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L'aborto: aspetti giuridici e legislativi




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L'ABORTO: ASPETTI GIURIDICI E LEGISLATIVI


1 L'aborto nell'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana


1.1 L'aborto in Italia prima della legge n. 194/1978

Prima del 1975 l'aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato dalle norme contenute nel titolo X del libro II del codice penale; tuttavia, la giurisprudenza applicava con una certa frequenza come causa di giustificazione lo 'stato di necessità', previsto dall'articolo 54 dello stesso codice, ritenendo non punibile l'intervento abortivo reso necessario per salvare la vita della gestante e, in taluni casi, anche per ragioni di salute, purché gravi: era una soluzione che valutava l'interruzione della gravidanza in termini di illiceità, salvo rinunciare all'applicazione della pena nel caso concreto, in presenza di circostanze di fatto rigorosamente verificabili.

Il primo sensibile mutamento di rotta avviene nel 1975, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 che, pur riconoscendo 'fondamento costituzionale' alla 'tutela del concepito' nell'articolo 2 della Costituzione, posto a garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, compie un salto logico quando afferma che '[] non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione, che persona deve ancora diventare', quasi che si possa distinguere fra persona in senso assoluto e persona in senso relativo. Questa decisione ha, di fatto e di principio, aperto la strada all'aborto, che sarebbe stato introdotto dopo tre anni, perché ha consentito la soppressione del feto quando la gravidanza - per riprendere i termini usati dai giudici di Palazzo della Consulta - 'implichi danno o pericolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile, per la salute della donna'; la causa di giustificazione costituita dallo stato di necessità veniva in questo modo notevolmente dilatata, perché, rispetto all'articolo 54 del codice penale, era eliminato il limite dell'attualità del pericolo ed era stabilita in via generale la prevalenza della salute della madre sulla vita del nascituro, pur restando, a differenza di quanto avverrà con la legge n. 194/1978, il filtro dell'accertamento medico del danno o del pericolo per la salute medesima.

 1.2 La disciplina introdotta dalla legge n. 194

La legge italiana sull'aborto, la n. 194 del 22 maggio 1978, recante Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, indica la pratica abortiva con l'eufemismo 'interruzione volontaria della gravidanza', ulteriormente occultato nell'uso corrente sotto la sigla i.v.g.; quindi, suddivide in modo del tutto arbitrario la vita infrauterina in tre periodi, fissando per ciascuno di essi una differente disciplina e avendo come esclusivo criterio di riferimento i rischi per la salute della donna.

Il primo periodo, regolamentato dagli articoli 4 e 5, coincide, pur se in modo non del tutto esatto perché le dichiarazioni della gestante sul momento iniziale della gravidanza hanno un peso decisivo, con i primi novanta giorni della gestazione, nel corso dei quali è di fatto ammesso l'aborto senza limiti. Ogni ragione è valida, dalle condizioni economiche, sociali e familiari, alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, alla previsione di anomalie o malformazioni del nascituro: ciascuna di queste ragioni, in quanto si traduca in 'un serio pericolo' per la salute fisica o psichica della donna, legittima il ricorso all'aborto, gratuito o assistito. Si tratta di un insieme di indicazioni estremamente generiche, la cui ampiezza preclude qualsiasi concreto accertamento, peraltro non previsto e non prevedibile; bisognerebbe chiarire, per esempio, come sia medicalmente verificabile il pericolo per la salute psichica della gestante derivante dalle preoccupazioni economiche relativamente al futuro mantenimento del concepito: l'ipotetico riscontro dovrebbe in tal caso riguardare la denuncia dei redditi, il benessere psicologico della donna, o ambedue?

