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L'affermazione del commercio equo a livello internazionale




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L'affermazione del commercio equo a livello internazionale


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L'AFFERMAZIONE DEL COMMERCIO EQUO A LIVELLO INTERNAZIONALE


1. PREMESSA

Tracciare la storia dell'affermazione del commercio equo significa confrontarsi con esperienze molteplici e differenti tra un paese e l'altro. I soggetti sociali coinvolti nella promozione dei nuovi principi mutano in maniera significativa, così come i tempi e i contesti socio-politici di partenza in ogni realtà nazionale.

E' possibile comunque affermare che le prime esperienze concrete risalgono agli ultimi anni Cinquanta e riguardano soprattutto i paesi del nord Europa, prime fra tutti Olanda e Gran Bretagna.

L'Olanda è ritenuta la culla del movimento, poiché da qui partirono i primi tentativi di creare una rete commerciale equa, ad opera, come vedremo oltre, di un gruppo appartenente all'area politica cattolica.

In Gran Bretagna le prime esperienze di vendita di prodotti a contenuto etico sono riconducibili all'attività di una importante organizzazione umanitaria, Oxfam, che fu tra le prime a intraprendere iniziative finalizzate alla ricerca di nuovi canali di intervento nell'ambito della cooperazione.

Nell'area di influenza tedesca, infine, hanno rivestito un ruolo particolarmente importante sia le Chiese sia i gruppi ambientalisti.


Al di là delle differenti caratteristiche che contraddistinguono le singole realtà nazionali nell'affermazione del commercio equo, è possibile individuare alcune linee di sviluppo comuni da mettersi in relazione con i mutamenti storici intervenuti a partire dagli anni Sessanta.

A questo proposito si possono identificare alcune fasi principali nell'evoluzione storica della rete del commercio equo, fasi che riflettono il mutamento del modo di intendere l'intervento nei paesi in via di sviluppo. Si tratta di un'evoluzione del pensiero che riguarda il settore della cooperazione allo sviluppo in generale, e soprattutto l'area di intervento delle organizzazioni non governative (ONG).

Molte ONG, infatti, sono partite da un aiuto di tipo caritativo ed emergenziale, per dedicarsi successivamente ad un'azione più incisiva, costituita da una quantità di microrealizzazioni disperse, ma senza un vero progetto e una visione globale dello sviluppo. E' soltanto in una terza fase che le ONG hanno vissuto il passaggio dall'intervento puntuale e isolato a programmi di sviluppo integrati.

Analogamente è possibile individuare tre periodi principali nell'affermazione e nell'evoluzione del commercio equo.


-Fase di avvio

I primi tentativi di instaurare un nuovo rapporto commerciale con realtà considerate svantaggiate dal punto di vista economico, sono riconducibili ad una fase definita dell'"entusiasmo empirico"[1]. Questa fase si colloca nel decennio che va dal 1959, anno in cui prese le mosse in Olanda la prima esperienza di commercio equo, al 1970 circa.

Si tratta di un periodo di incubazione, caratterizzato da esperienze isolate e spesso avviate da missionari, fortemente influenzato dalla mancanza di un'adeguata conoscenza delle realtà dei paesi in via di sviluppo e dalla scarsa informazione riguardo agli effetti di alcune attività economiche sulle società e comunità locali del Sud.

L'attività del commercio equo rientrava allora in un'ottica di aiuto allo sviluppo basata più su presupposti di carità e beneficenza che su una reale consapevolezza della necessità di incidere in maniera significativa sui meccanismi di dipendenza dei paesi in via di sviluppo.


-Fase della solidarietà politica

Nel periodo dal 1971 al 1987 le vicende del commercio equo risentirono fortemente degli avvenimenti politici e del clima di scontro ideologico che caratterizzava il contesto internazionale. In molti casi i paesi in via di sviluppo vissero una fase di forte instabilità politica e di guerra civile che spingeva le associazioni di commercio equo a promuovere campagne a favore dei diritti delle fasce di popolazione maggiormente svantaggiate, e a prendere posizione nei confronti delle politiche commerciali inique.

In questo periodo si parlava più di commercio "alternativo" che di commercio equo, a indicare come partecipare a un movimento del genere, in qualità di importatori e distributori o di clienti, significasse farsi portatori di uno stile di vita anticonformista e operare una sorta di scelta ideologica.

