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La sociologia, Weber, Adorno, Èmile Durkheim




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La sociologia

la sociologia è la scienza che studia le strutture sociali, le regole sociali ed i processi che uniscono (e separano) le persone non solo come individui ma come componenti di associazioni, gruppi ed istituzioni. Secondo una tipica definizione da manuale, la sociologia è lo studio della vita sociale di uomini, gruppi e società. La sociologia si occupa del nostro comportamento come esseri sociali; così il campo di interesse della sociologia spazia dall'analisi dei brevi contatti fra individui anonimi sulla strada allo studio di processi sociali globali. La sociologia è una scienza emersa nel XIX secolo come risposta accademica ai cambiamenti della modernità: quanto più il mondo diventava piccolo ed integrato, tanto più l'esperienza delle persone del mondo diveniva parcellizzata e dispersiva. I sociologi speravano non solo di capire che cosa univa i gruppi sociali, ma anche di sviluppare un 'antidoto' alla disgregazione sociale. Oggi i sociologi indirizzano la ricerca su aspetti macrostrutturali, come sistema sociale, funzione, classe sociale, genere ed istituzioni come la famiglia; sulla devianza o la rottura di strutture sociali (quali possono ad esempio essere il crimine rispetto al sistema di valori prevalente ed il divorzio per la famiglia); si interessano parallelamente di microprocessi come le interazioni personali. Spesso i sociologi utilizzano metodi quantitativi nella ricerca sociale per descrivere le relazioni sociali mediante modelli e sviluppare schemi interpretativi che possano aiutare a prevedere i cambiamenti sociali e le risposte a essi. Altre branche della sociologia ritengono che i metodi qualitativi, come interviste tematiche, gruppi di discussione e metodi etnografici, permettano una migliore comprensione dei processi sociali.

Brevi cenni sulla storia della sociologia

La sociologia è una scienza relativamente nuova rispetto ad altre scienze sociali, comprese economia, scienza della politica, psicologia. Il termine fu coniato da Auguste Comte, che sperava di unificare tutti gli studi sull'uomo, includendo storia, psicologia ed economia. Il suo schema sociologico era tipico del XVIII secolo: egli credeva che l'esistenza umana passasse sempre attraverso le stesse distinte tappe storiche e che, comprendendone la progressione, si potessero individuare i rimedi per i problemi della società. Tuttavia la sociologia ha le sue origini nella filosofia politica e sociale di Platone, Aristotele, fino a Hobbes, Machiavelli, Rousseau, Hegel, Tocqueville ed Emerson. In realtà, la sociologia non superò le altre scienze sociali ma divenne una di queste, con i suoi propri oggetti, argomenti e metodi. Oggi la sociologia studia le organizzazioni umane e le istituzioni, utilizzando largamente il metodo comparativo. La disciplina si è applicata in particolare alle società industriali complesse. Infatti essa è essenzialmente una scienza applicata, anche se la sua vicinanza con la filosofia mantiene al suo interno un vasto dibattito teorico simile a quello specifico delle scienze filosofiche. Sotto questo aspetto possiamo dividere la sociologia in due parti, naturalmente e fortemente interconnesse: una parte soprattutto di grandi teorie che hanno lo scopo di creare modelli macro di spiegazione della società, eminentemente teorici ma che nascono come grandi sintesi teoriche di osservazioni della realtà sociale; ed una parte di studi maggiormente focalizzati su fenomeni sociali circoscritti per tempo e luogo. Questa seconda parte rappresenta la parte applicativa della sociologia, quella che maggiormente la avvicina alle scienze naturali ma soprattutto quella che ha prodotto e necessita di una 'cassetta degli attrezzi' che le permetta di osservare e rilevare la realtà dei fenomeni che intende studiare. È in questo ambito che si sviluppa, come metalinguaggio, la metodologia, che, in questa accezione, più che delle scienze sociali in genere possiamo chiamare della ricerca sociale. La sociologia come scienza ha come oggetto fenomeni osservabili, ed ha quindi necessità di un metodo che sostenga l'osservazione del reale da parte dello scienziato, e di strumenti che gli permettano questa osservazione. Il metodo, pur con importanti distinguo (si veda, ad esempio, la tematica della specificità del metodo delle scienze storico-sociali in Max Weber) ricalca quello delle scienze naturali, con l'importante questione dell'appartenenza dello scienziato allo stesso oggetto da lui studiato (la società), le tecniche, molteplici ed in continua evoluzione, si evolvono allo scopo di rendere osservabili, rilevabili, misurabili i fenomeni sociali oggetto dello sguardo del sociologo. Brevemente, in questa tensione verso l'osservazione peculiare della sociologia è che le informazioni che vengono rilevate dagli strumenti sono sempre il frutto di una relazione sociale tra l'osservatore e l'osservato, il che rende particolarmente difficile ed insidiosa l'attività di osservazione e la validità dello strumento, poiché non soltanto le caratteristiche dello strumento in sé ma anche il contesto in cui avviene l'osservazione possono influire sulla 'robustezza' informativa e sulla aderenza alla realtà di quanto viene rilevato e registrato, e poi utilizzato per cercare di descrivere e comprendere il fenomeno osservato. Sotto questo aspetto le tecniche di osservazione si dividono in due grandi famiglie: quelle che producono matrici di dati, che possono a loro volta essere analizzate con tecniche statistiche e che, alla fine, producono numeri, tabelle e grafici; e quelle che producono racconti e testi, che possono essere analizzati non con mezzi statistici (anche se vi sono molteplici tentativi) ma con mezzi ermeneutici come l'analisi del testo e del contenuto. L'esempio emblematico degli strumenti del primo tipo è il questionario, usato nei sondaggi e nei censimenti, l'esempio emblematico degli strumenti del secondo tipo sono il colloquio, il racconto biografico, l'osservazione.


Che cosa studiano i sociologi?


Normalmente dividiamo il mondo in insiemi diversi di fatti.

Ci sono i fatti biologici:respiriamo, il nostro sangue circola nel corpo ecc..

Ci sono inoltre i fatti psicologici:abbiamo impulsi, percezioni e credenze, e anche i fatti sociologici, che hanno a che fare con i rapporti sociali e con la società:abbiamo amicizie, apparteniamo a gruppi, abbiamo una posizione sociale e una occupazione.

Partendo da questo modo scontato di classificare il mondo, sembrerebbe logico che ciascuna disciplina accademica si occupasse di un certo insieme di fatti e non d altri.

In realtà un approccio del genere non può funzionare, perché un unico fatto può interessare tutta una serie di discipline.

Prendendo un semplice esempio di comportamento: una signora acquista quattro biglietti per le Hawaii, dove trascorrerà con la sua famiglia due settimane di vacanza;potremmo anche considerare il rapporto tra il concetto di divertimento e altri aspetti della sua personalità.

Per interpretare l'azione da un punto di vista sociologico,potremmo notare che gli altri tre passeggeri sono il marito e i figli dell'acquirente, oppure potremmo studiare il processo decisionale che ha portato alla scelta delle Hawaii come luogo di vacanza.

In questo modo l'acquisto dei biglietti non è sono un atto psicologico,economico o sociologico, ma è ciascuna di queste tre cose contemporaneamente.

Da ciò possiamo concludere che la sociologia non si occupa di uno speciale insieme di fatti che si riferiscono al comportamento umano, ma si occupa del comportamento interpretandolo all'interno di un particolare schema concettuale.

È lo schema concettuale che dà al fatto il suo significato unico e univoco, così dobbiamo chiederci quali schemi concettuali i sociologi usino per guardare il mondo. Questi schemi sono cinque:


a) il primo schema concettuale è demografico o ecologico. La demografia e l'ecologia cercano di trovare una spiegazione ai modelli secondo i quali si nasce,si muore e si emigra e ai tratti correlati della popolazione umana. Questo schema concettuale è stato applicato in un alta gamma di contesti, in particolare alla nascita e alla crescita del Terzo Mondo. Lo sviluppo economico di questi paesi è ostacolato dal fatto che gran parte della ricchezza nazionale deve essere destinata a sfamare i cittadini. Ora, i sociologi e altri studiosi hanno identificato i fattori culturali e sociali che portano alla formazione di famiglie numerose;qualcosa di quanto hanno appreso può essere utile per cercare di rallentare la crescita della popolazione


b) il secondo schema concettuale è fornito dal campo della psicologia sociale e cerca di spiegare il comportamento nei termini del significato psicologico per gli uomini in quanto tali,ossia in termini di motivi, pensieri, capacità, atteggiamenti sociali e senso di identità delle persone.

Si tratta di un approccio psicologico che occupa tuttavia un largo spazio anche in sociologia;

gli psicologi sociali conducono ricerche su un gran numero di argomenti: come interagiscono

le persone in piccoli gruppi, come si formano gli atteggiamenti, come interagiscono società e

personalità nel processo di socializzazione e infine come si formano le opinioni e come si

traducono in comportamenti collettivi quali le manifestazioni di piazza o gli episodi di panico

collettivo.


c)     I due schemi che abbiamo appena descritto sono centrati sull'individuo.

Lo studio di due o più persone che formano un gruppo o una organizzazione per emergere un terzo schema concettuale, centrato sul collettivo. Quando i sociologi studiano gruppi primari come le famiglie e le associazioni volontarie, e organizzazioni formali come l esercito o addirittura le società nel loro complesso, li considerano come insiemi di individui.

I ricercatori potrebbero per esempio applicare lo schema collettivo alla famiglia che progetta un viaggio alla Hawaii. Possiamo esaminare la sequenza di eventi che ha portato alla scelta di quella località per cercare di individuarvi un modello.

Potremmo anche considerare le comunicazioni tra membri della famiglia, oppure il modo in cui i rapporti di potere hanno influenzato la decisione.

I sociologi studiano inoltre gruppi e organizzazioni di per sé: per esempio, hanno analizzato la competizione tra partiti politici, il conflitto tra gruppi razziali e la rivalità tra bande.

La disuguaglianza tra i vari gruppi nella società è utile per stabilire il grado in cui i membri della medesima classe o razza, oppure del medesimo gruppo etnico, di età o di sesso formino gruppi per promuovere i loro interessi.


d)    Un quarto schema concettuale nasce quando la vita sociale viene considerata  non più in

riferimento alle persone interessate, ma in riferimento alle relazioni strutturali che definiscono la loro interazione.

L'attività di un gruppo si può analizzare suddividendola in ruoli: un ruolo è un insieme di comportamenti elaborati per soddisfare le aspettative associate con una certa posizione all'interno del gruppo.

Definendo i ruoli del gruppo possiamo anche definire i rapporti tra i membri della squadra e da cui la struttura del gruppo, nella nostra società troviamo un gran numero di ruoli, non solo all' interno delle coppie e delle famiglie, ma nell'intera società il comportamento delle persone è strutturato da complesse reti di ruoli.


e)     Il quinto schema concettuale riguarda i tratti culturali che regolano, giustificano e danno

significato al comportamento sociale. Regole di comportamento, o norme, stabiliscono il modo in cui le persone e i gruppi si comportano tra loro.

Un' altro aspetto della cultura è costituito dalle idee su ciò che è desiderabile e ciò che non lo è; queste idee, che sono anche dette valori, assicurano la stabilità dell'ordinamento sociale, per esempio, l'uguaglianza delle opportunità è un valore che sta alla base di molte istituzioni nelle società occidentali.

Infine vi sono le ideologie e le cosmologie che danno significato ai valori e alle norme; esempi di queste sono le ideologie dei movimenti sociali, come il socialismo, e le cosmologie delle religioni, come il cristianesimo.


La sociologia utilizza quindi questi cinque schemi fondamentali e l'obiettivo principale dei sociologi è di trovare regolarità e variazioni nei fatti messi in luce da questi schemi concettuali e di proporre le migliori spiegazioni possibili di questi modelli e delle loro variazioni.

Questa impresa impiega i sociologi nello studio delle cause della permanenza e del mutamento nella società umana.

Si potrebbe dire, in effetti, che la società è impegnata in una sorta di continuo tiro alla fune con se stessa: una potente serie di forze sociali tende a conservare le istituzioni e l' assetto della società; un' altra serie, altrettanto potente, tende a disgregarle, a renderle fluide e a generare nuove forme sociali.



La sociologia e le altre scienze sociali


Le scienze sociali: sociologia, psicologia, economia, scienze politiche, storia, antropologia. Queste discipline condividono in buona misura orientamenti e metodi di base, però vi sono notevoli differenze tra le varie scienze sociali analizzando i rapporti che hanno con la sociologia.

La psicologia si occupa specificamente dell'individuo; gli psicologi studiano  fenomeni come la memoria, l'intelligenza, l'affettività. La psicologia sociale esplora i rapporti tra individuo, gruppi, organizzazioni e forme sociali.

Gli economisti studiano fenomeni quali la produzione, la distribuzione di risorse e consumi. I fattori economici interessano i sociologi quando influiscono sul comportamento sociale o ne vengono influenzati. L'economia si pone obbiettivi più definiti della sociologia e ha elaborato un apparato più formare di principi e di leggi.

Gli scienziati politici studiano i modi in cui le persone e i governi ottengono e fanno uso del potere e il modo in cui il potere è distribuito all'interno di una società. Come l'economia, le scienze politiche hanno in campo di analisi più limitato della sociologia: gli scienziati politici si occupano infatti di un singolo aspetto della vita sociale, non della vita sociale in genere, ma hanno comunque più punti in comune con i sociologi rispetto agli economisti.

Esiste per fino un'area di studio, detta sociologia politica, che si interroga ad esempio sul motivo per cui la gente voto per determinati partiti e sostiene certe forme di governo, oppure indaga sugli effetti di un tipo di governo sulla società e viceversa.

Di tutte le discipline sopra citate, la storia è quella apparentemente meno simile a una scienza sociale,gli storici, come i sociologi, si occupano di fatti e spesso costruiscono teorie, ma dobbiamo tenere presente che la storia si occupa soprattutto del passato mentre la sociologia si occupa più spesso delle società attuali.

Antropologia e sociologia sono cosi simili che molti le confondono, però tra esse vi sono due differenze fondamentali: Gli antropologi in genere hanno studiato piccole società, non occidentali e per lo più analfabete, mentre i sociologi si sono occupati delle grandi e moderne società europee e nord- americane, industrializzate. Questa distinzione si è andata tutta via riducendo in anni recenti, viva via che le società primitive si sono modernizzate; oggi antropologi e sociologi studiano spesso argomenti simili, ma la differenza più importante è costituita da i loro metodi.

Gli antropologi tendono ad approfondire lo studio delle specificità delle culture che studiano: possono ad esempio concentrare tutti i loro spazi sullo studio delle pratiche magiche in una cultura del pacifico meridionale; tra i sociologi sembra invece prevalere la ricerca di leggi generali o di modelli di comportamento che si possano applicare a più di una società, tuttavia aldilà di queste differenze le 2 scienze operano all'interno di schemi concettuali assai simili.

La differenza tra le scienze sociali è costituita soprattutto dal tipo di domande che esse pongono, i tratti comuni sono indubbiamente parecchi; come la sociologia, tutte queste discipline si interessano della realtà empirica ossia dei fatti; e tutte fanno uso di metodi o controlli scientifici nel loro tentativo di spiegare le strutture e i processi propri alle società umane.




Le principali prospettive della sociologia


I sociologi hanno affrontato lo studio della società a 2 livelli , microsogiologico, e macrosociologico.

