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Le teorie della criminalità




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Le teorie della criminalità


La categoria dei delinquenti è quella che più ci interessa in questa sede, per cui è necessario dare uno sguardo, seppur molto limitato, alle varie teorie della criminalità attraverso le quali gli studiosi di scienze sociali hanno affrontato il problema. Mentre molti autori, come Berzano e Prina (1995), preferiscono utilizzare la terminologia kuhniana di paradigma per interpretare la criminalità o la devianza (così i principali paradigmi: utilitarista, positivista, sociale e costruzionista, nelle due versioni dell'interazionismo e delle teorie conflittuali), è preferibile uscire dallo schema classico di Kuhn soltanto perché non si vuole, in questo lavoro, fare uno studio approfondito sulle varie teorie sociologiche, ma soltanto dare una rapida lettura prima di addentrarci nella vera questione che vogliamo affrontare: la devianza tra i devianti. Sono numerose le teorie con le quali gli studiosi hanno cercato di spiegare la devianza o la criminalità, ma le principali sono sei, così come sono state classificate da Bagnasco, Barbagli e Cavalli nel loro Corso di Sociologia (1997).





1 La teoria delle spiegazioni biologiche


Questo approccio sostiene che devianti si nasce, non si diventa. I sostenitori di questa teoria sostengono che i criminali sono stati spesso considerati diversi dagli altri individui, per cui riconducono il comportamento criminale alle caratteristiche biologiche degli individui: certi tratti biologici fanno aumentare la possibilità che una persona commetta dei reati.

Il primo a considerare la componente fisica come causa della criminalità fu Cesare Lombroso, un medico italiano del XIX secolo, il quale elaborò una complessa descrizione di quello che lui chiamava il "criminale per nascita". Secondo lo studioso, il delinquente nato poteva essere riconosciuto da varie caratteristiche fisiche, soprattutto del cranio. Influenzato dall'opera di Darwin, Lombroso concluse le sue ricerche asserendo che i criminali rappresentano una forma di regressione evolutiva verso un tipo umano primitivo, «un essere che riproduce nella sua persona gli istinti feroci dell'umanità primitiva e degli animali inferiori» .

Le tesi di Lombroso, però, non ebbero molta fortuna, anzi lui stesso le modificò profondamente sostenendo che il criminali nati costituivano soltanto un terzo di coloro che infrangevano le regole e che ogni delitto aveva origine in «una molteplicità di cause» . W. Sheldon sostenne, invece che vi erano tre tipi fondamentali di costituzione fisica: i mesoformi ( attivi, dinamici, muscolosi), gli ectoformi (introversi, nervosi, magri) e gli endomorfi (grassi, socievoli, accomodanti). Secondo lo studioso, in ognuno di noi sono presenti alcune caratteristiche di tutti e tre i tipi e ciò che rende una persona diversa dalle altre è che il peso di queste caratteristiche varia fortemente .

Il sostenitore più noto di Lombroso fu Ferri, che divenne l'esponente più significativo della scuola positiva e venne considerato il fondatore della sociologia criminale . I principi della scuola positiva hanno influenzato i codici penali di vari Paesi, come gli Stati Uniti. In Italia è stato introdotto il sistema del doppio binario, che prevede un sistema di pene accompagnato da misure di sicurezza atte a prevenire la pericolosità del reo.



2 La teoria della tensione


Tale teoria prende spunto dal concetto di anomia coniato da Durkheim, considerato il «padre del funzionalismo». In termini semplicistici, si può dire che l'anomia è la mancanza di norme sociali, che regolano e limitano i comportamenti individuali. R. Merton, riprendendo questo concetto, sostiene che la devianza è provocata da situazioni di anomia, le quali nascono da un contrasto fra la struttura culturale e quella sociale. Alla prima fanno riferimento le mete culturali, cioè «cose per cui vale la pena di lottare: ricchezza, successo, prestigio, consumi »; la struttura sociale fa riferimento ai mezzi istituzionalizzati che permettono di raggiungere le mete. Riferendosi al caso degli Stati Uniti, Merton asserisce che ci sono cinque tipi di comportamento per raggiungere le mete culturali, che egli stesso dispone in una tabella.


Tipologia dei modi di adattamento individuale

modi di adattamento                        mete culturali mezzi istituzionali

I) conformità + +

II) innovazione + -

III) ritualismo                                             - +

IV) rinuncia                                                - -

V) ribellione +- +

Legenda: (+) significa "accettazione"; (-) significa "rifiuto"; (+/-) significa " rifiuto dei valori dominanti e sostituzione di nuovi valori"[6].