Negli anni Settanta i punti vendita che si diffusero in tutta Europa si orientarono maggiormente verso la promozione dell'idea di giustizia economica che sull'elemento commerciale: talvolta la trasmissione del messaggio che stava dietro ad ogni prodotto importato dal Sud acquistava più importanza della necessità di commercializzare i prodotti e ampliare quindi le possibilità di incremento delle vendite.                                                                                                                   

Crebbe, al di là degli sviluppi politico-ideologici, il numero delle botteghe e delle persone coinvolte nella rete del commercio equo, e si affermò il modello imprenditoriale tedesco.

Negli anni Ottanta, infine, vennero messe a punto le prime strategie commerciali.


-Fase della professionalizzazione e del coordinamento.

A partire dalla fine degli anni Ottanta si può constatare l'avvio di un periodo in cui, superata le pregiudiziali ideologiche nei confronti del mercato, le organizzazioni di commercio equo assunsero una fisionomia più propriamente di impresa. E' il momento in cui l'attenzione agli aspetti commerciali non venne messa in secondo piano, ma anzi rivalutata e considerata elemento fondamentale per l'affermazione di un modello di mercato responsabile ed eticamente orientato. Si trattava dunque di inserirsi nel circuito commerciale Sud-Nord offrendo un'alternativa praticabile ed efficace, da un lato ai produttori decisi ad emanciparsi dallo stato di dipendenza e sfruttamento economico, dall'altro ai consumatori occidentali determinati a contribuire alla correzione delle storture più evidenti dell'attuale sistema economico.

La professionalizzazione del movimento avvenne su diversi livelli: dal lato dei produttori del Sud si concretizzò in un miglioramento dei prodotti e delle capacità manageriali delle ATO's. Le organizzazioni del Nord, d'altra parte, vissero una fase di ristrutturazione destinata ad assicurare maggiore efficienza e pieno sviluppo delle proprie potenzialità e risorse. La formazione del personale, la computerizzazione, l'attenzione per le tendenze del mercato diventarono elementi portanti delle nuove strategie di rafforzamento della rete del commercio equo.

Anche i world shop assunsero una struttura diversa: aumentò il numero del personale stipendiato, in modo da garantire una maggiore regolarità negli orari di apertura, e si preferirono per l'apertura dei punti vendita posizioni centrali e di maggiore visibilità nelle città.

Il maggiore coordinamento a livello europeo portò inoltre all'adozione di criteri di vendita comuni, così come di nomi, stili e sigle riconoscibili a livello internazionale.

Questo processo di professionalizzazione ebbe riflessi sull'immagine e sulla struttura del movimento: le nuove sfide poste dalle tendenze in atto sul mercato internazionale rappresentarono un momento delicato, ma decisivo e carico di potenzialità per gli sviluppi della rete solidale.

In questa fase si sviluppò considerevolmente l'attività di lobbying in ambito europeo; la sensibilizzazione a livello istituzionale riguardo alle attività e all'efficacia del meccanismo commerciale equo diventò un obiettivo prioritario.


2.COORDINAMENTO E ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI


Le diverse matrici socio-culturali delle esperienze di commercio equo non hanno impedito lo sviluppo di progetti comuni e di attività di coordinamento tra le varie organizzazioni. I motivi di fondo e le aspirazioni che costituiscono l'elemento fondante dell'associazionismo ispirato ai principi del commercio equo, rappresentano infatti il filo rosso che accomuna e unisce i protagonisti della rete solidale.

Il successo ottenuto nel corso degli anni e la crescita effettiva di organizzazioni e botteghe hanno posto nuove esigenze e prospettato nuovi traguardi. L'intensificarsi degli scambi informativi e dei contatti fra le varie ATO's risponde alla necessità di affrontare problemi che richiedono coordinamento nell'azione e coesione ideale nello sviluppo di linee programmatiche comuni.


E' soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta che si è manifestata la tendenza verso lo sviluppo di organismi che rispondessero alla ricerca di maggiore collegamento fra le organizzazioni nazionali.

Al 1989, dopo dieci anni di cooperazione informale, risale la fondazione del primo vero e proprio organismo di coordinamento delle ATO's a livello internazionale: l'IFAT (International Federation for Alternative Trade). 

Nel gennaio del 1990 la creazione dell'EFTA (European Fair Trade Association) ufficializzò il rapporto di collaborazione tra gli importatori europei e costituì il momento di sviluppo di strategie e linee politiche comuni, oltre che di una più efficace attività di lobbying a livello delle istituzioni politiche europee.

L'intento di favorire l'attività di coordinamento e di creare una rete di comunicazione fra le Botteghe del Mondo fu alla base della fondazione nel 1994 di NEWS! (Network of European World Shops).

