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Il femminismo




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IL FEMMINISMO



LE PRINCIPALI TAPPE DELL'EMANCIPAZIONE FEMMINILE


Nelle società industriali le donne si trovarono in una condizione di sostanziale sfruttamento, in molti casi svolgevano un doppio lavoro, in fabbrica e a casa, dove si occupavano dei lavori domestici e si prendevano cura della famiglia.

Anche le femministe erano divise su quali comportamenti adottare. Per alcune le donne dovevano andare a lavorare in fabbrica per equipararsi agli uomini, per altre no perché avrebbero finito con il fare due lavori troppo faticosi. Inoltre si discuteva già sulla necessità di assegnare alle casalinghe un dignitoso salario per ricompensarle del lavoro fatto.

Durante lo sviluppo della siderurgia le donne furono espulse dal processo produttivo, sia per l'introduzione delle macchine, sia perché tali lavori erano ritenuti troppo pesanti (ci sono, infatti, delle qualità considerate da sempre "maschili", come la forza muscolare, il coraggio fisico e morale, l'energia, il desiderio di eccellere, e altre considerate "femminili", come la remissività, la tenerezza, la dolcezza e la grazia; queste però non derivano da una legge di natura, perché la differenza biologica e fisiologica tra maschio e femmina non giustifica, di per sé, la sottomissione dell'una all'altro) e troppo qualificati (non le se riteneva all'altezza) per il sesso femminile, che viene definito debole.

Le donne dovevano (e spesso ancora oggi) obbedire e sottostare al capofamiglia senza nessuna opposizione. La subalternità è ribadita in tutti i suoi aspetti e nella tradizionale predominanza del marito che viene visto dotato di grande potere perché dispone del reddito per la famiglia. La polemica perciò investì l'intera struttura della società patriarcale: costume, morale, religione, diritto, politica. Com'è logico, l'attenzione delle femministe si accentrò sull'aspetto economico del problema, e si mise in luce la stretta connessione tra la subordinazione della donna e la conservazione del patrimonio familiare, destinato a passare integro ai figli, e lo sfruttamento di "manodopera" domestica assolutamente gratuita.

Anche le prime famiglie industriali sono a carattere patriarcale (tradizionalmente, il patriarcato concedeva al padre il possesso quasi totale della moglie e dei figli, compresa la facoltà di maltrattamenti fisici e non di rado anche quella di uccidere e di vendere) in quanto in fabbrica le donne vengono assunte se già il marito è occupato ed inoltre lui è responsabile del loro comportamento sul lavoro.

L'ideologia della famiglia borghese era detta "ideologia delle sfere separate"; cioè il lavoro è a sfera maschile e la casa è a sfera femminile. Inizialmente le donne accettarono completamente questa separazione, anzi la rivendicarono perché ciò dava loro un ampio raggio d'azione. L'essere le "signore del focolare" permetteva loro di influenzare e controllare le azioni degli uomini in generale ed in particolare dei propri mariti.

In un secondo momento riuscirono ad imporre parte della propria influenza nella vita d coppia in cui si andava strutturando la società. Si passa, infatti, da famiglie ampie e patriarcali a strutture più nucleari in cui la donna riesce a strappare al marito una certa libertà di manovra e di scelta. La donna, però non può ancora agire liberamente nella sfera pubblica, ma comincia a determinare parzialmente le scelte del marito, ad esempio in fatto di nascite e di sesso. Questa fase, in cui le donne rivendicarono una maggiore autonomia nelle scelte importanti per la propria vita, venne definita "femminismo domestico".

Le donne con un minor numero di figli da accudire ebbero più tempo libero, che permise loro di frequentare degli istituti per migliorare la propria istruzione; nacquero così i primi collegi femminili che avevano il compito di preparare le donne ad affrontare la dura vita del mondo del lavoro. Questo passaggio non fu facile, ma richiese dure lotte e trovò molti ostacoli negli uomini, alcuni dei quali sostenevano che la struttura fisica e psichica delle donne non fosse in grado di sostenere lo sforzo dell'insegnamento e dell'attività intellettiva.

Il passo successivo fu quello di voler svolgere le stesse professioni degli uomini. In molti paesi, grazie ad una capillare organizzazione politica femminista, a club appositamente fondati ed a giornali con cui combatterono la loro battaglia, riuscirono a raggiungere lo scopo e cioè ad avere la possibilità di misurarsi anche sul posto di lavoro con i membri dell'altro sesso.

Furono molti e forti i tentativi di opporsi alla libertà di attività delle donne. Ma nonostante queste opposizioni, l'assalto alle professioni diede gli esiti sperati e le donne, soprattutto nei paesi scandinavi e in quelli anglosassoni, riuscirono a svolgere attività molto simili a quelle dei colleghi maschi. Si assistette, così, al superamento in positivo dell'ideologia delle sfere separate; anche se alcune professioni come il diritto ed il commercio furono off limits per le donne, perché gli uomini le difesero e ne vollero preservare la propria esclusività di svolgimento.

