durante l'anno di filosofia, letteratura e scienze sociali, che mi hanno fornito il materiale necessario per affrontare il 'problema libertà'; nonché la lettura dell'opera di Viktor E. Frankl Uno psicologo nei Lager. Un'opera in cui vengono raccolti i pensieri e le esperienze più significative vissute dallo psicologo, nel suo periodo di reclusione in differenti campi di concentramento, durante la seconda guerra mondiale.

Numerosi sono gli spunti che mi sono stati forniti, in particolare da autori come Søren Kierkegaard, Luigi Pirandello, Sigmund Freud, Erich Fromm e non ultimo, appunto, V. E. Frankl.

Altra tappa fondamentale di questa ricerca è stato il confronto con altre idee di libertà, che ho incontrato nella discussione con altre persone; confronto che mi ha permesso di affrontare la questione sotto differenti punti di vista e con nuovi mezzi. Ma non solo.

Posso affermare che la ragione principale che mi ha fatto intraprendere questo lavoro di ricerca è stata la curiosità, che ha mosso il mio desiderio di maturare un'opinione abbastanza solida e chiara su un argomento che non è poi così lontano da noi quanto potrebbe apparire. La questione della libertà è insita nella nostra vita e credo sia necessario domandarsi se siamo effettivamente liberi in ogni situazione quotidiana che viviamo.

A dimostrazione di quanto la libertà sia parte della nostra vita, possiamo semplicemente osservare un gesto qualsiasi. Ad esempio, pensiamo ad uno degli scenari più naturali che possiamo incontrare in questo periodo dell'anno: la scelta della meta di un viaggio. Quando una giovane coppia decide di partire per un viaggio ha moltissime possibilità tra cui scegliere. Innanzitutto, può scegliere la meta semplicemente aprendo un atlante. Nel nostro caso, ipotizziamo che la coppia scelga di andare in Africa. A questo punto è libera di scegliere che zona dell'Africa visitare: nord, sud, est, ovest o centro.

Ha la possibilità di rivolgersi ad un'agenzia di viaggio, oppure di organizzare il viaggio autonomamente. La coppia, ora,  può scegliere il mezzo di trasporto, ad esempio l'aereo o la nave o qualsiasi altro mezzo.

I giovani possono, infine, in piena libertà, decidere se passare la vacanza in un villaggio turistico o viaggiando autonomamente per il continente.

In breve, ogni giorno della nostra vita, alla base di ogni gesto umano sta, in maniera implicita o esplicita, la libertà.

Credo innanzitutto che questo non sia il luogo adatto per rispondere ad una delle tante domande irrisolte che accompagnano l'uomo da sempre 'Che cos'è la libertà?' e, soprattutto, non credo di possedere né un bagaglio d'esperienza abbastanza ampio, né una conoscenza così approfondita della materia, per poter dare una risposta completa e coerente; nonostante ciò, vorrei qui presentare il percorso che mi ha portata a plasmare la mia personale idea sulla libertà.



Percorso

Parlando di libertà, la prima domanda a cui ho cercato di rispondere è



Come si può definire la libertà?        

Della libertà, nella storia del pensiero umano, sono state date differenti definizioni che hanno alla base il concetto di 'potere' e le possibilità ad esso annesse.

Le tre tesi principali individuate nel corso della storia della filosofia sono:

libertà come assenza di condizioni o limiti;

libertà come autodeterminazione della Totalità;

libertà come possibilità di scelta.

Nella prima definizione, la libertà viene concepita come assoluta, incondizionata e quindi infinita. Il nucleo di questa concezione è individuabile nell'idea di essere umano inteso come 'principio di se stesso', ovvero come essere libero che opera nel contesto in cui vive, con la capacità di potersi autodeterminare1. In questo senso, si può affermare che l'uomo è espressione di libertà in quanto è sia motore delle azioni che compie fuori da se stesso, che propulsore di ciò che avviene al suo interno (a livello del suo pensiero); l'uomo, quindi, è padrone assoluto di ciò che accade nel mondo e in se stesso. Ciò significa che è identificabile con la prima causa della realtà.

L'uomo è il principio e il padre dei suoi atti, come dei suoi figli.           (Aristotele)

O come meglio affermerà Cicerone

Per i moti volontari dell'anima, non è da richiedersi una causa estranea giacché il movimento è in nostro potere e dipende da noi: né perciò è senza causa, dato che la sua causa è la sua stessa natura.

Seguendo questa linea di pensiero, Epitteto afferma che sono da intendersi 'libere' tutte le cose che sono in potere dell'uomo e che vengono a generarsi a partire dall'uomo stesso. Anche Origene condivide questa visione di libertà affermando che l'uomo è da considerarsi libero poiché non solo ha in sè la causa dei propri movimenti, ma ne è la causa stessa. In questo modo l'uomo diventa giudice e arbitro di ciò che accade attorno a lui.

Questa visione, che sopravvive a tutto il Medioevo, viene in seguito rivista alla luce della dottrina cristiana, ormai diffusasi massicciamente. A seguito di questo riesame, viene individuata una contraddizione derivante dalla concezione di uomo come prima causa e dalla visione del Divino inteso come primo motore immobile (retaggio aristotelico). San Tommaso, grande teorico del cristianesimo, affronta questa incoerenza affermando che solo Dio, in quanto tale, è la prima causa della realtà; quindi l'uomo, non essendo Dio stesso, non ne può possedere le medesime caratteristiche. Si pone fine alla discordanza indicando la libertà umana essenzialmente come il libero arbitrio2  ed identificando in Dio la prima causa ovvero primo motore immobile.