La microsociologia si occupa delle interazioni quotidiane delle persone, le più piccole unità di comportamento in cui si possono individuare dei modelli. I ricercatori che operano da questo punto di vista seguono la prospettiva di max Weber, secondo il quale i fenomeni sociali potevano essere contesi solo nei termini del significato che gli individui attribuiscono alle loro interazioni, l'accento viene cosi posto sugli individui, sugli atti, le motivazioni e i significati che danno forma a le loro interazioni sociali, le quali a loro volta sostengono e modificano le strutture della società.

L macrosociologia notevolmente influenzata, dalle opere di spencer e durkheim, pone l'accento sui modelli di comportamento che caratterizzano intere società, questi modelli o strutture, comprendono: la famiglia, l'istruzione, la religione, e l'ordinamento politico economico, considerati come fatti che hanno una realtà empirica distinta e quasi autonoma rispetto ai membri della società. Le persone nascono all'interno di una serie di strutture sociali che sono profondamente influenzate, i macrosociologi studiano l'impatto della società sull'individuo: il loro principale interesse si orienta allo studio dei rapporti tra le varie parti della società e hai processi con i quali questi modelli cambiano.



Teorie microsociologiche


I sociologi hanno proposto un certo numero di teorie che cercano di descrivere e di spiegare l'interazione, per esempio Gorge Homans ritiene che è possibile comprendere l'interazione nei termini di uno scambio di premi e punizioni: la gente tende a ripetere i modelli di comportamento per i quali nel passato ha ricevuto una qualche forma di ricompensa dagli altri.

Harold Garfinkel invece ha messo a punto una teoria che si occupa soprattutto delle regole inconsce e delle intuizioni che guidano le persone nel loro comportamento verso altre. Herving Goffman usa il teatro come metafora per descrivere l'interazione in termini di controllo delle impressioni; secondo lui le persone comportandosi come attori, sostengono ruoli costruiti consciamente per trasmettere agli altri impressioni e immagini

Attualmente la prospettiva ci appare dominante in microsociologia è l'interazionismo simbolico, a differenza del comportamento degli organismi più semplici, quello umano non può essere considerato come una serie di risposte stimoli. Nella maggiorparte dei casi gli uomini non rispondono in modo diretto agli stimoli del mondo esterno: essi attribuiscono significati simbolici agli stimoli e rispondono ai primi piuttosto che hai secondi.

Questi simboli comprendono: parole, oggetti espressioni facciali e azioni: la parola "stop", il "coccodrillo sulle magliette lacoste" il cenno del capo a un amico per salutarlo, sono tutti simboli.

L'esperienza e una coscienza condivisa del significato di questi simboli rendono possibile nella maggiorparte dei casi un interazione senza problemi, tuttavia vi sono simboli dal significato ambiguo che rendono piu difficile alle persone capire che cosa voglia dire il comportamento di altre.

Quando si parla con un estraneo in un luogo pubblico, per esempio, si passa attraverso una fase di valutazione del significato del comportamento di quella persona : dal momento che non la si conosce, la si osserva attentamente, alla ricerca di elementi e di indizi sul significato delle sue parole e delle sue azioni, che ci permettano di rispondere in modo adeguato.

Gli interazionisti simbolici si occupano delle azioni delle persone impegnate nelle attivita quotidiane, sulla scia di Max Weber, essi studiano i significati che le persone attribuiscono alle loro azioni e l'origine di questi significati.



Teoria macrosociologia


A livello di mascosociologia le teorie dominanti sono 2: il funzionalismo e la teoria del conflitto.


il funzionalismo

la concezione funzionalistica della società e della struttura sociale trae origine dal pensiero di Helbert Spencer, che paragonava la società agli organismi viventi e riteneva che le loro parti costituissero sistemi i quali,operavano insieme con un tutto funzionante.

Come i diversi organi e sistemi di un corpo complesso sono diversi tra loro così le parti di un' unità sociale complessa ed evoluta tendono a differenziarsi tra loro. Ogni parte di una società ha una funzione; quanto più queste funzioni differiscono tanto più è difficile per una parte sostituirne un 'altra, il risultato finale, è un tutto costituito da parti interdipendenti, questo concetto di sistema è uno dei principi fondamentali del funzionalismo.

Se fu spencer  ha gettare le basi del funzionalismo, fu Durkheim ha utilizzare per primo questo quadro concettuale per lo studio della società. Se la società è costituita da molte parti diverse, ciascuna delle quali contribuisce al funzionamento del tutto per spiegare un fatto sociale è necessario mostrarne la funzione nell'ordinamento. Per alcuni studiosi la devianza viene ritenuta patologica, Durkheim la considerò normale: dal suo punto di vista infatti la devianza dalle norme della società era necessaria affinché la società potesse rispettare in modo efficace queste stesse norme, in effetti, la violazione poteva avere funzioni sociali positive, come l'aumento della solidarietà sociale.

L'approccio dei sociologi è costituito nell'identificare le parti della società (per esempio l'istruzione, la famiglia ecc..), nel scoprirne le funzioni sia positive che negative, e nel collegarle insieme per formare un quadro della società nel suo complesso.I principali presupposti del funzionalismo contemporaneo sono i seguenti:

  • Una società è un sistema di parti fra loro collegate
  • I sistemi sociali tendono ad essere stabili perché sono dotati di meccanismi di controllo e di integrazione
  • Le disfunzioni esistono, ma tendono a risolversi o tendono ad essere integrate nel sistema
  • Il mutamento è di solito graduale
  • L'integrazione sociale è prodotta dal consenso di gran parte di membri della società su un certo insieme di valori; questo sistema di valori è l'elemento più stabile del sistema sociale


la teoria del conflitto

Il pensiero di Marx faceva riferimento ad una prospettiva della società diversa da quella del funzionalismo, tra le convinzioni più radicate di Marx vi era quella che gli individui fossero divisi in classi e che ciascuna esse sfruttasse l'altra o ne fosse a sua volta sfruttata; considerava, quindi,la società come lo scenario di una continua lotta fra classi.

I principali presupposti della teoria contemporanea del conflitto sono:

  • Il cambiamento e il conflitto: elementi determinanti di una società
  • La struttura sociale si basa sul dominio di alcuni gruppi da parte di altri
  • Ciascuno gruppo nella società ha una serie di interessi comuni
  • Quando gli individui diventano consapevoli dei loro interessi comuni possono diventare una classe sociale
  • L'intensità del conflitto di classe dipende dalla presenza di certe condizioni politiche e sociali ( per esempio la libertà di formare coalizioni), dalla distribuzione dell'autorità e delle ricompense, non che dal grado di apertura del sistema delle classi



La ricerca sociologica


La ricerca prende spesso le mosse da un'idea sulla causa di un evento o di un modello di comportamento.

Un' enunciazione che suggerisce che una serie di fenomeni, per esempio l' appartenenza a una classe sociale, sia correlata a un'altra, per esempio gli atteggiamenti sociali e politici, viene detta un'ipotesi; un ipotesi va enunciata in modo tale che se ne possa provare la verità o la falsità.

Le ipotesi non sono idee isolate: sono sempre radicate in una o più teorie, enunciazioni che contengono una serie di proposizioni o ipotesi interrelate.

Gli ingredienti della sociologia sono fatti, schemi concettuali, ipotesi e teorie. I metodi della ricerca sociologica sono regole e procedure con cui questi ingredienti vengono messi in relazione l'uno con l'altro nella produzione di una conoscenza valida della società.

I sociologi iniziano le loro ricerche partendo da alcuni "Perché". Essi cercano di illustrare i rapporti di causa ed effetto trovando collegamenti tra due variabili; una variabile è un concetto che può avere valori differenti.

Il sesso, per esempio, è una variabile: alcune persone sono maschi, altre femmine. L' età è un'altra variabile, che può avere una gamma di valori: sei mesi, diciotto anni, quarantasette anni e così via, anche la classe sociale può essere vista come variabile.

Un progetto di ricerca è un tentativo di spiegare le ragioni del variare di un particolare concetto, questo concetto è la variabile dipendente, invece la variabile indipendente è quella che causa gli effetti misurati dalla variabile dipendente;

Quando i sociologi avanzano una congettura sul rapporto tra una variabile indipendente e una dipendente, stanno formulando un'ipotesi.       



I metodi di ricerca


La sociologia è venuta via via acquisendo una serie di tecniche per individuare i rapporti di

causa ed effetto nella vita sociale.

_L'indagine per campione


Verso la metà del secolo diciannovesimo, molti governi si accinsero a contare la loro popolazione e a raccogliere altri dati, quali il sesso e l' età dei cittadini, per mezzo di un centesimento.

Negli Stati Uniti, il centesimento è stato eseguito ogni dieci anni a partire dal 1790. In Italia, subito dopo la costituzione dello stato nazionale, nel 1861, fu effettuato il primo censimento della popolazione che fu da allora ripetuto con cadenza decennale.

Strettamente legata all'idea di un censimento generale della popolazione è l'indagine sociale, un metodo usato dal sociologo inglese Charles Booth per studiare la povertà a Londra, e dal sociologo francese Frèderic Le Play per studiare le classi lavoratrici francesi.

Le tecniche usate da questi e da altri pionieri europei si sono perfezionate e trasformate nella moderna indagine per campione, un mezzo sistematico per acquistare dati sul comportamento, gli atteggiamenti o le opinioni degli individui, interrogando un gruppo rappresentativo di essi.

Oggi l'indagine per campione è forse lo strumento più diffuso nelle scienze sociali dato che può essere usato sia per descrivere i fatti sociali, che per spiegarli.

Il ricercatore comincia definendo con molta attenzione il gruppo di persone che desidera studiare: la popolazione. Spesso una popolazione è molto ampia e sarebbe costoso e lungo interrogarne ogni membro; per ragioni pratiche pertanto il passo successivo del ricercatore sarà quello di selezionare un campione, ossia una parte della popolazione da studiare.

Con un campione ben scelto, è possibile raggiungere conclusioni valide per l' intera popolazione.



­_Il lavoro sul campo


Il metodo del lavoro sul campo, venne introdotto negli anni Venti della Scuola di Chicago. Questa scuola che dominò la scena sociologica americana fino agli anni Quaranta condusse la prima ricerca su vasta scala sulle condizioni sociali della gente.

I ricercatori si trasferirono negli ambienti che volevano studiare e osservarono direttamente i comportamenti abituali degli individui. Il lavoro sul campo è rimasto uno dei metodi principali di ricerca sociologica.

Esso offre al ricercatore la possibilità di accedere direttamente alla vita sociale. Per registrare sentimenti e comportamenti nel corso di un' indagine è necessario trovare persone che ricordino che cosa hanno provato o come hanno agito in un determinato momento.



_La ricerca storica


Furono studiosi come ad esempio Max Weber ad applicare la ricerca storica tradizionale alla nuova scienza della sociologia lavorando su fonti storiche scritte, essi riuscirono a collocare in una prospettiva temporale le loro osservazioni sull' interazione degli esseri umani nella società.

Questo approccio è rimasto come uno dei metodi principali di ricerca sociologica.



_La ricerca di laboratorio


Sul finire del secolo diciannovesimo vennero applicati alla sociologia anche i principi della ricerca di laboratorio usati dagli psicologi e dagli psicologi sociali;un ambiente controllato veniva infatti ritenuto utile per studiare piccoli gruppi di persone.

La maggior parte del lavoro assume la forma dell' esperimento; il ricercatore comincia con un' ipotesi per esempio che i giudizi e le valutazioni che un insegnante ha fatto sui suoi vecchi studenti influenzino la sua opinione sui nuovi studenti.

Per verificare questa ipotesi, si possono dividere i soggetti in due gruppi identici; un modo per farlo consiste nel far corrispondere a ciascun membro di un gruppo un membro simile nell' altro gruppo.

Il gruppo sperimentale viene esposto alla variabile indipendente mentre il gruppo di controllo non viene esposto a questa varabile; per ogni altro aspetto i gruppi sono trattati in modo esattamente identico.

Gli esperimenti consentono al ricercatore di isolare i fattori che provocano un determinato effetto. Però gli esperimenti non si verificano solo in laboratorio, in un esperimento sul campo, un ricercatore cercherà di controllare le condizioni che influiscono sia sul gruppo sperimentale che su quello di controllo in un ambiente più specifico, come una scuola, un ospedale o una fabbrica.

Tuttavia, a causa della presenza di fattori che il ricercatore non è in grado di controllare, gli esperimenti sul campo danno spesso risultati meno nitidi di quelli in laboratorio.



I controlli


Quale che sia il fenomeno che il sociologo desidera spiegare, il numero di variabili indipendenti che lo interessano appare a prima vista enorme.

Uno scienziato sociale si trova davanti a un gran numero di variabili indipendenti, le cui relazioni reciproche e con una variabile dipendente non sono chiare.

Il compito del ricercatore consiste nel ridurre il numero di variabili, nell'isolarle l' una dall' altra e nel definire in questo modo gli effetti di ciascuna. È a questo scopo che si applicano i controlli e in questo esperimento la cosa è abbastanza semplice: la variabile indipendente viene introdotta nel gruppo sperimentale,ma non in quello di controllo; la differenza di effetto tra i due gruppi fornisce le informazioni sulla variabile indipendente.

L'uso dei controlli non è altrettanto semplice, in altre forme di ricerca, come ad esempio: l'indagine.

I sociologi cercano di rispondere a domande applicando dei controlli; dal momento che non si può intervenire sui gruppi, come accade in un esperimento, si deve intervenire sui dati.

I sociologi cercano di seguire le regole della ricerca scientifica che richiedono un trattamento e un controllo sistematico delle cause potenziali, allo scopo di individuare le cause vere degli eventi sociali o del comportamento.

Ma quale che sia il metodo usato, l'obbiettivo resta il medesimo: individuare cause ed effetti dei fenomeni sociali nel modo più valido possibile dal punto di vista scientifico.




















weber







Max Weber (Erfurt, 1864 - Monaco, 1920) nacque da una famiglia in cui erano molto vivi gli interessi politici e culturali, tramite il padre, deputato, Max Weber ebbe occasione di entrare ben presto in contatto con storici, filosofi e giuristi eminenti dell'epoca. Dopo aver studiato giurisprudenza, storia ed economia nelle università di Heidelberg e di Berlino, si laureò a Gottinga nel 1889 con una tesi in storia economica su "La storia delle società commerciali nel Medioevo".
Conseguita la libera docenza nel 1892 con uno studio su La storia romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato, nel 1894 ottenne la cattedra di economia politica nell'università di Friburgo, passando poi all'università di Heidelberg nel 1896. La sua attività scientifica e accademica fu però interrotta nel 1897 da un grave esaurimento nervoso, dovuto principalmente alla morte del padre; soltanto nel 1903 poté riprendere gli studi. A tale periodo, nel quale Weber compì pure un importante viaggio in America, risalgono gli studi, divenuti poi molto noti, in cui Weber dava un esempio concreto della sua tesi della possibilità e necessità di diversi modi di approccio all'indagine dei fenomeni storici e sociali, spiegando con determinati contenuti di fede religiosa il sorgere di una certa 'mentalità economica'.
Durante la prima guerra mondiale, Weber seguì con crescente preoccupazione il crollo morale e culturale della Germania. Nel dramma della sua nazione egli scorgeva un'ennesima conferma di quanto già da alcuni decenni andava sostenendo, e cioè la necessità di risolvere adeguatamente il problema della selezione degli uomini di governo conciliandolo con l'esigenza democratica. In questa linea collaborò alla riorganizzazione dello Stato tedesco dopo il crollo dell'Impero, partecipando alla redazione della costituzione della Repubblica di Weimar.

