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I maremoti




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Il pianeta terra


MAPPA CONCETTUALE IL PIANETA TERRA                                                 TERRA     

L'incremento naturale


l'incremento naturale Tipi d'incremento: il gioco della nascita e della morte La

Sismologia, struttura terrestre, il calore interno della terra, la deriva dei continenti, espansione dei fondali oceanici, paleomagnetismo, tettonica


SISMOLOGIA   I terremoti sono detti anche sismi. Vengono classificati
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I MAREMOTI




Tutto comincia con due enormi strati di crosta terrestre che scivolano l'uno sull'altro. Poi il mare sussulta. Un'onda ancora impercettibile ma di energia inaudita si propaga per centinaia di chilometri trasformandosi in un muro d'acqua al suo arrivo davanti alla costa. Basta una semplice formula per prevedere come viaggerà e cosa diventerà un maremoto, ma non ci sono formule per arrestarlo.

Un terremoto sottomarino fa innalzare e sprofondare il fondale. La colonna d'acqua soprastante sussulta: nasce il maremoto, l'onda si propaga rimanendo quasi invisibile;in lontananza ma vicino alla costa, dove la profondità del mare è minore, inizia a innalzarsi. Giunto a riva, il muro d'acqua può innalzarsi di decine di metri, fino a compiere danni anche se le coste non sono piatte ma ripide: l'acqua può invadere l'entroterra anche raggiungendo il doppio dell'altezza dell'onda.


Il nostro pianeta è vivo. E da quattro miliardi e mezzo di anni, l'epoca della sua formazione, continua a rimodellasi di continuo.spesso in tempi lunghissimi, detti tempi geologici, talvolta con brusche impennate ed eventi improvvisi e catastrofici come il maremoto.

La struttura del nostro Pianeta è a cipolla: ha una crosta esterna, suddivisa in oceanica, spessa circa è chilometri, e continentale, spessa in media 20 e più chilometri; seguono un mantello intermedio, suddiviso in superiore e inferiore, e infine un nucleo esterno e ancora fluido e un nucleo interno solido. Proprio nel suo cuore, protetto da più di 6000 chilometri di strati rocciosi e compresso da pressioni di milioni di atmosfere, la temperatura del pianeta è intorno ai 6000°C e fa fondere gli strati soprastanti innescando dei moti convettivi.


Questi ultimi, nel corso di milioni di anni, hanno creato forti tensioni negli strati rocciosi superficiali arrivando a frammentarli in diverse placche.

E così i primi100 chilometri di superficie chiamati litosfera (la crosta e una porzione di mantello), si sono frammentati in una dozzina di placche che si muovono a velocità dell'ordine di alcuni centimetri l'anno galleggiando sopra uno strato semi fluido, l'astenosfera.

Essendo la massa del nostro Pianeta costante, tutto deve stare in equilibrio, per cui  per ogni zona in cui le placche si allontanano permettendo al magma caldo di risalire dalla profondità della Terra e di solidificare formando nuova crosta, ne deve esistere un'altra dove le stesse zolle convergono e sprofondano l'una sotto l'altra.

L'attività sismica è localizzata in queste zone, dove ampie porzioni di placca rimangono spesso bloccate da forti attriti per periodi più o meno lunghi subendo una progressiva deformazione e il conseguente accumulo di sforzo elastico. A un certo punto lo sforzo supera la resistenza d'attrito e i margini delle  placche subiscono un brusco scorrimento: si scatena il maremoto.


È un'onda anomala, che non ha nulla a che fare con quelle prodotte da tempeste e uragani. Quando comincia a formarsi una tempesta c'è un congruo preavviso: vento e pioggia incrementano progressivamente col tempo. Un maremoto, invece, non dà preavviso. Il tempo è mite e soleggiato, il mare calmo e la terra ferma. Poi, improvvisamente, un muro d'acqua travolge ogni cosa.

Tutto dipende da una perturbazione che si propaga all'interno di una massa acquosa. La causa più frequente di tale perturbazione sono i terremoti sottomarini che generano spostamenti di porzioni del fondo del mare; seguono le eruzioni vulcaniche o le grosse frane sottomarine. Tuttavia il fenomeno può innescarsi anche per un evento che si verifica sulla terraferma, come quando una frana si stacca da una riva alta e precipita in mare.

Eccezionalmente un maremoto può essere generato dall'impatto di corpi celesti, quali asteroidi o meteoriti, sulla superficie degli oceani. Ma affinché la perturbazione sia tale da generare un maremoto deve essere verticale e improvvisa.

Infatti, nel caso di fenomeni che implicano una deformazione lenta e costante del fondo marino quali subsidenza (sprofondamento), bradisismo (lento alternarsi di sprofondamenti e innalzamenti) e colate laviche non esplosive, la massa d'acqua si adatta alle deformazioni della superficie passando attraverso varie configurazioni d'equilibrio.

