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Il gioco e il bambino




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Il gioco e il bambino


Il gioco Il gioco o l'attività ludica, durante l'età evolutiva dell'uomo e di
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Il gioco

Il gioco o l'attività ludica, durante l'età evolutiva dell'uomo e di alcuni animali, è la forma più naturale e spontanea di socializzazione. Nel gioco è possibile scorgere e comprendere sia le basi delle forme di apprendimento, sia il livello di crescita e di maturazione del bambino. Un bambino, mentre gioca, manifesta meglio il suo mondo interiore di quanto potrebbe fare verbalmente, nello stesso tempo egli mette in evidenza la sua esigenza di comunicare e di socializzare con gli adulti. L'attività ludica inizia quando il bambino prende coscienza dell'esistenza delle persone e delle cose che lo circondano. Alcune ricerche psicologiche suggeriscono che il gioco è un potente mediatore per attivare apprendimento in ogni periodo della vita, che esso stimola la formazione della personalità, che prepara ad assimilare regole e migliora l'integrazione sociale. Il gioco, oltre ad essere ambito di sviluppo della creatività, migliora il processo di apprendimento, anzi, è spesso sinonimo di apprendimento, perché comporta l'attivazione dei piani motorio, emotivo, intellettuale, relazionale e sociale. Il gioco permette di apprendere e di perfezionare capacità quali la fantasia, la discriminazione tra realtà e fantasia, il confronto, la comunicazione spontanea, l'imitazione e lo scambio di ruoli. Visto in ottica interculturale, il gioco può avvicinare culture diverse, creando spazi di relazione che permettono la comprensione ed il superamento di differenze culturali. I giochi, sia intellettuali sia motori individuali o di gruppo, contribuiscono alla formazione cognitiva e attivano l'evoluzione affettiva ed umana del fanciullo, così possono essere utilizzati come strumento per motivare apprendimenti formativi nel bambino. Il bambino, nel gioco, cerca e trova spazio di manovra per la sua creatività esistenziale, che poi influenzerà a vari livelli l'interesse per l'atteggiamento ludico nelle varie classi di età. I bambini mostrano di essere molto seri nel gioco, a differenza di molti giochi adulti che appaiono infantili. Il "bisogno di giocare", pur con altri tempi e modalità, è presente anche nell'adulto. Questa attività risponde, in genere, alla voglia di confrontarsi e di mettersi alla prova, sospendendo le conseguenze delle azioni, attraverso la funzione che J. Bruner definisce "moratoria del gioco". Il gioco viene spesso caricato di contenuti negativi. Si pensa erroneamente che il gioco sia irrilevante o non produttivo nell'apprendimento sia formale sia informale e che il lavoro sia, invece, rispettabile e degno di considerazione. Per i bambini, invece, il gioco è una attività coinvolgente e consapevole, alla quale sono dedicati grandi sforzi e dalla quale ci si aspetta grandi soddisfazioni. Il tempo dedicato al gioco decresce con l'età ed il moltiplicarsi degli impegni, ciò nonostante le attività ludiche mantengono un ruolo rilevante nel permettere di scaricare tensione, stress e stanchezza, recuperando energie utili alle attività lavorative (funzione di abreazione). Si vivono quotidianamente momenti ludici quando si cucina o si cura il giardino, o si nuota, o si dipinge, o si suona. Nei momenti di gioco ci si trova a provare piacere, circostanza in cui si vive la fusione di Io e Super-io, sensazione che amplia le potenzialità del soggetto impegnato in attività ludiche. È, perciò, importante utilizzare in modo creativo il tempo personale, come premessa indispensabile per continuare a crescere.Il gioco è fondamentale nella strutturazione della personalità, specialmente di quella in età evolutiva. Nell'infanzia il gioco permette l'acquisizione delle regole della vita sociale. L'attività ludica costituisce l'esperienza "di fondo" di tutta la vita infantile. Sono i bisogni di movimento e di esplorazione tipici dell'infanzia che spingono al gioco. Teorie psicologiche o biologiche hanno cercato di spiegare la ragione che spinge l'individuo a giocare:



1.     Gioco come "sfogo" del surplus di energia, secondo cui il soggetto dispone di un'eccessiva carica energetica che ha bisogno di scaricare, facendo qualunque tipo di gioco. È stato però osservato che a volte il bambino (se l'interesse persiste) gioca anche dopo l'insorgere della stanchezza; inoltre la teoria, non spiega il motivo per cui un bambino sceglie un gioco piuttosto che un altro.

Gioco come sfogo e sviluppo, secondo cui da un lato esso sviluppa e conserva le funzioni utili alla vita adulta e, dall'altro, agisce come una valvola di sicurezza per scaricare l'energia di alcune tendenze antisociali che l'individuo si porta con sé dalla nascita. Questa teoria però non spiega il gioco negli adulti.