Weber inoltre, cerca di chiarire di che cosa la sociologia debba occuparsi. In tal senso egli si preoccupa preliminarmente, reagendo alla tradizione del positivismo, di distinguere scienze sociali e scienze naturali. Weber, infatti, sulla scia dello storicismo di Dilthey, nega la possibilità di analizzare i fenomeni sociali e politici utilizzando le stesse categorie concettuali che le scienze naturali utilizzano per i fenomeni fisici, come pretendevano i positivisti.
Egli intende le scienze sociali come scienze comprendenti, ossia scienze che hanno per oggetto l'agire sociale in quanto comportamento dotato di significato. Per Weber allora la sociologia è la scienza che cerca di comprendere i fenomeni dell'agire umano, scoprendone le 'cause'. Essa, tuttavia, si differenzia nel suo approccio dalla scienze naturali; data la complessità dei fenomeni sociali, molto maggiore di quelli fisici e naturali, la sociologia può ricostruire non tanto le cause dei fenomeni, quanto l'insieme delle condizioni o delle influenze che possono determinarli. Le conclusioni cui tali indagine conduce vanno, tuttavia, sempre valutate e ricontrollate continuamente, tenendo presente che lo scienziato sociale è in qualche modo sempre coinvolto in quel che studia e che, quindi, le sue conclusioni possono essere influenzate dalla sua condizione o dalla sua esperienza storica particolare.



Istituzioni occidentali e non occidentali


Ma la particolarità della storia economica europea non si giustifica solo alla luce dei suoi sviluppi religiosi (si ricordi, a tale proposito, che il cristianesimo non fu prerogativa esclusiva dell'Europa, e che esso si diffuse indipendentemente anche in altre svariate parti del mondo). Agli sviluppi capitalistici europei infatti hanno, secondo Weber, contribuito anche fattori di natura diversa, essenzialmente istituzionale, che affondano le proprie radici nelle fasi arcaiche della storia europea.

Anzitutto bisogna specificare cosa si intenda con il termine 'istituzioni'. La società, in quanto complesso organizzato di individui, si basa su una serie di regole e ordinamenti che le conferiscono stabilità e al tempo stesso pongono le basi (più o meno mutabili nel corso del tempo) del suo vivere interno. Tali regole sono appunto ciò che definiamo istituzioni. Queste possono essere di due tipi: alcune hanno un carattere ufficiale, ovvero sono codificate giuridicamente; altre invece, spesso non meno fondamentali delle prime, hanno un carattere consuetudinario. In ogni determinato contesto storico e geografico la vita tende a essere gestita attraverso istituzioni particolari, differenti rispetto agli altri.

Il discorso di Weber pone in evidenza, anche per ciò che riguarda questo aspetto della società, come quelle che per Marx sono essenzialmente sovrastrutture, mero riflesso dell'organizzazione economica, svolgano invece in realtà un ruolo essenziale nel determinare quest'ultima.

Gli aspetti su cui si sofferma Weber sono: a) i rapporti sociali; b) i rapporti istituzionali; c) l'organizzazione della proprietà e della produzione.

a) Per ciò che riguarda il primo punto, è nelle città che Weber rintraccia il primo seme di 'occidentalità' dell'Occidente. Le città europee infatti, si pongono in un rapporto del tutto particolare con le campagne circostanti. Mentre nel resto del mondo esse - in qualità di centri amministrativi e politici - possono usufruire dell'apporto di beni dalle campagne circostanti, in Europa esse rimangono invece tendenzialmente estranee alla vita economica rurale. Non potendo quindi contare sul contributo solidale di beni provenienti dalle campagne, gli abitanti delle città debbono procurarsi il necessario per il proprio sostentamento attraverso gli scambi commerciali: sia attraverso la produzione artigianale (i cui prodotti si riversano nelle campagne come merce di scambio), sia sviluppandosi come centri di smistamento dei beni provenienti da altre regioni (mercati internazionali).

Da una tale organizzazione originaria deriva la propensione delle città occidentali allo sviluppo di un'imprenditoria affaristica e, con essa, la loro peculiare attitudine alla razionalità e al calcolo economico. Il che - ovviamente - non implica che le città occidentali sviluppino da subito raffinati strumenti di carattere finanziario e contabile. In particolare, Weber vede nell'invenzione della partita doppia (XVI secolo) un vero e proprio spartiacque tra gli stadi ancora irrazionali dell'imprenditoria e quelli invece già orientati verso la pianificazione e il calcolo delle convenienze economiche.

D'altra parte la stessa razionalità scientifica (i cui esordi si collocano ben prima della nascita della fisica moderna, avvenuta con Galilei nel XVII secolo) si situa nel contesto della tradizione razionalistica occidentale, della quale costituisce peraltro una delle tante espressioni, e che a sua volta alimenta.

b) Anche sul piano sociale la tendenza alla razionalizzazione dei rapporti umani, ovvero al superamento di ogni logica corporativa e settaria (di casta), si fa sentire in Europa in modo molto più accentuato che nelle altre regioni del mondo.

Weber contrappone a questo riguardo le società basate sulle caste a quelle basate sulle classi. Nelle prime valgono soprattutto rapporti consuetudinari, la società essendo basata su una scala sociale che dalle famiglie nobili, socialmente superiori, giunge fino a quelle più basse. I membri delle seconde sono legati alle prime da rapporti di vassallaggio o clientela, fondati sia su debiti contratti nel corso del tempo che su fattori di natura consuetudinaria.

Per tali ragioni, a questo tipo di organizzazioni corrisponde quasi sempre un basso livello di sviluppo delle conoscenze scientifiche e della mentalità raziocinante e calcolante.

Viceversa, nelle società di classe, l'appartenenza a un ceto superiore o inferiore non è principalmente legata a ragioni familiari (di stirpe), ma a fattori meritocratici. Dal momento infatti che la società non è qui 'congelata' in rapporti basati sulle tradizioni e le abitudini, i criteri di affermazione sociale finiscono per basarsi soprattutto su principi oggettivi e razionali: essenzialmente cioè sulla capacità di affermazione del singolo sugli altri individui.

Secondo Weber, le società europee, nelle quali da sempre particolarmente forti sono le istanze individualistiche e anarchiche, sono quelle in cui la tendenza alla selezione sociale attraverso la competizione agisce in modo più essenziale. Così come, d'altra parte, lo sviluppo graduale di tale competizione verso forme giuridicamente sempre più regolamentate e razionali, porta col tempo al sorgere del capitalismo.

Una volta di più possiamo qui osservare come, per Weber, la razionalità costituisca - oltre e più che un effetto dell'evoluzione capitalistica della società - una causa essenziale di essa.

c) Infine, Weber si sofferma sulla trasformazione dell'organizzazione della proprietà e della produzione (due aspetti istituzionali essenziali per ogni società) caratteristica dell'Occidente e dell'Europa, e sulla differenza di un tale percorso rispetto a quello delle altre civiltà mondiali.

Pressoché ovunque infatti la cellula produttiva si è emancipata dalla forma originaria dell'oikos familiare, ma solo in Europa essa è infine divenuta vera e propria azienda capitalistica. Certo, anche al di fuori di tale continente si sono sviluppati grandi assembramenti di proprietà, spesso tramite i profitti di attività commerciali, e quindi grandi squilibri nella ricchezza personale e privata, ma solo in Europa si è giunti alla nascita di un'organizzazione economica di tipo capitalistico.

Analizziamo ora quelli che, nella visione weberiana, sono i tre stadi fondamentali dell'organizzazione della proprietà e della produzione:

(1) Il primo stadio è quello dell'oikos o 'azienda familiare'. In esso l'organizzazione produttiva è essenzialmente incentrata sul nucleo familiare (del quale fanno parte anche i servi o schiavi, almeno laddove - ad esempio nell'antica Grecia - siano diventati strumenti produttivi usuali e indispensabili). La produzione è qui ancora di 'piccolo cabotaggio', ovvero più che altro finalizzata al mantenimento degli elementi dello stesso nucleo familiare.

L'idea di profitto commerciale è quindi, se non del tutto assente, ancora marginale rispetto alla pratica dell'autoconsumo. E del resto, la maggior parte dei beni prodotti viene consumata se non subito, su tempi brevi. Non esiste quindi la possibilità di un consistente accumulo di ricchezze, cioè di formazione di grandi capitali privati.

La proprietà è qui ancora pienamente collettiva o familiare, e come tale gestita secondo criteri 'ingenui' (la sopravvivenza collettiva, la redistribuzione della ricchezza tra i membri della comunità, l'assenza di precisi fini di lucro, ecc.), molto distanti dal calcolo spietato delle convenienze che caratterizzerà l'azienda capitalistica moderna.

Dominano dunque il 'pressappoco', l'incertezza e l'imprecisione, sia a livello di stili produttivi che nella distribuzione della proprietà.

(2) Stadio successivo è quello della grande azienda, ovvero della grande proprietà. Ne sono un esempio, tra gli altri, le villae d'epoca tardo-romana: grandi agglomerati di terre (nei quali si svolgono anche attività di tipo manifatturiero e semi-industriale) capaci di produrre grandi quantità di beni di consumo, riversate poi in gran parte sul mercato, e i cui profitti possono essere reinvestiti ai fini dell'accrescimento dell'azienda, secondo una logica già capitalistica.

Ma perché si possa parlare di capitalismo vero e proprio non basta la presenza delle idee di profitto e di reinvestimento - e degli atteggiamenti a esse connessi -, bisogna infatti che tutto ciò abbia anche raggiunto un sufficiente grado di razionalità e sistematicità. E questo stadio di razionalità economica qui manca ancora.

Non vi è infatti né una divisione rigida tra la proprietà familiare e quella propriamente aziendale (cioè una separazione netta tra il 'pressappoco' degli affetti, delle consuetudini, delle tradizioni, e la logica spietata della competizione economica, dell'ottimizzazione dei mezzi rispetto ai fini); né l'utilizzo di una manodopera libera e salariata (proletarizzata), che sola permetterebbe - in virtù della sua flessibilità e precarietà - una programmazione efficiente e adeguata alle esigenze di crescita sistematica propriamente capitalistiche; né vi è infine un'idea forte di reinvestimento della ricchezza (la quale, al contrario, viene ancora in gran parte accumulata e lasciata immobile e infruttuosa).

La mentalità è qui infatti ancora troppo patriarcale e conservativa. Il perdurare degli antichi fattori consuetudinari, la divisione della società in caste (che implica, tra l'altro, un rapporto di vassallaggio tra il datore o proprietario e i suoi lavoratori), il basso sviluppo delle tecniche contabili e - non in ultimo - della tecnologia produttiva, non permettono che si sviluppi un'economia davvero moderna.

A tale proposito, si usa distinguere tra capitalismo e mercantilismo. In quest'ultimo, pur essendosi già affermata la moneta come mezzo di scambio e sviluppate consistenti attività di tipo creditizio, affaristico e finanziario, non si è ancora giunti a un utilizzo sistematico del lavoro salariato, a una vera e propria programmazione d'impresa e a tutti quei fattori che - come vedremo - caratterizzano l'ultimo dei tre stadi individuati da Weber.

È opportuno infine rilevare una volta di più, come l'economia mercantilistica si affermi col tempo praticamente in tutte le zone avanzate del mondo: dalla Cina al Medio Oriente, all'Europa. Con essa poi si affermano anche grandi disparità economiche tra i membri della società, impensabili laddove la cellula produttiva si identifichi con la piccola azienda di tipo familiare.

(3) Infine, si giunge all'azienda capitalistica. In essa la 'dimensione calcolante' prevale nettamente su quella del 'pressappoco', dominante negli stadi precedenti: e ciò sia nella distribuzione della proprietà che nell'organizzazione del lavoro e nella pianificazione economica.

L'azienda infatti è qui totalmente distinta dalla proprietà familiare, il che favorisce (e anzi richiede) una gestione della prima in termini impersonali, senza (almeno teoricamente) alcun riguardo per fattori di carattere affettivo, i quali entrerebbero invece in gioco se essa fosse sentita come qualcosa di personale, di familiare.

La società per azioni è un esempio molto comune e molto esplicativo di ciò. Laddove la proprietà d'impresa sia condivisa da più persone (gli azionisti), senza che tra esse sussistano legami di carattere parentale, affettivo ma solo o innanzitutto di convenienza economica (cui fanno da cornice rapporti di assoluta parità giuridica e morale), essa non potrà essere gestita secondo criteri soggettivi ed imprecisi, ma in termini di calcolo e di previsione razionale delle convenienze comuni.

L'azienda capitalistica è quindi qualcosa di molto ben distinto dalla proprietà familiare. Così come - e proprio per questo - la pianificazione economica ha in essa raggiunto vertici di razionalità (e ciò anche grazie a strumenti contabili di grande efficienza e precisione) prima assolutamente impensabili.

Un'altra notazione di Weber, che peraltro lo avvicina a Marx, riguarda il tipo di lavoro impiegato in questa fase. Come per il filosofo di Treviri infatti, anche per Weber il lavoro salariato (che presuppone il distacco della manodopera dai mezzi del proprio lavoro) è un ingrediente fondamentale per la nascita e il sussistere di una vera e propria economia capitalistica: ed anzi egli nota come l'assenza o la presenza di un tale tipo di lavoro costituisca una delle discriminanti essenziali tra lo stadio capitalistico e quello mercantilistico (nel quale, come si è detto, la logica dell'accumulazione e del reinvestimento della ricchezza esiste ancora in una forma spontanea, pre-razionale).

Tuttavia, mentre Marx vedeva il lavoro salariato come il prodotto di un lungo processo di trasformazione delle strutture economiche dalle fasi primitive a quelle moderne, Weber pone in evidenza come esso sia soprattutto il risultato di un processo di graduale razionalizzazione della società in tutti i suoi aspetti.

È in particolare l'affermarsi del principio giuridico di parità tra individui della stessa comunità ciò che, in un contesto di mercato (basato cioè sulla legge della domanda e dell'offerta), favorisce lo sviluppo di un'economia basata sulla contrapposizione tra classe borghese, proprietaria dei mezzi produttivi, e classe proletaria, costretta a vendere la propria forza-lavoro per un salario.

Ed è infine il lavoro salariato (flessibile e revocabile) ciò che consente al capitalista di pianificare in modo razionale le proprie strategie d'impresa, aprendo quindi la via alla nascita di un'economia puramente concorrenziale, differente dalle precedenti organizzazioni di mercato, ancora di carattere 'corporativo'. Weber osserva infatti come, laddove il proprietario dei mezzi di produzione deve portare sulle proprie spalle il 'peso morto' della servitù, dei clienti, ecc. (cioè di legami non paritetici), un tale processo di razionalizzazione e lo sviluppo capitalistico conseguente non possano - anche laddove esistano elementi di mercato - avere luogo.

Weber dunque dimostra attraverso la sua analisi come l'economia capitalista sia il prodotto di processi di sviluppo di carattere culturale e istituzionale (che si intrecciano ovviamente con processi di natura economica) che portano ad una razionalizzazione progressiva della vita sociale. Secondo lui dunque il capitalismo sarebbe, tra l'altro e soprattutto, la traduzione sul piano dell'organizzazione economica di una trasformazione in atto nelle sfere non economiche della società.

Quanto al perché un tale tipo di evoluzione sia avvenuto solo in Europa, si può dire che per Weber ciò sia dovuto a una serie di fattori concomitanti e in gran parte casuali, non facilmente riconducili cioè a elementi determinati.