Inoltre, un maremoto può nascere soltanto se la lunghezza delle onde generate, cioè la distanza tra le creste di due onde successive, è maggiore della profondità media del bacino. Quindi la perturbazione deve verificarsi su una superficie sufficientemente grande, cioè di raggio maggiore della profondità media del mare nella zona.


I maremoti si propagano con una velocità proporzionale alla profondità del mare in quel punto: in un oceano con la profondità media di 4000 metri le onde arrivano a 712 chilometri l'ora, a 6100 metri di profondità viaggiano a 890 chilometri orari.

La lunghezza d'onda, cioè la distanza tra una cresta e l'altra, va da alcune decine fino ad alcune centinaia di chilometri, con un periodo di oscillazione che varia da 5 minuti fino a un'ora e mezza.



A mano a mano che il fondale marino si solleva, verso le coste, e quindi la profondità del mare si riduce, la velocità delle onde diminuisce. Di conseguenza, poiché l'energia in gioco è la stessa (le perdite dovute alla distanza sono minime), l'altezza delle onde aumenta vertiginosamente, fino a raggiungere anche diverse decine di metri. L'onda più alta mai registrata è stata di 520 metri e fu provocata da un terremoto seguita da una frana, in Alaska, nel 1958.

Quello che gli sfortunati abitanti delle coste vedono nell'imminenza di un maremoto non è però un'onda solitaria e torreggiante, come un cavalline;piuttosto una specie di gigantesca marea, come se tutto il mare prima si ritirasse e poi improvvisamente crescesse di dimensione. L'intero mare è l'onda. Le devastazioni possono essere enormi: abbattendosi su una riva, un'onda di maremoto può risalire sulla costa anche ad altezze tre volte superiori alla propria, mentre le correnti generate dall'acqua possono penetrare fino a 20 chilometri nell'entroterra muovendosi a 35-70 chilometri l'ora, una velocità che non consente scampo.

Non si tratta poi di semplice acqua di mare, ma di fango e detriti che viaggiano a questa velocità travolgendo e seppellendo ogni cosa che incontrano. Nel caso delle piccole isole si può verificare un ulteriore fenomeno, detto wrap around (avvolgimento). Le onde del maremoto avvicinandosi ad un arcipelago, vengono riflesse dalle isole o si avvolgono intorno ad esse; inoltre vengono di fratte nei canali tra un'isola e l'altra, proprio come avviene nel caso della luce che passa attraverso una feritoia. Il fenomeno, a seconda della lunghezza d'onda,                            

può far annullare due onde (se la cresta dell'una coincide con il ventre di un'altra) o rinforzarle, generalmente un'onda alta il doppio delle due originarie. Che moltiplica i danni.


Le conseguenze della violenta scossa non riguardano solo la crosta terrestre, ma l'intero Pianeta, che ha vibrato come un campana e ha ballato nello spazio.

L'asse di rotazione terrestre si è spostato, esso oscilla continuamente per effetto di perturbazioni esterne e interne al Pianeta, le oscillazioni di maggiore entità si ripetono periodicamente e sono dovute all'attrazione esercitata dal Sole e dalla Luna. Minori, ma pur sempre misurabili, sono le oscillazioni provocate dallo spostamento di masse all'interno del Pianeta: masse di materiale fuso nel mantello, masse d'acqua negli oceani e masse d'aria nell'atmosfera.

Poiché le stagioni sono determinate proprio dall'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre, questo spostamento ha modificato leggermente le condizioni di irraggiamento della superficie del Pianeta da parte del Sole.

In pratica, anche se impercettibilmente, le stagioni si sono modificate, su tratta però di un cambiamento minimo, che no n si ripercuote sul clima. Il terremoto può anche far accorciare la durata del giorno sulla Terra. La perturbazione dell'equilibrio delle masse interne del Pianeta provoca infatti un aumento della velocità di rotazione del Pianeta, esattamente come accade a una pattinatrice che volteggia più velocemente sulla pista ghiacciata quando raccoglie le braccia attorno al corpo. Viviamo su una trottola: la terra si muove nello spazio come un enorme trottola: gira su se stessa in un giorno (rotazione di circa 24 ore), e intorno al Sole in un anno (rivoluzione di circa 365 giorni). Ma compie anche altri movimenti più lenti e meno noti. Il suo asse di rotazione è inclinato rispetto al piano di rotazione intorno al Sole e descrive un elissoide intorno alla perpendicolare in 26 mila anni (precessione). Inoltre, nel suo moto di precessione l'asse "vibra" con un periodo di 19 anni (nutazione). Infine, l'inclinazione dell'asse di rotazione varia da 22.1 a 24.5 gradi con un periodo di circa 41 mila anni, oggi siamo intorno ai 23.5 gradi.