Dal momento che furono le donne della classe borghese e cittadina a decidere quali prodotti acquistare nelle case, la pubblicità commerciale si rivolgeva a loro e ciò portò ad un interesse della pubblicità della grande industria consumistica per le donne, rafforzandone l'importanza tanto che presto iniziarono i movimenti politici per l'emancipazione femminile anche a livello politico e sociale e non più solo a livello di diritto all'eguaglianza.

Tutto ciò avvenne soprattutto negli Stati Uniti e non in Europa, dove il percorso fu più lento e difficoltoso. Soprattutto in Italia il pur iniziato ed affermato movimento di emancipazione femminile fu soffocato dall'avvento del fascismo che, regime autoritario e maschilista, trattò le donne come l'anello debole della società e venivano considerate utili solo per la procreazione e non venivano per nulla considerate in altri ambiti, soprattutto in quelli professionali, dove, anzi, furono approvate numerose norme che ne limitavano la libertà e la possibilità di carriera.

Le due grandi guerre erano state la grande occasione per le donne che, chiamate a sostituire gli uomini impegnati nella guerra, ebbero libero accesso alle professioni operaie ed entrarono in massa in quelle intellettuali. Una volta finita la guerra e tornata la pace, fu impossibile da parte degli uomini non riconoscere il ruolo svolto dalle donne e le loro finalmente riconosciute capacità.

Così le donne, lentamente, ma in maniera costante e progressiva, cominciarono ad inserirsi nel mondo del lavoro a fianco dei colleghi maschi dimostrando tutto il loro valore e le loro attitudini. Ciò che rimaneva da sancire definitivamente era una reale uguaglianza che fosse confermata e riconosciuta tanto nella legislazione degli stati, tanto nella mentalità comune. Si arriverà anche a questo in seguito ai movimenti femministi degli anni '60 e '70.
































COSA VUOL DIRE " FEMMINISMO"?


Il termine "femminismo" entrò  nell'uso e nel senso corrente a partire dal 1882 (prima di allora designava una malattia maschile). Con questo termine, in modo semplificativo, si può indicare:

La posizione di chi sostiene la parità politica,sociale ed economica tra i sessi,ritenendo che le donne sono state e che tuttora sono,in varie misure,discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate

La convinzione che il sesso biologico non dovrebbe essere il fattore pre-determinante che modella l'identità sociale o i diritti socio-politici o economici della persona;

Il movimento politico che ha rivendicato e rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini e che- in vari modi- si interessa alla comprensione delle dinamiche di oppressione di genere.

Il femminismo ha rimesso in discussione con un'analisi politica "a partire da sé"(autocoscienza), tutti i settori della società, della quale contestava l'aspetto ed il carattere fortemente maschilista, ed il fatto di essere retta su discriminazioni di sesso individuando i nessi esistenti tutt'oggi tra la sessualità ed i poteri.

Anche se la lotta contro la subordinazione della donna all'uomo fu il fulcro del femminismo, la teoria femminista al suo interno non è omogenea; ci sono infatti teorie contrastanti riguardo all'origine di questa subordinazione (tra chi la ritiene mera ineguaglianza o disparità giuridica, chi vera e propria oppressione sociale, chi differenza sessuale o di genere,ecc.), se lottare solo per le pari opportunità tra uomini e donne o anche sulla necessità o meno di criticare radicalmente le nozioni di "identità sessuale" e "identità di genere", o per eliminare alla radice i ruoli, la subordinazione e/o l'oppressione femminile.


L'autocoscienza

Abbiamo detto che il femminismo ha rimesso in discussione tutti i settori della società con un'analisi politica a partire da sé ed attraverso uno scambio con le altre donne all'interno del gruppo ed ora spieghiamo cosa si vuole intendere con il termine autocoscienza (avviata negli Stati Uniti intorno al 1966-67). Con questo termine si indicavano la rivisitazione e l'analisi della propria vicenda esistenziale, che portavano a rileggere le biografie individuali, le relazioni tra i sessi e l'insieme dei rapporti con la realtà sociale dal punto di vista dell'esperienza storica femminile, dando significato politico all'antica pratica sociale del parlare tra donne. Tutti gli aspetti della vita - dall'affettività, alla sessualità, ai ruoli familiari, alla collocazione nel lavoro, alle rappresentazioni culturali e sociali diffuse dei destini femminili - furono rimessi in discussione in un intreccio inscindibile tra presa di parola, riappropriazione del corpo e della sessualità femminile. Ciò comportò, da un lato, il rifiuto dei modelli di vita ereditari - quali le tradizionali forme di vita femminile, scandite dal matrimonio, dalla maternità, o quelle connotate da un percorso di "successo" sociale e professionale assimilabile ai modelli maschili - e dall'altro la ricerca di un'identità diversa e più libera.