Il libero arbitrio è la causa del proprio movimento perché l'uomo, per il libero arbitrio, determina se stesso ad agire.                    (San Tommaso d'Aquino)


autodeterminazione: l'atto con cui l'uomo si determina secondo la propria legge; espressione della 'libertà' positiva dell'uomo, e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione.


libero arbitrio: nel linguaggio teologico, la facoltà di scelta, da parte dell'uomo, tra le varie possibilità di comportamento tra il bene e il male.


È' Kant a chiarire la confusione venutasi a creare nel corso dei secoli. Kant, infatti, individua il carattere 'noumenico' della libertà; libertà che quindi risulta raggiungibile solo mediante l'esperienza. La libertà, per Kant, va intesa come sostanza autonoma con la 'facoltà di iniziare da sè un evento', cioè causa sui, che non nega, però, la libertà umana; la integra. L'autodeterminazione umana è comunque presente, ma viene racchiusa nella vita interiore di ogni essere umano, mentre ciò che accade all'esterno è regolato dalla causa sui.

In conclusione, secondo la prima delle tre definizioni, la libertà è la possibilità che ha l'uomo di determinare individualmente e senza costrizioni  ciò che accade, sia al proprio interno che nell'ambiente in cui vive.

L'individuo non ha alcuna causa fuori da sé, poiché è lui la sua stessa causa e causa di tutto. (Max Stirner)

La seconda nozione di libertà è strettamente legata alla precedente ma, invece di attribuire la libertà all'uomo, la assegna al Tutto, inteso come ordine cosmico o divino, Sostanza, Assoluto oppure Stato. 

In questo senso si può identificare la libertà con la necessità e la causa sui, prima citata, viene qui attribuita alla divinità. L'essere causa sui diventa carattere integrante dell'Assoluto e non più inclinazione della parte. A questo punto sorge spontanea la domanda: 'Che ruolo ha l'uomo in tutto questo?' Una risposta ci viene data da Crisippo, il quale afferma che la libertà dell'uomo sta nel dare il proprio assenso alle cose che accadono nel mondo. Ma cosa significa esattamente?

Il filosofo, per spiegare il 'perché' degli eventi della realtà, individua due tipi di cause:

cause perfette e principali;

cause ausiliarie e prossime;

Le prime, a suo parere, sono proprie del destino, della natura o di Dio, a seconda di come lo si vuole chiamare, mentre le seconde sono proprie dell'uomo. Secondo Crisippo è necessario che siano presenti entrambe affinché abbia luogo una qualsiasi azione perché l'ordine delle cose stabilisce che un'azione iniziata continui in una data maniera, ma affinché ciò si realizzi, è necessario l'assenso dell'uomo. Ad esempio, prendiamo un fiammifero. Secondo l'ordine delle cose, se la capocchia del fiammifero viene accesa per sfregamento, questi sarà 'destinato' a bruciare; ma affinché la combustione abbia inizio, è necessario l'intervento dell'essere umano che provoca lo sfregamento della capocchia del fiammifero su un oggetto qualsiasi. Eppure l'assenso che l'uomo dà altro non è che un adeguarsi all'ordine del mondo  perché, tenendo presente che le cause ausiliarie non possono entrare in conflitto con le cause perfette e dato che il fiammifero e l'uomo sono essi stessi parte dell'ordine cosmico, l'individuo, effettivamente, non fa altro che seguire l'ordine dato.

Questa nozione verrà poi approfondita e chiarita da Spinoza quando affermerà che Dio è l'unico essere libero poiché, a differenza dell'uomo, Egli solo agisce secondo le proprie leggi (si autodetermina) senza l'intervento di terzi e senza rispondere a nessuna necessità. L'uomo, invece, agisce ed esiste in risposta ad una data ragione, senza che lui necessariamente lo sappia; per esempio, l'uomo esiste perché creato da Dio che lui se ne renda conto o no. L'uomo, quindi, esercita la propria libertà solo quando agisce in armonia con la Sostanza e ama la divinità stessa in quanto parte di essa.

Questo concetto è chiaramente espresso nella seguente affermazione di Schelling:

L'Assoluto opera per mezzo di ogni singola intelligenza, cioè la sua azione è anche assoluta in quanto non è né libera né priva di libertà, ma l'uno e l'altro insieme: assolutamente libera, per ciò anche necessaria.                (Schelling)

Quindi l'uomo è libero se agisce ed opera come parte della sostanza, da ciò deriva conseguentemente che l'uomo opera per necessità.

In conclusione, secondo questa seconda nozione di libertà, l'unico soggetto di libertà è l'Essere, la Sostanza, il Mondo, oppure, lo Stato, la Chiesa, o meglio, tutto ciò che può essere identificato nella Totalità. È quindi la Totalità ad essere dotata del potere di autodeterminazione o auto causalità e non l'uomo.

La terza, ed ultima definizione di libertà, nulla ha a che vedere con le precedenti, poiché intende la libertà come possibilità di scelta tra differenti opportunità. È, quindi, una libertà limitata, poiché l'essere umano, si trova a dover scegliere tra più opzioni date e finite. In questo senso, libero è colui che possiede, in una data misura, i mezzi necessari per prendere una decisione; descrizione che, principalmente, si riferisce all'essere umano, in quanto questi ha coscienza delle proprie scelte.

Il primo filosofo a presentare questa concezione di libertà è stato Platone nel Mito di Er; in questo mito si ipotizza che l'anima di ciascun uomo, prima di incarnarsi nel corpo, si trova nella condizione di dover scegliere secondo quale modello di vita vivere la propria prossima esistenza.

Ciascuno è autore della sua scelta, la divinità è fuori causa. (Platone)

È l'uomo, e prima di lui l'anima, ad essere l'autore autentico di tutte le scelte che egli prende tra una gamma limitata di opzioni; e le decisioni che l'uomo prende sono a partire dalla motivazione individuale. Chiariamo meglio il concetto.

