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Un viaggio movimentato - Orazio - Satire




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Un viaggio movimentato - Orazio - Satire


Ariccia accolse me uscito dalla grande Roma con modesta ospitalità, (mi era) compagno Eliodoro, maestro di retorica, di gran lunga il più dotto dei greci, quini Forappio (città), pieno (=differtum) di marinai e di osti imbroglioni. (Noi) pigri dividemmo questo percorso, che è unico per coloro che sono cinti (=praecintis) più in alto di noi: la via Appia è meno faticosa per chi se la prende comoda (=tardis).

Qui io a causa dell'acqua, che era pessima, dichiaro guerra alla pancia, aspettando i compagni, che cenavano (=cenantis), di malumore. Ormai la notte si preparava a condurre le ombre sulla terra, e a spandere gli astri sul cielo; allora gli schiavi lanciano (=ingerere) insulti (=convicia) contro i marinai e questi contro gli schiavi: 'Approda qui!'; 'Ne carichi trecento?'; 'Aoh, è pieno'. Mentre si chiede il pedaggio, mentre si lega la mula passa un'intera ora. Le zanzare dispettose (=mali) e le rane della palude allontanano il sonno.

Il battelliere ubriaco (innaffiato= prolutus) da molti vinelli e un viaggiatore canta(no) (=cantat) l'amante lontana a gara (=certatim), finalmente il viaggiatore, stanco, comincia a dormire. Il battelliere, pigro, lega (=religat) a un sasso le redini (=retinacula) della mula mandata al pascolo (=pastum) e supino comincia a russare.

Ormai era giorno inoltrato quando ci accorgemmo che la barca era ferma finchè uno nervoso salta su e bastona con un salice sia la mula e il battelliere (la testa e i lombi). Infine veniamo sbarcati all'incirca alla quarta ora. Ci laviamo i volti e le mani nella tua acqua, o ninfa Feronia. Allora, Dopo aver fatto colazione, procediamo per tre miglia e saliamo verso Terracina, poggiata su rocce biancheggianti per lungo tratto. Qui stava per giungere l'ottimo Mecenate insieme a Cocceio, mandati entrambi come negoziatori di grandi questioni, soliti a restaurare il buon accordo tra amici divisi. Qui io cisposo cospargo sugli occhi neri colliri. Nel frattempo arriva Mecenate e Cocceio, e contemporaneamente Fonteio Capitone, uomo fatto fino alle unghie, amico di Antonio, come nessun altro di più. Lasciamo volentieri Fondi, dove era pretore Aufidio Lusco, prendendoci gioco delle insegne di quello sciocco funzionario, della sua pretesta e del laticlavio del suo braciere di incenso. Infine, stanchi, ci fermiamo nella città dei Mamurra, offrendoci murena, ospitalità e capitone la cucina. Il giorno dopo arriva molto gradito; infatti a Sinuessa, ci vengono incontro Plozio, Stazio e Virgilio, spiriti che la terra non generò più nobili (candide) e alle quali nessun altro è più legato di me. Io finchè sarò sano non preferirò niente a un caro amico. O quanti abbracci e quali scambievoli gioie ci furono. La casa, che è prossima a Ponte Causano, ci offrì rifugio, e i funzionari la legna e il sale. Da qui i muli depositano a tempo debito i basti a Capua. Mecenate va a giocare, io e Virgilio a dormire; infatti giocare a palla è dannoso ai cisposi e per chi è debole di stomaco. Da qui ci accoglie la sontuosissima villa di Cocceio che si trova al di sopra delle osterie di Caudio. E ora, o Musa, vorrei che tu mi ricordassi la battaglia del buffone Sarmento e del Messo Cicirro, e da quali padri nati entrambi vennero alle mani (attaccarono lite). Gli Osci (sono) la gloriosa stirpe di Messio, la padrona di Sarmento è ancora viva; nati da questi antenati vennero al combattimento. Per primo parla Sarmento: ' Io affermo che tu sia simile a un cavallo selvaggio'. Ridiamo; e lo stesso Messio: 'Accetto' e scuote la testa: 'O se la tua fronte fosse col corno tagliato, che cosa faresti se così mutilato minacciassi?' E a lui una cicatrice deturpante deturpava la fronte pelosa dalla parte sinistra. Dopo aver scherzato a lungo sulla malattia tipica dei campani gli chiedeva di danzare alla maniera del pastore Ciclope. Per lui non c'era necessità né della maschera né dei coturni nella tragedia. Cicirro rispondeva a questi suoi insulti. Chiedeva se avesse già donato la catena ai Lari come ex voto. Per il fatto che lui era uno scrivano il diritto della padrona su di lui non era per niente inferiore; infine chiedeva perché fosse fuggito; lui a cui una sola libbra di farro sarebbe stata sufficiente a lui così gracile e così mingherlino. In piena allegria prolunghiamo quella cena. Da qui ci dirigiamo direttamente a Benevento per una strada dritta, dove una ospitante (oste) premuroso quasi prese fuoco mentre arrostiva sul fuoco dei magri tordi: infatti la fiamma guizzante, essendosi sparso il fuoco nella vecchia cucina, si affrettava a lambire la sommità del tetto. Allora avresti potuto vedere i commensali affannati e i servi spaventati voler portare via (salvare) la cena e cercare di soffocare (le fiamme). Da quel momento l'Apulia incominciava a mostrarmi i noti monti che il vento di scirocco (Atabulus) brucia e che non (avremmo superato) arrampicandoci se non ci avesse accolto una locanda nelle vicinanze di Trevico, non senza fumo lacrimoso, poiché il camino brucia umidi rami con foglie.