Sia per Marx che per weber il capitalismo costituisce la caratteristica fondamentale della società moderna che ne definisce la struttura in contrapposizione a quella delle società del passato.

Per Weber il capitalismo che si presenta come "razionalismo economico" è la struttura economica proprio del mondo moderno.

Per Marx il capitalismo è contrassegnato in primo luogo dalla separazione dei laboratori dai mezzi di produzione, mentre per Weber il capitalismo moderno si fonda soprattutto sulla ricerca del profitto distinguendosi non soltanto dai vari tipi di economia non capitalistica ma anche da altre forme di capitalismo, cioè dal capitalismo speculativo e dal capitalismo orientato politicamente, sia esso di tipo predatorio, oppure legato allo sfruttamento di risorse coloniali o fiscali oppure fondato sulle forniture statali.

Comune ad entrambi è però non solo la considerazione dell'economia capitalista come un fenomeno che precede e rende possibile il sorgere dell'industria, ma anche l'individuazione della specificità del capitalismo nell'impiego del lavoro libero, in antitesi all'utilizzazione di manodopera schiavistica o servile che caratterizza le altre forme di economia.

Il capitalismo come per Marx, oppure il capitalismo moderno orientato in senso razionale come per Weber non è però soltanto un elemento costitutivo della società moderna; esso è anche un fenomeno tipicamente occidentale anzi europeo.

Secondo Weber l'occidente conosce nell'epoca moderna una specie di capitalismo del tutto differente e mai sviluppata altrove sulla terra: l'organizzazione capitalistico-razionale del lavoro libero, questo non significa che il capitalismo non possa una volta sorto diffondersi all'infuri del proprio terreno originario: ad esso è anzi connaturata con una tendenza espansiva che lo trasforma in fenomeno universale.

Per Weber la specificità occidentale del capitalismo moderno riguarda la sua origine, non certo la sua potenzialità, ma l'occidente è, e rimane il luogo storico del capitalismo inteso come razionalismo economico, nel senso che soltanto qui esso è sorto e poteva sorgere.

Il capitalismo rappresenta un modello interpretativo di validità universale, ma non in quanto chiave di comprensione di strutture sociali antecedenti, bensì soltanto come termine di riferimento che consente di cogliere le differenze tra i diversi tipi di società e le rispettive forme di organizzazione economica.

All'identificazione marxiana la società borghese e rapporti di produzione capitalistici Weber contrappone una concezione del capitalismo come una componente specifica, costitutiva, del razionalismo occidentale moderno, ossia come un aspetto di un processo di razionalizzazione che investe tutti i campi della vita, dalla politica al sapere intellettuale e all'arte.

In secondo luogo questo processo non viene considerato come ultima fase di un processo universale, ma viene contrapposto ad altri che hanno dato luogo a forme differenti di società.

Il problema quindi che si pone ad un' analisi storico- sociologica del capitalismo e, più in generale, del razionalismo moderno è perciò quello di spiegare perché mai esso sia sorto in quello forma specifica soltanto nell'occidente europeo e in una data epoca del suo sviluppo: il che comporta la necessità di rintracciarne le condizioni nel particolare processo della storia occidentale e, di mostrare l'assenza di queste condizioni in altri contesti storici.



La razionalità


Secondo Max Weber, l'Occidente ha avuto uno sviluppo diverso rispetto a quello di ogni altra cultura al mondo: ciò in virtù del fatto che soltanto in Occidente il processo di razionalizzazione è progredito a tal punto da investire globalmente i sistemi di credenze, le strutture familiari, gli ordinamenti giuridici, politici ed economici, la scienza e addirittura le attività artistiche. Anche altrove la razionalizzazione ha avuto la sua importanza, ma mai come in Occidente: infatti - nota Weber - nei Paesi non occidentali essa non si è mai spinta ad inglobare ogni credenza e perfino l'attività artistica. Weber si interroga dunque su questo "sviluppo singolare" (Sonderentwicklung) e addiviene alla conclusione che esso è dovuto precipuamente al fatto che solamente in Occidente si è sviluppato un sistema di credenze che, ponendo il sacro (e quindi la divinità) su un piano assolutamente trascendentale rispetto al mondo terreno, ha consentito di guardare alla realtà naturale e umana come ad una realtà oggettiva, priva di significati magici e, pertanto, manipolabile - senza restrizioni - dalla volontà umana. L'ordine sociale, liberato dalla sacralità della tradizione, ha potuto così subire un processo di radicale trasformazione nella direzione della modernità e, all'interno di tal processo, un ruolo di primaria importanza è stato svolto dalla scienza (qui si innesta poi la distinzione weberiana "tra scienze naturali", le quali spiegano, e "scienze sociali", le quali, oltre a spiegare, comprendono). Il processo di razionalizzazione comporta una sempre crescente ed estesa razionalizzazione del mondo e dell'uomo che lo abita: l'uomo occidentale è, dunque, un uomo razionale, non già nel senso che tutto ciò che fa è razionale, ma piuttosto nel senso che egli può agire razionalmente e in ciò risiede la differenza tra uomo e natura: in natura ogni cosa pare avere un senso, così la pioggia ha senso se riferita al raccolto, ecc; ma se consideriamo in maniera a sé stante ogni singolo fenomeno naturale, ci accorgiamo che ciascuno di essi, di per sé, non ha senso (che senso ha, di per sé, la pioggia?); diverso è il caso delle azioni umane, che anche di per sé prese hanno un senso. A tal proposito, Weber suddivide (in Economia e società, cap.I) l'agire razionale in quattro diverse categorie:

1] "agire razionale rispetto allo scopo": un'azione si dice razionale rispetto allo scopo se chi la compie valuta razionalmente i mezzi rispetto agli scopi che si prefigge, considera gli scopi in rapporto alle conseguenze che potrebbero derivarne, paragona i diversi scopi possibili e i loro rapporti;

2] "agire razionale rispetto al valore": un'azione si dice razionale rispetto al valore quando chi agisce compie ciò che ritiene gli sia comandato dal dovere, dalla dignità, da un precetto religioso, da una causa che reputa giusta, senza preoccuparsi delle conseguenze;

3] "agire determinato affettivamente": l'agire determinato effettivamente si ha nel caso di azioni risolvibili in pure manifestazioni di gioia, gratitudine, vendetta, affetto o di altro stato del sentire; come le azioni razionali rispetto al valore, anche quelle determinate affettivamente hanno senso di per se stesse, senza riferimento alle possibili conseguenze; tuttavia - a differenza delle azioni razionali rispetto al valore - queste non hanno riferimento consapevole all'affermazione di un valore, trattandosi piuttosto dell'espressione di un bisogno interno;

4] "agire tradizionale": l'agire tradizionale è semplice espressione di abitudini; è dunque una reazione abitudinaria a stimoli ricorrenti, comportamenti che si ripetono senza interrogarsi su possibilità alternative e sul loro reale valore, senza porsi il problema se vi siano o meno altre vie per raggiungere gli stessi risultati.

Sociologia del Potere

E' l'indagine weberiana intorno al potere;essa consiste nell'elaborazione e nella determinazione di uno strumento euristico che consenta una successiva indagine.
Questo potere non svolge alcun ruolo a livello conoscitivo, ma fornisce una delle coordinate attraverso le quali può essere fissato il significato di un fatto. Weber afferma che "il potere nel suo concetto più generale, non riferito a nessun contenuto concreto,è uno degli elementi maggiormente importanti dell'agire di comunità" -> funzione motrice degli avvenimenti.
Successivamente si passa alla trattazione specifica delle forme di potere:

  • potere patriarcale: fondato sull'autorità -> poggia sulla tradizione in quanto è l'agire in comunità vincolato mediante i tradizionali rapporti di autorità.
  • potere burocratico: fondato sulla razionalità -> è generato dall'agire in comunità razionalmente associate
  • potere carismatico: non è fondato né in modo razionale né ad opera della tradizione -> poggia sulle capacità extra quotidiane e sull'autorità di personalità concrete.

In base a tale distinzione Weber afferma che la "validità" di un potere di comando può essere espressa in un sistema di regole razionali stabilite che trovano una disposizione ad obbedire (il titolare del potere è legittimato dallo stesso sistema di regole) oppure che questa "validità" può fondarsi sull'autorità personale. Questa può trovare i propri fondamenti nella tradizione (obbedienza verso una determinata persona) o nella dedizione a qualcosa di straordinario, cioè nella fede nel carisma (redentori, profeti ed eroi di qualsiasi tipo).
A tutto questo corrispondono dunque i tre tipi fondamentali "puri" della struttura del potere e dalla mescolanza di essi emergono le forme che risultano dalla realtà storica.

Si procede con l'analisi dettagliata del POTERE BUROCRATICO


Prima di tutto si stabilisce il principio delle competenze di autorità definite, disciplinate in modo generale grazie a leggi e regolamenti amministrativi; viene ad esistere un organo di autorità burocratico (questa istituzione si sviluppa completamente per la prima volta nelle comunità politiche e religiose dello stato moderno).
Successivamente si procede a stabilire il principio della gerarchia degli uffici e della serie delle istanze -> sistema regolato rigidamente di subordinazione degli organi di autorità, col controllo dei superiori sugli inferiori.
Il complesso dei funzionari che agisce in un organo di autorità e l'apparato che ad esso corrisponde di mezzi ed atti forma un "ufficio". Tutte le attività specialistiche dell'ufficio presuppongono di norma una preparazione specialistica ed il lavoro d'ufficio deve assorbire tutta la capacità lavorativa del funzionario. Infine la conduzione dell'ufficio segue regole generali più o meno fisse ed esaurienti.
Tutto ciò porta al concepire l'ufficio come una professione ed al definire la posizione personale del funzionario;solitamente il funzionario riceve una ricompensa monetaria in forma di stipendio e di un'assicurazione sulla vecchiaia mediante una pensione. Corrispondentemente all'ordinamento gerarchico degli organi di autorità egli viene inserito in una "carriera" che parte dai posti inferiori (meno importanti e meno pagati) per arrivare a quelli superiori (maggior prestigio e maggior retribuzione); negli organismi burocratici pubblici ed in quelli simili ad essi esiste la durata vitalizia della carica.
I presupposti sociali ed economici di tale configurazione dell'ufficio sono molteplici: primo fra tutti è lo sviluppo dell'economia monetaria (la ricompensa in denaro al funzionario è di grandissima importanza per l'habitus complessivo della burocrazia). Tra i fattori puramente tecnici,poi, devono essere considerati come elementi propulsori del processo di burocratizzazione quei mezzi di comunicazione che devono essere amministrati, alcuni per necessità, altri per opportunità tecnica, in gestione comune. Il decisivo fondamento per il procedere dell'organizzazione burocratica è però sempre stato la sua superiorità puramente tecnica su ogni altro tipo di forma.
La burocrazia, una volta realizzata con completezza, è una delle forme sociali più difficilmente abbattibili. La burocratizzazione è lo specifico mezzo per trasformare un "agire di comunità" in "agire sociale" razionalmente ordinato. Essa offre soprattutto la maggiore possibilità di attuare il principio della divisione del lavoro amministrativo sulla base di criteri puramente oggettivi, mediante l'attribuzione dei singoli compiti a funzionari preparati in maniera specialistica e che si qualificano sempre di più.
L'organizzazione burocratica è solitamente giunta al potere in base ad un livellamento delle differenze economiche e sociali.
E' un inevitabile fenomeno collaterale della moderna democrazia di massa (elementi propulsori nel campo politico e classico sono infatti il grande stato ed il partito di massa). La democrazia di massa infatti, eliminando nell'amministrazione sia i privilegi feudali che patrimoniali, deve necessariamente porre un lavoro professionale ricompensato in sostituzione dalla precedente amministrazione di notabili, concepita come professione secondaria (cfr. la socialdemocrazia ed il movimento contadino in Germania, la democrazia del caucus di Gladstone e Chamberlain in Inghilterra e tutti e due i partiti dopo l'amministrazione Jackson).
L'organizzazione burocratica di una formazione sociale, ma soprattutto politica di solito ha conseguenze economiche di vasta portata: "Nell'epoca moderna anche la burocratizzazione ed il livellamento sociale all'interno delle formazioni politiche, soprattutto statali, in connessione con la distruzione dei privilegi locali e feudali che ad essi si opponevano, sono molto spesso tornati a vantaggio degli interessi del capitalismo, e spesso sono stati realizzati in collegamento con esso".
Weber afferma che la struttura burocratica è stata sempre un tardo prodotto dello sviluppo. Ripercorrendo all'indietro il processo storico diviene sempre più tipica la mancanza della burocrazia e di un corpo di funzionari per le forme di potere.
Essa ha un carattere razionale e la sua condotta è determinata dalla regola, lo scopo, il mezzo, l'impersonalità. Il suo nascere e la sua espansione hanno ovunque un senso rivoluzionario, come avviene solitamente per la penetrazione del razionalismo in qualsiasi campo.




POTERE CARISMATICO

Come sostiene il sociologo R. Aron nel testo "Le tappe del pensiero sociologico" pag. 507, la nostra epoca offre invece numerosi esempi di potere carismatico. Personaggi come Lenin, Hitler e lo stesso de Gaulle furono, secondo la definizione Weberiana, dei capi carismatici, poiché il loro potere non era fondato né sulla legalità né su una lunga tradizione.
J. Freund spiega a sua volta, nel testo "Sociologia di Max Weber" pag. 240, come la teoria del potere carismatico ha dato spesso luogo a malintesi " perchè vi si è voluto vedere, a posteriori, una prefigurazione del regime nazista. Alcuni hanno persino cercato di fare di Weber un precursore di Hitler, mentre egli si è strettamente limitato all'analisi sociologica ed alla costruzione del tipo ideale di una forma di potere che è esistito in tutti i tempi."


Il lavoro secondo Weber


_La religione protestante e l'etica del lavoro


Il Novecento è stato un secolo di grandi innovazioni nel settore industriale, e quindi nel campo lavorativo.

Il tema centrale, che venne affrontato in questo ambito e che fu al centro dell'analisi della società moderna, fu quello degli "effetti disumanizzanti comportati dal lavoro".

Con la seconda rivoluzione industriale, si ebbe una grande diffusione della cosiddetta «americanizzazione», ovvero di quelli che furono il modello Tayloristico e quello della fabbrica fordista . Con la catena di montaggio il lavoratore eseguiva gesti ripetitivi e rapidi tipici della produzione in serie, fino a diventare in un certo senso servitore piuttosto che utilizzatore della macchina. Queste condizioni di lavoro erano ovviamente molto più alienanti rispetto alle modalità lavorative della prima industrializzazione (analizzata da Marx)

A spiegare i motivi di questa alienazione, è il sociologo Max Weber.

Egli, a differenza di Marx, parla della disumanizzazione non come dell'espropriazione dell'operaio da parte del capitalista, ma come risultato del continuo subentrare della razionalità moderna all'interno del sistema produttivo capitalistico.

Ne 'L'etica protestante e lo spirito del capitalismo' (1905) , si Weber spiga che il protestantesimo, e in particolare il calvinismo, è all'origine del capitalismo moderno.

In realtà, Weber non intende sostenere che un fenomeno economico possa essere causato direttamente da un fenomeno religioso. Mette invece in relazione due fenomeni omogenei, la mentalità religiosa calvinista e la mentalità capitalista, affermando che la prima fu condizione utile alla formazione della seconda.