Al centro del nuovo movimento femminile ci fu l'affermazione di un soggetto differente (nel primo la rivendicazione del diritto di cittadinanza contro le discriminazioni subite da un intero sesso) nell'esperienza, nel pensiero e nel corpo, che voleva trovare piena possibilità di espressione.

L'oralità, vale a dire le narrazioni e le riflessioni che si producevano all'interno dei gruppi di autocoscienza, fu certamente una caratteristica fondamentale del femminismo; tuttavia vennero anche prodotti e diffusi scritti che esprimevano analisi e intenti del nuovo movimento: manifesti, giornali (redatti in proprio), manuali per la conoscenza del corpo femminile, saggi e testimonianze autobiografiche.

Grazie a questi sforzi collettivi rivolti alla comprensione e alla ricostruzione di sé le donne riuscirono a correggere quello stato di "colonizzazione" o "negazione" di cui erano vittime, potendosi formare così immagini positive di loro stesse, discernere il proprio valore e proseguire i loro interessi.

Rivolta femminile fu uno dei primi e più importanti gruppi del femminismo italiano, che fin dalla sua costituzione pose al centro la pratica dell'autocoscienza. Qui riportiamo la parte iniziale del "Manifesto", diffuso come foglio volante a Roma nel 1970, in cui, attraverso la successione rapida e netta delle affermazioni, è possibile cogliere il senso del nuovo femminismo, nella sua forma più radicale.






"Le donne saranno sempre divise le une dalle altre?Non formeranno mai un corpo unico?"

La donna non va definita in rapporto all'uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà.

L'uomo non è il modello a cui adeguare il processo di scoperta di sé da parte della donna.

La donna è l'altro rispetto all'uomo. L'uomo è L'altro rispetto alla donna. L'uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna ai più alti livelli.

Identificare la donna all'uomo significa annullare l'ultima via di liberazione.

Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo perché è invivibile,ma esprimere il suo senso dell'esistenza.


C.Lonzi,Sputiamo su Hegel,Scritti di Rivolta femminile,Milano 1974


La prassi della separazione e della distinzione

In che senso si poteva ritenere che le donne formassero un corpo unico?

Adottarono lessici politici allora dominanti all'interno della sinistra, alcune di loro fecero ricorso alla terminologia di classe. "Le donne rappresentano una classe oppressa. L'oppressione ai nostri danni è totale, riguarda ogni realtà della nostra vita", scrissero le americane Redstcking nel loro manifesto. Altre presero in prestito espressioni tipiche delle lotte anticoloniali e antirazziste, vedendo nelle donne una casta, un gruppo le cui condizioni erano ereditarie e immutabili, chiuso, perciò, in un sistema di dominio.

Altre ancora tentarono di coniare terminologie specifiche - evocando la "diversità" femminile, o concentrandosi sulla differenza sessuale o sull'importanza del genere - per spiegare le caratteristiche comuni all'esser donna. "La differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell'essere umano.il senso dell'esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra l'uomo e la donna è la differenza di base dell'umanità" dichiarò "Rivolta femminile" nella sua prima importante asserzione pubblicata.

Con vari accenni, dunque, le femministe lottarono per spiegare la natura delle caratteristiche comuni a tutte le donne, contravvenendo in maniera sistemica e intenzionale alle tradizionali distinzioni tra l'ambito del "personale" o "privato" e quello del "politico" o "pubblico". Il famoso slogan "il personale è politico" non si limitava a proclamare ufficialmente il rifiuto,da parte delle femministe,di lasciare che questioni come quelle concernenti i privilegi dei mariti all'interno del matrimonio,oppure la violenza sessuale,rimanessero confinate alle sottigliezze della complessa morale individuale,irraggiungibili per mezzo della discussione politica e pubblica. Piuttosto, "il personale è politico" denotò anche l'importanza che le femministe attribuivano la ricostruzione dell'io femminile. Il personale, in altre parole, rappresentava tanto un programma quanto uno spazio politico.

Questa preoccupazione per la specificità e la ricostruzione del soggetto femminile si rifletteva nella prassi sviluppata dai movimenti femministi in molti paesi, con analogie sorprendenti. La prassi della separazione e della distinzione, i cui elementi riapparivano, sia pure in forma diversa,da un movimento all'altro, evocava un mondo di donne in lotta con l'ambiente, volto contemporaneamente a ricostruire la soggettività femminile ed a promuovere l'ampliamento della sfera dei poteri della donna.

Non tutte le femministe approvarono il separatismo. Al contrario, si dovette ricorrere a dei confronti molto tesi per cercare di stabilire in che misura il femminismo avrebbe dovuto essere definito un movimento di sole donne. Tuttavia, nonostante le opinioni discordanti, l'esclusione degli uomini dalla maggior parte delle attività spesso emerse come principio organizzativo di base, motivato, almeno in parte, dalla necessità di stabilire e di difendere l'autonomia femminile.










