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Psico-pedagogia: il gioco




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PSICO-PEDAGOGIA:  IL GIOCO


GIOCO = attività realizzata per se stessa in quanto ha il proprio aspetto gratificante in sé e non nel fine che raggiunge o nel risultato che produce, come invece accade nell'attività lavorativa.

Sia nel mondo animale che in quello umano il gioco è prerogativa di individui giovani tesi all'esplorazione del mondo circostante e all'apprendimento delle regole per controllarlo sul modello adulto. Negli animali, ad esempio, si assiste a giochi che riproducono schemi comportamentali aggressivi e di difesa, inibiti nello scopo, con caratteristiche di innocuità e finzione. Nel mondo umano questa componente è confermata, anche se si presenta in modalità assai più complesse perché, oltre al patrimonio istintuale, entrano in gioco la vita emotiva, quella intellettiva, i processi di socializzazione e di educazione, che proprio nell'attività ludica trovano le loro prime espressioni.


IL GIOCO E LA VITA EMOTIVA


La psicologia dinamica, a partire da Freud, individua nel gioco due aspetti:


a) l'aspetto catartico. Il bambino scarica su oggetti- simbolo ( giocattoli) ansie, tensioni, paure, insicurezze, forme aggressive riferite a persone o a cose dell'ambiente, raggiungendo una distensione dell'Io e una maggiore padronanza dell'ambiente, grazie alla ripetuta rappresentazione ludica della situazione angosciante. Ciò è possibile perché Il bambino, a differenza dell'adulto, passa più facilmente dal piano della realtà al piano della rappresentazione dove, manifestando desideri e tensioni che non troverebbero espressione altrove, può ritrovare un maggior senso di sicurezza di quanto gli sia consentito sperimentare sul piano di realtà.In questo contesto si comprende l'importanza di "oggetti  transizionali", secondo l'espressione di Winnicott, come bambole, coperte, pupazzi, che i bambini portano sempre con sé perché ricavano quel senso di sicurezza che fa da base ad ulteriori rapporti affettivi che in seguito stabiliranno con le persone.


b) il controllo della realtà interna ed esterna. E' per Freud il secondo aspetto che, attraverso il gioco e la sua ripetitività, il bambino è in grado di raggiungere. Nel gioco, infatti, ogni bambino appoggia il suo mondo interiore a oggetti tangibili e reali che può manipolare e ordinare in base alle sue esigenze interne, passando dalla mera fantasia alla realtà, che, per il suo carattere fittizio quale si presenta nel gioco, consente al bambino di muoversi con libertà, e al tempo stesso di trasformare in attività una situazione emotiva che altrimenti egli sarebbe costretto a vivere in modo passivo senza alcuna speranza di poterla controllare.Il senso di controllo, di dominio, e di potenza sugli oggetti e sulle situazioni offerte dal gioco consente al bambino di passare da una realtà fittizia a una più cogente e più simile a quella dell'adulto, non appena il gioco si struttura dapprima con regole inventate sul momento, e poi con regole sistematiche che consentono di verificare l'emozione di darsi un compito finalizzato e di competere con altri secondo schemi codificati.


IL GIOCO E LO SVILUPPO INTELLETTIVO


La psicologia cognitiva con Piaget ha individuato nel gioco uno spazio di attività che consente al bambino un'assimilazione dell'esperienza ai propri schemi mentali, come preparazione al successivo adattamento all'ambiente. Piaget ipotizza tre stadi di gioco:


a) gioco percettivo motorio. E' tipico dei primi anni di vita in cui il bambino impara ad afferrare, dondolare, gettare, con un esercizio di adattamento a situazioni nuove e un'attività di ripetizione che gli consente il riconoscimento e la generalizzazione. Questo tipo di giochi non presuppone né un'attività di pensiero, né un rapporto sociale, ma solo un piacere "funzionale" legato al movimento e alla recezione sensoriale.


b) gioco simbolico. In esso gli oggetti sono considerati non solo per ciò che sono, ma anche come simboli di altri oggetti non presenti, il che consente l'evocazione di situazioni passate e l'immaginazione di eventi in cui si esprimono i desideri del bambino. Questo stadio del gioco presuppone un'attività di pensiero, carica di elementi soggettivi ed egocentrici, che permette al bambino di soddisfare i propri desideri attraverso un'attività sostitutiva che fa, ad esempio, di un oggetto un cuscino per "fare la nanna", dove uno schema consueto, come quello  di dormire, si adatta ad una situazione del tutto nuova. Nei giochi simbolici Piaget distingue quelli in cui il bambino è attore,finge cioè di dormire,di magiare, di cadere, quelli in cui è regista per cui fa dormire, cadere, mangiare gli altri,e quelli in cui il bambino si trasforma in un'altra persona visualizzando l'altro da sé, cosa questa che lo prepara al passaggio dal gioco individuale a quello di gruppo