La nascita di marchi di certificazione per i prodotti del commercio equo portò, infine, all'istituzione nel 1997 di FLO (Fair Trade Labelling Organizations International), organismo di coordinamento delle varie organizzazioni di marchio nazionali.


Organizzazione

FLO

IFAT

NEWS!

EFTA

Anno di

fondazione





Tipologia dei

membri

Organizzazioni

di marchio nazionali

Organizzazioni di di produttori,

ATO's

Organizzazioni nazionali dei

World Shops

Organizzazioni di

importazione

Membri nel

mondo

17

148

15

12

Membri in

Europa

14

42

tutti

tutti

Sede

Bonn,

Germania

Oxford,

Gran Bretagna

Utrecht,

Paesi Bassi

Maastricht, Paesi Bassi

Tabella 1: Organizzazioni internazionali di commercio equo


IFAT (International Federation for Alternative Trade

L' IFAT  è una federazione di produttori e di organizzazioni di commercio alternativo, gestita da un Segretariato, che ha sede attualmente a Oxford e diretta da un Comitato elettivo di cinque membri.

Nata nel 1989, in seguito ad una conferenza di ATO's in Olanda, l'IFAT è cresciuta e si è sviluppata in una rete globale, costituendo l'unica organizzazione che rappresenti sia gli importatori del Nord sia le associazioni di produttori del Sud. L'obiettivo è quello di offrire ai suoi membri uno spazio per lo scambio di idee e informazioni, finalizzato ad una migliore conoscenza dei mercati mondiali, allo sviluppo del marketing, al recupero, attraverso attività di pressione e di sensibilizzazione sulla scena internazionale, dei diritti dei produttori. Ogni due anni si tiene un convegno al quale partecipano sia i membri che gli osservatori, al fine di concordare una politica comune e le linee guida dei programmi futuri. I convegni si sono svolti in Olanda nel 1989, in Irlanda nel 1991, nelle Filippine nel 1993, negli Stati Uniti nel 1995 e in India nel 1997.

L'importanza di questi incontri è immediatamente evidente, poiché questi garantiscono ai produttori l'accesso all'informazione, ad essi tradizionalmente negato, e la possibilità di partecipare al movimento su un piano di eguaglianza. Il servizio informazioni dell'IFAT si avvale inoltre di risorse di vario tipo, come la diffusione di un notiziario quadrimestrale, "Trade Post", la raccolta di articoli e cataloghi informativi recapitati ai membri (Info Flow Packet), lo sviluppo di un database per il commercio alternativo contenente oltre 300 documenti.

Il fatturato dell'IFAT, che oggi conta 155 membri e 15 osservatori, ammonta a circa 250 milioni di dollari, e i gruppi di produttori coinvolti sono più di 300 in oltre 400 paesi del mondo.

Il lavoro ordinario dell'IFAT è interamente sostenuto dalle quote di iscrizione dei membri, che vanno da 250 a 1000 dollari secondo la dimensione economica. Questi fondi sono impiegati per la gestione dei servizi di base a cui si aggiungono lo scambio di informazioni e la produzione di letteratura e bibliografia di vario genere.

Progetti particolari, invece, richiedono fondi a parte per specifici programmi di lavoro.


2.2 EFTA (European Fair Trade Association)

Fondata nel 1990, l'EFTA costituisce l'organismo di coordinamento degli importatori di commercio equo a livello europeo.


PAESE

ORGANIZZAZIONE E SEDE

Svizzera

Claro (Orpund)

Italia

CTM (Bolzano)

Austria

Eza dritte Welt (Salisburgo)

Olanda

Fair Trade Organisatie (Culemborg)

Germania

Gepa (Wuppertal)

Spagna

Ideas (Cordoba)

Intermòn (Valencia)

Belgio

Magasins du Monde-Oxfam (Bruxelles)

Oxfam wereldwinkels verdeelcntrum (Gent)

Gran Bretagna

Oxfam fair Trade (Oxford)

Traidcraft plc (Kinsway, Gateshead)

Francia

Solidar'monde (Vitry s/Seine)

Tabella 2: I membri dell'EFTA


Attualmente ne fanno parte dodici ATO's in nove paesi europei (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi,Spagna, Svizzera, Regno Unito).

L'associazione si propone di stimolare la cooperazione pratica tra i membri, sviluppare politiche e strategie comuni, offrire supporto ai produttori e accrescere la visibilità dei principi del commercio equo sulla scena internazionale.