LA STORIA


All'inizio il movimento femminista si impegnò su questioni quali il diritto al voto, l'istruzione, il lavoro, ecc., in seguito il movimento, superando la fase della rivendicazione della parità tra i sessi, cominciò ad affermare con forza la specificità dell'identità femminile mettendo in discussione le istituzioni sociali ed i valori dominanti nelle varie società.

Si può dire che il movimento femminista sia nato durante la rivoluzione francese quando Olympe de Gouges (1792) presentò al governo rivoluzionario una Dichiarazione dei diritti delle donne. Nel 1792, in Inghilterra, Mary Wollstonecraft scrisse: "Vindication of the Rights of Woman" con analogo contenuto. Nacque così un movimento (suffragette) molto attivo in Inghilterra, che si batteva per il diritto al voto delle donne, che fu ottenuto nel 1918.

Anche negli Stati Uniti il movimento delle donne fu attivissimo e mai violento, al contrario delle suffragette che arrivarono a dare fuoco a negozi ed edifici pubblici. Proprio negli Stati Uniti, però, accadde un fatto che ancora oggi viene commemorato l'8 marzo.

Nei primi giorni di marzo del 1908 a New York, le operaie dell'industria tessile Cotton avevano dato inizio ad una serie di proteste contro le inumane condizioni in cui erano costrette a lavorare. L'8 di quel mese il proprietario dell'industria, temendo azioni di sciopero e altre manifestazioni, bloccò le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Nello stabilimento scoppiò un incendio e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme. Nel 1910 a Copenhagen il primo Congresso Internazionale Femminile proclamò l'8 marzo Giornata Nazionale della donna.

Ma come si è arrivati ad associare la mimosa alla festa della donna? La scelta della mimosa come simbolo dell'8 marzo è stata fatta in Italia, esattamente nel 1946. L'UDI (Unione Donne Italiane) stava preparando il primo 8 marzo del Dopoguerra e si pose il problema di trovare un fiore che potesse caratterizzare questa Giornata femminile. Alle giovani donne romane piacquero quei fiori gialli profumatissimi, che avevano anche il vantaggio di fiorire proprio nel periodo giusto e non costavano tantissimo. Quindi la scelta della mimosa non ha un significato recondito, ideologico, ma fu una scelta semplice e casuale. Un'idea, però, di grande successo visto che si è riproposta sino ai giorni nostri.

In Italia il movimento per i diritti delle donne nacque in ritardo rispetto ad altri paesi; quando la rivoluzione industriale, alla fine del secolo scorso, cominciò ad occupare come forza lavoro anche le donne, si posero problemi come l'orario di lavoro da conciliare con il lavoro casalingo e la tutela della maternità. Si formarono, così, dei gruppi femminili che all'inizio erano formati per lo più da donne della borghesia. In seguito si unirono a loro anche movimenti di donne socialiste.


Gli anni '60:

La critica al "ruolo femminile" si manifestò a partire dal 1963 con l'uscita, negli Stati Uniti,del libro di Betty Friedan, "Mistica della femminilità", nel quale l'autrice denunciava il ruolo coatto di "sposa" e di "madre" della donna americana, e rivendicava l'uguaglianza della donna all'uomo nel campo professionale e politico (corrente "eguagliarista" del femminismo).

Nel 1966 la stessa Friedan insieme ad altre, fondò in America il National Organization for Women (NOW), rivendicando i diritti civili delle donne.


Gli anni '70:

Dal 1970 al 1980 il movimento femminista occidentale cominciò a porsi obiettivi rivoluzionari,negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Italia, ecc. Il via venne dato negli Stati Uniti, nel 1969,  dall'uscita del libro di Kate Millet, "Sexual politics", portabandiera della corrente radicale del femminismo, secondo il quale i rapporti tra i sessi sono rapporti di potere e il patriarcato tuttora vigente è un sistema di oppressione contro le donne.

Negli anni Settanta il movimento delle donne, almeno nella sua parte maggioritaria, centrò  le sue pratiche politiche dall'analisi della soggettività, che pure permane ancora oggi in alcuni gruppi, a un ambito sociale lottando per la conquista di più ampi diritti civili che hanno portato in Italia all'introduzione del divorzio nel 1970, alla modifica del diritto di famiglia nel 1975, all'istituzione dei consultori familiari, alla legge sulle pari opportunità, alla liberalizzazione dei contraccettivi e all'approvazione della legge che regola l'aborto nel 1978, alla costituzione dei Centri antiviolenza e alle Case delle donne.

Il neofemminismo in Italia


Durante gli anni Sessanta il movimento femminista classico venne superato per dare vita ad un nuovo movimento radicalmente mutato rispetto al precedente e favorito dal clima di forte contestazione di quegli anni.