Quanto alle modalità per ottenere l'intervento, la gestante si può rivolgere al consultorio, o a una struttura sociosanitaria, oppure al proprio medico di fiducia: costoro, secondo la previsione di legge, dovrebbero indurla a riflettere e dissuaderla dall'aborto, prospettando le possibili alternative. Se ravvisano l'urgenza dell'intervento, rilasciano un certificato con il quale la donna può immediatamente recarsi ad abortire; altrimenti redigono ugualmente un certificato che attesta la gravidanza e la richiesta presentata dalla donna: costei, decorso il termine di sette giorni, è legittimata a ottenere l'intervento di aborto. In concreto, non ha alcun rilievo la ragione avanzata dalla gestante a sostegno della propria decisione: poiché non è prevista alcuna verifica della sua fondatezza, l'esito, anche qualora il soggetto interpellato non ravvisi né l'urgenza né la sussistenza dell'indicazione, è comunque il rilascio di un pezzo di carta che, fotografando un dato obiettivo, la gravidanza, e una dichiarazione di volontà, l'intenzione di interromperla, autorizza l'interruzione.

Il secondo periodo, disciplinato dagli articoli 6 e 7, è quello compreso fra il quarto mese di gravidanza e la possibilità di vita autonoma del feto, e quindi - in considerazione della dipendenza di quest'ultima dalle attrezzature mediche e dalla perizia degli ostetrici - non è determinabile a priori: in tale arco temporale l'aborto può praticarsi per motivi terapeutici in senso lato, e perciò anche con riferimento alla salute psichica della donna, ed eugenetici, con riferimento a timori di malattie del nascituro; queste indicazioni vanno medicalmente accertate, pur se la genericità delle formulazioni non consente una verifica rigorosa.

Infine, il terzo periodo è quello compreso fra il momento della vitalità del nascituro e la nascita: l'aborto è praticabile solo se è in pericolo la vita della donna.

La legge n. 194 prevede inoltre l'assenso dei genitori o del tutore per l'interruzione della gravidanza della minore e dell'interdetta e, in mancanza, l'autorizzazione del giudice tutelare, nonché la facoltà per i medici di sollevare obiezione di coscienza.

1.3 Diciotto anni di legge n. 194: aborto e obiezione di coscienza

'La legge si propone: di azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti spontanei; di assistere quelli clandestini. Si propone inoltre di favorire la procreazione cosciente, di aiutare la maternità, di tutelare la vita umana dal suo inizio': con queste parole uno dei relatori della legge sull'aborto, l'on. Giovanni Berlinguer, ne riassumeva gli intenti e gli obiettivi; diciotto anni costituiscono un tempo più che bastevole per verificare se questi ultimi siano stati conseguiti.

Gli 'aborti terapeutici' sono quelli 'legali' tout court, perché, come si è detto, l'articolo 4 riunisce le varie circostanze la cui semplice evocazione autorizza a ricorrere all'intervento interruttivo sotto un'unica e vaga indicazione di salute. Dal 1978 al 1995, invece di azzerarsi, gli 'aborti terapeutici', in tal senso intesi, hanno superato i tre milioni e mezzo, con una media di poco inferiore ai duecentomila all'anno, e un rapporto annuo che è di un aborto per ogni tre o quattro nati vivi: quindi si tratta di una pratica abortiva diffusa capillarmente, che non può spiegarsi con situazioni eccezionali o con difficoltà insuperabili. D'altra parte, il profilo medio della donna che fa ricorso all'aborto, ricostruibile sulla base dei dati diffusi annualmente dal ministero della Sanità, rinvia a una gestante che nella gran parte dei casi è coniugata, non separata né divorziata, in età compresa fra i venticinque e i trentaquattro anni, con sufficiente livello di istruzione, e con non più di due figli, pertanto in condizioni ottimali, almeno sotto questi profili, per accogliere il nascituro.

La legge n. 194 ha fallito pure sul versante della lotta alla clandestinità perché, sempre in base alle stime ministeriali, l'aborto clandestino si attesterebbe attualmente fra le cinquanta e le sessantamila unità all'anno. Ancora: la maggiore coscienza e responsabilità della procreazione è tutta da dimostrare, perché l'area della recidività fra chi ricorre all'intervento di i.v.g. supera del 30% coloro che hanno già abortito almeno una volta. Quanto all'aiuto alla maternità e alla tutela della vita umana, resta solo la constatazione di una grande ipocrisia perché, senza che esista nell'ordinamento giuridico una legislazione di reale accoglienza della vita, la legge n. 194 ha conferito il 'diritto' di sopprimere ciò che fa diventare madre, e quindi di violare irreparabilmente la vita umana.

