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Meccanica quantistica




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Meccanica quantistica


La meccanica quantistica è una teoria fondamentale della fisica moderna, detta anche teoria dei quanti, perché si basa sul concetto di 'quanto' per spiegare sia le proprietà dinamiche delle particelle subatomiche sia le interazioni tra radiazione e materia. Le basi della meccanica quantistica furono poste nel 1900 dal fisico tedesco Max Planck, il quale ipotizzò che l'energia venisse emessa o assorbita dalla materia sotto forma di piccole unità indivisibili, chiamate appunto quanti. Fondamentale per lo sviluppo della teoria è stato inoltre il principio di indeterminazione, formulato nel 1927 dal fisico tedesco Werner Heisenberg, che stabilisce l'impossibilità di determinare simultaneamente con precisione la posizione e il momento di una particella subatomica.



Nei secoli XVIII e XIX la meccanica classica, o newtoniana, sembrava essere in grado di spiegare accuratamente tutti i moti dei corpi; ma, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, alcuni risultati sperimentali iniziarono a metterne in dubbio la completezza. In particolare, l'insieme delle righe spettrali ottenute dall'analisi della luce emessa da gas incandescenti o da gas sottoposti a scarica elettrica era in disaccordo con il modello atomico di Ernest Rutherford, in base al quale gli scienziati si sarebbero aspettati da parte degli elettroni un'emissione continua di radiazione, e non un insieme linee luminose, prodotte solo a determinate frequenze. Lo studio dello spettro del corpo nero e dell'effetto fotoelettrico suggeriva che la radiazione elettromagnetica avesse un duplice comportamento (ondulatorio e corpuscolare) durante i processi di interazione con la materia.


Un altro problema era costituito dall'assenza di una base molecolare per la termodinamica, che rendeva poco comprensibili gli andamenti dei calori specifici, non giustificabili alla luce della teoria classica.

La radiazione luminosa di frequenza í è composta da particelle corpuscolari (fotoni) di energia E = h*í (h è la costante di Planck). Per riuscire a strappare un elettrone a una superficie metallica, l'energia del fotone deve essere maggiore dell'energia di legame dell'elettrone nel metallo (W). In questo caso, inserendo un amperometro fra anodo e catodo si misura un passaggio di corrente (a sinistra, nell'illustrazione). Se l'energia del fotone è inferiore a W (a destra, nell'illustrazione) non si ha effetto fotoelettrico, e dunque l'amperometro non registra flusso di corrente. La caratteristica importante dell'effetto fotoelettrico è di dipendere dalla frequenza della radiazione, che determina l'energia del fotone, e non dall'intensità della luce.

Il primo passo verso lo sviluppo della nuova teoria fu l'introduzione da parte di Planck del concetto di quanto, concepito nel corso degli studi sulla radiazione di corpo nero condotti alla fine del XIX secolo (col termine corpo nero si indica un corpo o una superficie ideale, capace di assorbire tutta la radiazione incidente). I grafici sperimentali ottenuti analizzando l'emissione di radiazione elettromagnetica da un corpo incandescente erano infatti in disaccordo con le previsioni teoriche della fisica classica, che non riusciva a spiegare perché questo corpo emettesse il massimo dell'energia a una frequenza determinata, che cambiava con la temperatura a cui era tenuto il corpo e dipendeva strettamente da questa.

Planck prima scrisse una relazione matematica per riprodurre correttamente le curve sperimentali, e poi cercò un modello fisico che rispondesse alla espressione trovata. Egli ipotizzò che l'interazione tra radiazione e materia avvenisse per trasferimento di quantità discrete di energia che chiamò quanti, ciascuno di energia pari a h*u, dove u rappresenta la frequenza e h il quanto d'azione, oggi noto come costante di Planck.

Il passo successivo nello sviluppo della meccanica quantistica si deve ad Albert Einstein. Egli ricorse al concetto di quanto introdotto da Planck per spiegare alcune proprietà dell'effetto fotoelettrico, il fenomeno che descrive il processo dell'emissione di elettroni da parte di una superficie metallica colpita da radiazione elettromagnetica.


