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Una cultura sociale da cambiare




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Una cultura sociale da cambiare


Una cultura sociale da cambiare Secondo Galimberti il disagio non ha origine psicologica

Originì e cause del disagio


Originì e cause del disagio Da questa breve analisi si può vedere che il fenomeno "disagio"
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Una cultura sociale da cambiare


Secondo Galimberti il disagio non ha origine psicologica ma culturale, e allora "è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un'implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime "

Questa società tecnologica ha sostituito la scienza alla filosofia, e se è vero che "la tecno-scienza progredisce nella conoscenza del reale, contemporaneamente ci getta in una forma di ignoranza molto diversa, ma forse più temibile, che è poi quella che ci rende incapaci di fronte alla nostra infelicità e ai problemi che ci inquietano e che paurosamente ruotano intorno all'assenza di senso. Viviamo in un'epoca dominata dall'impotenza, dalla disgregazione e dalla mancanza di senso, che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l'Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà."

Come viene a mancare una qualsiasi prospettiva futura, sia la famiglia che la Scuola reagiscono adottando l'ideologia secondo la quale solo l'istruzione permette di inserirsi nella società e di diventare produttori di un reddito individuale. Questa ideologia ha un effetto devastante sulla formazione dei giovani, perché la riduce ad una semplice acquisizione di competenze tecniche: alla base della demotivazione scolastica e dell'abbandono, esiste quella tendenza a trasformare le persone in oggetti, che porta ad esempio i medici a considerare i propri pazienti solo come organismi biologici, o che porta nel mondo del lavoro a considerare gli uomini in base al solo criterio dell'efficienza e dell'efficacia della loro prestazione, o che porta i professori a giudicare i loro studenti solo in base al "profitto", un termine che il mondo della scuola ha preso dal mondo economico, trasformando l'educazione in un "puro fatto quantitativo dove a sommarsi sono nozioni e voti". (Galimberti)

Del bisogno di cambiare questa società già ne aveva parlato Marcuse nel suo libro "L'uomo a una dimensione", parlando del bisogno urgente di un mutamento qualitativo: "Ma chi ne ha bisogno? La risposta è che è la società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri."

L'uomo a una sola dimensione è l'individuo alienato della società attuale, è colui per il quale la ragione è identificata con la realtà. Per lui non c'è più distacco tra ciò che è e ciò che deve essere, per cui al di fuori del sistema in cui vive non ci sono altri possibili modi di essere. Il sistema tecnologico ha, infatti, la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l'individuo in un frenetico universo cosmico in cui possa mimetizzarsi. Il sistema si copre di forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie perché le decisioni in realtà sono sempre nelle mani di pochi. 'Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà - afferma Marcuse - prevale nella civiltà industriale avanzata segno di progresso tecnico'; la stessa tolleranza di cui si vanta tale società è repressiva perché è valida soltanto riguardo a ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Tuttavia la società tecnologica non riesce ad imbavagliare tutti i problemi e soprattutto la contraddizione di fondo che la costituisce, quella tra il potenziale possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l'indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l'appagamento dei bisogni primari e stordisce il resto della popolazione con l'appagamento dei bisogni fittizi.

Il punto da comprendere nel pensiero di Marcuse è che il termine "totalitario" non si deve applicare "soltanto ad un'organizzazione politica terroristica della società, ma anche ad un'organizzazione economica-tecnica non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti. " I gruppi dirigenti economici, i detentori del potere reale sono in grado di imporre modelli, vendere i propri prodotti, sollecitare consensi  "sul tempo di lavoro come sul tempo libero, sulla cultura materiale come su quella intellettuale."

"Non si tratta di un'esagerazione, dice Marcuse, di una sopravvalutazione da parte mia dei media e della pubblicità. Non è vero che la gente, in qualche modo, avverte come proprio il bisogno dei consumi e dei modelli proposti dall'offerta e dal mercato. Il condizionamento operante non comincia con i programmi televisivi. Quando si arriva a questa fase - dice Marcuse - le persone sono esseri condizionati da lungo tempo; la differenza decisiva sta nell'appiattimento del contrasto (o del conflitto) tra il dato ed il possibile, tra bisogni soddisfatti e bisogni insoddisfatti." Marcuse vede chiaramente come, nonostante le differenze economiche, l'industria dei consumi di massa proponga un modello unico di cose e valori desiderabili e come le nuove generazioni del suo tempo siano state allevate e nutrite di questo modello. Sia il lavoratore che il suo padrone, od il suo caporeparto, tanto quanto la dattilografa ed il ragioniere vedono lo stesso film, aspirano alla medesima automobile, vogliono tutti andare in vacanza a Sharm el Sheik. Al di là delle differenze di risparmi e liquidità che fanno potere d'acquisto, l'universo umano risulta accomunato dalla stessa 'introiezione' dei bisogni indotti. Succede quindi che sono i desideri a produrre i bisogni ormai, quel superfluo che secondo alcuni "rende la vita impareggiabilmente meno noiosa di quella dei nostri padri." (Oscar Wilde) Può anche darsi, così, che le ultime ruote del carro, le persone che stanno alla base della piramide sociale, si trovino a provare momenti nei quali è possibile godere allo stesso modo di un ricco magnate: ecco l'euforia nel mezzo dell'infelicità. "In realtà, prosegue Marcuse, è piuttosto vero che le persone si riconoscono nelle loro merci; trovano la loro anima nella loro automobile, nei giradischi ad alta fedeltà, nella casa a due piani, nell'attrezzatura della cucina. Non sono gli individui più in grado di distinguere tra bisogni veri e falsi, quei bisogni apparenti che impongono persino l'indebitamento." Come accade oggi, e come riportato dall'articolo di Repubblica (del 18 novembre 2004, ma sempre attualissimo).