Ogni scelta dell'uomo si districa tra più possibilità date e fa riferimento alla propria motivazione interna. Ad esempio. Alla fine del quinto anno di liceo un ipotetico studente M. si trova nella situazione di dover prendere una decisione per il proprio futuro, come effettuerà la sua scelta?

Si ipotizza che:

terrà conto delle proprie ambizioni, delle proprie caratteristiche personali, delle proprie inclinazioni, delle proprie capacità ecc;

individuerà un settore che lo interesserà, per esempio il settore sanitario;

sceglierà la facoltà più adeguata tra le diverse esistenti in quel settore; per esempio fisioterapia e non logopedia, o infermieristica o medicina e chirurgia o odontoiatria.

Quindi la libertà è finita, ovvero ogni scelta è presa tra possibilità determinate e condizionata da motivi determinanti, non da necessità estranee al soggetto che agisce nel mondo.

Il legame tra libertà e necessità verrà poi ripreso da Hobbes, quando parlerà di libertà di volere e libertà di fare. Hobbes afferma che non si può non volere ciò che si vuole, ma si può scegliere di fare o non fare qualcosa; ovvero, non si può non avere la necessità di fare qualcosa, ma l'uomo ha la possibilità, quindi la libertà, di scegliere di fare o non fare quella data cosa. È questa una delle caratteristiche che distingue l'uomo dall'animale; egli, a differenza degli animali, può scegliere di non obbedire ad un istinto/necessità, mentre l'animale è schiavo dei propri bisogni.

Un esempio per chiarire. Se Lucia ha fame attorno alle ore 11,30 del mattino e sa che attorno alle 12,30 pranzerà con Marco, un suo amico, può decidere di non mangiare e aspettare. Lucia ha una necessità di tipo biologico, mangiare, ma può scegliere di non ascoltare momentaneamente il suo istinto. Lucia, in un altro caso potrebbe anche scegliere di non mangiare più, magari, come atto di protesta. Al contrario, una leonessa che vive nella savana, nel momento in cui ha fame si adopera, a qualsiasi ora del giorno, per provvedere a soddisfare la sua necessità.

Sarà Kant, poi, a introdurre un altro aspetto che va a integrare la possibilità di agire. Kant afferma, infatti, che si è liberi di fare quando si ha il potere di fare. Ovviamente l'azione, secondo Kant, deve essere indirizzata dalla morale che sta dentro l'individuo stesso. Altro non è che la massima celebrazione della libertà umana secondo il principio per cui, se la morale dell'individuo gli impone di dover fare qualcosa, ciò significa che allora deve essere libero.

Anche Heiddeger, uno dei maggiori esponenti dell'esistenzialismo, parlerà di libertà finita basata sulla 'progettazione'; nel senso che l'azione umana si svolge in maniera progettuale nel mondo ed è, quindi, limitata e condizionata dal mondo stesso nel quale l'azione viene progettata.

La libertà umana è:

una libertà situata, una libertà inquadrata nel reale, una libertà sotto condizione, una libertà relativa.                              (Gurvitch)

In conclusione, la libertà è propria dell'essere umano e consiste non tanto nella scelta di per sé ma nella 'possibilità di scelta'; è, per dirla alla maniera di Kierkegaard, la condizione propria dell'essere umano ovvero l'essere pura possibilità.




Alla fine di queste breve panoramica sull'evoluzione del concetto di libertà nella storia del pensiero umano, ci si può immediatamente rendere conto che tutte le tre nozioni possono essere condivisibili, ma ora la questione diventa: Quale di queste visioni è più vicina alla nostra personale? E anche: Quale di queste è più vicina alla realtà?

Personalmente, all'inizio del mio viaggio, mi sono orientata verso la terza definizione perché ritenevo fosse la più completa e la più sperimentabile; eppure, mi sono accorta che il discorso, già abbastanza articolato, iniziava a complicarsi ulteriormente. Le domande sembravano non finire e continuavano a sommarsi, rendendo ai miei occhi questa definizione di libertà sempre meno completa.

Le domande immediatamente successive sono state: la libertà è quindi riducibile solo a questo? Libertà è solo possibilità di scegliere tra più possibilità preformate? L'uomo è a tutti gli effetti libero nella società? Perché alcune società appaiono più 'libere' rispetto ad altre? L'uomo è libero dentro se stesso, anche senza esserlo fisicamente?

Come si può notare, a questo punto del discorso, la questione si è spostata nel concreto della nostra realtà: 'dove si realizza la libertà nella nostra vita?'. Questa domanda si può articolare ulteriormente in due livelli differenti:

libertà esteriore : 'Siamo liberi nella società?'

libertà interiore : 'Siamo liberi dentro di noi?'

Affrontiamo ora la prima delle due questioni.


Siamo liberi nella società in cui viviamo?


Dire che l'uomo è un animale sociale e che, in quanto tale, è strettamente legato alla società in cui vive, sembra un'affermazione scontata. Eppure, è necessario discutere della relazione che intercorre tra l'uomo e la società in cui vive per poter individuare la libertà nella sua vita. Tradizionalmente quando si parla di libertà e società, si pensa immediatamente a tutte le leggi che tutelano e limitano allo stesso tempo le libertà del cittadino e che sono parte integrante dello stato, in quanto lo ordinano. In realtà, però, la società non è costituita solo da queste leggi scritte. Infatti, in ogni cultura, oltre alle norme formalmente riconosciute dallo stato (stateways), esistono altre norme 'informali' che rendono più complessa l'interazione tra l'individuo e i suoi simili.

Molte discipline si sono occupate di approfondire il rapporto che intercorre tra l'uomo e la società, tra queste le scienze sociali, la filosofia e, non ultima, la letteratura. In questo paragrafo ci dedicheremo alla descrizione di questa interazione, sia attraverso una breve introduzione di tipo sociologico, sia con alcuni cenni di tipo letterario, facendo riferimento a Luigi Pirandello.