L'attività dell'EFTA segue dunque diverse direzioni, che vanno dal supporto ai produttori, in particolare riguardo all'informazione e all'adeguamento alle norme europee, al miglioramento dei prodotti, all'attività di pressione a livello politico, alle indagini sui mutamenti economici e del mercato. 

L'associazione si preoccupa di seguire lo sviluppo delle norme e degli standard elaborati dall'Unione Europea, relativamente ai prodotti alimentari che rientrano nel circuito del commercio equo, quali frutta secca, caffè, marmellate, cacao, riso e miele, e analogamente per i prodotti provenienti da coltivazione biologica e i giocattoli. 

La specializzazione dei membri relativamente alle competenze, al commercio e allo sviluppo di specifici prodotti garantisce una maggiore attenzione ai singoli settori del mercato e l'attuazione di strategie elaborate su esigenze specifiche. Così Claro, la centrale svizzera, riveste il ruolo di esperto dell'EFTA per quanto riguarda il cacao e il cioccolato; la belga Oxfam-Wereldwinkels si occupa delle nocciole, mentre Gepa, organizzazione tedesca, è il referente per i prodotti di origine biologica.


ORGANIZZAZIONE DI IMPORTAZIONE

PAESE

FATTURATO

(in milioni di euro)

Gepa

Germania


Fair Trade Organisatie

Olanda


Traidcraft

Gran Bretagna


Oxfam Fair Trade

Gran Bretagna


Tabella 3: Le maggiori centrali di importazione dell'EFTA


Il crescente interesse per il commercio equo da parte di soggetti non impegnati direttamente nel circuito solidale, ha stimolato l'esigenza di sviluppare un marchio che si costituisse come garanzia riguardo alla provenienza e al rispetto nella produzione dei criteri propri del commercio equo. A partire da questa esigenza l'EFTA ha promosso nel giugno 1992 la creazione di un'organizzazione indipendente, Transfair International, che controlla il marchio e decide a quali prodotti e produttori concederlo, in base alla soddisfazione dei requisiti.



2.3 Organizzazioni di marchio e FLO


Fin dal 1986 l'obiettivo di allargare i canali distributivi dei prodotti del commercio equo, unito all'esigenza di mantenere integri i principi applicati nel processo di produzione e commercializzazione, avevano stimolato la ricerca di un sistema di certificazione che consentisse nuovi sbocchi, anche all'interno del circuito commerciale tradizionale.

Figura 1: Numero dei supermercati che vendono prodotti del commercio equo

Oggi le organizzazioni dei marchi di garanzia stabiliscono gli standard per i prezzi e le condizioni di lavoro dei prodotti a contenuto etico. Attraverso la concessione in licenza dei marchi di certificazione è stato possibile espandere i canali di vendita dei prodotti (Fig.1), offrendo nello stesso tempo maggiore affidabilità ai consumatori. Le etichette del circuito fair trade rendono infatti riconoscibile il prodotto indipendentemente dal marchio commerciale, garantendone il contenuto in termini di eticità e solidarietà.


QUOTA DI MERCATO

CAFFE'

TE'

BANANE

4% o maggiore


Svizzera 4%

Svizzera 15%

Paesi Bassi 4,2%

Lussemburgo 4%


Lussemburgo 3,3%

Svizzera 3%




Paesi Bassi 2,7%

Germania 2,5%

Danimarca 2%

Svezia 1,8%


Danimarca 1,8%

Regno Unito 1,5%

Belgio 1%

Germania 1%

Danimarca 1,8%

Italia 1,22%


Svezia 0,8%

Austria 0,7%

Irlanda 0,5%

Finlandia 0,3%

Norvegia 0,3%

Italia 0,13%

Francia 0,1%

Regno Unito -1%

Svezia 0,8%

Austria 0,7%

Paesi Bassi 0,7%

Italia 0,67%

Finlandia -0,1%

Francia 0,1%

Lussemburgo -0,1%

Norvegia -0,1%

Germania -1%

Regno Unito -1%

Belgio 0,6%

Tabella 4: Quote di mercato dei prodotti a marchio equo nei paesi europei


Le organizzazioni di marchio offrono dunque ai potenziali importatori e ai consumatori:

a) un'etichetta che distingue chiaramente i prodotti del fair trade da   quelli convenzionali

un registro dei gruppi di produttori monitorati

una serie di criteri relativi al modo di "fare commercio" del mercato equo.

