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RECENSIONE “Gli occhiali d’oro” di Giorgio Bassani




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RECENSIONE

“Gli occhiali d’oro” di Giorgio Bassani, editore B.Mondadori, Trento, Giugno 1977, 7,40€, pp.151


Protagonista della narrazione è un otorinolaringoiatra nato a Venezia e poi trasferitosi a Ferrara, appartenente all’alta borghesia ferrarese, dove in breve tempo è riuscito ad affermarsi sia professionalmente sia socialmente; Athos Fadigati, questo il nome del medico, aveva conquistato la fiducia e il rispetto di tutta la società ferrarese, dalla nobiltà alla borghesia, dal ceto imprenditoriale a quell’operaio, partecipando più o meno attivamente alla vita mondana della città.

Uomo alto e molto robusto, era però scapolo, e presto questo suo disinteresse al matrimonio fece sorgere strane voci a proposito dei suoi gusti sessuali: la stoltezza popolare fece il resto, dichiarando la vita molto riservata che aveva sempre condotto Fadigati, un'ammissione di diversità, di colpevolezza, seppur ammirevolmente celata. Da qui il suo prestigio iniziò a diminuire.

Terminata la descrizione del medico e soprattutto della società ferrarese, il narratore dà il via alla seconda parte di questo romanzo, in cui egli entra in scena in prima persona, narrando del proprio incontro con Fadigati. L’io narrante è un ragazzo ebreo che frequentava gli studi universitari a Bologna, come molti altri suoi coetanei, e insieme con questi aveva creato una sorta di microcosmo all'interno di un vagone di terza classe che ogni mattina li portava appunto nel capoluogo emiliano.

Il dottor Fadigati cominciò a prendere lo stesso treno e cercò di allacciare una sorta d'amicizia con questi ragazzi, tentativo che si rivelò vano.

<<Dirò poi di Deliliers, che non gli rivolgeva mai la parola, affliggendolo, ogni volta che gli capitava, con trasparenti allusioni, con brutali doppisensi.

Ma lo stesso Nino Bottecchiari, al quale da bambino aveva levato le tonsille, ed era il solo a cui desse del tu, prese a trattarlo freddamente. E lui? Era strano, a vedersi, e anche penoso: più Nino e Deliliers moltiplicavano le sgarberie nei suoi confronti, e più lui si agitava nel vano tentativo di riuscire simpatico. Per una parola buona, uno sguardo di consenso, un sorriso divertito che gli fossero venuti dai due, avrebbe fatto qualsiasi cosa.>> (pp.53)

Il racconto si trasferisce poi all'estate del '37, quando il narratore si recò in villeggiatura a Riccione, dove fu immediatamente messo al corrente dello scandalo dell'anno: il soggiorno in coppia di Fadigati e Delilieris, un bel ragazzo molto ammirato in città.

Perde via via d’importanza il susseguirsi dei fatti, che diventa solo uno sfondo su cui la voce narrante riporta le opinioni, i commenti e le riflessioni da parte della 'Ferrara bene' in villeggiatura a Riccione.

La storia riparte poi con il litigio tra i due presunti 'fidanzatini', in seguito al quale l’io narrante cominciò a stringere amicizia con Fadigati, il quale era stato derubato di tutto da Delilieris.

Il ritorno a Ferrara, che aveva atteso con apprensione, divenne per il narratore un altro motivo di tristezza, poiché, nel clima delle leggi razziali appena emanate, non riuscì più a riconoscervi il nido della propria infanzia, e iniziò una momentanea amicizia col dottore, il quale stava vivendo a sua volta un lento declino economico e psicologico, convinto di non avere la forza per sfuggirne o per ricominciare da capo.

Infatti, sentendosi solo 'un vecchio disonorato senza più ragione alcuna di restare al mondo' il dottor Fadigati si tolse la vita buttandosi nel Po.

La conclusione risulta un po’ deludente: il narratore, il quale si era dilungato anche fin troppo in discorsi e descrizioni, tratta con superficialità l’episodio di principale importanza, il suicidio del dottore.

Questo testo, a metà tra il racconto ed il romanzo, presenta al suo interno una sorta di lenta evoluzione: con l'andare delle pagine, oltre ad un evidente e ben scandito passare degli anni, la crescita e l'evoluzione dei protagonisti, il susseguirsi dei fatti, sia quelli che costituiscono la trama sia quelli che fungono da sfondo, si ha anche uno spostamento dell'attenzione dell'autore da un personaggio ad un altro.

Infatti, il racconto inizia con il narratore che nel 1958 ricorda e analizza criticamente fatti a cui partecipò personalmente a partire dal 1919, quando era solo un bambino, e che si protrassero per tutto il ventennio fascista. Interessante è l’evoluzione che si manifesta nel ragazzo ebreo, il quale, inizialmente ostile al medico per la sua “diversità”, si sente via via sempre più vicino a lui. Ad avvicinarli è un comune destino di solitudine e d’emarginazione; di natura sessuale, in un caso, e religiosa nell’altro.

L’introduzione dell’io narrante è un'innovazione stilistica dirompente, vivacizza il romanzo di Bassani, rendendo scorrevole e fluente la lettura, arricchita da dialoghi diretti; stile analitico, chiaro, composto da lunghi periodi impostati su razionalità che crea un coinvolgimento emotivo del destinatario.

Il narratore, dietro cui forse si cela l'autore, non fa mai del tutto capire se Fadigati fosse veramente omosessuale o no, perché non era questo il fatto importante, sarebbero in ogni modo stati solo fatti suoi; quello che interessa Bassani e dare un'immagine chiara e realistica dei pregiudizi e della falsità ignorante che soprattutto la borghesia aveva nei confronti dei diversi, omosessuali prima di tutti.

Una cosa che salta subito all'occhio è come Bassani valorizzi la memoria, considerata un mezzo sì per non dimenticare, ma soprattutto per rivivere direttamente esperienze passate e poter così analizzare e soprattutto criticare a posteriori il proprio passato, le proprie scelte e i propri errori.

In questo romanzo in particolare, la memoria del narratore ci fornisce una viva immagine della Ferrara degli anni a cavallo tra le due guerre mondiali e soprattutto dei ferraresi, bigotti e ipocriti, più attenti a preservare e a giudicare le apparenze che a cercare di conoscere e a capire le situazioni e le persone com’erano in realtà.

L’appartenenza a mondi diversi emargina Fadigati e il narratore ai confini della società borghese

«Noto Professionista Ferrarese Annegato nelle acque del Po presso Pontelagoscuro»( pp.151)                                                                                               


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