Un ruolo di primo piano in questo movimento fu svolto dal Manifesto di Rivolta Femminile che illustrò i principali punti del programma neofemminista. Non si limitò a richiedere il diritto di voto, ma espanse i propri orizzonti sottolineando la necessità di modificare la struttura sociale. Il neofemminismo, cioè, volle distruggere il sistema politico perché riflesso di una società maschilista e patriarcale. La donna, quindi, deve diventare un soggetto attivo per non venire nuovamente esclusa dalla vita dell'uomo che vede in essa un pericolo.

Il nuovo movimento italiano, influenzato dalle idee americane, focalizzò la sua attenzione sulla diversità delle donne e adottò gli elementi discriminanti come punta di forza della loro azione destrutturatrice. Le donne portarono avanti le loro azioni con l'intento di distruggere completamente la tradizione politica creata dall'uomo per fondare una realtà in cui le loro discriminazioni siano pregi e punti di appoggio.

Il neofemminismo si avvicinò al movimento studentesco e ne condivise la critica delle istituzioni fondate sull'autoritarismo, quali scuola, famiglia, chiesa. Il movimento giovanile, però, ebbe una durata temporale, mentre quella del neofemminismo superò un tempo determinato e si identificò in una realtà permanente e non in un movimento di massa. Il movimento femminista si organizzò in collettivi femminili.

Il gruppo femminista più importante è l'UDI, tuttora esistente ma con il nome di "Unione Donne in Italia". Questa associazione venne fondata a Roma nel 1944, ma si costituì il 1° ottobre 1945 con il nome Unione Donne Italiane su impulso del Partito Comunista Italiano. Una delle fondatrici fu Lina Merlin, senatrice e autrice della celebre legge Merlin sulle case chiuse (1958).

Questo gruppo affonda le sue radici nei Gruppi di difesa della Donna che si sono opposti alla dittatura, all'occupazione e alla guerra per la ricostruzione di una Italia democratica, avviando un grande processo di emancipazione e libertà delle donne.

L'UDI è articolata sul territorio in Sede nazionale (Roma), Sedi locali, gruppi e singole donne che danno l'adesione all'UDI presso la Sede nazionale.

Questa unione organizzò i Congressi delle Donne. Il primo nel 1945 a Firenze. Il settimo nel 1964 dove venne proposta una prima riforma per il Diritto di Famiglia, dove le donne chiedevano la parità tra marito e moglie.

Nell'ottobre del 1959 ci fu una manifestazione di 4000 donne per rivendicare la pensione sociale alle casalinghe. Nel 1971, poi, a Roma per il Piano Nazionale degli Asili Nido, la cui legge vene approvata in seguito. Nel 1976, l'8 marzo, sfilano le donne dell'UDI assieme a quelle dei Colletivi femministi per legalizzare l'aborto, che è considerato un reato, e per la formazione immediata di consultori familiari, per fornire così un'educazione sessuale adeguata e per offrire gratuitamente gli anticoncezionali a chi ne ha bisogno. A questo proposito nacque un altro gruppo, il C.R.A.C. vale a dire il Comitato Romano per la liberalizzazione dell'Aborto e della Contraccezione.

A Roma venne scritto nel 1970 il Manifesto di Rivolta femminile che rappresenterà il testo di riferimento del neofemminismo italiano. Da Roma l'attività del gruppo si sposta a Milano e da qui nacquero vari gruppi omonimi a Torino, Genova, Firenze. Tra la fine degli anni 60 e l'inizio degli anni 70 si istituirono nuovi gruppi a Milano, il DEMAU e l'ANABASI.

Il primo documento del femminismo italiano porta la data del l° dicembre 1966 e si intitola Manifesto programmatico del gruppo DEMAU. DEMAU era l'abbreviazione di Demistificazione dell'autoritarismo patriarcale. Il tema centrale del manifesto fu la contraddizione tra donne e società.

Il principale bersaglio polemico del DEMAU fu la politica di "integrazione della donna nell'attuale società". La polemica fu indirizzata specialmente alle numerose associazioni e movimenti femminili che si interessarono della donna e della sua emancipazione.

Questo gruppo, quindi, analizzò e denunciò la situazione delle donne italiane nel contesto di una società maschilista e patriarcale.

Già nel 1959, però, il libro "Le italiane si confessano" di Gabriella Parca denunciava la situazione di assoluta dipendenza della donna e il suo stato di disagio che derivava da questa situazione. Il libro fece nascere uno scandalo perché la denuncia proveniva direttamente dalle donne. Non era più possibile continuare a pensare che la donna era soddisfatta del suo ruolo di moglie-madre al servizio dell'uomo e che si sentiva protetta nell'essere trattata come una minorenne.

Dovettero passare, però, dieci anni prima che nascesse il primo movimento femminista in Italia. Il primo segno fu la proposta di legge nel 1969 dei collettivi femminili del Movimento studentesco all'Università di Roma; in quest'occasione venne analizzata la condizione di supersfruttamento femminile. Nel documento si può leggere: "Sono i compagni stessi di lotta che non conoscono la portata dell'emarginazione della donna. ". Le studentesse del movimento si accorsero così di non essere considerate "alla pari" dai loro compagni di sesso maschile. Anche a Trento, Roma, Milano le studentesse si staccarono dal Movimento studentesco per formare gruppi femminili autonomi. Esse cominciarono ad elaborare idee e a pubblicare libri ed articoli, al contrario di prima, quando la loro personalità veniva completamente schiacciata.