Esistono attualmente in Europa diverse organizzazioni nazionali di marchio; le principali sono Max Havelaar e Transfair International, che sono presenti in diversi paesi europei, oltre che, per quanto riguarda Transfair, negli Stati Uniti e in Giappone. Altre organizzazioni sono Fairtrade Foundation, Fairtrade mark, Reilun Kaupan e Rattvisemarkt, tutte facenti parte di FLO, l'organismo internazionale che riunisce gli enti nazionali.

I prodotti venduti con marchio etico hanno acquistato rilievo sul mercato, affermandosi all'interno del circuito commerciale tradizionale secondo proporzioni differenti a seconda dei paesi (tab.4).



Max Havelaar Foundation

Il primo marchio di garanzia per i prodotti del commercio equo fu adottato nel 1989 per il caffè dalla Max Havelaar Foundation, in Olanda. Il nome dell'organizzazione, fondata ad opera di alcune ONG olandesi e con il sostegno di alcune cooperative di produttori del Sud, rimanda al romanzo scritto da E.D. Dekker e pubblicato in Olanda nel 1860, "Max Havelaar or the Coffee Auctions of the Dutch Trading Company" (Max Havelaar o delle aste del caffè della Società Commerciale Olandese). Il romanzo, che ebbe un immediato impatto politico a causa delle accuse alla politica coloniale olandese in esso contenute, rappresentò un atto di denuncia delle ingiustizie subite dagli indigeni nelle vecchie colonie.

Lo scopo dell'organizzazione è quello di proporre al mercato, ad aziende di distribuzione, di torrefazione e di commercializzazione , l'acquisto di prodotti del Sud a condizioni fair trade. I primi prodotti introdotti sul mercato tradizionale con il marchio olandese furono caffè e tè. Oggi la quota di caffè garantito venduta nelle catene di supermercati e nei negozi tradizionali rappresenta circa il 2,7% del mercato olandese. 

L'etichetta Max Havelaar è stata adottata in seguito anche in Svizzera (dal 1993), Belgio, Francia, Norvegia e Danimarca.


Transfair International

La creazione del marchio Max Havelaar aveva creato scontento fra quelle ATO's che ritenevano che l'allargamento della commercializzazione di prodotti equi fino a comprendere la grande distribuzione e negozi non specializzati avrebbe potuto danneggiare l'immagine dei prodotti stessi. Fino a quel momento, infatti, la rete del fair trade aveva utilizzato per la distribuzione esclusivamente il circuito delle Botteghe del Mondo, tramite fra consumatori e importatori ben caratterizzato e riconoscibile.

L'esigenza di offrire un meccanismo di garanzia dei prodotti anche all'interno dell'EFTA, portò alla creazione di Transfair International, organizzazione di marchio nata nel 1992, di cui sono membri le ATO's di Germania, Austria, Lussemburgo, Italia, Giappone, Canada e Stati Uniti. Fondata grazie al concorso di ONG religiose tedesche e di alcune organizzazioni della società civile tedesca, quali Misereor, Brot fur die Welt, SPD, sindacati, cominciò la distribuzione dei prodotti con il proprio marchio dapprima in Germania, Austria e Lussemburgo.

Le differenze rispetto a Max Havelaar, oltre alla maggiore rigidità dei criteri per i licenziatari dei marchi, sono riscontrabili nella esistenza di un coordinamento centrale presso la sede di Stoccarda e in una maggiore omogeneità e collaborazione fra le varie organizzazioni nazionali.

Esistono quindi alcune linee di condotta applicate nei rapporti tra produttori e importatori europei, riconosciute e ritenute fondanti nella gestione di una relazione commerciale equa. Tali linee di condotta, che fungono da discriminanti nell'attribuzione del marchio, rispecchiano i criteri generali del commercio equo.


FLO (Fair Labelling Organization)

A partire dal 1993 le organizzazioni di marchio stabilirono, nonostante alcune divergenze, protocolli d'azione comuni, criteri omogenei nei confronti dei produttori, nonché la suddivisione delle aree di contatto e di monitoraggio, al fine di mettere insieme in modo sinergico le esperienze. I prodotti e i paesi verso cui effettuare le azioni di monitoraggio furono definiti, come all'interno dell'EFTA, sulla base delle esperienze storiche delle organizzazioni di commercio equo.

Sulla base di tale presupposto l'Olanda si è occupata del registro dei produttori del caffè, la Svizzera di quello dei produttori del cacao e la Germania dei settori del tè, del miele e dello zucchero.