1.4 Prospettiva di riforma

La revisione della legislazione italiana sull'aborto, per avere connotati di serietà, deve muoversi lungo quattro direttrici interdipendenti, che ribaltino la logica di banalizzazione della vita oggi dominante.

a. Va affermato senza incertezze che l'essere umano, in base a constatazione naturale e non come esito di una determinata impostazione religiosa confessionale, è tale dal concepimento, e quindi da quel momento ne va garantita l'intangibilità: l'articolo 1 della legge n. 194 tutela formalmente la vita umana 'fin dal suo inizio', ma trascura significativamente di riconoscere quando si ha quell''inizio'.

b. Deve introdursi un'articolata serie di misure che aiutino la maternità in genere, e quella difficile in particolare. Per lo Stato non può essere indifferente che una famiglia sia senza figli, o ne abbia soltanto uno, o due, o quattro, oppure dieci: anche in virtù del richiamo costituzionale all'uguaglianza sostanziale e della protezione accordata alla famiglia numerosa, il nucleo familiare non può ancora essere ritenuto una somma di individui, ma diventare soggetto autonomo, in ogni settore, da quello tributario a quello sanitario, fino a quello scolastico.

c. Il volontariato, che ha dato ottima prova di sé, nonostante gli ostacoli frapposti, per limitare l'aborto e per stimolare all'accoglienza, va potenziato e dotato, nella prospettiva dell'aiuto alla vita, degli strumenti operativi e dei mezzi economici necessari, così come è stato fatto per i volontari che operano sul fronte della tossicodipendenza.

d. Si deve ripensare a misure, anche penalistiche, che dissuadano dalla pratica abortiva: non ha senso proclamare l'intangibilità della vita e ometterne la tutela sotto questo profilo, come sarebbe assurdo immaginare che l'esortazione a essere buoni sia sufficiente a proteggere l'esistenza di chi è già nato, indipendentemente dalla configurazione del delitto di omicidio. Le sanzioni saranno ovviamente graduate a seconda dei soggetti della vicenda abortiva: la posizione del medico che pratica l'intervento interruttivo non può essere equiparata a quella della gestante, e le difficoltà che incontra quest'ultima non sono le stesse dei parenti che la inducono o la costringono all'aborto. Tuttavia resta ferma la necessità di una valutazione di disfavore dell'ordinamento giuridico verso la soppressione della vita umana, pur se ancora prenatale.