Dall'Università di Trento uscirono vari gruppi femministi, di cui i più importanti furono quelli del Cerchio Spezzato (1972) e di Lotta femminista (1971).

Lo stesso gruppo di Lotta femminista si espanse in alte città, come Milano, Padova, Ferrara, Venezia, Modena.

Altri gruppi femministi italiani, non meno importanti, accettarono tra i loro aderenti anche gli uomini. Questi gruppi furono l'MLD (movimento per la Liberazione della Donna), e il FILF (Fronte Italiano di Liberazione Femminile).

L'MLD nacque nel 1969 dal Partito Radicale con obbiettivi immediati e concreti. Questi obbiettivi erano: l'informazione sui mezzi anticoncezionali anche nelle scuole e la loro distribuzione gratuita, la liberalizzazione e la legalizzazione dell'aborto, un'azione nella scuola per eliminare i programmi differenziati tra i due sessi e la creazione di asili nido. Per raggiungere questi obbiettivi erano previste proposte di legge ma anche disobbedienza civile di massa. Inoltre, questo movimento pubblicò il bimestrale "Donne e politica".

La campagna per la liberalizzazione dell'aborto si sviluppò, infatti, prima con una raccolta firme per un referendum popolare e poi con un'opposizione alla nuova legge discussa in Parlamento.

Il FILF nacque nel 1970 ed era organizzato in una struttura di tipo quasi autoritario. Era diretto da un Comitato promotore, di cui facevano parte anche gli uomini, e a cui si affiancavano i Nuclei Spontanei. Questo gruppo ha contribuito ad espandere una tematica femminista anche attraverso la rivista "Quarto Mondo".

Un altro gruppo nato nel 1970 fu Rivolta femminile che fu uno dei gruppi più separatisti; il gruppo rifiutò qualsiasi rapporto con la stampa perché diretta da uomini e non accettò la presenza di uomini nemmeno ai loro congressi. Nacque contemporaneamente a Roma e a Milano. Dopo di che questo gruppo si allargò e si divise in mille rami. Da quel gruppo ne derivarono altri che presero il nome di Collettivi femministi, tra cui il più numeroso e il più attivo fu quello romano.

Da quando il movimento arrivò in Italia non sono di certo mancate le manifestazioni e i congressi. La manifestazione più importante fu quella indetta a Roma l'8 marzo 1972 in occasione della Giornata internazionale della Donna, interrotta da un a brutale carica della polizia.

Man mano che il femminismo si affermò nacquero altri gruppi. Nel 1970 nacque l'ANABASI che pubblicò a Milano "Donne è bello", che affermava l'orgoglio di essere donne ricollegandosi allo slogan "black is beautiful" del movimento negro-americano. Le Nemesiache nacquero a Napoli e si occuparono di attività teatrale. Il Collettivo femminista di Torino, Cagliari e Gela. Poi, ce ne sono talmente tanti altri che è praticamente impossibile tracciare una mappa dei gruppi femministi.

Stesso discorso vale per le pubblicazioni che uscivano irregolarmente e venivano diffuse all'interno del movimento per canali propri. Le più importanti sono "Se ben che siamo donne", "Effe", "Mezzo cielo" e "Sottospora". Ci furono poi altre iniziative, come quella del Centro della Maddalena a Roma, che si occupò di teatro femminista, e a Milano dove si aprì una libreria ed una galleria d'arte che esponeva solo opere di donne.

Grazie a tutti questi gruppi e alle loro iniziative ci fu una lenta trasformazione della coscienza femminile, in tutti i livelli sociali, verso una maggiore autonomia.





LE CONQUISTE DEL '900


Dall'accresciuta partecipazione alla forza lavoro alla sempre maggiore incidenza del divorzio e del fenomeno delle ragazze madri,le condizioni esistenziali delle donne sono cambiate in modo significativo. Tuttavia,ancora prima che questi cambiamenti attirassero l'attenzione generale,il femminismo aveva colpito l'opinione pubblica con la rinnovata ed in parte inattesa capacità delle donne di rivendicare i propri diritti.

I segni di questa rinascita femminista si potrebbero intravedere in una vasta gamma di fenomeni, come ad esempio i clamorosi gesti che i media esaltarono come sintomo di rinnovato disordine: nel 1968, donne americane inscenarono "la sepoltura della femminilità tradizionale", con un fiaccolata in cui gettarono reggiseno, busti e ciglia finte nella "pattumiera della libertà", e molte altre.

Però più che sugli eventi pubblicizzati dai media, ci si potrebbe concentrare sui loro effetti politi, e sulle numerose leggi riformiste riguardanti le "questioni femminili", che diversi paesi approvarono negli anni '70 ed '80.