"Nel giro di tre anni sono più che triplicati i decreti chiesti al giudice di pace (per insolvenza) . tutte piccole storie di milanesi che hanno fatto - come si diceva una volta - il passo più lungo della gamba. E che ora si ritrovano nella trafila un po' avvilente delle notifiche, dei precetti, degli ufficiali giudiziari. Se non si paga, scatta il pignoramento. Quasi sempre, dietro un decreto ingiuntivo c'è la storia di una speranza naufragata: il mobile che non si è riuscito a pagare, la cambiale dell'aspirapolvere restata scoperta, il negozio rimasto senza clienti, la piccola ditta sull'orlo del collasso. E di speranze colate a picco, a guardare questi numeri, Milano si sta riempiendo. .Così i fascicoli coi decreti ingiuntivi si accumulano a decine di migliaia nelle cancellerie, un'ondata senza precedenti. Dentro ciascuno, la storia di drammi tutti diversi e tutti uguali. La folla di quelli che hanno comprato l'auto in leasing, e che non sono riusciti a stare dietro alle rate. Gli inquilini che non sono riusciti a pagare l'affitto, che sono già stati sfrattati dal fabbro, le loro cose portate in deposito, e che ora vengono inseguiti dai condomini per i mesi arretrati e d'affitto e di spese. Ma dentro quella montagna di decreti c'è anche la spia di una caratteristica che sembra dilagare: una sorta di propensione compulsiva all'acquisto. Molti di quelli che rimangono strozzati dalle rate non stavano inseguendo beni di prima necessità, ma semplici accessori come il telefonino, il condizionatore o l'elettrodomestico di ultima generazione".

L'effetto totalizzante ed estraniante, ingannevole, della società dei consumi è evidente per Marcuse: "Non soltanto una forma specifica di governo o di dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e di distribuzione, sistema che può benissimo essere compatibile con un pluralismo di partiti, di giornali, di poteri controbilanciantisi."

Diritto e libertà, pur essendo stati componenti fondamentali (Marcuse dice 'vitali' nella nascita della società capitalistica e moderna), oggi hanno perso pregnanza e significato: la libertà del consumatore di scegliere un prodotto tra cento non è vera libertà, come non è vera libertà quella dell'elettore in grado di scegliersi un rappresentante. "Sotto il governo di un tutto repressivo, , la libertà può essere trasformata in un possente strumento di dominio. La libera elezione dei padroni non abolisce né i padroni né gli schiavi. La libera scelta tra un'ampia varietà di beni e di servizi non significa libertà se questi beni e servizi alimentano i controlli sociali su una vita di fatica e di paura - se cioè, alimentano l'alienazione. " (Marcuse)

In questo vero e proprio regime totalitario la libertà apparente è lo specchietto per le allodole, che le attrae e non permette loro di vedere il pericolo cui vanno incontro: siamo catturati in una tela di ragno che alcuni ancora si ostinano a non vedere, tenuti insieme nella sventura da una colla dal dolce odore nauseabondo che, nella sua comodità, fa dimenticare la comune sorte.

Sono quelle piccole cose di cui potremmo fare a meno che, indispensabili ci obbligano a piegarci.

Ormai vediamo ciò che "loro" vogliono che si veda (quel "loro" non si riferisce a un insieme di persone definite quanto piuttosto ad un "ente metafisico" indistinguibile che chiamiamo società -ma che forse siamo già giunti a chiamare Dio- ormai dotato di propria vita).

Il giovane, in fuga dal mondo familiare verso un universo infinito, vede di fronte a sé una porta con sopra una scritta:

"Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate

È la porta che conduce alla maturità, alla società così come in certi casi ci viene descritta (come eterna divinità maligna o benigna a seconda).

Ma cosa fare? Tornare indietro verso un'altrettanto eterna infantilità, un'ingenua noncuranza?

Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia non sa quel che trova! Ma spesso è lusinghiera la vista della nuova via o è troppo piena di sassi quella vecchia, per questo si entra.

Questa fase della vita (l'adolescenza) è la più instabile e delicata, quella dove l'uomo del futuro si crea e si plasma sulle basi che gli vengono offerte o che gli si prospettano. Solo il mercato sembra farsi avanti, e i soldi, quel bell'asino doro che tanto  idolatriamo.

Chi si può permettere questa vita basata sull'ostentazione della materialità (senza perdersi?) vive, gli altri non esistono. A questa "non esistenza" è preferibile adattarsi e dire "Sì" come e finché riusciamo.



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