La conformità consiste nell'accettazione sia delle mete culturali che dei mezzi per raggiungerle. L'innovazione è il modo con cui si aderisce alle mete, ma rifiuta i mezzi per raggiungerle: è la strada scelta da coloro che rubano, imbrogliano o ingannano gli altri. Il ritualismo è il modo di adattamento di chi abbandona le mete ma non i mezzi istituzionalizzati. È tipica di coloro che dicono:«io vado sul sicuro», «non faccio il passo più lungo della gamba». Il ritualista è l'impiegato di basso livello, ultrarispettabile ma fossilizzato, attaccato alle regole, segue l'istruzione alla lettera[7]. La rinuncia è l'adattamento di chi rifiuta sia i mezzi che le mete. Ne fanno parte gli individui che vivono nella società ma non sono della società [.], sono i vagabondi, i mendicanti, i diseredati sociali, i drogati e quanti hanno abbandonato le mete culturali e i comportamenti prescritti . La ribellione consiste nel rifiuto sia delle mete che dei mezzi e la loro sostituzione con altre mete e altri mezzi.






3 La teoria del controllo sociale


Si basa su una concezione più pessimistica della natura umana, considerata moralmente debole. Dato che l'uomo è più portato a violare che a rispettare le leggi, ciò che occorre spiegare è la conformità e non la devianza. La domanda che è necessario porsi non è «perché le persone commettono un reato?», ma «perché la maggioranza delle persone non lo commette?». La risposta è che queste persone sono frenate da qualcosa. I controlli sociali che impediscono loro di commettere un reato sono di vario tipo. Vi sono quelli esterni: le varie forme di sorveglianza esercitata dagli altri per scoraggiare ed impedire i comportamenti devianti. Vi sono quelli interni diretti, che si manifestano nei sentimenti di imbarazzo, di colpa e di vergogna che prova chi trasgredisce una prescrizione sociale. Vi sono infine quelli interni indiretti: l'attaccamento psicologico ed emotivo sentito per gli altri ed il desiderio di non perdere la loro stima e il loro affetto[9].

Travis Hirschi è il maggiore esponente di questa teoria. Secondo lo studioso, il processo di formazione della devianza è da porre in relazione, prima che con la posizione occupata dal deviante nella struttura sociale, con la "forza del legame sociale". Un adolescente ha tanto più probabilità di percorrere una carriera deviante, quanto minore è il suo legame con il mondo degli adulti: genitori, educatori, autorità istituzionali .



4 La teoria della subcultura


Molti studiosi hanno osservato che la devianza si apprende nell'ambiente in cui si vive. Se si commette un reato è perché la persona che lo commette si è formata in un ambiente criminale, in una subcultura che ha valori e norma di riferimento diversi da quelli della cultura generale.

Questa idea è stata introdotta per la prima volta da Clifford Shaw e Henry Mckay, due sociologi americani della "Scuola di Chicago", fondata da Robert Park, i quali condussero uno studio sulla città di Chicago. Dividendola in cinque zone concentriche, essi calcolarono il tasso di delinquenza di ogni area e conclusero che man mano che ci si allontanava dal centro, abitato per la maggior parte da immigrati di vari gruppi etnici, il tasso diminuiva, anche se la popolazione si era rinnovata col tempo. Ciò era spiegato dal fatto che vi erano quartieri favorevoli ad alcune forme di devianza e questo patrimonio culturale veniva trasmesso ai nuovi arrivati.

Questa teoria è stata ripresa da Edwin H. Sutherland, il quale sostiene che la devianza non è ereditaria ma viene appresa attraverso l'interazione con altre persone. Quanto più una persona frequenta ambienti in cui prevale una cultura criminale, tanto più è probabile che essa diventi deviante. Per cui, non è deviante l'individuo ma il gruppo a cui appartiene.



5 La teoria dell'etichettamento


Tale teoria, a differenza delle altre fin qui analizzate, le quali mettevano al centro dell'attenzione il comportamento criminale, si basa sul fatto che per capire la devianza è necessario tenere conto non solo della violazione, ma anche della creazione e dell'applicazione delle norme. La devianza non è altro che il prodotto dell'interazione fra coloro che creano e fanno applicare le norme e coloro che invece le infrangono. «La criminalità, e più in generale, ogni forma di devianza divengono pertanto il prodotto di una costruzione sociale e di un processo di etichettamento»[11]. Howard Becker è uno dei maggiori sostenitori della teoria. Egli ha scritto:


« i gruppi sociali creano la devianza stabilendo le regole la cui infrazione costituisce la devianza e applicando queste regole a persone particolari, che etichettano come outsider. Da questo punto di vista, la devianza non è una qualità dell'azione commessa, ma piuttosto la conseguenza dell'applicazione, da parte di altri, di regole e sanzioni al trasgressore. Il deviante è uno cui l'etichetta è stata applicata con successo; il comportamento deviante è il comportamento così etichettato dalla gente[12].