Censura 82 - 86

Parte dettata 86 - 93

Da qui siamo portati via sui cocchi per 24000 passi, per fermarci in una cittadina che non è possibile citare in un verso ma che è possibile citare mediante contrassegni: qui l'acqua, che è la più modesta tra tutte le cose, si vende ma il pane è di gran lunga il migliore, sicchè il viaggiatore accorto suole portarsene sulle spalle in più (oltre); infatti a Canosa (il pane) è duro come la pietra, Canosa il quale luogo, non più ricco di un'urna d'acqua fu fondato dal Diomede forte. Qui Vario rattristato si congeda dagli amici piangenti.


Da qui arriviamo stanchi a Ruvo, poiché avevamo masticato un cammino lungo e reso malagevole dalla pioggia. Il giorno successivo è migliore, la strada è peggiore fino alle rive della pescosa Bari. Quindi Eguazia, costruita contro la volontà delle ninfe, ci diede riso e scherzo, mentre cercava di convincerci che l'incenso si consuma senza fiamma sulla soglia sacra. Brindisi è la fine della lunga satira e della lunga via.


Ancora sulla fuga del tempo - Orazio - Odi

Ahimè! O Postumo, o Postumo, gli anni scorrono via fugaci e la devozione religiosa non porterà indugio alle rughe (non ti salverà dalla morte), alla vecchiaia incalzante (che preme) e alla indomabile (indomita) morte, neppure se tu volessi placare, o amico, con trecento tori, per quanti giorni scorrono, l'inesorabile Plutone, il quale tiene chiusi in prigione Gerione dai tre vasti corpi e Tizio con la triste onda che certamente dev'essere oltrepassata da tutti quanti noi che ci nutriamo dei frutti della terra, sia che saremo dei re sia che saremo dei poveri contadini. Invano resteremo lontani dal sanguinoso Marte, e dai flutti infranti del rauco Adriatico, invano nelle stagioni autunnali temeremo il vento di scirocco che nuoce al corpo. Bisognerà visitare il nero Cocito che scorre tortuoso nella sua corrente sonnolenta e l'infame stirpe di Danao e Sisifo, figlio di Eolo, condannato alla dura fatica, bisognerà lasciare la terra e la casa e la moglie amata, e nessuno di questi alberi che coltivi, eccetto gli odiosi cipressi, seguirà te, padrone dalla breve vita (breve padrone). Un erede più degno consumerà fino in fondo i vini Cecubi custoditi con cento chiavi e tingerà il pavimento col puro vino superbo, migliore di quello delle cene dei pontefici.