Contrariamente alle previsioni della teoria classica, che prevedeva la dipendenza dell'energia degli elettroni dall'intensità della radiazione incidente, le osservazioni sperimentali mostrarono che l'intensità della radiazione influiva sul numero di elettroni emessi, ma non sulla loro energia. L'energia degli elettroni emessi risultava invece chiaramente dipendere dalla frequenza della radiazione incidente, e aumentava con essa; inoltre, in corrispondenza di frequenze inferiori a un determinato valore, detto valore critico, non si osservava alcuna emissione di elettroni. Einstein spiegò questi risultati ammettendo che ciascun quanto di energia radiante fosse capace di strappare al metallo un singolo elettrone, trasferendogli nell'urto parte della propria energia. Poiché l'energia del quanto è proporzionale alla frequenza della radiazione, si spiega perché l'energia degli elettroni emessi dipende dalla frequenza della radiazione incidente.

Nel 1911 Rutherford, analizzando i risultati sperimentali ottenuti dallo scattering di particelle alfa su atomi di oro, formulò il suo celebre modello atomico; esso prevedeva che in ogni atomo fosse presente un nucleo denso e positivamente carico, intorno a cui ruotassero elettroni di carica negativa, come fanno i pianeti del sistema solare. Tuttavia, secondo la teoria elettromagnetica classica di James Clerk Maxwell, un elettrone orbitante intorno a un nucleo dovrebbe irradiare con continuità, fino a consumare completamente la propria energia e a collassare sul nucleo: l'atomo di Rutherford risultava di conseguenza instabile. Per ovviare a questa difficoltà, due anni dopo Niels Bohr propose un nuovo modello, che permetteva agli elettroni di muoversi solo su determinate orbite fisse: il cambiamento di orbita da parte di un elettrone poteva verificarsi solo tramite l'emissione o l'assorbimento di un quanto di radiazione.


La teoria di Bohr diede risultati corretti per l'atomo di idrogeno, ma per atomi con più di un elettrone si rivelò problematica. Le equazioni per l'atomo di elio, risolte fra gli anni Venti e Trenta, diedero risultati in disaccordo con i dati sperimentali. Inoltre, per gli atomi più complessi, erano possibili solo soluzioni approssimate, spesso non in accordo con quanto osservato sperimentalmente.



Quando un elettrone compie una transizione da un livello energetico a un altro, l'atomo emette fotoni di una particolare energia, osservabili sotto forma di riga di emissione mediante uno spettroscopio. Nell'atomo di idrogeno, la serie di Lyman raggruppa le transizioni allo stato fondamentale, la serie di Balmer, nella regione del visibile dello spettro, comprende le righe relative alle transizioni al secondo livello energetico e quella di Paschen, nell'infrarosso, quelle al terzo livello.

Nel 1924 Louis-Victor de Broglie estese alla materia il concetto del dualismo onda-corpuscolo stabilito per la radiazione elettromagnetica, suggerendo che in determinate situazioni le particelle materiali potessero mostrare un comportamento di tipo ondulatorio. La prova sperimentale di questa affermazione venne dopo pochi anni, quando i fisici americani Clinton Joseph Davisson e Lester Halbert Germer e il fisico britannico George Paget Thomson mostrarono che un fascio di elettroni diffuso da un cristallo produce una figura di diffrazione simile a quella caratteristica della diffrazione di un'onda. L'idea di associare un'onda a ciascuna particella portò il fisico austriaco Erwin Schrödinger a formulare la cosiddetta 'equazione d'onda', con cui era possibile descrivere le proprietà ondulatorie della particella e l'evoluzione del suo moto, cosa che fu immediatamente applicata all'elettrone dell'atomo di idrogeno.