Numero aborti in Italia dal 1978 ad oggi*

Anni

Aborti

Valori cumulati














































































* dati provvisori







L'aborto e gli aspetti medico-sanitari

L'aborto consiste nell'interruzione della gravidanza prima che il feto abbia raggiunto uno sviluppo da renderlo autosufficiente al di fuori dell'utero materno, e cioè entro la ventiseiesima settimana di gestazione. Se l'interruzione avviene quando il feto è diventato capace di vita extrauterina,  entro la trentasettesima settimana di gestazione, si parla di parto prematuro. L'aborto può essere spontaneo o provocato. Circa il 10-15% di tutte le gravidanze umane si conclude spontaneamente con un aborto, soprattutto nei primi tre mesi di gravidanza. Quando l'aborto è spontaneo in genere dipende dallo sviluppo anomalo del feto, della placenta, o di entrambi, oppure da anomalie presenti nel corpo della donna, come uno sviluppo ridotto dell'utero (ipoplasia uterina), tumori, fibromi uterini, polipi endometriali e infezioni acute, gravi anemie, deficit ormonali con ridotta produzione di estrogeni e progesterone, nonché gravi traumi. Anche stati ansiosi gravi e altri disturbi psichici possono contribuire all'espulsione prematura del feto. Il primo più importante sintomo della minaccia di aborto è la perdita di sangue dalla vagina: in tal caso, bisogna ricorrere immediatamente al medico. Se l'emorragia diventa sempre più imponente, è accompagnata da forti dolori addominali o è a ondate ritmiche, con espulsione di coaguli di sangue, l'aborto è generalmente già avvenuto. Contro la minaccia di aborto la terapia consiste in genere nella prescrizione del riposo a letto, a volte quasi ininterrotto per l'intero decorso della gravidanza. L'aborto provocato è quello effettuato quando la madre vuole interrompere volontariamente la gravidanza. L'aborto per aspirazione, o isterosuzione, viene effettuato nel primo trimestre (fino a 9-12 settimane), ed è un intervento ambulatoriale che dura da cinque a dieci minuti. Consiste nell'apertura della cervice (collo dell'utero) con degli appositi dilatatori. Il contenuto dell'utero viene aspirato tramite un piccolo tubo flessibile chiamato cannula, connesso a una pompa aspirante. Dopo la quindicesima settimana di gestazione, si utilizza la tecnica dell' infusione salina:  un sottile tubo o un ago ipodermico consente di estrarre dall'utero, attraverso la parete addominale, una piccola quantità di liquido amniotico per sostituirlo con una soluzione composta al 20% da sale, che induce contrazioni uterine in circa 24-48 ore. Il feto viene di solito espulso velocemente e la paziente lascia l'ospedale il giorno dopo. Gli aborti tardivi, ossia successivi alla quindicesima settimana, vengono eseguiti con isterotomia, un intervento chirurgico simile a un taglio cesareo, che però comporta un'incisione dell'addome molto più piccola. La pillola abortiva, non ancora commercializzata in Italia, la RU-486, blocca l'ormone progesterone ed è efficace nei primi 50 giorni di gestazione.      

In Italia, la legge 194 del 22 maggio 1978 ha fissato il termine per effettuare l'interruzione volontaria della gravidanza a 90 giorni di gestazione: l'aborto può essere provocato se vi è pericolo per la salute fisica o psichica della donna, se sussistono timori di malformazioni del feto o se si ritiene che la sopravvivenza di questo possa venire gravemente compromessa dalla precarietà delle condizioni sociali ed economiche della famiglia. Nel caso in cui la donna sia minorenne, l'interruzione volontaria della gravidanza deve avvenire con il consenso di chi esercita la potestà di genitore oppure, in mancanza di questo, del giudice tutelare. La legge prevede che il personale sanitario possa esercitare l'obiezione di coscienza, con esonero dalle procedure di aborto, anche se gli enti ospedalieri sono comunque tenuti a garantire l'interruzione volontaria alla donna che l'abbia richiesta secondo l'iter previsto dalle norme vigenti.


2.1 Le tecniche per l'interruzione della gravidanza

L'interruzione di gravidanza si può fare sia in anestesia locale che in anestesia generale. Dalla 7 alla 10 settimana la tecnica più usata è la dilatazione del collo dell'utero con degli speciali dilatatori (di metallo o di plastica). Naturalmente bisogna dilatare il meno possibile perchè una dilatazione eccessiva può sfibrare il collo, lacerarne le fibre e quindi renderlo meno idoneo ad ospitare una gravidanza successiva, appunto perchè la funzione del collo dell'utero è quella di contenere la gravidanza finchè non arrivi il momento del parto.
Una volta eseguita la dilatazione si aspira con una cannula il contenuto dell'utero, poi, eventualmente con un cucchiaio (curette) si ripassa la cavità uterina in modo che la 'pulizia' sia completa. Dopo la 13 settimana vi sono altre metodiche. Non è consigliata l'aspirazione perchè il feto ha dimensioni tali per cui non può essere aspirato dalla cannula.