Ogni essere umano, sin dal giorno della sua nascita acquista uno status sociale, ovvero acquista una posizione nella società. Lo status di cui l'individuo si trova rivestito sin dalla nascita, è definito status ascritto; ne è un esempio la posizione di figlio, la nazionalità, il sesso etc. L'individuo, nel corso della sua esperienza sociale, riveste altri status, detti acquisiti, che altro non sono se non le posizioni che ogni uomo riveste nella società di riferimento. Ad esempio lo status di studente, di marito o di moglie, di professore o di operaio etc.

Dal momento in cui un individuo riveste uno status, la società in cui vive, composta da gruppi sociali in relazione tra loro, si aspetterà una serie di comportamenti volti a manifestare la propria posizione; l'insieme di tutte queste azioni è definito 'ruolo'. Più chiaramente il ruolo è definito come l'aspetto dinamico o esecutivo dello status.

Ogni uomo può rivestire molteplici posizioni sociali, diverse per ogni settore della propria vita. Ad esempio, una donna può essere moglie, madre e contemporaneamente professoressa, quindi anche laureata, etc. Ciò significa che, a seconda della situazione in cui questa donna si troverà, metterà in atto una serie di comportamenti diversi che dipendono dal suo status acquisito.

I ruoli, per essere tali, derivano non solo dallo status che l'individuo riveste, ma anche e soprattutto tengono conto delle norme che regolano la vita sociale della società di riferimento. L'individuo, quando compie qualsiasi gesto sociale, deve preoccuparsi di rispettare non solo gli stateways ma anche i mores e i folkways. È stato Sumner il primo sociologo ad individuare queste norme. Per maggior chiarezza, approfondiamo brevemente i termini sopra citati.

Gli stateways richiedono una conformità rigorosa e comportano una forte sanzione se violati. I mores, invece, costituiscono delle condotte fortemente raccomandabili e, in caso di violazione, possono provocare biasimo sociale, ma non per questo comportano sanzioni regolate dalla legge. I folkways, infine, sono forse i più presenti nella società contemporanea, sono costituiti da una somma di modelli di comportamento che non comportano particolari sanzioni se violati, ma costituiscono la base dei costumi sociali e portano al fenomeno dell'omologazione.

È, forse, questo fenomeno la dimostrazione della quasi totale assenza di libertà in cui viviamo nella società contemporanea. Ogni individuo si comporta come gli altri si aspettano si comporti e questo limita notevolmente la personale libertà di espressione, perché comportandosi come gli altri si aspettano, l'individuo diventa un 'tipo', nullificando la propria individualità. Un esempio per chiarire: un uomo che guida un'automobile, dal momento in cui si siederà al volante, nonostante mantenga il proprio stile individuale di guida, se guiderà rispettando il codice stradale, verrà considerato un guidatore qualunque; in caso contrario, verrà additato come 'pirata della strada'. In entrambi i casi l'uomo perderà la propria individualità diventando in un caso 'guidatore', nell'altro 'pirata della strada', cioè verrà considerato come uno dei due 'tipi'.

Altro aspetto che limita la libertà individuale di espressione della propria soggettività è dato dalla routine quotidiana. È proprio la routine ad essere il peggior nemico della libertà di ogni individuo, perché lo immerge in una serie di rapporti precostituiti e sempre uguali che riducono al minimo la libera espressione individuale. La routine quotidiana altro non è che la morte della libertà individuale. L'uomo contemporaneo, schiavo della quotidianità e del propri status, si accontenta di pensare pensieri già pensati, di compiere azioni sicure perché testate un'infinità di volte e di reprimere il proprio flusso liberatorio, la propria individualità, nel profondo della propria persona.

Tornando invece a parlare di ruoli, possiamo affermare che il ruolo costituisce una sorta di modello preconfezionato di comportamento, che l'individuo tiene per trovare l'assenso degli altri uomini con cui vive e per sentirsi integrato nella società stessa.

In poche parole, ognuno di noi indossa quelle che Pirandello chiama 'maschere'. Le 'maschere' sono delle barriere alla libertà di ogni individuo; gli indicano come è consigliabile comportarsi in ogni possibile situazione, limitando, comunque in maniera relativa, la libertà di espressione. Perché in maniera relativa? La risposta è semplice: ogni individuo ha il proprio 'stile' nel rivestire un dato ruolo. Ma ora la domanda che sorge spontanea è: la libertà è, quindi, solo lo 'stile' con cui ognuno di noi interpreta il proprio ruolo? Se questo fosse, la libertà, che io sperimento nella società in cui vivo, è data dalla possibilità di poter 'interpretarmi', come un attore che recita sul palcoscenico un personaggio più o meno complesso?

Goffman, ad esempio, è uno dei sociologi che intende la realtà dell'agire sociale in maniera drammaturgica; concepisce, infatti, la vita sociale come uno scenario in cui gli individui interpretano una serie di ruoli e le interazioni tra questi vengono governate da norme implicite o esplicite. Diciamo che queste norme limitano il 'copione' che gli 'attori' mettono in scena; 'copione' che altro non è che la base della routine quotidiana.

È il 'copione' che ogni uomo recita fedelmente, la 'forma' e la 'maschera' di cui parla Pirandello. Egli ritiene che persino il nome sia una maschera che l'uomo indossa; è la prima delle forme che vengono imposte al flusso vitale che è dentro ogni essere umano. L'uomo, per vivere nella società, ha bisogno delle forme e delle maschere. Però, potendo egli pensare, si rende conto del fatto che queste forme limitano la propria libertà.