L'equazione di Schrödinger, a eccezione di pochi casi particolari che meriterebbero una discussione a parte, ammette solo un numero discreto di soluzioni, dette autofunzioni, che corrispondono a regioni definite dello spazio in cui la particella può trovarsi; esse sono espressioni matematiche in cui compaiono i cosiddetti 'numeri quantici', ovvero numeri interi che esprimono il valore assunto da determinate grandezze caratteristiche del sistema, quali ad esempio l'energia o il momento angolare. L'equazione Schrödinger per l'atomo di idrogeno diede risultati in sostanziale accordo con quelli di Bohr e l'equazione si applicò con successo anche all'atomo di elio. Inoltre confermò sul piano formale il principio di esclusione, enunciato da Wolfgang Pauli nel 1925 su base empirica: il principio stabilisce che due elettroni non possono possedere lo stesso insieme di numeri quantici, ovvero condividere esattamente lo stesso livello di energia.

Parallelamente allo sviluppo della meccanica ondulatoria di Schrödinger, Heisenberg propose, con la collaborazione dei fisici Max Born ed Ernst Pascual Jordan, un nuovo metodo di analisi basato sul calcolo matriciale. Ciascun osservabile fisico associato a una particella corrisponde a una matrice infinita (un insieme infinito di righe e colonne di valori numerici), mentre lo stato e l'evoluzione di un sistema sono determinati dalle soluzioni di equazioni matriciali. Per descrivere il moto dell'elettrone nell'atomo di idrogeno, ad esempio, la meccanica delle matrici associa matrici infinite a posizione e momento, e riesce a prevedere le linee dello spettro di emissione dell'idrogeno. La teoria di Heisenberg fornì gli stessi risultati della meccanica quantistica ordinaria e riuscì a spiegare alcuni fenomeni che prima sfuggivano a una descrizione teorica.

Poco tempo dopo Schrödinger dimostrò che la meccanica ondulatoria e la meccanica matriciale erano formulazioni diverse di una medesima teoria, oggi nota come meccanica quantistica. Entrambe sono estremamente complicate dal punto di vista algebrico e matematico, anche per un sistema semplice come l'atomo di idrogeno: è comunque quasi sempre possibile calcolare in modo esatto almeno i livelli di energia permessi. Tuttavia accanto alla descrizione formale completa è spesso possibile un'analisi qualitativa soddisfacente capace di fornire, anche se in modo approssimato, le principali informazioni sul sistema.

Secondo il punto di vista della meccanica quantistica il nucleo è circondato da una serie di onde stazionarie, dotate di creste e valli, ciascuna rappresentante un'orbita. Il modulo elevato al quadrato dell'ampiezza dell'onda in ogni punto a un dato istante fornisce la probabilità di trovare l'elettrone in quel punto, in quell'istante. Non si parla più quindi di posizione dell'elettrone, ma di probabilità che l'elettrone occupi una determinata regione dello spazio.

L'impossibilità di determinare con esattezza la posizione di un elettrone a un certo istante fu analizzata da Werner Heisenberg, che nel 1927 enunciò il principio di indeterminazione. Tale principio afferma l'impossibilità di determinare contemporaneamente con precisione la posizione e il momento di una particella, ovvero queste due grandezze non possono essere misurate simultaneamente. Si dice quindi che la conoscenza della posizione e della velocità di una particella sono complementari; in altre parole, i fisici non possono misurare la posizione di una particella, senza alterarne la velocità. Alla luce del principio di indeterminazione, la natura ondulatoria e particellare della radiazione sono due aspetti complementari del medesimo fenomeno

La meccanica quantistica ha risolto tutti i problemi della fisica dell'inizio del XX secolo, ha accresciuto il livello di conoscenza della struttura della materia e ha fornito una base teorica per la comprensione della struttura dell'atomo e del fenomeno delle righe spettrali: ogni riga spettrale corrisponde all'energia di un fotone emesso o assorbito quando un elettrone compie una transizione da un livello energetico a un altro; anche la conoscenza dei legami chimici è stata completamente rivoluzionata. La fisica dello stato solido, la fisica della materia condensata, la superconduttività, la fisica nucleare e la fisica delle particelle elementari sono fondate sui principi della meccanica quantistica.