Secondo il pensiero di Lutero, il guadagno e l'accumulazione del denaro non erano finalizzati tanto al consumo e al godimento, quanto più erano una forma di preghiera (e quindi il fine a cui doveva mirare il credente). Coloro che avevano successo nell'intraprendere un'attività economica, vedevano in questa un segno della Grazia, mentre la vita veniva vista come un «compito» e una «chiamata divina». Inoltre Max Weber notava come i paesi calvinisti (i Paesi Bassi, l'Inghilterra, il Massachussetts) erano arrivati prima al capitalismo rispetto a quelli cattolici come la Spagna, il Portogallo e l'Italia, e fu per questo se si chiese se effettivamente la religione avesse influenzato in tal modo l'economia. Da dire poi, che il capitalismo nasce in un periodo in cui ogni condotta religiosa perde il suo valore e riferimento trascendente, e quindi, la conferma della Grazia divina di cui prima si è parlato, perde di ogni valore religioso. L'etica protestante si razionalizza quindi nello spirito del capitalismo. Tutto ciò comunque, implica ovviamente una severa autodisciplina, la stessa poi che si ritrova laicizzata nell'etica del lavoro dei più grandi capitalisti del '900.


_Il Lavoro nel Lavoro


Un altro concetto chiave della Chiesa Calvinista affrontato da Weber, è quello del «lavoro per il lavoro».

Questa concezione calvinista del valore del lavoro per il lavoro stesso trova riscontro per Max Weber in alcune caratteristiche che differenziano le due religioni: mentre il cattolico celebra la messa o prega per ottenere qualcosa, il protestante ringrazia Dio per quello che ha già ottenuto, la sua preghiera onora Dio, ha un valore in se stessa non serve per ottenere qualcosa.

Così le chiese cattoliche manifestano nell'oro e nella ricchezza dei loro edifici e delle cerimonie la gloria di Dio al contrario quelle calviniste hanno il senso di sé in se stesse, sono severi luoghi di culto fatti per pregare.


_Il dovere professionale e la razionalizzazione della realtà


Per Weber, il concetto di «dovere professionale» (ovvero l'obbligo morale che il singolo avverte in rapporto alla propria attività professionale) fa parte di quella che è l'«etica sociale», la quale secondo il filosofo tedesco è alla base del capitalismo.

Ormai però, egli afferma che non è più necessario che lavoratori e imprenditori facciano proprio questo atteggiamento, dato che il capitalismo moderno si è ormai reso autonomo dalle forze che ne hanno favorito la nascita, ed essendo ora in grado di determinare se stesso.

Sempre il capitalismo moderno - dice Weber - costituisce l'ambiente, che seleziona il personale più adatto, ma non solo.

Esso infatti costituisce il punto d'arrivo di un processo di razionalizzazione, che ha visto la egemonia dell'agire razionale rispetto allo scopo: sono manifestazioni di questo orientamento la ricerca scientifica, il capitalismo stesso e i moderni apparati burocratico-amministrativi.

Nel descrivere la realtà, egli utilizza anche l'espressione «disincantamento del mondo», con riferimento al prosciugarsi in essa di tutti gli aspetti magici e sacrali dell'esperienza, a favore della pretesa di un totale controllo razionale e tecnico della realtà.

Inoltre, la razionalità moderna e capitalistica che domina il mondo è puramente strumentale, basata su una fredda efficienza del rapporto mezzo-fine, ottenuto dalla liberazione da vincoli rappresentati dalla tradizione e dai valori.

Secondo Weber, i fini e i valori sono molteplici (politeismo dei valori), e tra essi è possibile decidere razionalmente, affinché ciascuno possa dedicarsi a ciò a cui crede («servire il proprio demone»).


_Il lavoro intellettuale: la scienza come professione


Nel 1919, durante una conferenza che Weber tenne di fronte agli studenti dell'Università di Monaco, egli parla delle conseguenze del lavoro, e più nello specifico di quello che era il «lavoro intellettuale», ovvero il lavoro di studio, di ricerca scientifica e di insegnamento.

Analizzando la condizione del lavoro scientifico in Germania, egli evidenziò il fatto che comunque anche in questo campo si erano verificate tendenze all'«americanizzazione» (come nell'attività produttiva del resto).

Con ciò, Weber intendeva sottolineare il fatto che vi era stata una specializzazione della ricerca. Il fatto poi che la ricerca scientifica fosse tanto progredita, ha fatto si che svanissero tutte le illusioni sul fatto che essa potesse effettivamente aiutare l'uomo a risolvere i grandi interrogativi (il senso del mondo, la felicità,.). Questo secondo Weber, è fuori dai limiti della ragione scientifica e filosofica.

Indipendente da ciò, comunque, la conoscenza scientifica può aiutare a risolvere i problemi tecnici, individuando poi con quali mezzi è possibile raggiungere determinati fini, e può aiutare a capire con maggior chiarezza quale visione teorica o con quale visione del mondo fossero coerenti determinati comportamenti pratici. Per spiegare meglio il suo pensiero, egli fa riferimento alla metafora del «conflitto» tra dei (cioè del conflitto tra valori, inconciliabili tra loro).

A conclusione del suo discorso, Weber criticò duramente quegli intellettuali che non sapevano accettare con coraggio quello che era il «disincanto dal mondo», e che invece erano alla continua ricerca di nuovi valori assoluti e che «vivevano in attesa di nuovi profeti e nuovi redentori», rivendicando così la fedeltà al suo «demone» della professione di studioso.

Un'ultima nozione molto importante è quella del «beruf» ovvero della vocazione professionale, usata per indicare appunto la dedizione al lavoro dei pionieri calvinisti del capitalismo, che nell'"Etica protestante e le origini del capitalismo" Weber collegava alla parola inglese calling ("chiamata", "vocazione"), e che affermava doveva essere raggiunta in austerità di costumi e sobrietà di consumi.




Adorno




Breve introduzione al pensiero


Nel febbraio del 1923 venne ufficialmente aperto a Francoforte, grazie ad una donazione privata, l' Institut für Sozialforschung (Istituto per la ricerca sociale), di cui fece parte anche il grande pensatore Theodor Wiesengrund Adorno.

Nato nel 1903 a Francoforte da un ricco commerciante ebreo e da una madre italiana, di cui assunse il cognome, Adorno iniziò da giovane a studiare pianoforte e composizione e nel 1924 si laureò a Francoforte con una tesi su Husserl, da cui sarebbe poi nato il volume Per la metacritica della gnoseologia. Studi su Husserl e le antinomie della fenomenologia, pubblicato nel 1956. Recatosi a Vienna, dove ebbe contatti con Alban Berg e con Schönberg, nel 1928 rientrò a Francoforte, dove cominciò la sua collaborazione con l'Istituto per la ricerca sociale.

Il primo volume da lui pubblicato fu la tesi di abilitazione intitolata Kierkegaard e la costruzione dell'estetico (1933), dedicata al caro amico Siegfried Kracauer.

Nei primi anni della dittatura nazista rimase in Germania, anche se andò spesso a studiare al Merton College di Oxford, ma in un secondo tempo si trasferì negli USA, dove, dal 1938 al 1941, diresse la sezione musicale della radio a Princeton. Durante la guerra scrisse la Dialettica dell'illuminismo in collaborazione con un altro grande filosofo dell'Istituto, Horkheimer, nonchè la Filosofia della musica moderna (1949), e fu in rapporto con Thomas Mann, al quale diede suggerimenti per la composizione delle parti di argomento musicale del romanzo Doctor Faustus . Tornato in Germania, fa dal 1951 vice direttore e dal 1958 fino alla morte, sopraggiunta nel 1969, direttore dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. A questo periodo risalgono Minima moralia (1951), Prismi Critica della cultura e società (1955), Introduzione alla sociologia della musica (1962), Dialettica negativa (1966) e Teoria estetica , pubblicata postuma nel 1970.

Al principio della sua attività, Adorno mostra interesse per il problema della conoscenza : la fenomenologia di Husserl ha il merito, secondo adorno, di assumere un punto di vista antipsicologistico, ma tende ad annullare l'individuo contingente nel soggetto trascendentale e, muovendo alla ricerca di essenze immutabili, implicitamente accetta la realtà del mondo esistente così come è.

Bisogna invece evitare, ad avviso di Adorno, di feticizzare la conoscenza, riducendo il soggetto all'oggetto o viceversa, e assumere piuttosto il metodo della dialettica di Hegel, in grado di cogliere il movimento del reale e di liberare dal falso presupposto ' che quel che perdura è più vero di quel che passa '.

Hegel, però, partendo dall'assunto che fosse possibile cogliere con il pensiero il reale nella sua totalità, aveva congiunto strettamente la dialettica al sistema; Adorno, invece, capovolge il detto hegeliano secondo il quale il vero è nel tutto, asserendo nei Minima moralia che ' il tutto è il non vero ': la società esistente, infatti, nella sua totalità è falsa, non corrisponde al criterio della piena razionalità.

Per questo Adorno rifiuta l'illusoria pretesa di costruire un sistema, attribuendo invece importanza a quanto è secondario, fuori dalla norma, negativo.

Per cogliere questi aspetti della realtà, bisogna procedere per saggi, per tentativi capaci di non affogare le differenze nella totalità: sotto questo profilo, la forma letteraria più adeguata risulta l' aforisma , più che il trattato corposo.

Di aforismi è dunque costituito il libro più importante di Adorno, i Minima moralia , che hanno per sottotitolo 'Riflessioni sulla vita danneggiata': danneggiata appare ad Adorno la vita del presente, ridotta alla sfera del privato e del semplice consumo, priva di autonomia e sostanza propria.

In questa situazione drammatica, l'unica via possibile e praticabile per la filosofia è quella della riflessione privata, che ha il compito di disturbare, più che di consolare.

Questo implica che le cose siano considerate ' come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione ', cioè del loro riscatto dalla negatività presente. In questo panorama, la funzione determinante entro il pensiero dialettico viene rivestita dalla negazione : questo è il tema portante dello scritto più complesso sul piano teorico di Adorno, la Dialettica negativa .

La dialettica di Hegel, per Adorno, è mistificata perchè considera il finito e il negativo come un momento meramente provvisorio, destinato a dissolversi nell'accostamento conciliatore finale e nella riconquistata identità di soggetto e oggetto, di razionale e reale.

Essa commette lo stesso errore del pensiero tradizionale, che considera come proprio fine l'identità, la riduzione dell'altro e del diverso all'uguale.

Intendendo la negazione come lo strumento per l'instaurazione del positivo, Hegel attribuiva alla negazione stessa un carattere affermativo, ma questo equivale ad introdurre un'identità tra negazione ed affermazione, cioè un principio formale antidialettico (l'identità) nel bel mezzo della dialettica stessa.

Questo vuol dire, ad avviso di Adorno, porre come elemento decisivo uno stato pacificato, non più antagonistico e, di conseguenza, instaurare una logica del dominio, legittimando l'esistente.

Si tratta dunque di liberare la dialettica da questo carattere affermativo e di riconoscere che il momento positivo non è un risultato, ma solo la negazione determinata , cioè la critica.

Marx aveva considerato la filosofia, in quanto speculazione contenta di sè, superata dalla prassi destinata invece a trasformare la realtà.

Per Adorno questa trasformazione non è avvenuta, cosicchè la prassi oggi non è più l'istanza contraria alla filosofia: questa, anzi, continua a mantenersi in vita, ma non come contemplazione, bensì sotto forma di critica.

L'esistenza di Auschwitz e dei campi di sterminio nazisti dimostrano che la cultura non è riuscita a cambiare gli uomini; dopo Auschwitz bisogna, dunque, ribellarsi ad ogni affermazione della positività dell'esistenza.

La dialettica, in quanto coscienza della non identità e dell'alterità, deve allora lasciar vivere le contraddizioni, passando indenne dalle ammalianti sirene di una loro conciliazione e sintesi metafisica.

La realtà non è come deve essere e così il compito dei filosofi, che si trovino nella fortunata condizione di non adattarsi del tutto alle norme in vigore, è di esprimere, in rappresentanza dei più, quel che questi, a causa delle costrizioni sociali, non sono in grado di scorgere, oppure, per realismo, si rifiutano di vedere.

Contrariamente alla tesi fondamentale dell'intera filosofia tradizionale, da Platone in avanti, per la quale il criterio del vero è dato dalla comunicabilità immediata a tutti e, quindi, dalla trasmissibilità di quel che è già conosciuto come se si trattasse di un fatto, Adorno asserisce che la conoscenza non possiede del tutto nessuno dei suoi oggetti, ma sempre solamente frammenti parziali di una realtà incompiuta e che, pertanto, il pensiero critico consiste soltanto in ' bottiglie gettate in mare 'per futuri destinatari ancora ignoti.

Anche Adorno intende salvaguardare la contingenza e la libertà del soggetto: un'umanità liberata, a suo parere, non sarebbe per niente una totalità .

Nella misura in cui, però, la società attuale non è libera, la totalità diventa uno strumento concettuale necessario per carpirne le contraddizioni. A partire da questo punto è nato un dibattito nella Germania degli anni '60 sul metodo della sociologia, in cui sono intervenuti, tra i tanti, Adorno e Popper. Contro il culto dei fatti proprio del positivismo e della sociologia empirica, Adorno ribadisce che i fatti sono risultati di processi storici, cosicchè nessun fenomeno sociale può essere colto nel suo significato se ci si limita alla sua descrizione e non si fa riferimento al sistema della società nella sua totalità.

Questo non vuol dire che questa totalità sia a sua volta descrivibile, una volta per tutte, nella globalità dei suoi aspetti e tratti particolari; essa può essere conosciuta solo nella misura in cui si manifesta nei fatti particolari.

Sotto questo profilo, i fatti non sono identici alla totalità, ma la totalità non esiste al di là dei fatti. La pretesa che esista un metodo del tutto obiettivo, senza riferimento ai valori, è per Adorno del tutto illusoria: di fatto, date le contraddizioni presenti nella realtà storica, nessun metodo può essere in modo perfetto adeguato al suo oggetto: ' l'idea di verità scientifica non può essere scissa da quella di società vera ' asserisce Adorno.

In questa situazione, l'unica fioca speranza è offerta dall' arte , nella misura in cui essa riesce ad armonizzare forme e contenuti, elementi soggettivi e oggettivi.

L'arte e la cultura, secondo Adorno, non sono riducibili ad un mero riflesso o rispecchiamento ideologico di classe, ma non per questo costituiscono sfere separate dalla società.

La creazione artistica, infatti, non è meramente individuale, ma esprime tendenze sociali oggettive che l'autore stesso non sente profondamente; ma finchè la realtà oggettiva è contradditoria, la conciliazione delle contraddizioni sul piano estetico è sempre insufficiente.

L'armonia realizzata sul piano artistico deve, dunque, sempre contenere un elemento di protesta nei confronti della realtà esistente e una dimensione utopica, come 'promessa di felicità' futura, secondo un detto di Stendhal, scrittore particolarmente caro agli autori della scuola di Francoforte.

Tra le arti, quella meno caratterizzata da contenuti rappresentativi è la musica , la quale appare dunque, agli occhi di Adorno, come la più idonea ad esprimere, nella sua indeterminatezza, quel che è altro rispetto alla situazione presente.

Molta musica è però ridotta a pura merce e oggetto di consumo; essa, come parecchie forme di cultura popolare, compreso il jazz, avversato da Adorno, contribuisce al rafforzamento degli atteggiamenti conformistici e assolve ad una mansione meramente ideologica di evasione ed emancipazione illusoria della realtà.