La scossa può, inoltre, alterare il campo gravitazionale generato dalla Terra nello spazio circostante. La forma del campo è data dalla sua superficie equipotenziale, cioè dalla superficie lungo la quale l'accelerazione gravitazionale si mantiene costante.

La Terra non è sferica, ma leggermente schiacciata e la sua forma varia continuamente, influenzata dall'attrazione del Sole e della Luna, dai movimenti profondi di materiale più o meno denso all'interno del Pianeta stesso e da fenomeni climatici come la glaciazione e la deglaciazione, che provocano lo spostamento di grandi masse di acqua e ghiaccio.

La perturbazione non comporta conseguenze per la vita di tutti i giorni: il campo gravitazionale è un sistema dinamico, che si modifica in continuazione.


È difficile prevedere l'arrivo di un'ondata disponendo solo della lettura dei sismografi perché non sempre una scossa sul fondale marino genera un maremoto. Lo sviluppo dell'onda e la sua dinamica dipendono dalla quantità di energia rilasciata dal sisma, dallo spostamento di masse sul fondale, dalla profondità del mare nell'area dell'epicentro e dalla conformazione del fondo da lì alle coste. Solo conoscendo tutti questi parametri, quando gli strumenti registrano la scossa, possibile calcolare la velocità di spostamento dell'onda.


L'unico modo per localizzare un maremoto in mare aperto è disporre sul fondale marino una rete di strumenti capaci di rilevare il passaggio dell'onda.



La rete è formata da sensori di pressione ancorati sul fondale dell'oceano e collegati a boe galleggianti, che vengono inviati alla centrale di controllo via satellite. I sensori sul fondale misurano la pressione della colonna d'acqua sovrastante e ne ricavano la profondità del mare in quel punto. In condizioni di routine, ciascun apparecchio misura la pressione ogni quarto d'ora e trasmette al satellite la media dei calori ottenuti ogni ora. Se in software interno dello strumento registra una variazione significativa, il flusso dei dati accelera:il sensore misura la pressione ogni 15 secondi per alcuni minuti, poi passa a una misurazione al minuto, trasmettendo i valori in tempo reale.

Quattro ore dopo la prima anomalia, se il sistema non ha registrato altre variazioni, l'apparecchio torna alla sua modalità operativa di routine.

Sulla base dei dati ricavati da queste apparecchi e dai sismografi della rete sismica internazionale, gli esperti elaborano in pochi minuti un modello dell'onda, l'energia che trasporta, la direzione e la velocità di propagazione e comunicano le informazioni ad un organismo internazionale che garantisce la rapida diffusione di allarmi in caso di emergenza.

I maremoti si possono verificare in qualunque mare, Alessandria d'Egitto fu distrutta da un maremoto ne 365 a.C., un evento che costò 50mila vittime, provocato da un terremoto nel Mediterraneo.

Il problema principale è l'impossibilità di prevedere i maremoti in tempo per prevenirne le catastrofi. I geologi conoscono le aree a rischio di maremoto, ma non sono in grado di stabilire in anticipo quando si verificherà una scossa in una zona e quale sarà la sua intensità.

In Italia, nonostante diverse ondate catastrofiche abbiano colpito la Sicilia e la Calabria nel 1908,non esiste un sistema di allarme per avvertire la popolazione e non sono mai stati realizzati frangiflutti o edifici in grado di reggere l'impatto nelle zone a rischio.

Nelle aree più organizzate la disposizione stessa delle costruzioni è studiata per ridurre l'impatto di un eventuale maremoto e consentire all'acqua di fluire tra un edificio e l'altro disperdendo la sua energia. Ma il primo requisito per prevenire i danni di qualunque catastrofe è abbandonare la convinzione di essere al sicuro. Fintanto che la scienza non saprà prevedere con certezza le catastrofi, tutto ciò che possiamo fare è mantenere alto il livello di attenzione.


Il Mediterraneo occupa la zona di confine tra due grandi placche, quella eurasiatica e quella africana, che si sposta verso Nord alla velocità di un centimetro all'anno. L'impatto tra le due la litosfera terrestre in una serie di placche più piccole, sottoposte a pressioni e tensioni continue. Periodicamente, l'energia generata si libera sotto forma di terremoti o eruzioni vulcaniche.

Le coste italiane a rischio maremoti sono quelle della Sicilia orientale e della Calabria meridionale. In queste zone, già in passato si sono verificati eventi catastrofici, come il maremoto del 1693, che devastò Catania e provocò 70.000 vittime, il sisma più violento registrato in Italia in epoca storica.

Oltre alle faglie sismiche, anche i vulcani sottomarini e quelli a ridosso del mare sono una potenziale sorgente di maremoti. Il rischio è rappresentato sia da vulcani ancora attivi, che possono eruttare scaricando in acqua enormi quantità di rocce e lava, sia da quelli ormai spenti, la cui struttura indebolita dall'erosione può franare in mare.



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