c) gioco con regole. Interviene quando da individuale il gioco diventa di gruppo con ruoli distinti e complementari dove prevale l'imitazione delle situazioni o delle attività adulte.Anche in questo stadio continua l'attribuzione agli oggetti e alle situazioni di significati fittizi, ma con un maggior rispetto delle regole oggettive. Essendo organizzati secondo regole, questi giochi di gruppo contribuiscono all'evoluzione mentale del bambino riducendo il suo egocentrismo e addestrandolo al controllo imposto delle regole e alla verifica che gli altri le rispettino. L'allenamento al confronto e al coordinamento delle varie prospettive prepara il bambino alla riflessione e alla logica che, per J. Piaget, sono "geneticamente spiegabili come interiorizzazione di condotte sociali di discussione".


IL GIOCO E LA SOCIALIZZAZIONE


La funzione socializzante del gioco non inizia solo con il gioco di gruppo, ma, a parere di Winnicott, già con gli "oggetti transizionali"(bambole..) che hanno la caratteristica di non essere più parti del corpo, come può essere il dito da succhiare, e quindi costituiscono la prima esperienza di separazione tra Io e non- Io, tra realtà interiore e quella esterna. Nell'oggetto transizionale Winnicott vede l'origine del gioco come esperienza illusoria di rapporto oggettuale sostitutivo del rapporto privilegiato con la madre, e come concretizzazione di fantasie che vengono proiettate all'esterno su oggetti consueti e familiari. Sempre sulla linea della socializzazione del gioco, il bambino passa da una fase associativa dove gioca con gli altri spartendo il materiale e scambiando gli oggetti, a una fase collaborativa dove si realizza una vera integrazione, con divisione dei ruoli, disciplina di gruppo, subordinazione dei desideri individuali alle esigenze del gruppo. In questo stadio appaiono la prima divisione di ruoli, come la tendenza al comando o al gregarismo, e le prime relazioni interpersonali di amicizia e di inimicizia. La standardizzazione dei giochi e i modelli proposti dai media e riprodotti dai bambini nella loro attività ludica producono un patrimonio comune nell'aprire un gioco dove ciascuno interviene con la propria creatività a variare le figure in base alle proprie caratteristiche individuali.


IL GIOCO E L' EDUCAZIONE


Dal punto di vista educativo il gioco risponde alla dinamica dell'apprendimento dove le risposte vengono modificate da stimolazioni ordinate a rinforzare la risposta o a estinguerla. Questo processo è assolto dal gioco perché consente di passare gradualmente dai problemi più semplici ai più complessi, di verificare immediatamente il successo o l'errore, e di progredire a ritmo individuale nella sequenza dei problemi espressi in forma di gioco. L'apprendimento attraverso il gioco inizia molto precocemente sin dal livello dei giochi funzionali della prima infanzia dove il bambino consolida la propria sensomotricità e costruisce gradatamente la propria immagine corporea. In seguito, con i giochi simbolici egli impara a evocare situazioni irreali e ad abitare lo spazio tra presenza e assenza con sviluppo della capacità di rappresentazione e distacco dal condizionamento della situazione oggettiva. Infine nell'età scolare, con i giochi secondo regole, si allena all'ordinamento e alla classificazione, alla consequenzialità delle sue scelte e al controllo delle scelte altrui.


.IL GIOCO COME DIAGNOSI E TERAPIA


Il gioco può essere considerato anche come un test dello sviluppo raggiunto dal bambino sia a livello percettivo- motorio, sia per quanto riguarda la maturazione intellettuale. Dalla corrispondenza tra età e tipo di attività ludica è possibile dedurre il grado di progressione o di ritardo evolutivo. Inoltre, se nel gioco simbolico il bambino proietta i propri desideri, esercita le proprie difese, e libera le proprie tensioni, è possibile trattare il gioco come un reattivo proiettivo che manifesta i contenuti psichici del giocatore, quindi il grado di libertà o di inibizione che il bambino manifesta nel gioco, il livello della sua aggressività e distruttività, il senso di colpa dopo la rottura di un giocattolo. Sulla rilevazione diagnostica interviene la dimensione terapeutica o ludoterapia che, a livello psicoanalitico, è stata sperimentata e studiata da A. Freud Il suo metodo è stato in seguito applicato anche agli adulti che presentano stati di regressione della personalità alle fasi di sviluppo più primitiva, antecedenti alla stessa distinzione tra Io e mondo esterno. In questa situazione il soggetto vive in un mondo in cui realtà e fantasia si confondono, per cui il gioco, dove le due dimensione sono fuse, si presta come luogo privilegiato di espressione e di comunicazione.


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