Nell'aprile 1997, dopo diciotto mesi di negoziati, la nascita in Olanda di FLO International, Fairtrade Labelling Organizations International, in cui sono confluiti Max Havelaar, Transfair International e le altre organizzazioni di marchio, ha stimolato la ricerca e lo sviluppo di un marchio unico, oltre che di criteri unitari. La costituzione della prima organizzazione, infatti, aveva suscitato un ampio e prolungato dibattito sulla concessione del marchio e sul relativo grado di rigidità da applicare. Transfair International, fondata quattro anni dopo, si distingueva dalla prima proprio per la maggiore rigidità nei criteri di concessione e per una immagine unica a livello mondiale.


Paese

ORGANIZZAZIONE DI MARCHIO

FATTURATo milioni euro

Austria

TransFair Austria

3100

Francia

Max Havelaar France

3200

Belgio

Max Havelaar Belgium

5000

Germania

TransFair Germany

66500

Canada

TransFair Canada

n.d.

Gran Bretagna

Fairtrade Foundation

36600

Danimarca

TransFair Fonden Denmark

8050

Italia

TransFair Italia

6700

Irlanda

Fairtrade Mark Ireland

410

Norvegia

Max Havelaar Norge

190

Finlandia

Reilun Kaupan edistamisyhdistys ry.

390

Giappone

TransFair Japan

n.d.

Lussemburgo

TransFair Minka Luxemburg

520

Svezia

Foreningen for Rattvisemarkt

3400

Olanda

Stichting Max Havelaar

34000

Svizzera

Max Havelaar Stiftung

40900

USA

TransFair USA

n.d.

Tabella : I membri di FLO

Lo scopo di FLO è dunque quello di coordinare il lavoro delle diverse organizzazioni di marchio.

Il Meeting of Members, composto da Full Members e da Associate Members, è l'organo dell'associazione che prende le decisioni più importanti. Altri organi sono il Consiglio, il Segretariato Generale e il Coordinamento dei Registri. I Registri dei Produttori, che includono circa trecento partners produttori in ventinove paesi, sono organizzati in Comitati responsabili della registrazione dei produttori stessi legati al circuito equo. Per l'ammissione ai registri sono stati fissati alcuni criteri, quali l'organizzazione dei produttori in strutture democratiche, l'assenza di forme discriminatorie all'interno delle cooperative, la qualità dei prodotti.

I coordinatori dei registri si occupano del monitoraggio dello scambio di beni tra produttori e importatori, del conferimento e dell'utilizzo dei pagamenti per il bonus del fair trade.

FLO inoltre rappresenta gli interessi dei marchi di garanzia presso gli organismi internazionali.

I membri, da parte loro, sono responsabili per la promozione e il marketing di garanzia nei rispettivi mercati; decidono se e quando lanciare un prodotto a marchio equo, dopo che i criteri di produzione e commercializzazione sono stati approvati a livello internazionale. Una volta che il prodotto è stato importato, i singoli membri si occupano dell'attività di monitoraggio sui relativi mercati nazionali; infine decidono collegialmente nel Meeting of Members sulle iniziative intraprese per loro conto dalle strutture dell'organizzazione.

FLO offre servizi ai membri, oltre a svolgere la funzione di foro e di momento di incontro per le discussioni relative ai nuovi potenziali prodotti, all'accettazione dei criteri, alle decisioni sul coordinamento dei registri dei produttori.

Attualmente i prodotti garantiti da FLO comprendono banane, cacao, caffè, caramelle,cioccolato, miele, zucchero, te e succhi di frutta. La possibilità di estendere la gamma dei prodotti garantiti incontra attualmente difficoltà dovute ai costi di monitoraggio e di promozione dei prodotti, che spingono l'associazione a concentrarsi sugli articoli che interessano un significativo volume di scambi.


2.4 NEWS! (Network of European World Shops)

La crescita del movimento nel corso degli anni Novanta ha portato ad una ridefinizione del ruolo delle Botteghe del Mondo, in quanto attori fondamentali all'interno del circuito equo. L'attività dei punti vendita specializzati, infatti, non si limita alla commercializzazione dei prodotti, ma ricopre anche il ruolo di spazio per la diffusione dell'informazione relativa alla rete del fair trade e al significato che assume un acquisto equo e solidale nel contesto delle relazioni Nord-Sud. Si tratta di un momento fondamentale di incontro tra "operatori del settore" e consumatori, occasione in cui intraprendere un'attività di coscientizzazione, necessaria per la diffusione del messaggio di solidarietà e collaborazione proprio del movimento del commercio equo.