Primavera che torna, tempo che va - Orazio - Odi

Il rigido inverno si dissolve per il gradito avvicendarsi (ritorno) della primavera e del Favonio (vento), e i rulli traggono in mare gli scafi asciutti né ormai il bestiame se la gode nelle stalle, o l'aratore (il contadino) vicino al fuoco né i prati biancheggiano per le candide brinate.

Già Venere Citerea conduce (guida) le danze mentre la luna risplende in alto e le Grazie leggiadre unite alle ninfe battono la terra con piede alterno mentre Vulcano ardente visita le faticose officine dei Ciclopi.

Ora conviene (è lecito) circondare il capo ben curato col verde mirto o coi fiori, che le terre sgelate producono; ora conviene anche immolare sacrifici a Fauno negli ombrosi boschi sia che richieda un agnello sia che preferisca un capretto.

La pallida morte bussa con giusta misura (uguale piede) alle catapecchie dei poveri e alle torri dei re.

O beato Sestio, la durata breve della vita ci impedisce una lunga speranza. Già incalza la notte e i Mani della favola (favolosi) e la casa angusta di Plutone: nella quale non appena sarai giunto non potrai tirare a sorte i governi del vino con i dadi, né potrai più ammirare il giovane Licida, per il quale ora tutta la gioventù si entusiasma e fra poco le fanciulle si accenderanno.


Fuoco e vino contro il gelo della tristezza - Orazio - Odi

Vedi come il Soratte si erge candido per l'alta neve e gli alberi affaticati non sostengono più il peso e i fiumi si sono solidificati per il gelo acuto. Sciogli il freddo ponendo largamente legna sul fuoco e spilla più generosamente (del solito) il puro vino vecchio di 4 anni dall'anfora Sabina (a due anse) (dalla due anse Sabina), o Taliarco.

Lascia il resto agli dei, i quali non appena avranno abbattuto i venti che lottano sul mare ribellante per la tempesta, né i cipressi né gli antichi olmi si agitano più (agiteranno?).

Rifuggi dal chiedere cosa avverrà domani e qualunque dei giorni la sorte ti darà (qualunque destino ti sarà dato) ascrivilo al guadagno, e non disprezzare tu, o fanciullo, i dolci amori né le danze finchè la canizie indugiante sta lontana da te che sei nel fiore (=virenti). Ora si ricerchino il Campo Marzio e i luoghi pubblici e i sussurri leggeri al cader della notte nell'ora prestabilita, ora anche è gradito (si ricerchi) il riso (gradito) rivelatore dall'angolo riparato della fanciulla che si nasconde e il pegno strappato dalle braccia o dal dito che male resiste.


Una ricetta per cogliere la vita - Orazio - Odi

Tu non chiedere, non è lecito saperlo, quale fine gli dei abbiano deciso per me, quale per te, o Leuconoe, e non consultare la cabala babilonese. Quanto è meglio accettare quel che sarà! Sia che Giove ci attribuisca più inverni (stagioni) sia (questo) l'ultimo che ora spossa (indebolisce) il mare Tirreno sulle opposte scogliere, sii saggia: cala il vino, e recidi una speranza (che è) lunga in rapporto a un tempo breve. Mentre noi parliamo, il tempo invidioso è già fuggito (sarà fuggito): cogli l'attimo (afferra il giorno), affidandoti il meno possibile al domani.