Ci sono due tipi di comportamento deviante: il comportamento obbediente e il comportamento trasgressivo. Per poter definire entrambi i comportamenti è necessario distinguere il soggetto percepito come deviante e il soggetto percepito come non deviante. Quest'ultimo, in riferimento al comportamento obbediente, è il tipo conforme, cioè colui che rispetta la norma; in riferimento al comportamento trasgressivo, è invece un tipo segretamente deviante, cioè commette un atto deviante, però nessuno lo nota, né reagisce come una violazione della norma. Per quanto riguarda invece il soggetto percepito come deviante, in riferimento al comportamento obbediente, è un tipo falsamente accusato, cioè gli altri vedono la persona come se avesse commesso un'azione scorretta, mentre in realtà le cose non stanno così; in riferimento al comportamento trasgressivo, è un tipo pienamente deviante, colui che infrange effettivamente la norma e gli altri lo definiscono tale.

Un altro sostenitore della teoria è Lemert, il quale distingue la devianza primaria dalla devianza secondaria. Per devianza primaria s'intende l'allontanamento più o meno temporaneo, più o meno importante agli occhi di chi lo attua, da valori o norme sociali e/o giuridiche, attraverso un comportamento che ha «implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell'individuo [.] ; la devianza secondaria si ha, invece, quando l'atto di una persona suscita una reazione di condanna da parte degli altri, che lo considerano un deviante e questa persona riorganizza la sua identità ed i suoi comportamenti sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto . Se la polizia lo trova in flagranza di reato, mentre sta rubando in un supermercato, l'individuo viene arrestato e processato. L'immagine degli altri che avevano di lui cambia radicalmente. La stigmatizzazione che l'ha colpito lo farà sentire sempre più isolato dal resto della società e questo lo spingerà ad avvicinarsi a gruppi che hanno subito la stessa stigmatizzazione. In questo modo proseguirà una carriera deviante.




6 La teoria della scelta razionale


I sostenitori della teoria della scelta razionale considerano i reato come il risultato non di influenze esterne, ma di un'azione intenzionale adottata attivamente dagli individui. La convinzione è che l'individuo è un essere razionale, che agisce valutando costi e benefici ed è capace di scegliere liberamente se violare o meno una norma. Inoltre, secondo questa teoria, coloro che si dedicano ad un'attività illecita non sono sostanzialmente diversi dagli altri ed i motivi che li spingono verso la strada del crimine piuttosto che quella della legalità, sono gli stessi di quelli degli altri: la ricerca del guadagno, del potere, del prestigio, del piacere, ecc.

Molte di queste idee sono state sostenute, alla fine del Settecento, da Cesare Beccaria in Italia e da J. Bentham in Inghilterra. Tuttavia sono state riprese e rielaborate nell'ultimo ventennio da alcuni sociologi.

Nel contesto di questa teoria il Rational Offender richiama l'homo oeconomicus, in quanto anch'egli è libero e indipendente da condizionamenti sociali esteriori. L'individuo caratterizzato da una mentalità criminale (the Reasoning Criminal) è quello che calcola la possibilità di avere vantaggi con l'infrazione della legge .





Ivi, pag. 45.

Bagnasco A., Barbagli M. Cavalli A., (2000), Corso di sociologia, pag. 205, Il Mulino, Bologna.

Ivi, pag. 206.

Ibidem.

Berzano L., Prina F., (1995), Sociologia della devianza, pag. 80, Carocci Faber, Roma.

Ivi, pag. 81.

Ivi, pag. 82.

Ibidem.

Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A., (2000), Corso di sociologia, pag. 208, Il Mulino, Bologna.

Hirschi T., (1969), Causes of Delinquency, in Berzano L., Prina F., (1995), Sociologia della devianza, pag. 24, Carocci Faber, Roma.

Vidoni Guidoni O., (2004), La Criminalità, pag. 17, Carocci Editore, Roma.

Becker H., (1987), Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, pag. 22, Edizioni Gruppo Abele, Torino.

Berzano L., Prina F., (1995), Sociologia della devianza, pag. 122, Carocci Faber, Roma.

Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A., Corso di sociologia, pag. 211, Il Mulino, Bologna.

Berzano L., Prina F., (1995), Sociologia della devianza, pag. 23, Carocci Faber, Roma.

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