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Gli psicofarmaci




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GLI PSICOFARMACI



1 Generalità sugli psicofarmaci

Con il termine psicofarmaci vengono definite quelle sostanze naturali e di sintesi dotate di un'attività farmacologica selettiva sulle funzioni del Sistema Nervoso Centrale. Il loro uso clinico è rivolto al trattamento delle malattie mentali, là dove si registrano alterazioni dei processi psichici, delle idee e delle percezioni, nonché dell'umore e del comportamento.

Gli psicofarmaci, pur essendo dotati di una peculiare selettività nel rimuovere determinati sintomi dei disturbi mentali, possono indurre la comparsa di effetti indesiderati a carico dello stesso S.N.C., del sistema nervoso periferico e di altri organi ed apparati.

I fattori responsabili della variabilità di risposta agli psicofarmaci sono numerosi; il livello di aspettativa del paziente nei riguardi del farmaco, le sue componenti psicologiche (affettività ed emotività), le caratteristiche della sua personalità e dell'ambito sociale nel quale egli vive, svolgono un ruolo fondamentale nella variabilità di risposta ad uno psicofarmaco. Si registra così una vasta gamma di risposte anomale, cosiddette «paradosse», successive alla somministrazione di uno psicofarmaco. Talvolta a dosi efficaci si registrano effetti di maggiore o minore intensità rispetto a quelli che ci si aspettava. Risposte «paradosse» sono conosciute soprattutto a seguito della somministrazione di sedativi ed ansiolitici. Le benzodiazepine, ad esempio, possono indurre un effetto di disinibizione in soggetti sofferenti di psicosi o di nevrosi; da ciò deriva che, invece di ottenere un effetto sedativo, si registrano atteggiamenti di ostilità e talvolta, in rapporto alla presenza di stimoli frustranti sull'individuo, aggressivi.

La somministrazione prolungata, sia per scopi terapeutici che per abuso indiscriminato, può dare luogo alla comparsa di effetti indesiderati. Questi sono stati chiaramente accertati per alcuni gruppi di psicofarmaci e possono essere divisi in due principali fenomeni: tolleranza e dipendenza.

La tolleranza sta ad indicare una riduzione dell'effetto di uno psicofarmaco alle dosi che in precedenza si erano dimostrate efficaci: solo dopo l'aumento delle dosi si può ottenere la ricomparsa dell'effetto. Questa può avvenire con due modalità che, tuttavia, possono coesistere fra loro. La prima è definita tolleranza recettoriale e si riferisce ad un diverso modo, da parte dei recettori farmacologici, di rispondere alla somministrazione dello psicofarmaco. Essa è responsabile delle riduzioni delle risposte farmacologiche che si verificano nel corso del trattamento con gli oppiacei e gli allucinogeni. La seconda modalità di instaurarsi di una tolleranza è quella metabolica. Questa è legata ad un'accelerazione del metabolismo dello psicofarmaco con conseguente riduzione del suo effetto farmacologico. Tale tolleranza metabolica si registra nel corso di trattamenti con ansiolitici e sedativi.

Si definisce dipendenza la necessità di assumere uno psicofarmaco per bloccare una sindrome (sindrome di astinenza) dovuta alla riduzione della stimolazione dei recettori farmacologici dello psicofarmaco (dipendenza fisica). La sindrome di astinenza è superata dall'assunzione del farmaco. Essa è assai drammatica nel caso degli oppiacei e dei barbiturici, mentre è più contenuta nel caso delle benzodiazepine. Allorché la sindrome di astinenza è scatenata da un esagerato livello di aspettativa da parte del soggetto nei riguardi dello psicofarmaco si realizza la cosiddetta dipendenza psichica. Essa nasce dal bisogno del paziente di superare o di non ricadere nello stato di disagio in cui si trovava allorché, a seguito della sospensione dello psicofarmaco, sente riaffiorare o teme il riaffiorare dei disturbi per i quali assumeva il farmaco.