L'esigenza di maggiore professionalizzazione ha portato alla conferenza svoltasi in Olanda nel 1993, alla quale parteciparono duecento rappresentanti delle Botteghe del Mondo europee. L'incontro stimolò la richiesta di un coordinamento stabile, che si manifestò nel 1994 con la nascita di NEWS!, rete delle associazioni nazionali delle Botteghe, con base a Utrecht.

News! è composto dai rappresentanti delle sedici organizzazioni nazionali di world shops, che si incontrano quattro volte l'anno in diversi luoghi d'Europa per discutere su argomenti relativi alle problematiche specifiche dei dettaglianti del commercio equo e all'andamento generale del movimento.

Gli obiettivi principali dell'associazione sono quello di creare una rete di comunicazione tra le Botteghe, sia a livello locale sia a

livello internazionale, e quello di dare visibilità al movimento.

Lo scopo di far conoscere la rete del commercio equo si realizza nell'organizzazione della "Giornata Europea delle Botteghe del mondo" e nelle varie campagne di sensibilizzazione (quali "Incontra l'Africa a tavola", "Made in Dignity", "Food for Thought").

La Giornata Europea delle botteghe rappresenta un'occasione non solo per promuovere l'informazione e dare rilievo pubblico alle attività del circuito, ma anche per stimolare l'attenzione dei mass-media e ottenere quindi l'interessamento delle istituzioni e del maggior numero possibile di cittadini.

E' evidente che la Giornata assume dunque anche una funzione politica, riconducibile all'attività di pressione sulle organizzazioni di commercio e sulla Comunità Europea esercitata














Figura 2: Numero dei world shop nei paesi europei



insieme a EFTA, IFAT e FLO. L'unione delle forze a tal fine ha portato alla costituzione di FINE (Flo, Ifat, News, Efta), un tavolo di discussione sul commercio equo che ha come interlocutore il Parlamento Europeo.




3. Il commercio equo e solidale al Parlamento Europeo

Il miglioramento delle ragioni di scambio per i paesi del Sud, all'interno del circuito commerciale globale, può essere ottenuto solo a partire da politiche concertate a livello internazionale e comunitario. In quest'ambito più che mai, infatti, un'azione coordinata e promossa a livello istituzionale è l'unico mezzo possibile per offrire visibilità ed opportunità di realizzazione ad obiettivi che coinvolgono in profondità le relazioni socio-economiche.

In questa prospettiva si collocano le aspirazioni del movimento equo ad acquisire una propria identità all'interno delle istituzioni europee. Diversi deputati hanno appoggiato e promosso la causa del commercio equo nell'ambito del Parlamento Europeo, attraverso risoluzioni e comunicazioni che mettono in luce il ruolo svolto dal fair trade all'interno della cooperazione allo sviluppo. Si tratta indubbiamente di un riconoscimento ufficiale delle potenzialità insite nella società civile, nell'ambito di settori che ormai non possono più essere considerati di competenza esclusivamente governativa. Già dall'inizio degli anni Novanta, d'altra parte, la Commissione Europea aveva sostenuto diversi progetti presentati da ONG nel campo dell'educazione allo sviluppo, elemento essenziale dell'attività che le organizzazioni della società civile svolgono in relazione alla promozione della coscienza sui temi dello sviluppo.

La sensibilizzazione dei politici sul tema del commercio equo è avvenuta anche attraverso la tenuta nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles del Fair Trade day. Inoltre, dal 1994, il caffè servito all'interno degli edifici parlamentari proviene dal circuito equo. Tale pratica si è diffusa poi all'interno di molti paesi membri dell'Unione Europea, tra cui l'Italia, in cui la buvette del palazzo di Montecitorio, sede del Parlamento, serve prodotti equi.

La prima risoluzione approvata dal Parlamento Europeo sulla promozione del commercio equo e solidale fra Nord e Sud, elaborata da Alex Langer, risale al 19 gennaio 1994. In essa si esorta la Comunità europea a sostenere le iniziative del commercio equo, stanziando fondi e inserendo il fair trade nella politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo. La risoluzione Langer, in particolare, "auspica che nel bilancio comunitario venga inserita una linea specifica per il Commercio Equo e Solidale e che venga creato presso la commissione uno sportello per il miglioramento della commercializzazione del fair trade e per l'informazione in merito". Inoltre si raccomanda il riconoscimento e la difesa di un marchio di qualità per i prodotti equi.