Nell'industria culturale e nella riproducibilità delle opere d'arte, come nel cinema e nella fotografia, Adorno non ravvisa alcun potenziale rivoluzionario.

Sono invece le avanguardie artistiche, in particolar modo la musica atonale dodecafonica di Schönberg, ad esprimere il rifiuto di scendere a compromessi con i dissapori e le contraddizioni, che rimangono irrisolte nella realtà.

Con la sua Teoria estetica Adorno attribuisce all'arte un ruolo di contestazione della società esistente; l'arte contemporanea, sottraendosi ai canoni classici della bellezza, raffigurerebbe in pieno le disarmonie e l'infelicità della società, favorendo il sorgere della speranza in un'armonia del mondo.




Analisi de "La personalità autoritaria"


"La personalità autoritaria", i cui principali autori sono Adorno, Brunswick, Levinson e Sanford, è il risultato di un complesso studio iniziato nel 1944 e terminato nel 1949, anni in cui la Scuola di Francoforte di Max Horkeimer si trovava negli Stati Uniti perché costretta alla fuga dal Nazismo.

L'opera raccoglie i risultati di una ricerca inter-disciplinare sulla psicologia della discriminazione sociale ed in particolare dell'antisemitismo.

Il tema centrale consiste nel supporre che l'antisemitismo fa parte ed è espressione di un'ideologia etnocentrica più complessa e a sua volta legata a una struttura autoritaria del carattere.

L'interesse principale è lo studio intensivo e la definizione di una nuova "specie antropologica", il tipo autoritario di uomo, che fa confluire al suo interno le idee e capacità di una società altamente industrializzata e credenze irrazionali o anti-razionali.

Lo scopo ultimo è aprire una nuova ricerca che si propone di comprendere i fattori socio-psicologici che hanno consentito più volte alla personalità autoritaria di prendere il posto della personalità

individualistica, autodeterminata e democratica prevalente negli ultimi 200 anni della nostra civiltà.

_Il metodo d'indagine


I ricercatori rivolsero i loro studi verso 2099 soggetti Americani di classe media appartenenti ad organizzazioni quali università, sindacati o associazioni di combattenti. Le uniche due eccezioni sono costituite da un gruppo di detenuti della prigione di San Quintino e di ricoverati di una clinica psichiatrica.

I soggetti furono sottoposti a questionari contenenti sia domande riguardo alla loro collocazione sociale e la loro storia, sia soprattutto quesiti che fornissero informazioni sulla loro mentalità, sulle loro fantasie e sulla loro visione del mondo.

Su queste ricerche furono costruite quattro scale di valutazione dei singoli soggetti: la scala dell'antisemitismo, dell'etnocentrismo, del conservatorismo politico-economico e delle tendenze antidemocratiche (del fascismo). Di qui la distinzione tra i soggetti ad alto punteggio più inclini all'autoritarismo e più anti-democratici e quelli a basso punteggio.

Infine, tutto lo studio è stato affrontato tenendo conto sia della necessaria divisione tra indagine "quantitativa" (elaborazione statistica) e "qualitativa" (esplorazione psicologica dei singoli individui), sia della necessità di formulare quesiti attendibili, di escludere elementi di pregiudizio dall'intervistatore o altre influenze al fine di una corretta valutazione.

_La teoria della personalità totale


La scuola di Francoforte nasce anche e soprattutto grazie agli studi di Freud sulla psicoanalisi, ed anche in quest'opera è sostanziale la sua teoria sulla struttura della personalità umana, che i ricercatori hanno utilizzato come premessa fondante e guida del loro studio.

Secondo questa teoria la personalità è un'organizzazione più o meno durevole di forze che determinano il comportamento dell'individuo in varie situazioni e alle quali si attribuisce la coerenza del comportamento verbale o fisico. La personalità è organizzata e strutturata, essa sta

"dietro" il comportamento e "all'interno" dell'individuo. Le forze della personalità possono essere inibite e si trovano a un livello più profondo (inconscio) di quelle che si esprimono nel comportamento manifesto; esse sono "bisogni" (spinte, desideri, pulsioni emotive) che variano ed interagiscono con altri bisogni in modo equilibrato o contrastante.

L'importanza della concezione freudiana della personalità come struttura sta nel fatto che "La personalità autoritaria" si propone di scoprire le correlazioni tra l'ideologia e i fattori sociologici del passato dell'uomo, contro ogni l'inclinazione ad attribuire le tendenze nell'individuo ad un qualche elemento "innato", "connaturato" o razziale" nell'uomo.


_Antisemitismo


-Partendo dall'idea che il pregiudizio fosse fondato su fattori nascosti ed interni al soggetto ed alla sua situazione piuttosto che su caratteristiche reali degli Ebrei, gli autori proposero una nuova concezione di antisemitismo visto come una vera e propria ideologia, verso quale un individuo può essere più o meno suscettibile secondo i suoi bisogni psicologici.

L'antisemitismo come ideologia è un sistema relativamente organizzato e stabile e che implica opinioni negative sugli Ebrei (sono privi di scrupoli, esclusivisti, avidi di potere), atteggiamenti ostili (devono venire esclusi, ristretti, posti in subordinazione ai Gentili), e valori morali che ispirano e giustificano tali opinioni ed atteggiamenti, la maggior parte delle volte, in modo contraddittorio e irrazionale.

-Una delle caratteristiche principali dell'ideologia antisemitica è la stereotipia, che assume forme diverse: è una tendenza a generalizzare caratteristiche del singolo individuo, è esprimere accordo con enunciati del tipo "gli Ebrei sono" o "gli Ebrei non fanno", è un'immagine negativa stereotipata del gruppo come se "conoscerne uno fosse come conoscerli tutti", è la stereotipia delle relazioni ed esperienze inter-personali, secondo la quale l'Ebreo non è visto o trattato come individuo ma come un campione dell'immagine stereotipata del gruppo.

-Nell'antisemitismo vi sono temi ed idee unificatrici che stanno a base delle opinioni al fine di dare a queste una certa coerenza: la più centrale è l'idea che gli Ebrei costituiscono una "minaccia".

Questa idea nasce dalla distinzione categoriale e dal contrasto tra "violatori dei valori" (moralmente minacciosi) e "sostenitori dei valori" (moralmente puri).

A questa scala di valori (che comprende la pulizia, l'ordine, la conformità, l'opposizione alla sensualità, all'intrusione, al lusso, all'esibizionismo) è dato un sostegno emotivo particolarmente inamovibile dai soggetti ad alto punteggio, che con altrettanta intensità respingono i supposti violatori dei valori. Tale rigidità fa supporre che questi atteggiamenti superficiali siano dovuti a motivazioni ben più profonde: è il meccanismo che la psicologia chiama "proiezione".

La proiezione è un meccanismo di difesa consistente nell'attribuire ad altre persone caratteristiche che in realtà sono proprie di noi stessi ma la cui presenza viene ignorata o negata; è possibile che gli antisemiti lottino inconsciamente per inibire in se stessi quelle caratteristiche che (modificate in modo più negativo) trovano negli Ebrei, rivolgendo a loro quella stessa aggressività che rifiutano di rivolgere a se stessi.

-Le ricerche effettuate inoltre mostrano un dato che non poggia su alcuna base logica o razionale: una delle grandi accuse rivolte agli Ebrei è di essere "esclusivisti" e snob, di occuparsi solo dei propri affari e non di quelli dell'intera comunità, di non dare alcun aiuto alla società e di sfruttare gli altri. La richiesta dell'antisemita è che gli Ebrei perdano la loro identità culturale, aderiscano ai modi culturali prevalenti e si conformino alla massa.

La contraddizione sta nel fatto che nel caso in cui un Ebreo sia disposto ad essere "assimilato" questo verrebbe visto (dallo stesso antisemita che lamentava l'esclusivismo) non come un atteggiamento positivo ma come una "interferenza", una "sete di potere" e una "imitazione". E' un paradosso storico ricorrente che coloro i quali richiedono "l'integrazione nel sistema" facciano del loro meglio per impedirla, ciò mostra in pieno l'irrazionalismo (o anti-razionalismo) che permea l'ideologia antisemitica.

-Aspetto dell'antisemita è la presenza di timori giustificazionisti: uno di questi è il timore della contaminazione.

Il timore della contaminazione consiste nella paura che gli Ebrei potrebbero avere un'influenza corruttrice o degenerante se avessero dei contatti intimi o frequenti con i Gentili; aspetti della "contaminazione ebraica" sono il libero amore, il radicalismo, l'ateismo, il relativismo morale, le tendenze moderne nell'arte e nella letteratura, aspetti totalmente assenti nella cultura ebraica.

Questo timore è utile ai Gentili per la razionalizzazione e la giustificazione di diverse contraddizioni evidenti: permette loro di attribuire agli Ebrei la colpa della maggior parte dei problemi sociali e giustifica i sentimenti e le azioni ostili e discriminatorie.

-Importante è il carattere "funzionale" dell'antisemitismo, che spiega come l'Ebreo possa, nell'antisemita, prendere il posto di certi timori infantili verso chi è diverso, verso l'"uomo nero"; spiega inoltre l'esistenza di un antisemitismo "manipolativo", secondo cui l'individualismo Ebreo rappresenta una provocazione alla stereotipia ed un'accezione nevrotica di quelle relazioni umane di cui l'antisemita è carente.

- L'Ebreo è un "nemico immaginario", è espressione di una fantasia di onnipotenza dovuta a timori paranoici, egli, nella mente dell'antisemita, è "onnipresente", rappresenta una persecuzione giacché vuole sottomettere qualunque società o persona con cui viene a contatto.

-Lo scopo dell'antisemitismo, sul piano della psicologia, è lo stesso su cui fecero leva gli scrittori e agitatori antisemiti: esso si basa sull'idea che gli Ebrei costituiscono la chiave di qualsiasi questione, che essi sono tutti uguali e che possono essere riconosciuti come un problema senza eccezione alcuna. E' proprio questa pretesa ed illusione di onniscienza e sicurezza fra le motivazioni principali dell'attrazione di un individuo (che in altre occasioni si è dimostrato "ragionevole") all'ideologia antisemitica.

-Una delle più grandi contraddizioni e "dilemmi" dell'antisemita è la discordanza tra il giudizio e l'esperienza: anche se le prove, cioè le esperienze di "contatto", sono positive o assenti, il giudizio negativo è così forte e radicato nella mente dell'antisemita che non ha bisogno di trovar prove o dimostrazioni.

-Ma non basta essere solo accusatore, l'antisemita vuole essere anche giudice. Il concetto di giustizia, come d'altronde ogni caratteristica di questa ideologia, è del tutto distorto: vi è una totale sproporzione tra colpa e punizione per la quale, anche qualora le accuse verso gli ebrei fossero fondate, non è giustificata il tipo di violenza e la volontà di eliminare l'oggetto del proprio odio per colpe che, se commesse da un Gentile, sarebbero punite in modo umano e ragionevole.

_Etnocentrismo


L'etnocentrismo (studiato anche questo come ideologia) è fondato su una distinzione generale e rigida tra gruppo interno e gruppo esterno; esso implica una serie di immagini positive ed atteggiamenti di sottomissione stereotipati riguardo ai gruppi interni, e una divisione gerarchica e autoritaria dell'interazione tra i gruppi, nella quale i gruppi interni occupano una posizione di predominio ed i gruppi esterni una posizione di subordinazione.

Mentre il concetto di "gruppo" è puramente sociologico ed implica concetti come la Nazione o la classe sociale, i concetti di "gruppo interno" e "gruppo esterno" sono socio-psicologici, perché si rifanno all'identificazione o alla controidentificazione di un individuo nel gruppo piuttosto che all'appartenenza formale.

Caratteristiche fondamentali dell'ideologia etnocentrica sono la "generalità" del rifiuto del gruppo esterno, che implica che l'individuo si senta minacciato e sia avverso a tutti quei gruppi verso i quali non prova senso di appartenenza (se non può identificarvisi deve opporvisi), e lo "spostamento" del gruppo esterno tra vari livelli di organizzazione sociale. Secondo questo "spostamento" il mondo è ordinato in gruppi disposti come circoli concentrici intorno al centro di un bersaglio: ogni circolo è una distinzione tra gruppo esterno ed interno, ogni linea è una barriera che separa un gruppo dall'altro. Una "mappa" campione più volte riscontrata è la seguente: bianchi, Americani, Americani nati in America, Cristiani, Protestanti, Californiani, la mia famiglia, io.

Il conflitto tra gruppi è considerato dall'etnocentrico come insolubile, la giustizia e le uniche soluzioni proposte dal gruppo interno sono: liquidare completamente i gruppi esterni, mantenerli subordinati o segregarli.

Il bisogno di un gruppo esterno impedisce agli individui etnocentrici l'identificazione con l'umanità e la capacità di accostarsi agli individui in quanto individui, assumendo la forma politica del nazionalismo ed idee di intrinseca malvagità della natura umana. L'alternativa democratica che si trova nell'anti-etnocentrismo è l'umanitarismo, che non è un astratto "amore per tutti", ma è la capacità di provare simpatie ed antipatie e di opporsi agli individui solo sulla base di esperienze concrete.

_Le tendenze antidemocratiche


Il fascismo (intendendo il termine nel senso lato di anti-democrazia) per avere successo come movimento politico deve possedere una base di massa, e poiché per sua natura non è in grado di dimostrare che potrà migliorare la situazione della maggiorana della popolazione, deve fare appello non all'interesse razionale, bensì ai bisogni emotivi, ai desideri, ai timori primitivi ed irrazionali. Quindi, perché la gente si lascia ingannare tanto facilmente dalla propaganda fascista? Perché all'interno della struttura della personalità di molti individui esistono le potenzialità anti-democratiche, che sono attivate dalla propaganda e dai capi carismatici tenendo conto in ogni momento della psicologia della popolazione.

Secondo questa convinzione è stata avviata la costruzione di una scala che misurasse il pregiudizio senza lasciar trasparire e senza menzionare alcun odio o avversione razziale per le minoranze, al fine di fornire una valutazione valida delle tendenze anti-democratiche e di costruire il quadro dell'individuo "potenzialmente fascista" per avviare un programma di azione democratica.

Conclusioni


Lo studio ha portato ad individuare due modelli di personalità: da una parte il modello autoritario in tutte le sue sfaccettature, dall'altra il modello democratico; tali modelli non sono da considerare in termini assoluti poichè fra l'uno e l'altro si possono distinguere numerose sottovarietà (es. razzisti convenzionali e psicopatici).

In entrambi i modelli le manifestazioni della loro essenza si manifestano in una grande varietà di campi, che vanno dagli aspetti più intimi dell'adattamento familiare e sessuale alle relazioni sociali, alla religione e alla politica.

Nel modello autoritario un rapporto gerarchico, di sfruttamento tra genitore e figlio, tenderà a tradursi in un atteggiamento orientato verso il potere e di dipendenza in vista dello sfruttamento nei confronti del proprio compagno e del proprio Dio, portandolo ad un attaccamento disperato a tutto ciò che appare forte (il gruppo, il partito, la legge, lo stato, la razza ecc.) e un rifiuto di tutto ciò che è relegato al fondo.

Il modello democratico è caratterizzato da relazioni interpersonali affettuose, fondamentalmente egualitarie e permissive, che portano ad un atteggiamento di maggiore flessibilità e ad una potenzialità di soddisfazioni più genuine.

Quali contro-misure adottare contro l'intera struttura dell'atteggiamento del pregiudizio?