In Italia:

Parità salariale: Art. 37 della Costituzione,regolato da una legge solo nel '57. Con un accordo interconfederale del 1960 si decide l'eliminazione dai contratti collettivi nazionali di lavoro delle tabelle remunerative differenti per uomini e donne. Viene così sancita la parità formale e sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro.


Divorzio: La differenza fondamentale fra le leggi dello Stato italiano in materia di matrimonio e il diritto canonico verte sul fatto che per la Chiesa il matrimonio è un sacramento e pertanto non può essere sciolto,mentre per lo Stato il matrimonio può essere sciolto,dopo l'approvazione della legge 1 dicembre 1970,n. 898,relativa all'introduzione del divorzio nella nostra legislazione. La Chiesa,infatti,prevede solo casi di annullamento di un matrimonio. Con l'annullamento ecclesiastico il matrimonio perde tutte le sue caratteristiche di sacramento,perché è considerato come se non fosse mai stato celebrato:l'annullamento viene accordato se il matrimonio è viziato da difetto di volontà(incapacità consensuale) e per le simulazioni del consenso escludenti le proprietà essenziali del matrimonio. Lo Stato al contrario considera il matrimonio un contratto regolato da norme che tutelano i diritti e i doveri fra marito e moglie,scindibile quando esistano determinate condizioni previste dalla legge. La disciplina dello scioglimento dl matrimonio prevede che due coniugi che intendano divorziare possono farlo inoltrando domanda al tribunale:nella prassi normale è uno dei due che avanza la richiesta,e l'altro viene chiamato dal giudice ad esprimersi sullo scioglimento. La domanda di divorzio può essere inoltrata,quando siano trascorsi almeno tre anni dalla separazione giudiziale o consensuale omologata dal Tribunale. A norma dell'art.1,"il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile,quando esperito inutilmente il tentativo di conciliazione,accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostruita". Il  periodo molto lungo che deve intercorrere tra la separazione legale e la proclamazione dello scioglimento,garantisce che la decisione degli interessati sia sufficientemente meditata. La sentenza che pronuncia lo scioglimento stabilisce a quale dei due coniugi debba essere affidata la prole e quali siano gli obblighi e i diritti dell'altra parte rispetto al mantenimento,all'educazione e alla possibilità di trascorrere dei periodi con la prole stessa. La sentenza può anche prevedere che una parte sia costretta a pagare un assegno periodico all'ex coniuge. L'assegno può avere carattere assistenziale se l'ex coniuge destinatario si trova in stato di bisogno,risarcitorio se il fallimento del matrimonio è addebitabile all'ex coniuge che deve versare l'assegno,compensativo se l'ex coniuge beneficiario ha contribuito alla formazione del patrimonio familiare. L'assegno cessa in caso di nuove nozze di colui che ne gode. L'ex coniuge non conserva diritti ereditari nei confronti del patrimonio dell'altro. Tuttavia gli eredi possono essere obbligati al versamento di un assegno alimentare all'ex coniuge del defunto che ne aveva diritto prima della morte. La sentenza di scioglimento,a differenza di quella che pronuncia l'annullamento,non ha efficacia retroattiva.


Maternità: è fuori di dubbio che una delle cause che contribuiscono ad allontanare la donna dal lavoro è data dai figli. La maternità e l'accudimento dei bambini costituiscono un freno psicologico per la donna e una ragione per i datori di lavoro di limitare le assunzioni femminili. A questa situazione ha cercato di mettere riparo la legge 30 dicembre 1971,n. 1204,sulla tutela delle lavoratrici madri. La quale amplia ed estende i diritti introdotti dalla prima legge(L.860/1950)sui diritti e le tutele delle lavoratrici,che definisce per la prima volta le assenze per maternità,ore di allattamento e divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del bambino. Questa legge ha aumentato le garanzie di mantenimento del posto di lavoro delle lavoratrici madri già occupate.


Asili nido: La legge 1044 del 1971 ha come obiettivo realizzare un servizio a supporto delle famiglie e soprattutto delle donne,onde favorirne la permanenza nel mondo del lavoro anche dopo la nascita dei figli. Inoltre si è voluto affermare il diritto del bambino alla socializzazione e allo sviluppo armonico della sua personalità.


Diritto di famiglia: La legge del 19 maggio 1975,n. 151(nota come "riforma del diritto di famiglia"),introduce la parità tra uomini e donne nell'ambito familiare. Punti qualificanti della riforma sono stati:la completa parità giuridica(oltre che morale) dei coniugi;il riconoscimento dei figli naturali,con identici diritti successori per i figli naturali e per quelli legittimi(art. 566);un più incisivo intervento del giudice(Giudice tutelare o Tribunale per i Minorenni) nella vita della famiglia(artt. 145 e 155); l'istituzione della comunione legale dei beni fra i coniugi come regime patrimoniale legale della famiglia,in mancanza di diversa convenzione;la potestà esercitata da entrambi i coniugi subentrata alla patria potestà.