Il vivere in società è la negazione della libertà individuale poiché le strutture rigide, che chiudono l'uomo nel ruolo che questo riveste, gli impediscono di vivere liberamente. È il dramma che i personaggi di Pirandello sono costretti a vivere: si sentono soffocare dalle forme, si sentono chiusi nei ruoli e l'unico modo che riescono a trovare per vivere liberamente è quello di uscire dalle forme, grazie a brevi momenti di follia.

I personaggi di Pirandello, soprattutto Mattia Pascal, fanno esperienza, seppur fallimentare, del vivere fuori dalle forme e mostrano al lettore che l'uomo non è libero nella società. L'uomo, infatti, è prigioniero del ruolo che riveste persino quando, ipoteticamente, smette di rivestirlo; l'individuo, infatti, è perennemente legato alla prima delle sue forme, il nome e, con questo, al suo passato. Se l'uomo, infatti, riuscisse ad uscire dalle forme, sarebbe costretto a guardare gli altri vivere e non più a vivere, perché non esiste una vita fuori dalla forma del ruolo sociale.

Anche Pirandello, quindi, come la sociologia, si rende perfettamente conto che senza una routine e delle 'maschere' da indossare, l'uomo non esisterebbe e nemmeno la società; questo perché, dal momento in cui non esistessero dei comportamenti prevedibili, la società si troverebbe in uno stato di confusione; diventerebbe instabile, perché nessuno più saprebbe cosa aspettarsi dagli altri membri. A questo punto inizierebbe a considerarli come potenziali nemici, rischiando una continua lotta per l'affermazione individuale causata dalla paura di un attacco esterno. È quindi deducibile che è impossibile una convivenza tra l'espressione libera ed assoluta di libertà individuale e la società.

Più chiaramente, dopo questo percorso, si può dedurre che è praticamente impossibile trovare una sintonia tra la libertà dell'individuo e la società in cui questo vive. Accettando la realtà dell'impossibile convivenza tra la libertà individuale e la società, ora, la questione cambia.

La prossima domanda a cui bisogna cercare di rispondere è: dato che l'uomo non è libero nella società e nel rapporto con gli altri individui, perché perennemente sottomesso a forme precostituite di comportamento, dove è libero?




In conclusione, in questo paragrafo abbiamo compreso che:


se consideriamo la libertà come autodeterminazione dell'uomo, senza dover rispettare particolari regole e senza avere particolari limiti, il fatto che l'uomo viva in società e che rispetti una serie di norme di comportamento, che non vengono da se stesso, dimostra che l'uomo non è libero;


se consideriamo la Società (ovvero la cultura in cui viviamo), come la Totalità in cui l'individuo vive, la seconda concezione di libertà è verificata. Ciò significa che la Totalità è libera e l'uomo è sottomesso alla Totalità stessa. Quindi, personalmente, l'uomo non è libero, ma la Totalità sì;


se invece pensiamo alla libertà come possibilità si scelta, ci rendiamo conto che, in una società, non siamo completamente liberi di scegliere, poiché schiavi del sistema e del ruolo che rivestiamo; inoltre, siamo perennemente sottomessi alla necessità di ottenere l'approvazione dei membri della cultura in cui viviamo.


È allora ipotizzabile che la libertà umana non stia fuori dall'uomo, dato che la società lo limita, ma dentro l'uomo stesso.

Arriviamo, perciò, alla questione successiva:


Siamo liberi dentro noi stessi?


Il discorso si sposta, a questo punto, dal contesto al soggetto. Come l'uomo vive all'interno della sua psiche? Delle diverse ipotesi formulate sulla struttura della mente umana, quella che personalmente ritengo più completa e sperimentabile è la teoria freudiana della bipartizione in conscio ed inconscio integrata dall'ulteriore tripartizione in Es, Super-io ed Io.

Sigmund Freud ha sconvolto l'idea, a lui antecedente, per cui la vita psichica dell'essere umano avveniva, tutto sommato, in sua piena coscienza e che, quindi, tutte le decisioni prese dall'uomo erano piena espressione di libertà. Freud, 'scoprendo' l'inconscio, ha radicalmente cambiato la visione che l'individuo aveva della propria psiche, del rapporto tra la propria anima e il proprio corpo, da sempre intesi come l'uno contenuto nell'altro.

Già Leibnitz e Nietzsche avevano intuito, il primo, l'esistenza di stati inconsci e, il secondo, la presenza di conflitti tra gli impulsi interni di ogni individuo e le norme della società di appartenenza. Ed è proprio a queste due intuizioni che fa riferimento Freud, quando afferma che la maggior parte della vita mentale di ogni individuo ha luogo a livello inconscio e si manifesta solo parzialmente a livello conscio. Inoltre, secondo Freud, ciò che si manifesta è il risultato di un estenuante quotidiano conflitto interiore che ha luogo tra i tre topoi, o meglio zone, che compongono la nostra mente: Io, Es e Super-io.

Prima di arrivare al punto della questione, 'siamo liberi dentro noi stessi?', bisogna però descrivere la composizione della psiche, rispondendo innanzitutto alla domanda: cos'è l'inconscio?

L'inconscio (non-conscio3) è una zona complessa della nostra mente, passionale e irrazionale, suddivisa a sua volta in due parti: il preconscio e il rimosso. Nel preconscio i ricordi che vi risiedono possono nel tempo divenire consci, mentre nel rimosso sono conservati tutti quei processi psichici che il soggetto mantiene costantemente inconsci.

Dopo aver affermato che la maggior parte dei processi mentali dell'individuo avvengo inconsciamente, si avrà che la psiche di ogni uomo è estremamente complessa, oscura e contraddittoria ed è la risultante della guerra, appunto inconscia, tra Es, Io e Super-io. Il fatto che l'inconscio, costituito principalmente dall'Es, venga considerato contradditorio, è dato dal fatto che questo non risponde alle leggi razionali e logiche del nostro lato conscio; non risponde ai principi della logica e al principio di non contraddizione, ma si muove in risposta alle pulsioni primordiali dell'individuo, proprie della specie. Approfondiamo ora il discorso sui tre topoi e il loro rapporto per poter, poi, arrivare a parlare di libertà.