La realtà futura - Virgilio - Eneide

(Giunone parla con Giove)

'Per il Lazio, per la dignità dei tuoi, (supplico) te di questo che non è impedito da alcuna legge del fato: quando ormai con felici matrimoni (sia così!) comporranno la pace, quando ormai uniranno le leggi e i patti, non permettere nè che i Latini indigeni mutino l'antico nome e nè che diventino Troiani e siano chiamati Teucri o che gli uomini mutino lingua o cambino costumi. Viva il Lazio, vivano gli Albani per secoli, sia la stirpe (=propago) romana potente per il valore italico; Troia è morta (cadde), e lascia che sia caduta anche nel nome'.

Il creatore degli uomini e delle cose sorridendo disse: 'Sei sorella di Giove e l'altra prole di Saturno: rivolgi così grandi flussi d'ira nel petto. Ma orsù (=verum age) doma il furore vanamente (=frustra) intrapreso (=inceptum); concedo (=do) ciò che tu vuoi e mi arrendo vinto e volente.

Gli Ausoni manterranno la lingua e i costumi della patria, e il nome sarà com'è; i Teucri risiederanno misti solo col sangue, aggiungerò costume e riti di sacrifici; e renderò tutti Latini con una sola lingua.  La stirpe che da qui nascerà, mista di sangue Ausonio, vedrai andare sopra gli uomini e sopra gli dei per zelo religioso, nè alcun popolo celebrerà i tuoi culti (lodi) ugualmente'.


La ricetta della felicità - Virgilio - Georgiche

O agricoltori, fortunatissimi se conoscono i propri beni! per i quali la terra giustissima, essendo lontane le armi, fornisce dalla terra un facile vitto; se un alto palazzo dalle porte superbe non fa uscire da tutti i suoi atri la mattina una marea di clienti (ingentem undam) salutanti (che salutano), e non contemplano a bocca aperta i battenti (le porte) ornati di bella testuggine e i tappeti (le stoffe=vestes) ricamati d'oro e i bronzi efirei (di Efira=di Corinto), e la bianca lana non è contaminata dalla tintura (veneno=veleno) assira e l'uso dell'olio d'oliva (limpido) non è contaminato dalla cannella; ma non mancano una tranquilla sicurezza e una vita capace d'ingannare, ricca di varie risorse, nè ozii nelle campagne (vasti poderi) (spelonche e vali naturali e le fresche valli di Tempe e i muggiti dei buoi e i placidi sonni sotto un albero); là vi sono i pascoli e le tane (=lustra) delle fiere, e una gioventù che sopporta le fatiche e avvezza al poco, e sono sacre le cose degli dei e sono rispettati i genitori; la giustizia, allontanandosi dalla terra, fece in mezzo a loro gli ultimi passi.

Le muse dolci (care) sopra ogni cosa delle quali io, colpito da grandissimo amore, porto la sacra investitura (le sacre insegne), accolgano proprio me e mi mostrino le diverse costellazioni del cielo e le eclissi del sole e le peregrinazioni della luna e da dove derivi il terremoto, e per quale forza i mari profondi si gonfino e, abbattute le dighe (=obicibus ruptis), di nuovo ritornino in sé, perché i soli invernali si affrettino tanto ad immergersi nell'oceano oppure quale indugio si opponga alle notti tarde.

Se però il mio sangue (divenuto) freddo intorno al mio cuore impedirà (abbia impedito) che io possa indagare (accedere) queste (=has) parti della natura, possano piacermi i campi e i fiumi irrigui (che scorrono) nelle valli, possa io amare i fiumi e i boschi, sia pur con meno gloria. Oh dove (sono) i campi e lo Spercheo e il monte Taigeto sfrenatamente percorso dalle baccanti vergini della Laconia! Oh chi mi può collocare nelle fresche valli dell'Emo e proteggermi con la fitta ombra dei rami! Felice colui che ha potuto conoscere le origini delle cose e ha messo sotto i suoi piedi ogni paura e l'inesorabile fato e il frastuono dell'arido Acheronte, e fortunato anche colui che conosce gli dei agresti e Pan e il vecchio Silvano e le ninfe sorelle.



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