Le misure dirette ad opporsi razionalmente alla discriminazione sociale non sono state efficaci, in quanto non ci si può aspettare che gli argomenti razionali producano effetti profondi o durevoli su un fenomeno che è irrazionale nella sua natura essenziale. Anche deviare l'ostilità da un gruppo di minoranza potrebbe essere inutile e controproducente perché, non agendo sulla natura intrinsecamente psicologica del problema, essa si dirigerebbe contro un altro gruppo.

La cura del sintomo piuttosto che del male stesso può, quindi, dare risultati negativi, anche se non è da svalutare tale attività, che può servire a mantenere sotto controllo l'individuo potenzialmente fascista.

Ma, un atteggiamento opposto, dovuto alla diminuzione dello sforzo a causa dell'enormità del problema fondamentale, sarebbe a sua volta negativo perché frenerebbe la ricerca e l'entusiasmo, aprendo la strada all'indifferenza e alla rassegnazione.

In conclusione, la soluzione ottimale è quella di agire sulla struttura della personalità, in un periodo della vita precedente a quello in cui l'individuo manifesta gli atteggiamenti anti-democratici e autoritari.

Anche per questi aspetti della personalità occorre agire sulla crescita del bambino, che deve essere genuinamente amato e trattato come essere umano individuale.

La difficoltà di attuare un'azione corretta consiste nel fatto che questa deve essere praticata soprattutto dai genitori, e non solo è difficile per i genitori etnocentrici, per i quali le misure prescritte sarebbero impossibili, ma anche per i genitori che, con le migliori intenzioni e sentimenti, sono ostacolati dal bisogno di modellare in modo che egli trovi un posto nel mondo così com'è.

La struttura potenzialmente fascista non può, quindi, essere modificata unicamente con la psicologia, in quanto essa, come la nevrosi, la delinquenza e il nazionalismo, è prodotto dell'organizzazione totale della società, che può essere mutato soltanto mutando la società.

Non rivoluzioni violente o riforme sociali, ma l'aumento nella capacità della gente di guardare a se stessa, possono mutare la struttura della personalità affetta da pregiudizi.

E' importante, in questo senso, non strumentalizzare la psicologia al fine di manipolare la gente; il suo utilizzo però può attuare quella presa di coscienza che permetterebbe agli individui di riconoscere che il fascismo è qualcosa di imposto e contrario ai loro interessi.

E' proprio il fatto che il modello potenzialmente fascista è in larga misura imposto alla gente a consentire qualche speranza per il futuro.

La speranza è quella che chi ha sempre creduto nella tolleranza, nella democrazia, nella pace, nella concordia dei popoli e nell'umanità, in quanto più felice, possa essere da esempio per il mondo intero.

Se il timore e la distruttività sono le principali fonti emotive del fascismo, l'eros appartiene soprattutto alla democrazia.












Èmile Durkheim







Biografia


Nasce in una famiglia modesta ma erudita di ebrei praticanti e, anche a causa delle responsabilità derivategli dalla morte del padre, rabbino, avvenuta lui neppure ventenne, sviluppa un carattere impegnato e severo e la convinzione che al progresso intellettuale gli sforzi e le sofferenze contribuiscano più delle situazioni piacevoli. L'esperienza di vita di Durkeim è fortemente condizionata dalla sconfitta della Francia contro la Prussia e gli altri stati tedeschi (guerra dal 1870-71), infatti a seguito di questa l'Alsazia, terra di origine dei Durkheim, passò alla Germania. A seguito di ciò il padre di Emile per non divenire suddito germanico si trasferì a Parigi, fù qui che il futuro sociologo iniziò i suoi studi.I suoi successi scolastici gli consentono di accedere all'École Normal Superieure, dove studia filosofia. In questo periodo conosce Jean Jaurès, futuro leader del Partito Socialista Francese, come lui mosso da principi etici rivolti ai problemi della società. Nel 1882, avvia contemporaneamente alcune ricerche sulla divisione del lavoro sociale e su Montesquieu, nel 1887 ,inaugura a Bordeaux la cattedra di scienze sociali e di pedagogia.Nei suoi corsi tratta della solidarietà sociale, del suicidio, della "fisiologia" del diritto e dei costumi, del fatto morale e religioso, delle strutture educative e delle dottrine pedagogiche. Fin da quest'epoca, raccoglie attorno a sé un gruppo di discepoli e di collaboratori (suo nipote M. Mauss, R. Hertz, F. Simiand, e M.Halbwachs) e fonda l'Année sociologique (1896).

Nel 1902, diventa titolare della cattedra di scienza dell'educazione alla Sorbona, che, nel 1913, prenderà il nome di cattedra di educazione e sociologia. Vicino al partito socialista, dreyfusardo, fermamente convinto dell'evoluzione parallela dei progressi scientifici e tecnici da un lato e dei progressi sociale e morali dall'altro, ma anche dell'armonizzazione razionale e pacifica delle relazioni tra nazioni, cade nella disperazione all'atto della deflagrazione del conflitto mondiale del 1914 che infranse questo suo ottimismo intellettuale e che inghiottì numerosi collaboratori e anche il figlio André, nel 1916. Durkheim sopravvive alla sua morte solo un anno: morirà infatti nel 1917. Al di là dell'ambito prettamente accademico, le tesi durkheimiane si diffusero in Francia, in ambito storico (scuola delle Annales ), linguistico (Ferdinand de Saussure) ed etnologico grazie a Marcel Mauss. Furono introdotte nei paesi anglosassoni da R. Radcliffe-Brown (scuola di Chicago) e Br. Malinowski (Gran Bretagna), ma sotto una forma mutilata (la teoria funzionalista di Malinowski) o molto semplificata (la concezione del rito di Radcliffe-Brown). Le teorie di Durkheim conoscono un rinato interesse a partire degli anni '50 del Novecento, soprattutto per via del suo rifiuto dello psicologismo e per i suoi lavori di sociologia della conoscenza.


Introduzione

E.Durkheim è il fondatore della scuola sociologica francese. Le due opere più importanti di Durkheim. sono pietre miliari della cultura umanistica moderna: 'La divisione del lavoro sociale' e 'Sociologia del suicidio'. Ne 'La divisione del lavoro' il sociologo distingue tra solidarietà meccanica e solidarietà organica. La prima appartiene alle società primitive, in cui legami e vincoli sociali sono strutturati da una coscienza collettiva comune, la cui elevata intensità provoca sia reciprocità tra i membri e soccorso immediato nel momento del bisogno di uno di essi, che repressione per chi trasgredisce le norme e i principi vigenti.
La solidarietà organica invece è propria delle società moderne, in cui esiste una ripartizione di ruoli complessa, dovuta all'interdipendenza e ad un'accresciuta divisione del lavoro. Se la società moderna ha come pregio quello di permettere una maggiore libertà di scelta agli individui, dall'altro lato si possono riscontrare fenomeni come l'alienazione, la riduzione dell'uomo a macchina nella grande industria, la perdita dei piccoli gruppi e la comparsa delle folle.

Nella società moderna microcosmi sociali si intersecano e si compenetrano, le reti dei rapporti informali si intrecciano caoticamente con le reti dei rapporti informali. Allo stesso tempo la giornata tipo di un cittadino sembra essere suddivisa in due parti nettamente distinte: le relazioni lavorative, improntate sulla gerarchia e sull'esecuzione di ordini, e il tempo libero, in cui idealmente dovrebbe gestire i suoi veri interessi.
Per Durkheim quindi una maggiore divisione sociale del lavoro non comporta solo la presenza della solidarietà organica, ma anche problematiche difficili da affrontare e risolvere. La riduzione dell'uomo a macchina nella grande industria ad esempio per il sociologo è determinata da una divisione errata del lavoro: dalla divisione anomica del lavoro. Non solo, ma per Durkheim esiste anche la divisione costrittiva del lavoro, che è propria di società in cui ai cittadini non vengano date in partenza le stesse opportunità di crescita individuale e di istruzione.
Nell'opera 'Sociologia del suicidio' Durkheim non esclude, come molti erroneamente potrebbero pensare, le cause di natura psichica, che secondo la psichiatria moderna determinano l'estremo gesto, ma mette in luce sopratutto il rapporto tra scarsa coesione sociale(definita 'anomia') e suicidio. La società moderna per Durkheim è caratterizzata da una crisi del rapporto tra individui, dal disordine delle norme sociali e tutta questa sregolatezza collettiva porta alcuni soggetti più predisposti a sopprimersi.

Tra egoismo e anomia

Durkheim propone una prima e incompleta definizione: "si chiama suicidio qualsiasi tipo di morte che derivi mediatamente o immediatamente da un atto positivo o negativo compiuto dalla vittima stessa".

Considerando l'intenzionalità una categoria sostanzialmente insondabile, Durkheim pone l'elemento del "sacrificio sicuro della vita", come tratto distintivo del suicidio. Può dunque proporre una seconda, e definitiva, definizione: "si chiama suicidio qualsiasi tipo di morte che derivi direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo compiuto dalla vittima stessa, la quale sapeva che esso doveva produrre tale risultato". Pertanto, la ricerca dello studioso esclude il suicidio degli animali, per via del fatto che la nostra limitata comprensione della loro intelligenza preclude la possibilità di una rappresentazione dei processi della loro mente.Durkheim afferma, sulla base delle sue ricerche e delle sue indagini sul tasso di mortalità-suicidio, che "ogni società, in ciascun momento della sua storia, ha una determinata tendenza al suicidio".  considerato perciò, che questa tendenza si verifica in ogni società, allora l'analisi di tale "predisposizione" deve esser studio di competenza della Sociologia.Lobbiettivo dunque non è inventariare le condizioni compresenti nella genesi dei suicidi individuali: ma evidenziare quelle che costituiscono il "tasso sociale" dei suicidi.

"sociologia e suicidio

Il libro "sociologia e suicidio" è strutturato in tre parti: la prima, "I fattori extrasociali", è dedicata all'analisi dell'influenza delle cause extrasociali e delle cause propriamente sociali. La seconda, "Cause sociali e tipi sociali", indaga la natura delle cause sociali e i loro rapporti con gli stati individuali corrispondenti alle diverse specie di suicidi. La terza, "Il suicidio come fenomeno sociale in genere", ha carattere di sintesi e approfondimento dei rapporti tra suicidio ed altri fatti sociali, e propone un nuovo atteggiamento nei confronti del male del nostro tempo: l'anomia.

Fattori extra-sociali


Durkheim sostiene che due siano le cause extra-sociali alle quali si attribuisce la capacità d'incidere sul tasso dei suicidi: le disposizioni organico-psichiche (costituzione individuale) e la natura dell'ambiente fisico (clima, temperatura e via dicendo).

Durkheim giudica la follia una malattia e, in parte, un fenomeno sociale. È una malattia variabile, sensibilmente, a seconda dei popoli. Tuttavia,è difficile stabilire una stretta connessione tra alienazione e suicidio. Non necessariamente l'alienato è suicida: del resto, non dobbiamo dimenticare che presupposto chiave della definizione di suicidio, per Durkheim, è la "presenza a se stesso" del suicida. Pertanto, al di là dell'opportunità o meno di forzare le interpretazioni dei dati, la ricerca di Durkheim non può che enfatizzare l'assenza di connessione tra quella che giudica una malattia (la follia) e il suicidio.

Riferendosi alle categorie adottate da Jousset e Moreau de Tours, Durkeim classifica i suicidi degli alienati in quattro tipologie:

  1. Suicidio maniaco: dovuto ad allucinazioni o concezioni deliranti. Il malato si toglie la vita per motivazioni del tutto immaginarie. È una affezione contraddistinta da una straordinaria mobilità: alterazioni e rovesciamenti della mania sono improvvisi e considerevoli.
  2. Suicidio melanconico: legato a uno stato di estrema depressione.  Accompagnato da allucinazioni ed idee deliranti, tendenzialmente non mutevoli. Carattere cronico, estremamente tenace.
  3. Suicidio ossessivo: dovuto all'idea fissa della morte, impadronitasi della mente del malato. Senza motivo alcuno, reale o immaginario che sia. Comporta ansia nel paziente che s'oppone al male: se rinuncia alla lotta, sembra apparentemente tornare alla calma.
  4. Suicidio impulsivo o automatico: non è motivato, né sembra avere alcuna ragione d'essere: è l'esito d'un impulso brusco e irresistibile.

Nel caso dei non alienati, Durkheim riflette a proposito dell'incidenza della nevrastenia come - se non innesco - "humus" del suicidio. Considerando il dolore come "scossa troppo forte del sistema nervoso", e il nevrastenico alla stregua d'un ipersensibile per via della sua peculiare fragilità, lo studioso non esclude che la nevrastenia possa contribuire al suicidio; tuttavia in maniera non determinante, o almeno non esclusiva. Infatti: "in una società, la cui organizzazione è definita, l'individuo può mantenersi solo a condizione d'avere una costituzione mentale e morale ugualmente definita. Questo è proprio quel che manca al neuropatico". Ovviamente, nell'ottica durkheimiana, è la società contemporanea - e la vita nelle grandi città, in particolare - ad aver determinato la proliferazione dei nevrastenici.

Sulla base delle statistiche analizzate, lo studioso non manca di ricordare come il suicidio sia più diffuso nelle città che nelle campagne; che sia più frequente nelle classi più colte e agiate; particolarmente diffuso tra gli uomini (rapporto uomini-donne: 4 a 1); indipendente dalle stagioni, dai climi o dai mesi. Avviene, tendenzialmente, di giorno: a detta di Durkheim, ciò dipende dal fatto che le ore diurne sono destinate agli affari, alle relazioni umane, all'intensificarsi della socialità. Il malessere del potenziale suicida sembra esasperato per via della non integrazione o della non condivisione o della non partecipazione o del rifiuto operato dal "sistema". 
Il suicidio è estraneo a qualunque concetto di "ereditarietà". Il suicidio è una attitudine: una predisposizione dell'individuo innescata dall'ambiente famigliare e dalle vicissitudini della vita sociale.    

Cause sociali e tipi sociali

Nell'ambito dell'indagine sulle cause sociali, Durkheim, servendosi d'una quantità di dati impressionante,conclude che, l'incidenza della società coniugale sull'immunità degli uomini sposati sia minima; e che siano invece la società religiosa, domestica e politica ad avere un'influenza moderatrice sul suicidio.

A proposito delle religioni, di particolare interesse risulta l'analisi dei dati legati ai suicidi tra i protestanti. Durkheim paragona cattolicesimo, ebraismo e protestantesimo, e osserva come il cattolicesimo pretenda "una cieca sottomissione della coscienza" e come la variazione sia "in orrore" al suo pensiero; questo tratto distintivo è alieno allo spirito del libero esame di coscienza protestante. Quanto all'ebraismo, l'analisi potrebbe essere inficiata dalla cultura originaria dello studioso, figlio e nipote e pronipote di rabbi: tuttavia, considerando il suo problematico rapporto con la fede originaria, è encomiabile percepire e riconoscere l'equilibrio e il primitivo distacco nell'interpretazione dei suicidi tra i suoi fratelli. Suggestiva e tragica l'interpretazione che vuole che ridotto sia il numero dei suicidi, tra gli ebrei, per via della solidarietà derivata dalle barbare persecuzioni dei cristiani. Fascinosi gli excursus legati alla sostanziale assenza di norme riservate al suicidio nella Bibbia.