L'Es è la zona in cui hanno origine le pulsioni (trieb), ovvero quei bisogni fondamentali da soddisfare propri non solo dell'individuo ma della specie stessa, diciamo, bisogni che eredita dalla propria natura. È un 'calderone di impulsi ribollenti', dominato dal caos, fuori dalla logica e dominato solo dalla legge del piacere. L'Es è la sede di pulsioni costruttive di vita, amore e riproduzione, definite Eros, e di pulsioni distruttive, principalmente di morte, che portano alla disgregazione, dette Thanatos.

Come direbbe Schopenhauer, l'Es è dominato dalla 'volontà di vivere' che usa gli esseri, in questo caso l'individuo, per perseverare il proprio fine: l'autoconservazione. È, quindi, il lato animale dell'essere umano.

In lotta con l'Es, si trova un altro elemento che concorre alla formazione dell'apparato psichico: il Super-io. Il Super-io è ciò che Nietzsche chiamerebbe 'istinto del gregge nel singolo', ovvero l'insieme di tutte le norme e ruoli che l'individuo rispetta e assume per poter vivere in una società. È la 'coscienza morale' che l'uomo apprende a partire dall'educazione e dalla socializzazione che, inconsciamente, limita la libera espressione delle pulsioni primordiali affermando cosa è considerato giusto e cosa non lo è.

Infine l'Io è la risultante della battaglia incessante tra le pulsioni dell'Es e la morale del Super-io. L'Io è razionale e cerca la mediazione tra gli altri due elementi, agendo in base al 'principio di realtà' per cui prima di agire bisogna considerare le limitazioni della realtà in cui si vive. L'Io prende in esame le norme, a cui facevamo riferimento prima, e le analizza dettagliatamente prima di compiere ogni azione.

Alla luce di questo quadro, possiamo capire che la mente umana non lascia spazio ad alcuna espressione di libertà, sia intesa come possibilità di autodeterminarsi che come possibilità di scelta.

In primo luogo, l'uomo non può seguire liberamente i propri impulsi perché sottomesso a quelle imposizioni sociali che egli assume come proprie nel Super-io; in secondo luogo, egli non può scegliere di sottrarsi alla battaglia tra Super-io ed Es e decidere di esprimere liberamente l'uno o l'altro.

L'uomo, quindi, è prigioniero della sua stessa psiche, incastrato in un incessante battaglia senza vincitori né vinti, senza la possibilità di arrendersi: è limitato dalla sua stessa tripartita natura.

Osservando un quadro del genere, è chiaro intuire che il Super-io compone le 'sbarre della nostra prigione', eppure anche se fosse possibile eliminare queste 'sbarre', l'uomo sarebbe comunque 'prigioniero' della propria natura, del proprio Es. Esprimendo con maggior chiarezza il concetto, se l'uomo riuscisse a esprimere, senza alcuna mediazione, i propri istinti, le proprie pulsioni, si avrebbe un uomo prigioniero della Volontà di Vivere, ovvero incapace di agire senza avere come fine ultimo la conservazione della specie. Il lato animale dell'essere umano prevarrebbe sull'essere stesso, creando un uomo non più schiavo della società, bensì schiavo della sua stessa natura. Ora, chi ci assicura che normalmente questo non accada anche con la mediazione dell'Io e del Super-io? La questione si complica ulteriormente aprendoci un altro orizzonte. Dato che senza Super-io l'uomo non è più uomo, se l'uomo è libero, dove si manifesta questa libertà? Nell'adesione piena all'Es o nel conflitto?


conscio: sfera dell'attività psichica nella quale si svolge l'attività razionale e consapevole dell'individuo, cioè l'attività   che l'individuo si rende conto di fare.

A questo punto si può dire che l'uomo nasce, vive e muore in catene. Nasce schiavo dei propri bisogni primari, quindi in balia dell'Es. Cresce, vive e, infine, muore in balia dell'eterno conflitto tra pulsioni e norme sociali.

L'uomo, quindi, si inganna, si crede libero nella propria psiche quando, in realtà, è dominato e sottomesso alla psiche stessa, senza la quale non sarebbe uomo. È quindi logico dedurre che l'uomo non è libero neanche con se stesso. Basti pensare ai sogni che, per tradizione, vengono considerati come libere espressioni dei desideri profondi e radicati dell'Es. In realtà anche Freud afferma che il sogno non è altro che:

L'appagamento (camuffato) di un desiderio rimosso

Cioè, anche i sogni vengono mediati, o meglio censurati, dal Super-io e dall'Io, ovvero resi più accettabili mediante rappresentazioni che possono apparire 'moralmente' più tollerabili.

Già Platone, nel mito della Caverna, aveva descritto l'uomo come schiavo e incatenato nel buio di una caverna, incapace di vedere la vera realtà oltre l'antro e allo stesso tempo ingannato dalle ombre degli oggetti che gli appaiono come unica realtà. È il dramma dell'essere umano, uomo in quanto costituito da anima e corpo e prigioniero della caverna, ovvero di se stesso. Essere umano che non può rinunciare né al corpo né all'anima senza condannarsi inevitabilmente alla morte, o peggio, inesistenza.


Si è quindi detto che l'uomo non nasce libero, ma la questione non si esaurisce qui, la prossima questione a cui bisogna provare a rispondere è:


Esistono degli uomini liberi?


Questa questione è ancora più complessa e ampia delle precedenti, per questo mi limiterò a riassumere due ipotetici uomini liberi, individuati nel corso della storia del pensiero umano: l'uomo fuori dalle forme di Pirandello e l'oltre uomo di Nietzsche.