Dal 1925, nessuna mancanza fondamentale ha intaccato la consistenza della meccanica quantistica, benché siano stati sollevati dubbi se possa essere effettivamente ritenuta una teoria completa. All'inizio degli anni Trenta, il fisico britannico Paul Dirac, utilizzando i risultati della meccanica quantistica, formulò un'equazione per descrivere il moto dell'elettrone e la sua interazione con la radiazione elettromagnetica tenendo conto anche degli effetti della relatività speciale: sulla base di questa equazione, che conteneva anche la variabile di spin dell'elettrone, Dirac fu in grado di prevedere l'esistenza del positrone, l'antiparticella dell'elettrone, che venne osservata sperimentalmente nel 1932 dal fisico statunitense Carl David Anderson.


L'applicazione della meccanica quantistica alla radiazione elettromagnetica condusse alla formulazione della Elettrodinamica quantistica, che estese l'applicazione dell'elettromagnetismo rendendo possibile la comprensione di fenomeni fino ad allora inesplicabili in termini della teoria classica, fra i quali la radiazione di Bremsstrahlung - emessa dagli elettroni per frenamento durante la penetrazione nella materia - e la produzione di coppie, la formazione di un positrone e di un elettrone ad opera di radiazione sufficientemente energetica. La teoria però conteneva anche un serio problema, noto come 'problema della divergenza': nelle equazioni di Dirac, alcuni parametri, riferiti come la massa e la carica 'nude' dell'elettrone, risultano infiniti (i termini massa nuda e carica nuda si riferiscono a elettroni che non interagiscono né con la materia né con la radiazione, anche se in realtà gli elettroni interagiscono sempre con il campo elettrico prodotto da loro stessi). Questo problema è stato parzialmente risolto negli anni 1947-1949 con un programma chiamato di rinormalizzazione, sviluppato dal fisico giapponese Sin Itiro Tomonaga, e dai fisici americani Julian S. Schwinger, Richard Feynman e Freeman Dyson. La rinormalizzazione prevede di assegnare un valore infinito a massa e carica nude, di modo che le altre quantità infinite che compaiono nella soluzione dell'equazione possano essere compensate. Con la teoria della rinormalizzazione i calcoli sulla struttura atomica sono stati resi molto più accurati.

Il modello atomico attuale è il risultato di successivi miglioramenti ottenuti dai fisici grazie alla disponibilità di dati sperimentali sempre più accurati. Il modello di Thompson prevedeva che gli elettroni fossero distribuiti in una sfera di carica positiva. Rutherford fu il primo a comprendere che la carica positiva era invece concentrata al centro dell'atomo (nucleo), mentre riteneva che gli elettroni orbitassero nello spazio ad essa circostante. Bohr andò oltre, introducendo il concetto di quantizzazione delle orbite elettroniche. Schrödinger infine rivoluzionò l'idea di orbita elettronica intendendola non più come la traiettoria fisicamente percorsa dall'elettrone, ma come regione di spazio che possiede la più alta probabilità di essere occupata dall'elettrone.

La meccanica quantistica, che ha permesso la descrizione dei processi caratteristici del mondo microscopico, impossibile per i mezzi forniti dalla meccanica classica, ancora oggi costituisce la base concettuale da cui partono gli sviluppi della fisica moderna, ad esempio la Cromodinamica quantistica o la teoria di unificazione dei campi. Tuttavia esistono problematiche particolari, quali il problema della divergenza - solo parzialmente risolto - o gli effetti dei processi di misurazione, che hanno suscitato animate discussioni sulla completezza della teoria.


Proprio come la meccanica newtoniana venne corretta dalla meccanica quantistica e dalla relatività, molti scienziati sono convinti che anche la teoria quantistica sia destinata a subire profonde modifiche negli anni a venire. Ad esempio, sussistono gravi difficoltà per conciliare la meccanica quantistica e la teoria del caos, nata intorno agli anni Ottanta. Numerosi fisici teorici, fra i quali il britannico Stephen Hawking, stanno tuttora cercando di elaborare uno schema generale, che comprenda sia la relatività che la meccanica quantistica.


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