3. Gioco come esercizio preparatorio, secondo cui l'attività ludica ha il compito di esercitare funzioni biologiche che saranno poi utilizzate nella vita adulta (ad es. il gattino salta sul gomitolo che gli rotola davanti e lo addenta, come in seguito farà col topo). Questa teoria è stata accettata da pedagogisti come Frobel, Claparède e Decroly.


L'attività ludica, assieme ad altre di carattere espressivo, permette di fornire lo schema di una evoluzione della mente collegato alla vita emotiva infantile, sulla scia di ricerche psicologiche che hanno studiato l'importanza del gioco nella vita emotiva umana, a cominciare dal padre della psicanalisi, Sigmund Freud. Secondo l'interpretazione di Freud i vari giochi, compresi quelli a carattere percettivo-motorio, vanno interpretati alla luce di un simbolismo inconscio. I diversi timori o ansie presenti nella vita emotiva del bambino possono trovare una elaborazione attraverso l'atteggiamento ludico, e ciò comporta una progressiva attenuazione di possibili sintomi di stati ansiosi che a lungo andare possono trasformarsi in forme patologiche. Anche l'aggressività presente sempre nella vita emotiva infantile può essere analogamente elaborata nell'attività ludica, così come ogni desiderio o impulso che non potrebbe avere sbocco nella realtà vissuta dal fanciullo. Il gioco ha anche, secondo Sigmund Freud, una funzione che può essere riportata al fenomeno della "coazione a ripetere". Con tal espressione il fondatore della psicoanalisi ha inteso indicare tutte quelle tendenze inconsce che, spingendo l'individuo a ripetere in modo coattivo comportamenti schematici o modi di pensare costitutivi di esperienze conflittuali, costringono "a ripetere il rimosso come esperienza attuale, anziché ricordarlo come un brano del passato".Il comportamento ripetitivo, riveste nel gioco della prima infanzia una funzione essenzialmente catartica; anzi, diventa uno strumento per superare le esperienze dolorose e traumatiche.

Il comportamento ripetitivo nel gioco si configura:

a)    Come esperienza rinnovata, per permettere di ristabilire nel bambino il senso della realtà.

b)    Come un dinamismo necessario, allo scopo d'instaurare un positivo rapporto tra il bambino e l'ambiente che lo circonda.

Le ricerche di questi ultimi decenni hanno mostrato come, proprio con il gioco, in particolare il gioco simbolico, il bambino possa maturare competenze cognitive, affettive e sociali. Attraverso il gioco, infatti, il bambino mette alla prova emozioni e sentimenti allenandosi ad affrontare con sicurezza e padronanza la realtà.

Esistono, in ogni modo, numerose teorie intorno al gioco:

a)    La teoria di Schaller; che, nel 1861, ha ipotizzato il gioco come riposo e come ricreazione.

b)    La teoria di Spencer, che, nel 1890, ha interpretato l'attività ludica come uno sfogo di energia superflua. L'attività ludica nascerebbe dal bisogno "di liberarsi di forze a base biologico-istintuale". In altre parole, il gioco sarebbe una strategia di simulazione che innesca, per poi scaricarle, energie represse.



c)     La teoria di Groos, che ha considerato il gioco come esercizio di preparazione alla vita degli adulti. Groos ha affermato che l'attività ludica è sì manifestazione della cultura, ma nel senso che ne costituisce una degenerazione. Il fenomeno del gioco avrebbe il significato di critica della cultura dogmatica, colta, e delle istituzioni, sarebbe perciò un otium, che richiama l'altra polarità del negotium, in una prospettiva classica.Groos attribuisce al gioco infantile lo status di attività propedeutica alla vita adulta, perché affinarebbe delle condotte che sono già presenti, in nuce, a livello istintivo-intuitivo.

d)    La teoria di Hall, che, nel 1902, ha cercato di ricondurre il gioco a strumento di eliminazione di tutte le funzioni ataviche superflue. Hall ha affermato che le fasi del gioco procedono da espressioni non complesse, di carattere sensomotorio, alle più mature, collegate ai processi imitativi e sociali.

e)    La teoria di Claparéde; questi, nel 1920, ha formulato l'ipotesi che il gioco possa essere un'attività efficace per soddisfare i bisogni naturali e per permettere che i desideri diventino reali.