Pirandello usa una bellissima immagine per rappresentare la situazione di prigionia dell'essere umano. La reclusione e l'illusione accompagnano l'uomo come accompagnano un uccellino in gabbia.

Là, in un corridojo, sospesa nel vano d'una finestra, c'era una gabbia con un canarino. Non potendo con gli altri e non sapendo che fare, mi mettevo a conversar con lui, col canarino: gli facevo il verso con le labbra, ed esso veramente credeva che qualcuno gli parlasse e ascoltava e forse coglieva in quel mio pispissìo care notizie di nidi, di foglie, di libertà . si agitava nella gabbia, si voltava, saltava, guardava di traverso, scotendo la testina, poi mi rispondeva, chiedeva, ascoltava ancora. Povero uccellino!

È l'uomo imprigionato dalle maschere, dall'illusione di essere il soggetto fondamentale della realtà, e ricolmo del desiderio di essere libero, il canarino di cui parla Pirandello. Eppure, secondo l'autore, anche se l'uomo potesse liberarsi dalle forme non sarebbe più nulla; smetterebbe di vivere e si ridurrebbe a vedere gli altri vivere. È quello che esprime in un'altra parte del romanzo 'Il fu Mattia Pascal'.

[.] ma io mi trovo in una condizione così eccezionale, che posso considerarmi come già fuori dalla vita; e dunque senza obblighi e senza scrupoli di sorta.

Mattia Pascal si dice essere libero, ma questa sua condizione, così eccezionale, lo condanna ad essere fuori dalla vita, cioè prigioniero della libertà stessa,

[.] quella sconfinata libertà era un tantino tiranna.

Quindi, secondo il pensiero pirandelliano, se vogliamo considerarci liberi dobbiamo uscire dalla società, ma uscendo da questa smettiamo di vivere. Il problema non ha una vera e propria soluzione, possiamo però intendere che l'uomo non sarà mai libero perché, come dice anche il protagonista dell'opera di Pirandello, 'Io sono il fu Mattia Pascal'. Cosa significa? Ciò significa che è il passato che ci dà un identità e una maschera. Eppure, una volta tolta questa maschera, noi continueremo ad essere la non maschera e saremo sempre alla ricerca di un passato da cui poi desiderare di liberarci.

È infine la metafora del fiume ad esprimere con chiarezza lo stato dell'uomo libero.

- Libero! - dicevo ancora; ma già cominciavo a penetrare il senso e a misurare i confini di questa mia libertà. Ecco: essa, per esempio, voleva dire starmene lì, di sera, affacciato a una finestra, a guardare il fiume che fluiva nero e silente tra gli argini nuovi e sotto i ponti che vi riflettevano i lumi dei loro fanali, tremolanti come serpentelli di fuoco; seguire con la fantasia il corso di quelle acque, dalla remota fonte apennina, via per tante campagne, ora attraverso la città,  poi per la campagna di nuovo, fino alla foce; fingermi col pensiero il mare tenebroso e palpitante in cui quelle acque, dopo tanta corsa, andavano a perdersi, e aprire di tratto in tratto la bocca a uno sbadiglio.

Alla luce di questa ipotetica vita, vale la pena ottenere a tutti i costi la libertà per poi poter osservare il 'fiume fluire' o 'seguire con la fantasia quelle acque'?

Credo che, parlando di uomini liberi, non si possa dimenticare Nietzsche e il suo Oltre uomo, quindi: come descriverebbe Nietzsche un uomo libero? Diciamo innanzitutto che, secondo questo filosofo, l'uomo occidentale non nasce libero, ma nasce sottomesso all'istinto del gregge' e ai valori della società, tra cui Dio (una creazione umana a cui l'uomo stesso si sottomette).

È, quindi, solo colui che sarà in grado di affrontare la caduta di tutte le illusioni, le certezze che accompagnano l'uomo occidentale da secoli e riuscirà ad affrontare il caos della realtà, dominata dal principio dell'eterno ritorno dell'eguale, potrà considerarsi libero. Nietzsche vede con estrema lucidità la realtà e crea la figura filosofica dell'Oltre uomo: unico essere libero che incarna uno stato al quale ogni uomo può aspirare.

L'Oltre uomo è l'unico essere che ha superato la situazione di nichilismo, seguita alla caduta dei valori dell'Occidente, tra cui Dio, e, attraverso la volontà di potenza, è in grado di vivere in armonia con la realtà. L'oltre uomo è quindi un eroe; un essere capace di sopravvivere allo stato di smarrimento e di nulla (nichilismo) risultato dalla morte di Dio e di tutti i valori che sono, per l'essere umano, fonte di sicurezza e di appagamento. Quindi sarà libero solo colui che riuscirà ad affrontare con coraggio e a superare lo stato di nulla esistenziale (il punto zero di Kierkegaard), iniziando così una nuova esistenza libera dalla logica della società occidentale ed in piena armonia con la propria natura e con il cosmo.



Alla luce di questo percorso, cos'è per me la libertà?        

Credo, innanzitutto, che la libertà non sia definibile e, in secondo luogo, penso che sia un flusso di energia, molto simile a quello di cui parlava Pirandello, che l'uomo cerca di racchiudere in una forma, in una parola, in una definizione che però non può trovare.

Credo che sia questo il motivo per cui molto spesso la libertà viene data per sottintesa. Non è semplice darne un'unica definizione, poiché questa non è esauribile né in una serie di parole né con un'unica immagine. Il concetto di libertà è tanto chiaro dentro di noi quanto complesso da esprimere; è più uno stato spirituale che un vero e proprio concetto. Penso che, in realtà, la libertà, come la felicità e l'amore, oltre a non essere definibile, non è nemmeno discutibile, né tantomeno dimostrabile ed è ipocrisia credere di poterla esaurire in parole.