Legge di parità(in materia di lavoro): La legge 903 del 1977,ha rappresentato la più importante svolta culturale nei confronti delle donne. Si passa dal concetto di tutela per la donna lavoratrice al principio del diritto di parità nel campo del lavoro . vengono introdotte norme più avanzate in materia di maternità e primi elementi di condivisione fra i genitori nella cura dei figli. Nel marzo 2000 con la legge 53 sui "congedi parentali" questa legge ha recepito i nuovi diritti di paternità in materia di assenza facoltativa.


Interruzione volontaria della gravidanza:Fino al maggio del 1978 in Italia era ancora in vigore quella parte del codice Rocco che prevedeva punizioni molto severe per il reato di aborto e proclamava la necessità della tutela dell'integrità e della sanità della stirpe. In termini di legislazione sociale il fascismo si basava sul principio che lo stato deve imporre a tutti con la forza e con le leggi una concezione autoritaria della morale,senza lasciare ai cittadini la libertà nelle decisioni personali;nel caso della procreazione la morale statale era basata sull'affermazione che occorrevano molti cittadini per rendere forte l'Italia e che la razza italiana andava tutelata e rafforzata. A rafforzare questa mentalità contribuivano anche le norme dettate dalla Chiesa cattolica sul rispetto della vita umana fin dal momento del concepimento. Quando poi la donna,per ragioni personali,era posta nelle condizioni di procurarsi un aborto,oltre a correre nella maggioranza dei casi seri rischi per la salute e seri pericoli di fronte alla legge ,si trovava nella situazione di colei che si sente emarginata dalla società. Le gravi conseguenze individuali e sociali degli aborti clandestini unite alle modifiche nel costume provocate dalla crescente tendenza a togliere sacralità ai rapporti della coppia per interpretarli in senso civile e non religioso,hanno spinto le forze politiche a riprendere in esame tutta la normativa sull'aborto. In prima fila nella critica alle leggi fasciste sull'integrità della razza sono state le donne,principali interessate ai problemi della procreazione,soprattutto per voce dei movimenti femministi. In conseguenza delle modifiche del costume,si è giunti all'approvazione della legge 18 maggio 1978 n. 194,intitolata "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza". Questa legge ha avuto un iter molto tormentato,perché ha trovato ostacoli in molte sedi:in quella politica per la forte opposizione del partito cattolico;in quella religiosa dopo un dibattito teologico sulla presenza dell'anima del nascituro fin dal momento del concepimento;in quella giuridica per la chiarificazione del diritto personale del nascituro o del coinvolgimento del padre nella responsabilità della decisione della madre;in quella scientifica per la fissazione del momento in cui il feto assume le caratteristiche della persona e la definizione del periodo di gravidanza oltre il quale la pratica abortiva può risultare pericolosa per la madre. Questa legge ha come scopo principale la prevenzione delle gravidanze indesiderate,oltre che contrastare l'aborto clandestino,e stabilisce procedure diverse secondo che l'interruzione avvenga entro i primi novanta giorni o successivamente. Nel primo caso,la donna che accusa circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza,il parto o la maternità,comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica e psichica,in relazione al suo stato di salute od alle sue condizioni economiche,sociali o familiari,o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito,può rivolgersi ad un pubblico consultorio,o ad una struttura socio-sanitaria o ad un medico di sua fiducia. Il consultorio, la struttura o il medico di fiducia,dopo aver esaminato le possibili soluzioni dei problemi proposti,ed accertata l'urgenza dell'intervento,rilasciano immediatamente alla donna un certificato in base al quale può ottenere l'interruzione della gravidanza. Nei casi non urgenti,l'interruzione potrà essere fatta dopo un periodo di ripensamento di sette giorni. Nel secondo caso(interruzione dopo i primi novanta giorni)è possibile procedere solo quando la gravidanza od il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici,tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro,che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. L'interruzione della gravidanza è praticata da un medico dei reparti di ostetricia e ginecologia delle strutture ospedaliere,che non abbia preventivamente sollevato obiezioni di coscienza con dichiarazione comunicata all'autorità sanitaria. L'obiezione di coscienza può essere presentata anche dal personale esercente le attività sanitarie ausiliarie.

















Bibliografia e Fonti:


Alfredo Ferro e Olga Parri, Individuo e società - Antologia civica per il biennio, Firenze, 1979

Mario Zoli, Profili - Ottocento e Novecento - Antologia italiana per i bienni delle scuole medie superiori, Firenze, 1980

Gruppo editoriale Esselibri-Simone, L'assistente sociale, Napoli, 2004

Gabriella Parca, L'avventurosa storia del femminismo, Milano, 1976

Internet

https://www.udinazionale.org/

https://it.wikipedia.org

https://www.studenti.it/home/

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