Tre sono i tipi di suicidi analizzati in questa parte del libro: il suicidio egoistico, il suicidio altruistico, il suicidio anomico. Il suicidio egoistico deriva da un'eccessiva affermazione dell'io individuale a danno dell'io sociale: è un segno del nostro tempo, contraddistinto da un eccessivo individualismo. Il suicidio altruistico è diviso in tre varietà: "il suicidio altruistico obbligatorio, il suicidio altruistico facoltativo, il suicidio altruistico acuto, di cui il suicidio mistico è il modello perfetto. In queste tre diverse forme, esso contrasta, nel modo più impressionante, col suicidio egoistico. L'una è legata alla dura morale che ritiene cosa da nulla quello che interessa solamente l'individuo; l'altra è solidale a quell'etica raffinata che mette così in alto la personalità umana da non volerla subordinata a nulla. Fra le due varietà vi è perciò tutta la distanza che separa i popoli primitivi dalle nazioni più colte" Il suicidio anomico è il rovescio della medaglia del suicidio egoistico.
Non dipende da come gli individui entrano a far parte di una società: ma da come ne sono sottomessi. Dipende dal disordine della nostra società: non dalle crisi economiche o dalle fasi di recessione, ma - più in generale - dalle fasi di trasformazione e di frantumazione dell'equilibrio sociale. Da tutto quel che turba l'ordine collettivo: scrive Durkheim: "ogni rottura d'equilibrio, anche se apportatrice di un maggior benessere e di aumento della vitalità generale, spinge alla morte volontaria"

In conclusione: "il suicidio egoistico deriva dal fatto che gli uomini non trovano più una ragion d'essere nella vita; il suicidio altruistico, dal fatto che questa ragione gli sembra al di fuori della stessa vita; il suicidio anomico, dal fatto che la loro attività non è più regolata, e ne soffrono". Non possiamo parlare, in sostanza, di "un suicidio": Durkheim è persuaso che molteplici, complesse e spesso antitetiche siano le cause dei suicidi. Rimedi non ne esistono: argini, probabilmente sì. Ma: "solo il contatto diretto delle cose può dare agli insegnamenti della scienza quella precisione che non hanno. Una volta stabilita l'esistenza del male, in cosa esso consista e da cosa dipenda, quando conosceremo, di conseguenza, i caratteri generali del rimedio ed il punto in cui dovrà esser applicato, l'essenziale non è aver formulato un piano che prevede tutto: l'essenziale è mettersi risolutamente all'opera" (E. Durkheim, 1897).

Della divisione del lavoro

In Della divisione del lavoro sociale, Durkheim si domanda come mai l'individuo diventa sempre più autonomo e al tempo stesso viene sempre più a dipendere dal resto della società. Infatti, lo sviluppo dell'individuo che caratterizza la modernità non è accompagnato da un indebolimento dei legami sociali, ma piuttosto da un cambiamento di questi ultimi. Le società premoderne (prive della divisione del lavoro) non conoscono spazi per le differenze e per le individualità, le unità sociali stanno insieme perché sono tutte simili e ugualmente sottoposte all'unità di grado superiore di cui fanno parte (l'individuo alla famiglia, la famiglia al clan, il clan alla tribù). 

E' una solidarietà "meccanica", come quella delle molecole di un corpo inorganico: e che sia una solidarietà meccanica appare evidente non appena si considerino i sistemi giuridici che vigono all'interno delle società premoderne, che sono tutti sistemi che adottano sanzioni repressive contro chi viola le leggi. Al contrario, nelle società moderne, in cui fortissima è la divisione del lavoro, ogni individuo e ogni gruppo svolge funzioni diverse: la solidarietà non si fonda più sull'uguaglianza ma sulla differenza; gli individui e i gruppi stanno infatti insieme perché nessuno è autosufficiente e tutti dipendono da altri. E gli stessi sistemi giuridici mirano non a reprimere, bensì a ristabilire l'equilibrio infranto da chi ha violato le norme (sono cioè sanzioni restitutive).

Questo tipo di solidarietà è detta "organica" da Durkheim. Interrogandosi sui fondamenti del consenso sociale che stabilizzano le società, Durkheim intende dimostrare che l'anomia crescente nelle società moderne industriali non è una mera fatalità ma è da mettere in stretta connessione con l'instaurazione, modifica e sviluppo di una morale corrente, di un sistema di valori condiviso e con la loro degenerazione.

A tale scopo Durkheim studia i tipi principali di stratificazione sociale in funzione del loro modo di determinare la coesione sociale. Fondamentale è a tal proposito la nozione di solidarietà, ovvero la coscienza sempre più interiorizzata che gli individui hanno di convivere in società e di sposarne i valori fondativi-aggregativi. Secondo Durkheim, con una legge di complessità strutturale crescente, sotto l'influenza del fattore demografico, le società passano dalla prevalenza della solidarietà "meccanica" a quella della solidarietà "organica".

Ma l'aumento in volume e in densità della popolazione ha realmente un effetto soltanto in virtù della densità "morale" o "dinamica" (numero e frequenza degli scambi sociali), la cui crescita causa a sua volta l'evoluzione dei quadri sociali. La solidarietà meccanica è caratterizzata dalla giustapposizione di segmenti sociali equivalenti (ordini, clan), e l'accettazione da parte dei singoli dei presupposti della coesione collettiva tramite funzioni repressive. In questo stadio gli individui vengono colti per somiglianza e la personalità individuale è assorbita in quella collettiva.

In quest'ambito prevale un diritto di tipo prescrittivo (o penale). Il vincolo di solidarietà sociale al quale corrisponde il diritto repressivo è quello la cui rottura costituisce il reato; chiamiamo così ogni atto che, in qualche grado, determina contro il suo autore la reazione caratteristica denominata pena. La solidarietà organica si manifesta attraverso la differenziazione di funzioni specializzate (altrimenti detta divisione del lavoro) che implica la cooperazione cosciente e libera degli agenti sociali, quindi lo sviluppo della contrattualizzazione delle relazioni sociali e la nascita dello Stato moderno democratico, centralizzato, gestionale, e la conseguente concezione dell'individuo come persona. In quest'ambito prevale l'adozione di un diritto di tipo restituivo (o privato).

Più specificamente per diritto restituivo Durkheim intende un sistema definito che comprende il diritto domestico, il diritto contrattuale, il diritto commerciale, il diritto delle procedure, il diritto amministrativo e costituzionale. Le relazioni regolate da tali diritti sono completamente diverse dalle precedenti: esse esprimono un concorso positivo, una cooperazione che deriva essenzialmente dalla divisione del lavoro. Durkheim riconosce alla divisione del lavoro soprattutto un carattere morale. Infatti in virtù di essa l'individuo ridiventa consapevole del suo stato di dipendenza nei confronti della società e del fatto che da questa provengono le forze che lo trattengono e lo frenano. In una parola, diventando la fonte eminente della solidarietà sociale, la divisione del lavoro diventa anche la base dell'ordine morale.


Le regole del metodo sociologico

La stesura dello scritto Della divisione del lavoro sociale del 1893 indusse Durkheim a misurarsi con le categorie da lui impiegate in quello scritto: in particolare, a domandarsi quali fossero e come funzionassero, in concreto, le "regole del metodo sociologico". Non tutto è "sociale" in una società: e il fatto sociale - ossia "l'integrazione degli individui in una comunità morale di significazione" - è poi irriducibile ai fatti psicologici e biologici. Si tratta di un fatto collettivo, obiettivo, non soggettivo né mentale, e rispondente a "leggi sociali" autonome dalla psicologia e dalla biologia.

"Quando adempio ai miei compiti di fratello, di coniuge o di cittadino quando onoro gli impegni che ho contratto, io eseguo dei doveri che sono definiti fuori di me e dei miei atti, nel diritto e nei costumi. Proprio quando sono d'accordo con i miei sentimenti più profondi e ne sento interiormente la realtà, questa non cessa di essere oggettiva; poiché i miei doveri non sono io ad averli fatti, ma li ho ricevuti con l'istruzione [.] La caratteristica essenziale dei fatti sociali consiste nel potere che essi hanno di esercitate dall'esterno una pressione sulle coscienze degli individui. [.] Un fatto sociale si riconosce dal potere di coercizione esterno che esso esercita o è suscettibile di esercitare sull'individuo".

E' dunque la coercizione o sanzione (contrainte) ai voleri dell'individuo che istituisce il fatto sociale. Posso decidere di portare le scarpe appese al collo, ma la riprovazione collettiva, non il fatto in sé, mi scoraggerà dal farlo.

D'altra parte, una società si manifesta come un "tutto": in ciò riposa l'olismo durkheimiano. Non è il risultato della somma di individui o di gruppi: è un luogo in cui le norme sono funzione dell'interdipendenza delle sue componenti (olismo). È vero che la società è composta da individui: ma è anche vero che essa è qualcosa di più che la semplice somma di individui, alla luce del fatto che "aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali danno vita ad un essere (psichico, se vogliamo) che però costituisce un'individualità psichica di nuovo genere". Detto altrimenti, nel caso della società, "è la forma del tutto che determina quella delle parti" (in opposizione a Durkheim, Max Weber muoverà dai singoli individui per spiegare la società).

Per questo motivo, bisogna guardarsi dallo spiegare i fatti sociali come frutto dei fatti psichici degli individui: piuttosto, nella maggior parte dei casi, i fatti psichici sono il "prolungamento" (così dice Durkheim) di fatti sociali all'interno della coscienza. Ciò appare evidente se, come suggerisce Durkheim, prestiamo attenzione al caso del matrimonio: è l'organizzazione sociale del matrimonio che fa nascere i sentimenti parentali, e non viceversa. Si può così valutare la normalità o il carattere patologico di un fatto sociale soltanto riportandolo al proprio contesto, alla tipicità esibita dalla società osservata in un periodo dato della propria evoluzione strutturale.

Di più: ogni società è un insieme di "fatti morali", una combinazione sui generis di istituzioni. Con istituzione, Durkheim designa ogni forma organizzata - famiglia, istruzione, giustizia - tesa ad un fine sociale, una funzione, che il criterio d'utilità non definisce né spiega: in effetti, "l'organo è indipendente dalla funzione", poiché "le cause che lo hanno posto in essere sono indipendenti dal fine a cui tende". L'analisi di Durkheim implica che se l'intersezione dei gruppi, l'interdipendenza costante delle istituzioni determinano il sociale, tutto, in una società, non dipende dalla funzione.

Così si trova in anticipo negato ogni valore esplicativo alle teorie funzionaliste del sociale nelle quali ogni item - idea, abitudine, oggetto, ecc. - è ritenuto, in quanto esistente, atto ad adempiere un fine necessario che si raggiungerebbe in un'unità fuori dalla storia: la soddisfazione di bisogni psicobiologici fondamentali. Al contrario, per Durkheim, se l'essere umano ha una capacità indefinita di desiderio, ed è ciò che segnalano i periodi d'anomia, l'espressione dei bisogni è sempre socialmente condizionata. Essi insomma non esistono fuori dalla società e solo in essa si soddisfano.

Durkheim farà delle istituzioni il suo oggetto primario di studio perché sono particolarmente obiettivabili, distinguono le società umane delle società animali e attestano l'unità del tipo umano. La sociologia comprenderà la morfologia sociale, che studia il substrato della vita collettiva (forma e ripartizione del gruppo sul territorio, dell' habitat, delle comunicazioni), e la fisiologia sociale, che studia la genesi ed il funzionamento delle istituzioni, le "correnti sociali libere", fonti delle trasformazioni o della creazione delle istituzioni.

_Obiettività dei fatti sociali

Proporre "di considerare i fatti sociali come delle cose", come fa Durkheim, non significa assimilarli a fatti materiali o classificarli in questa o quella categoria del reale, ma invitare a osservarli proprio come delle cose, le quali si oppongono all'idea come ciò che si scorge dall'esterno rispetto a ciò che si coglie dall'interno.

Ora la "familiarità" che ciascuno intrattiene con la sua società grazie a formulazioni "spontanee" (è spontaneo portare le scarpe ai piedi), le prenozioni, diffuse in ogni società e più o meno razionalizzate, sono, per Durkheim, "il primo ed il più grande ostacolo" alla comprensione scientifica dei fenomeni sociali, poiché sono essi stessi un fenomeno sociale. Inoltre, rappresentazioni e pratiche collettive soverchiano l'individuo con il loro numero, non sono perché gli preesistono e gli sono trasmessi attraverso l'educazione, ma anche perché esercitano su di lui un ascendente, un' autorità morale. Poiché l'introspezione conduce a razionalizzare degli "a priori", occorre abbordare i fenomeni sociali "staccati dai soggetti coscienti che se li rappresentano, "isolarli dalle manifestazioni individuali», cioè «studiare il fatto sociale con il fatto sociale".

Nella Divisione del lavoro sociale, Durkheim individuerà le forme della solidarietà sociale attribuendo loro quelle del diritto, individuabili ed analizzabili per mezzo delle sanzioni prevalenti. La generalità o la frequenza di un ordine di fenomeni, la costrizione/sanzione (contrainte) che esercitano possono fungere da indicatori ma non ne danno né la definizione né la spiegazione. Un fatto è generale e costrittivo soltanto perché sociale, e non l'inverso. Per "costrizione" (contrainte), Durkheim rinvia al carattere "spontaneo" della pressione sociale.


















Conclusioni


In seguito alla ricerca e alla lettura di temi trattati, quali appunto "la personalità autoritaria", "oltre lo storicismo" e "la storia della sociologia", ciascuno appartenenti a sociologi di diverso genere; abbiamo cercato oltre che di comprendere quanto si è letto, di tracciare anche un quadro ben definito dell'intero argomento da noi preso in considerazione.

Inizialmente abbiamo tentato di estrapolare i concetti più importanti di Adorno, Weber, e Durkheim., riscontrando però diverse difficoltà nel riassumere il tutto data la densità degli argomenti trattati da ciascun autore.

Nonostante tutto, siamo riusciti nell'intento di impostare la ricerca, in modo tale da renderla più comprensibile e interessante, arrivando infine ad approfondire nozioni riguardanti la società odierna, ma anche a conoscere i diversi aspetti delle società extra-europee.

Ci auguriamo che la nostra ricerca catturi il vostro interesse come ha fatto con noi.








































Bibliografia:


Adorno Theodor W. "lezioni di Sociologia" Torino, Enaudi editore,1966, traduzione di Alessandro Mazzone


Dahrendorf Ralf , "classi e conflitto di classe nella società industriale", Bari, Laterza, 1963


Durkheim Èmile ,"le regole del mondo sociologico", Milano, Comunità, 1963

"storia della sociologia",Bologna, Il Mulino, 1980



Garfinkel Harold, "studies in Ethnic Methodology", Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall, 1967


Goffman Erving, "la vita quotidiana come rappresentazione" Bologna, Il Mulino, 1969


Homans George C.," Fundamental Social Processes, in Sociology: An Indroduction", a cura di Neil J. Smelser, New York, Wiley, 1973


Mead George H., "Mente, Sè e società", Firenze, Giunti- Barbera, 1966


Smelser, Neil J.,"Social and Psycological Dimensions of Collective Behavior, in Essays in Sociological Explanation", Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall, 1968


Weber Max "Sociologia delle religioni",2 vol.,Torino,Utet, 1976

"Teoria della politca", Torino, Bobbio, 1984 el.Bovero. Firenze, Passigli

"Occidente e Società extraeuropee" Muller ,Bhavan ,1987

"Teoria della razionalità","razionalità e politica",Venezia, Arsenale,'80




Siti internet:


https://www.filosofico.net/adorno.htm#n32

_https://www.google.it

_https://www.msn.it







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