L'interesse per il movimento del commercio equo e solidale si è manifestato nella crescita dei finanziamenti ai progetti di fair trade. Tra il 1992 e il 1995 la Commissione ha cofinanziato 28 progetti in 11 Stati europei, per un importo complessivo di 3,6 milioni di euro. Nel 1996 sono stati finanziati 16 progetti per un totale di 1.925.000 euro, mentre nel 1997 la Commissione ha stanziato 2.911.511 euro a sostegno di 15 progetti di sensibilizzazione al commercio equo e solidale[2]. Altri contributi finanziari della comunità sono andati a beneficio di tre progetti per il consumo socialmente responsabile, che comprendono alcune iniziative in materia di fair trade. Due di questi erano relativi alla sensibilizzazione dei consumatori, mentre il terzo riguardava l'elaborazione di una guida del consumatore alla "spesa sostenibile".

Nello stesso anno il Comitato Economico e Sociale della Comunità europea si era espresso in merito al movimento "European Fair Trade Marking", relativo alla necessità di un sistema di certificazione indipendente, tale da offrire garanzie sia sul piano del rispetto dei diritti dei produttori che su quello della salvaguardia dell'ambiente e della qualità della merce.

Nell'ottobre del 1997 l'Assemblea paritetica tra i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) e l'Unione Europea,

uniti in un accordo di cooperazione attraverso la Convenzione di Lomè, ha approvato una risoluzione chiedendo all'UE di offrire un accesso privilegiato alle banane eque e solidali sul mercato comunitario. L'indagine di Eurobarometro "Atteggiamenti dei consumatori UE nei confronti delle banane Fair Trade", svolta all'inizio del 1997, aveva rilevato come il 74% degli europei si fosse dichiarata disponibile a comprare banane eque, se fossero state facilmente reperibili sul mercato. Nell'aprile 1999 il Consiglio ha adottato un regolamento che stabilisce un quadro di sostegno ai fornitori di banane ACP tradizionali, regolamento in cui si accenna alla possibilità di finanziare iniziative in materia di commercio equo.

La seconda risoluzione in materia di commercio equo è la 198/98, proposta dall'europarlamentare Raimondo Fassa e approvata dal Parlamento Europeo il 2 luglio 1998. Nella risoluzione si considera il commercio equo strumento utile alla promozione dello sviluppo nei paesi del Sud, e ne viene sottolineata l'opera di sensibilizzazione in merito ai rapporti Nord-Sud "attraverso il rafforzamento della cooperazione da cittadino a cittadino"[3]. Nel documento si dichiara, inoltre, che è necessario stabilire criteri comuni "in merito a quanto costituisca commercio equo e solidale", criteri che hanno trovato in seguito espressione nella "Carta dei Criteri" , ratificata dalle organizzazioni di commercio equo nell'ottobre del 1999. Alcune delle richieste contenute nella risoluzione riguardano sia l'integrazione del commercio equo nella politica estera, di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell'Unione Europea, attraverso il sostegno ai progetti e la creazione di una linea distinta di bilancio per il fair trade, sia l'opportunità di favorire il coordinamento fra i vari importatori europei, in modo da creare un unico interlocutore con le istituzioni europee.

Nel 1999 la Comunicazione 619 della Commissione al Consiglio sul

commercio equo e solidale[5] ha riproposto la discussione in materia di iniziative commerciali eque. Nel documento si affronta il tema della compatibilità tra sostegno a iniziative di commercio equo e partecipazione all'Organizzazione mondiale del commercio (WTO), la cui fondazione nel 1995 aveva portato a compimento il processo di riduzione delle barriere commerciali, portato avanti nelle sedute del GATT. Nella Comunicazione, dunque, si dichiara che "fin tanto che le iniziative C.E.S. restano a carattere privato e vengono realizzate a titolo volontario, il C.E.S. può considerarsi compatibile con un sistema commerciale multilaterale non discriminatorio, in quanto non impone restrizioni alle importazioni o altre forme di protezionismo". D'altra parte l'istituzione di un sistema commerciale più liberale aveva sollevato dubbi, in sede di costituzione del WTO, riguardo alle opportunità di crescita dei paesi in via di sviluppo in un ambiente commerciale più aperto. Tali perplessità avevano portato alla dichiarazione, da parte dei firmatari dell'accordo di istituzione del WTO, della necessità di sostenere l'espansione del commercio e le possibilità di investimento dei paesi del Sud.

In questo ambito si è quindi creato lo spazio per il sostegno alle iniziative di commercio equo e solidale, ritenuto strumento favorevole alla partecipazione dei produttori dei paesi in via di sviluppo alle opportunità offerte dalla mondializzazione del commercio.






Amatucci [1997]

v. Appendice

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