La prescrizione di più psicofarmaci nel soggetto sofferente per disturbi mentali, sia di tipo psicotico che di tipo nevrotico, è spesso una necessità legata al bisogno di rimuovere, non uno ma una serie di sintomi. Ciò implica il possibile instaurarsi di processi interattivi fra due o più sostanze somministrate. Da ciò possono derivare effetti di sommazione o di riduzione dell'efficacia clinica e/o della tossicità di uno psicofarmaco.

Gli psicofarmaci si classificano in base al loro effetto qualitativo.

Nella tabella 1 viene riportata la classificazione degli psicofarmaci basata, appunto, sugli effetti qualitativi secondo le indicazioni di Deniker.



TAB 1: CLASSIFICAZIONE DEGLI PSICOFARMACI


CAREGORIA

GRUPPI

COSTITUENTI  PRINCIPALI

Psicolettici

Sedativi

Antipsicotici (tranquillanti maggiori)

Ansiolitici (tranquillanti minori)

Barbiturici


Benziodiazepine

Psicoanalettici

Stimolanti

Antidepressivi

Anfetamina, cocaina.

Antidepressivi triclici

Psicodislettici

Allucinogeni

Oppiacei

LSD

Morfina, eroina

2 Gli psicolettici

La prima categoria è costituita dai cosiddetti psicolettici. Questi comprendono quattro gruppi: i sedativi, gli antipsicotici, gli ansiolitici, ed infine i regolatori dell'umore.

Sedativi - sono farmaci che calmano l'azione del S.N.C.. I barbiturici inducono ad un depressione globale di tutte le attività del S.N.C. per cui, in rapporto alla dose, passano da un'azione sedativa ad una chiara azione ipnotica, quindi un effetto narcotico (di anestesia generale) ed infine a manifestazioni tossiche con compromissione dei centri circolatori. Il sonno viene indotto mediante la depressione dei centri della veglia e della vigilanza. I barbiturici si dividono in due sottogruppi: quelli a lunga durata (6-10 h), impiegati come antiepilettici, e quelli a breve durata (2-3 h), impiegati come sedativi.

Antipsicotici.- questi farmaci sono dotati di attività specificamente antipsicotica e antiallucinatoria, a cui può accompagnarsi in maniera più o meno evidente un'attività sedativa. Vengono impiegati nel trattamento delle psicosi, specie delle schizofrenie.

Ansiolitici.- il loro effetto è prevalentemente diretto contro l'ansia attraverso una riduzione e limitazione dell'eccitabilità delle cellule nervose. Il farmaco, oltre ad abbassare il livello dell'ansia, riduce la grande tensione del paziente (effetto sedativo) e presenta un effetto miorilassante. Uno degli ansiolitici per eccellenza sono le benzodiazepine che, in ragione della loro scarsa tossicità e della facilità della loro prescrizione, sono i farmaci più venduti al mondo. I derivati benzodiazepinici sono dotati di effetti sedativi, ansiolitici, miorilassanti e anticonvulsivanti. Tuttavia, a basse dosi, essi sono in grado di far emergere una certa selettività di effetto che può utilmente adattarsi al soggetto nevrotico. Il loro impiego di elezione è rivolto a combattere gli stati ansiosi, soprattutto là dove sono presenti somatizzazioni periferiche, disturbi del sonno e stati di agitazione psichica di natura nevrotica. Il loro uso è stato esteso ad alleviare i sintomi di astinenza da alcool e talvolta in quella di oppiacei. In generale non esistono controindicazioni assolute alla somministrazione dio benzodiazepine tranne l'interazione con l'alcool, che comporta un  rinforzo degli effetti singoli delle due sostanze. La loro tossicità acuta consiste in astenia muscolare e profondo sopore, che non porta mai a morte, ma che generalmente si risolve entro 36-48 ore. La somministrazione cronica può portare alla comparsa di segni di tolleranza e, per dosaggi elevati, di dipendenza fisica. Si possono quindi registrare segni di astinenza (tremori, sudorazione, vomito, nausea, tachicardia, raramente convulsioni) a seguito di sospensione del trattamento. Esistono una serie di farmaci ansiolitici non benzodiazepinici che sembrano dotati della stessa maneggevolezza delle benzodiazepine e di una certa selettività per quanto riguarda l'attività ansiolitica.