 

2.2 Complicanze possibili dell'interruzione volontaria della gravidanza

  • L'anestesia generale: su 100 aborti l'anestesia generale ha un 3% di complicanze, l'anestesia locale invece 1,5%;
  • il danno cervicale;
  • emorragie e perforazioni uterine;
  • ritenzione di materiale placentare;
  • rischio di morte: è stimato in 57 casi su 100.000;
  • infezioni, tromboflebiti, sensibilizzazione RH, ridotta fertilità, isterectomia.

Queste complicanze sono anche legate:

  • all'età della donna;
  • alle tecniche che si utilizzano;
  • all'esperienza dell'operatore;
  • alle gravidanze precedenti (è più a rischio chi non ha mai avuto bambini);
  • più all'anestesia generale che locale.

Se poi ci chiediamo se l'embrione o il feto soffre, possiamo solo dire con certezza che è dotato di sensibilità in quanto sono presenti i centri nervosi, ma non è possibile quantificare il dolore.



2.3 RU 486 - Aborto farmacologico

Gennaio 2003: inizia, all'Ospedale Sant' Anna di Torino, la sperimentazione della pillola RU 486 dopo l'ok del Comitato bioetico piemontese. Infuriano, e infurieranno ancora di più quando avrà inizio la sperimentazione, le polemiche.
Ci limiteremo a dire in che cosa consiste la RU 486 mai dimenticando che l'aborto è quasi sempre una sconfitta legata alla mancata contraccezione


Cos'e: È un farmaco abortivo: ha il grande vantaggio di impedire l'ospedalizzazione della donna e il conseguente intervento chirurgico. Più indolore, quindi, e causa di minori traumi e, anche, di minori costi per il Servizio Sanitario. Eppure in Italia non è, e probabilmente non sarà mai, distribuito, ultimo paese europeo a non farlo insieme all'Irlanda. Eppure, persino in Tunisia è utilizzato senza problemi. la pillola RU 486 permette di interrompere chimicamente la gravidanza anziché chirurgicamente.
Il suo inventore, Emile-Etienne Beaulieu aveva chiamato questa tecnica contragestione
La pastiglia per abortire si basa sul mifepristone, un farmaco che contrasta l'azione dell'ormone della gravidanza, il progesterone. Si lega infatti ai recettori del progesterone, occupandoli tutti e impedendo all'ormone della gravidanza di sostenere la sopravvivenza dell'ovulo fecondato.Il farmaco si prende per bocca, agisce dopo che l'ovulo fecondato si è impiantato nell'utero ed è efficace fino a 49 giorni dall'ultima mestruazione - contro la scadenza di 90 giorni dell'aborto chirurgico.
Questo è quanto stabilito dal protocollo di sperimentazione dell'ospedale ginecologico Sant'Anna.
Il altri paesi europei, come l'Inghilterra e la Svezia, il tempo massimo sale a 63 giorni.

la sperimentazione: Si prende per tre giorni, sotto controllo medico, nel 2-3% dei casi non funziona e c'è bisogno della chirurgia.
Questo tipo di interruzione di gravidanza offre un'opportunità alla donna per evitare la lunga attesa dell'operazione chirurgica.
Il metodo rispetta peraltro in pieno le disposizioni della legge 194 sull'aborto e può essere utilizzato non solo per le interruzioni volontarie di gravidanza, ma anche per il cosidetto 'svuotamento dell'utero' nei casi di aborto procurato.

chi la usa: il primo paese a scegliere la pillola è stata la Francia oltre 10 anni fa. In Francia si trova in farmacia, in Inghilterra nei consultori. Legale in Germania, Austria, Spagna, Usa.

chi non la usa : Portogallo e Irlanda sono gli altri 2 paesi dell'Unione Europea dove non è ammessa.

i risultati migliori: si ottengono intorno alla nona, decima settimana, cioè ai due mesi e mezzo di gravidanza.

che cosa provoca : un aborto che nella maggior parte dei casi non richiede ulteriori interventi e tecnicamente somiglia a mestruazioni più dolorose.















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