f)      La teoria di Huizinga, che, nel 1938, ha considerato il gioco come un tratto fondamentale dell'uomo. Esso è posto all'origine della cultura e dell'organizzazione sociale. Nella sua opera Homo ludens, egli rileva la funzione consolatoria dell'attività ludica e il valore simbolico-rappresentativo del gioco, che viene a configurarsi come un complesso sistema culturale. Per Huizinga il comportamento di gioco ha una funzione culturale più che biologica perché "il gioco ha un senso". Sia Huizinga che Groos hanno in comune l'idea che il gioco sia assimilato all'esperienza estetica e culturale, dal momento che ritengono il gioco una categoria contrapposta al lavoro, e in quanto tale portatrice di valori come la gratuità (opposta dialetticamente all'utilità) e l'immaginazione (opposta dialetticamente alla realtà).

g)    La teoria di Chateau, che, nel 1950, ha interpretato il gioco come attività espressiva dello slancio vitale dell'uomo.

h)    La teoria di Bertin, che, nel 1955, ha rappresentato l'attività ludica come sfera dell'avventura estetica.

i)   La teoria di Caillois, che, nel 1958, ha collocato i vari tipi di gioco in rapporto a quattro parametri: agon (competizione o lotta), alea (sorte o fortuna), mimicry (finzione o simulazione), ilinx (turbamento o vertigine).Caillois pone l'accento sul gioco come sistema di regole; questo determina una lettura integrale dei vari giochi, sia di carattere sociomotorio che di tipo intellettuale tout court.

Oggi, nella nostra società, è cambiato il modo di giocare dei nostri bambini, ha assunto un valore predominante il ruolo dei videogiochi; il "videogioco" rappresenta un'irresistibile possibilità in grado di rispondere al "bisogno ludico" sia negli adulti che nei bambini e nei ragazzi. Rispondendo alle richieste di novità, la tecnologia moderna è entrata ormai da tempo nel mondo del gioco, non sempre però nel rispetto delle esigenze educative sociali, divenendo talvolta uno strumento di abuso o una fonte di modelli sociali negativi e perfino patologici. Insieme alla passione per il videogioco si sono manifestati e moltiplicati ben presto i rischi per la salute psicofisica connessi al loro utilizzo spropositato o alla proposta, da parte delle industrie del tempo libero, di tipologie di videogioco diseducative e dannose. Tuttavia è importante sottolineare che il videogioco, rappresentando una evoluzione tecnologica di diverse forme di gioco, possiede potenzialmente degli effetti positivi che possono essere sintetizzati come segue:



-    rappresenta uno stimolo, in quanto "gioco sensomotorio", ad alcune abilità manuali e di percezione;

-    può stimolare la comprensione dei compiti da svolgere, sostenendo anche le forme induttive di pensiero;

-    può abituare a gestire gli obiettivi, individuando dei sottoobiettivi;

-    può favorire l'allenamento dell'autocontrollo e della gestione delle emozioni connesse all'esercizio di un compito;

-    può sviluppare diversi aspetti della personalità, quali l'abilità di prendere decisioni velocemente, di affrontare difficoltà e di prendere iniziative;

-    può favorire apprendimenti specifici su alcune tematiche, su conoscenze relative a terminologie tecniche e a modalità procedurali relative ad ambiti specifici a cui si riferiscono le competizioni giocate.

Il videogioco ha un potere motivante molto forte ed una capacità di catturare e mantenere l'attenzione, utilizzando contemporaneamente anche più canali sensoriali di stimolazione. Le potenzialità del videogiochi, quindi, devono far riflettere sul fatto che, spesso, non è questo strumento di gioco ad essere nocivo di per se stesso, ma il suo utilizzo incondizionato e spropositato. Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per il rapporto tra il bambino e la televisione, che sottrae tempo al gioco, al movimento, all'incontro diretto con i coetanei e con gli adulti. Pur tenendo conto della sua invadenza e del suo potere condizionante, spesso ci si dimentica che i suoi effetti perversi possono essere ridotti e che può essere usata creativamente. Una delle prime conseguenze negative legate all'uso protratto nel tempo dei videogiochi e per lunghi periodi durante le giornate è quello della "videomania" (o "videoabuso"), un comportamento incontrollato dal punto di vista quantitativo che rappresenta spesso l'anticamera di altri tipi di effetti nocivi da videogiochi. Insieme al videoabuso, come accade nell'abuso televisivo che ha con esso molti elementi di somiglianza, spesso compare un corteo di condotte disturbate tra le quali spicca la sedentarietà, all'origine di problematiche fisiche di sovrappeso. Un altro atteggiamento negativo osservabile nell'uso coatto dei videogiochi è quello definito "videofissazione", ossia la prolungata esposizione ad un videogame, senza pause e completamente assorbiti dal gioco in silenzio e, spesso, in una stanza poco illuminata. Quando il gioco è privato della sua parte relazionale ed esperenziale non produce apprendimento, pur fornendo soddisfazione ed inducendo piacere. In quel caso non porta altro che all'alienazione, all'emarginazione e al disagio sociale.

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