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Fertilita', partecipazione femminile al lavoro: gli effetti delle politiche sociali




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FERTILITA', PARTECIPAZIONE FEMMINILE AL LAVORO: GLI EFFETTI DELLE POLITICHE SOCIALI


In tutti i paesi europei la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro è stata accompagnata da un forte declino della fertilità e     ciò in aperta contraddizione con gli obiettivi posti sia a livello di UE che nazionale.

Negli ultimi anni l'occupazione è cresciuta soprattuto per le donne, ma anche il tasso generale di disoccupazione è cresciuto (l'Italia ha ancora uno dei più bassi tassi di occupazione della UE) e quello femminile è

il doppio di quello maschile.


L'Unione Europea riconosce l'importanza della femminilizzazione del lavoro. Di fatto sta avviando un processo che porterà alla definizione di una strategia europea per l'occupazione il cui l'obiettivo è raggiungere il 60% di donne occupate entro il 2010.

Le politiche più efficaci offrono una combinazione di lavoro a tempo parziale, servizi per l'infanzia (asili nido) e congedo di maternità/paternità per il periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli (una opportunità già offerta in Danimarca, Svezia e Norvegia, dove, non a caso, sia i tassi di fertilità che di partecipazione femminile al lavoro sono molto elevati). In questo modo, le giovani madri sono in grado di continuare a lavorare anche nel periodo in cui assistere i figli è più importante, riuscendo così a mantenere un contatto importante con il mercato del lavoro.

Una soluzione alternativa consiste nell'introduzione di un lungo periodo di maternità, che consenta alle donne di dedicarsi a tempo pieno alla cura dei figli durante i primi tre anni di vita (come accade in Germania e in Francia). In questo caso, le giovani madri non perdono il posto di lavoro, tuttavia pagano costi importanti in termini di perdita di capitale umano ed esperienza e, quindi, di possibilità di carriera e crescita professionale.


Quando, invece, l'unica possibilità per lavorare è rappresentata dal tradizionale lavoro a tempo pieno, conciliare carriera e impegni familiari è più complicato, con conseguenti effetti negativi sulla fertilità.

Ciò è particolarmente vero quando non sono disponibili servizi per l'infanzia a costi accettabili (come in Italia e in Spagna).

Se è vero che la crescita della partecipazione delle donne al mondo del lavoro ne ha migliorato la capacità di contrattazione economica all'interno della famiglia e, di conseguenza, la distribuzione delle risorse all'interno dello stesso nucleo familiare e tra generazioni, ciò ha comportato costi in termini di benessere dei figli.


Il lavoro della madre durante l'infanzia sembra avere effetti negativi sia di breve che di lungo periodo sui figli. Gli effetti di breve periodo riguardano la capacità di adattamento socio-emotivo nonché gli esiti educativi in età infantile. Nel lungo periodo, invece, si notano risultati scolastici peggiori (rispetto a bambini le cui madri non lavoravano durante la loro infanzia) nella tarda adolescenza.

Crescere in una famiglia in cui la madre decide di lavorare sembra, quindi, avere conseguenze negative sui figli, probabilmente dovute al minor tempo a disposizione da poter trascorrere in famiglia.


La crescita del numero delle famiglie in cui si lavora in due ha importanti effetti sulla distribuzione del reddito inter e intra- familiare. A livello microeconomico, la trasformazione delle donne all'interno del nucleo familiare, da casalinghe a produttrici di reddito, ha reso i ruoli dei due partner maggiormente paritetici, con effetti potenzialmente rilevanti sulle risorse economiche familiari e sulla distribuzione del consumo e della


ricchezza. Ad esempio, i paesi che hanno un'elevata percentuale di famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano (a tutti i livelli di reddito e di scolarità) sono anche i paesi con la minor disuguaglianza dei redditi.


In paesi con bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, come l'Italia, sono auspicabili politiche sociali che permettano un'articolazione più flessibile degli orari di lavoro e un'espansione dei servizi per l'infanzia.


CONCLUSIONE


Siamo di fronte ad un'emergenza cui e la riflessione pedagogica (in particolare la pedagogia sociale e familiare) e una politica della famiglie e per la famiglia devono far fronte, insieme a tutta la società, intesa come comunità educante.

Dalle soluzioni adottate dipenderà il futuro delle generazioni e l'intera società italiana, inesorabilmente votata ad una progressiva diminuzione della natalità, con conseguenze sociali, culturali ed economiche di notevole rilevanza.

La famiglia è un bene troppo prezioso per rischiare di perderlo. Si rende necessaria, quindi, una pianificazione politica ed educativa che, da un lato, promuova e tuteli la donna, dall'altro incentivi la riscoperta del valore umano e sociale della famiglia.

Si avverte, oggi più di prima, l'esigenza di una riscoperta di valori ai quali educare le nuove generazioni.

Uomini e donne devono essere messi in grado di intraprendere percorsi progettuali a lungo termine, di investire in rapporti all'insegna della durata, dell'amore, della corresponsabilità nel divenire coniugi e genitori.





















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