La libertà assoluta non esiste. E non essendo assoluta e conoscibile da tutti allo stesso modo, è relativa. Eppure, l'uomo è schiavo dell'idea di libertà assoluta intesa come poter fare ciò che si vuole quando si vuole non capendo che, in realtà, la libertà è uno stato, come la felicità. Ed essendo uno stato in cui l'uomo si trova, questa varia da individuo a individuo anche nella stessa cultura e nello stesso gruppo. La libertà, se è dell'uomo, è uno stato a cui l'uomo aspira ma che, in quanto essere finito, non potrà mai raggiungere completamente, è un bisogno che rimane sempre inappagato ma che muove l'uomo a cercare incessantemente qualcosa che lo completi.

Se non volessimo però arrenderci all'idea dell'assenza di libertà, intesa come concetto assoluto conoscibile in egual maniera da tutti, credo che libero sia colui che guarda la realtà in maniera diversa, in maniera critica; colui che si fa delle domande, non si accontenta delle risposte e continua a cercare. Libero è colui che sperimenta materialmente la propria assenza di libertà.

Forse l'unica espressione di libertà che rimane all'uomo è potersi domandare : Sono Libero?

Libero, infatti, non è l'uomo che si crede tale. Chiunque si creda libero è schiavo di se stesso e della paura di scoprire la verità. Quale verità?

La verità che l'uomo non è neppure libero di scegliere per la propria vita. L'essere umano non sceglie quando nascere, non può scegliere cosa vivere e, secondo Kierkegaard, neppure come vivere; non può scegliere chi amare e chi odiare; forse, l'unica cosa che può scegliere è quando morire ma solo se decide di porre fine alla propria esistenza.

L'uomo è quindi libero, sempre che si possa definire tale, quando sceglie di arrendersi alla realtà della sua fuggevole esistenza vivendo in armonia con ciò che gli capita. Un po' come gli stoici definivano il sapiente:

il sapiente è libero perché egli solo segue una vita conforme alla natura: egli solo cioè si conforma all'ordine del mondo, al destino.

L'essere umano ha forse, infine, un'altra insignificante ma fondamentale libertà. La libertà di poter pensare, quella che lo psicologo V. E. Frankl definisce libertà spirituale.

quel bene che nessuno può sottrargli finché non esala l'ultimo respiro, fa sì ch'egli trovi, fino all'ultimo respiro, il modo di plasmare coerentemente la propria vita.

Ma pensare è veramente un gesto di libertà? O è la triste condanna dell'essere umano in quanto essere pensante?

Eppure, forse, non importa che l'uomo sia libero effettivamente, l'importante è che si senta libero: libero di potersi ingannare. Perché la libertà non si contempla, se ne fa esperienza; è simile al flusso vitale di cui parlava Pirandello e allo slancio vitale di Bergson, ovvero un'esplosione imprevedibile e casuale.

L'uomo, come abbiamo detto, non nasce libero, eppure esistono dei gesti liberi; sono i gesti di disobbedienza come quello di Eva che coglie la mela, oppure dell'uomo che sceglie il Nirvana negando definitivamente la Volontà di Vivere, oppure dell'oltre uomo che si conforma all'ordine cosmico. Sono tutti gesti che comportano l'assumersi delle responsabilità per le proprie azioni. Sartre afferma:

le più atroci situazioni della guerra, le peggiori torture, non creano affatto uno stato di cose inumano. [.] ma questa decisione è umana e ne porterò l'intera responsabilità

Ma è veramente così? La libertà non è quindi uno stato di beatitudine, ma uno stato d'angoscia in cui l'uomo è responsabile di tutte le sue azioni e soprattutto delle sue non azioni?




Riassumendo il mio pensiero:

L'uomo non è libero ma può sentirsi libero.

Essere libero è diverso da sentirsi tale.

Nella propria esistenza l'essere umano possiede solo tre libertà:

è libero di potersi fare delle domande e non trovare le risposte;

è libero di potersi ingannare;

è libero di potersi togliere la vita;

Per il resto è prigioniero delle circostanze e della libertà stessa.




Ciò che rimane da questo percorso che abbiamo affrontato assieme è un'ultima domanda a cui ognuno può 'liberamente' rispondere:


L'uomo è prigioniero della convinzione di essere libero o respira dei fuggevoli, ma profondi, istanti di libertà?












Bibliografia


'Libri di dilogos A: La filosofia antica' Cioffi, Luppi, O'Brien, Vigorelli e Zanette

Bruno Mondadori 2001

'Libri di dilogos E: La filosofia dall'Ottocento al Novecento' Cioffi, Luppi, Gallo, Vigorelli e Zanette

Bruno Mondadori 2001

'Dizionario di filosofia' N. Abbagnano

UTET 1968

Il dizionario della lingua italiana Devoto e Oli

Le Monnier 2000

'Psicologia in azione' Bianchi e Di Giovanni

Paravia 1996

'Sociologia: schemi riassuntivi, quadri d'approfondimento'

DeAgostini 2006

'Il fu Mattia Pascal' Luigi Pirandello

Garzanti 2007

'Tempi e immagini della letteratura: 5 Naturalismo, Simbolismo e primo Novecento' Raimondi, Anselmi e Fenocchio

Bruno Mondadori 2004

'Uno psicologo nei lager' Viktor E. Frankl

Edizioni Ares 2005


Scarica gratis LIBERTÁ - E se l'unica libertà dell'uomo fosse potersi domandare: Sono Libero?
Appunti su: https:wwwappuntimaniacomumanistichesociologialibert-e-se-lunica-libert-dell43php, essere libero e sentirsi tale uomo, difficilmente l 27uomo fa uso della libertC3A0 cio lui ha soren, libertC3A1 dell individuo rispetto al mondo in cui vive,



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