3 Gli psicoanalettici

La seconda categoria è costituita dagli psicoanalettici, che si dividono in due gruppi: gli psicostimolanti e gli antidepressivi.

Psicostimolanti - questi farmaci sono dotati di un'azione stimolante globale e quindi indiscriminata su tutte le attività del S.N.C.. Essi inducono una sensazione di benessere e di aumento dell'attività psicomotoria fino all'euforia che, accanto al mascheramento della stanchezza e della fatica, portano il soggetto a persistere nell'impegno fisico e mentale fino all'esaurimento delle sue risorse, con conseguente collasso.

Antidepressivi - questi psicofarmaci possiedono la peculiare caratteristica di elevare il tono dell'umore nei soggetti depressi. Esistono due sottogruppi: gli antidepressivi trimentici e gli antidepressivi  timolettici.

I trimetrici inducono un pronto ed evidente miglioramento del tono dell'umore, che può arrivare talvolta a comportamenti ipomaniacali o chiaramente maniacali con eccitazione psicomotoria, euforia, e loquacità.

I timolettici, al contrario, possono indurre ad un certo grado di euforia senza tuttavia provocare sindromi maniacali. La loro attività antidepressiva è simile a quella dei trimetrici, pur se il loro effetto si instaura lentamente: a dosi intermedie possiedono una buona attività antifobica. Alcuni di loro possiedono anche proprietà sedative e ansiolitiche. La loro indicazione principale riguarda il trattamento della diverse sindromi depressive, e la scelta del derivato è legata alle caratteristiche della sindrome; pertanto là dove il farmaco presenta attività sedative, verrà indicato nelle depressioni accompagnate da ansia ed agitazione. Si può fare ricorso ai timolettici nelle forme depressive medio-leggere e nevrotiche, così come nelle cosiddette «depressioni mascherate», nelle quali, pur in assenza di sintomi depressivi  conclamati, il soggetto accusa disturbi, quali ansia, cefalea, apprensività, insonnia, anoressia.


4 Gli psicodislettici

In generale, non esiste una netta demarcazione fra questa categoria di farmaci e le altre due, in quanto numerosi psicofarmaci, in particolari condizioni, possono indurre illusioni, allucinazioni, ed alterazioni di vario grado e intensità dell'umore e dell'ideazione. In questa categoria sono raccolti i farmaci che alterano le capacità di pensiero e di sensazione, così come avviene nei sogni.

Allucinogeni. - questi farmaci hanno il peculiare effetto di alterare le capacità percettive al punto che, in assenza di stimoli sensoriali, il soggetto ha percezioni di varia intensità (allucinazioni) a livello visivo, acustico, tattile, olfattivo. Alcuni di questi psicofarmaci, a piccole dosi, possono indurre uno stato di benessere e di euforia cui si accompagna un aumento delle capacità percettive e di immaginazione. A dosi più elevate si raggiungono gli stati allucinatori fino ad un vero e proprio stato delirante. A causa dell'instaurarsi di uno stato di tolleranza, si determina la necessità di un progressivo aumento della dose per raggiungere tali situazioni.

Oppiacei. - in generale il loro uso terapeutico è rivolto a combattere il dolore. La morfina, somministrata a dosi terapeutiche in soggetti non sofferenti per dolore, induce un lieve senso di euforia e alterazioni dell'umore, accompagnate da difficoltà di concentrazione, apatia, facile astenia, riduzione dell'acuità visiva, e senso di confusione mentale. L'intossicazione acuta si accompagna a riduzione dell'attività cardiorespiratoria fino al coma profondo, accompagnato da ipotermia, flaccidità muscolare e fissità delle pupille. La somministrazione cronica di questi farmaci induce la comparsa di segni di tolleranza fisica e psicologica, così come la comparsa di una sindrome di astinenza allorché si sospenda la loro somministrazione.



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